venerdì 17 dicembre 2010

La felicità è lontana dal pensiero

La felicità si allontana quando la mente è piena di pensieri. Ciò accade perché utilizziamo nel modo sbagliato le nostre risorse naturali. Ogni volta che ci fissiamo su un problema, non solo non troviamo la soluzione ma ci allontaniamo sempre più dalla felicità, senza considerare che è proprio uno stato di serenità e felicità naturale a farci trovare la soluzione giusta.

Che fare? Consigli ed esercizi per ritrovare la felicità perduta
Uno degli esercizi più semplici per contattare le proprie risorse interiori, capaci di produrre da sole la felicità senza aspettarla dall'esterno o dal futuro, consiste nel "camminare senza pensieri". Si tratta di una particolare forma di meditazione che si attiva attraverso il corpo. Prova a fare così.
In un momento qualsiasi della giornata, mettiti a camminare e porta l'attenzione sui tuoi passi, sul senso di fatica che avverti nelle gambe; cammina senza una meta precisa, mantenendo l'attenzione esclusivamente sul corpo. Devi solo camminare: pian piano un senso di leggerezza mentale crescerà in te, come se i pensieri perdessero peso. Il camminare ti slega dalla staticità del ragionamento, svincolandoti da quelli che consideri i tuoi problemi e favorendo uno stato di benessere. A questo punto porta la tua attenzione sulle sensazioni che provi: ti sembrerà di accogliere con grande ricettività i dettagli del paesaggio su cui l'occhio si posa, i profumi che arrivano, i suoni e i colori. Questo sguardo naturale apre le porte alla felicità.

Osserva in modo distaccato le emozioni e la felicità arriverà da sé
Più ci identifichiamo in un'emozione, per esempio la rabbia o la tristezza, più finiamo col credere che quello stato sia permanente. Ma il potere di un'emozione dipende "da dove la osserviamo": da molto vicino io divento la mia tristezza. Da un po' più da lontano, le cose cambiano: a distanza è più facile comprendere che io non sono "solo" la mia tristezza. Io sono anche tante altre emozioni, felicità compresa. Prova a osservare il tuo stato emotivo  come fossi uno spettatore esterno, soffermandoti su particolari che prima non avevi notato: dove ti trovi, come sei vestito... Passa poi a cercare la tua rabbia o la tristezza nel corpo: in che punto del corpo si condensa, come si muove, se martella, se pulsa, se è sorda. Continua a osservare, guardando l'evento da lontano, sempre più lontano. L'emozione che provi si trasforma in uno stato che vive in un punto di te, ma che non ti riassume. C'è posto quindi anche per la felicità.
Cerchi la felicità? Fai qualcosa di inutile
È opinione comune che per ottenere la felicità si debba fare qualcosa. Questa mentalità non tiene conto degli ingredienti essenziali della felicità: la spontaneità, l'assenza di finalità, il vivere nel presente. Rifletti: le cose che fai sono sempre in qualche modo utili a qualcosa? E se non sono utili ti senti strano, quasi in colpa perché stai facendo qualcosa che magari ti dà felicità ma "non serve"? È importante che tu introduca ogni giorno nel tuo tempo una o più azioni che non contengano alcuna forma di finalità. Qualcosa che ti piace fare ma che non fai mai proprio perché ti pare inutile. Invece il cervello ne ha bisogno per liberarsi dalla zavorra dell'utilitarismo e produrre spontaneamente la felicità.
(Riza)

venerdì 8 ottobre 2010

Storie di Panico-La "mancanza" di Daniela-(La paura del distacco)

Ho 34 anni, ho affrontato più di quello che avrei dovuto alla mia età. Molto non è dipeso da me ma da un destino che ha voluto che entrassi in esperienze dove ne sono uscita a fatica ma con determinazione.
Sono fragile e forte. Il rovescio di una medaglia. La mia storia inizia dalla nascita. Una nascita inaspettata dopo 2 fratelli maschi molto più grandi di me, mia mamma si è scoperta in attesa di una bambina dopo già qualche mese che era incinta. Alla mia nascita nonostante mamma fosse avanti con l'età era felice. Mio padre lo vedevo poco perchè lavorava spesso, mia mamma lavorando in casa era più presente ma spesso mi dovevo accontentare di stare per lo più con le figlie dei vicini del condominio. Ma ero allegra, vivace, sveglia ma con un unico difetto: avevo bisogno di sicurezze. Non volevo allontanarmi dalla mia famiglia e non sono andata all'asilo. L'amore non si compra, non si mendica nè puoi pretenderlo. Ma nel mio cuore sentivo che non ne avevo abbastanza. Strano gioco del destino proprio io fragile e forte nello stesso tempo ho dovuto fare i conti subito con la PRIMA perdita. Avevo solo 6 anni quando mia mamma scopre una metastasi tumorale al cervello dovuta ad un melanoma.Un maledettissimo neo non curato!!! Un anno di sofferenze davanti a questa bambina già in cerca di amore e poi la sua morte. Mia mamma non c'era più ed io piangevo di NASCOSTO. Avevo vergogna a 7 anni di dimostrare il mio dolore agli altri. Volevo la mamma come le mie amichette!!!!
Restiamo soli io e mio padre. Tutti i parenti SPARISCONO e i fratelli vanno per la loro strada lavorativa essendo già adulti.
Mio padre era l'unico vero supporto e familiare che avevo. Troppo debole di carattere per rimanere da solo con una bimba, si risposa dopo circa 2 anni dopo la morte di mamma con una donna molto problematica.
Una donna fortissima di carattere, con alcuni gravi problemi psicologici e molto violenta con me e mio padre. Ma lui non aveva la forza di mandarla via. Era troppo brava nel gestire casa, nel pulire, nell'imporre le proprie idee. Era vedova senza figli. Io era un modo per sfogarsi e gestirmi sotto controllo come una bambolina. L'avrei voluta più affettuosa.
Non ci ha mai amato. Lei apertamente dichiarava che il suo affetto era solo per i suoi parenti e nipoti. Noi eravamo solo un punto d'appoggio dove lei poteva comandare, vivere (non aveva una sua casa perchè l'aveva regalata ad un suo fratello) e comandarci a bacchetta. Non potevo avere amche per studiare in casa. Non potevo uscire oltre un determinato orario. Lei vedeva il sesso e la perversione ovunque ed io se andavo in biblioteca per una ricerca scolastica ero considerata una "prostituta" perchè potevo aver tempo di parlare con un amico o chissà cosa. Una visione distorta della realtà che la portava a picchiarmi, a leggere i miei diari segreti, a litigare con mio padre che alla fine soccombeva al suo carattere.Così il panico scoppia letteramente quando avevo 15 anni. Ansia, tachicardie, svenimenti, tremori, paure delle malattie.
Siamo vissuti così per 20 anni. Urla, litigi ed io che chiedevo solo un pò d' affetto. Mio padre a modo suo mi voleva bene ma non bastava a spezzare l'inferno in casa. Io stavo sempre male e uscivo con le mie amiche nascondendo tutto ciò che sentivo anzi ero sempre solore e brillante. Non volevo la loro pietà.
Finalmente incontro un ragazzo serio, non lavorava ma mi voleva bene. Così dopo anni di fidanzamento e sacrifici trova lavoro prima fuori città e poi rientra nella nostra. Ci sposiamo nel 2001 avevo 25 anni. Trovai un lavoro di ragioniera poco gratificante ma che mi dava quel poco di indipendenza economica. Finalmente esco da quella "specie" di famiglia sperando nella mia nuova casa. Mio marito non è forte, ne sveglio quanto me, anzi spesso sono io di supporto a lui. Nel 2003 mio padre ha un fortissimo ictus celebrale e rimane semi-incosciente sul lettino per 5 anni. Uno shock per me.
Un vegetale. La mia matrigna dopo solo 6 mesi dall'inizio della malattia di papà, lo ABBANDONA nel suo lettino e va via di casa lasciandolo le chiavi di casa ad una vicina. Non vuole accudirlo. Uno dei miei fratelli più apprensivo dell'altro fratello (strafottente) si prodica a trovare una badante che assisterà mio padre fino alla morte nel 2008. La sua morte ha portato con sè un pezzo della mia vita. Ero affezionatissima a lui. La mia fortuna è stata che nel 2005 sono diventata mamma di uno splendido bambino, un maschio vivace e bellissimo che però dovevo accudire senza consiglio di nessuno tranne l'aiuto saltuario di mia suocera ( che abita vicino casa mia) anche se lei non ha mai avuto un carattere forte e socievole nei mei riguardi. Mi sono sentita spesso sola. Alle prese con i miei sintomi, il dolore da psicologico si è trasformato fisicamente. Coliche intestinali, diarrea, crampi, insonnia, stonatezza. In questo percoso di vita non mi sono arresa mai nonstante l'ansia mi avesse fatto perdere la libertà di uscire, le somatizzazioni mi rendevano debole fisicamente e con una rabbia addosso ho iniziato già dal 2002 a fare psicoanalisi grazie al consiglio di un gruppo di attacchi di panico di auto-aiuto ho conosciuto uno psicoterapeuta e psichiatra umano.
Molti sintomi, un pò con la terapia, un pò con i farmaci presi solo per alcuni periodi, sono dimunuiti nettamente. Certo nel corso della terapia ho avuto ricadute, la stessa con la colite che da 2 anni mi perseguita ma sò che sono stati altri eventi che hanno contribuito a farli ritornare come l'aprile di quest'anno quando ho visto lo stesso calvario di mia mamma con mia cognata. Il tragico destino ha voluto che la moglie di mio fratello morisse con la stessa malattia al cervello di mia mamma da metastasi di melanoma. Ho rivissuto la tragedia che ho visto da bambina ora da adulta con lei. Dolori atroci.
Tutto ciò per dirvi che continuo a sperare in un futuro migliore, faccio ancora psicoterapia e mi sento meglio e ora sono alla ricerca di un lavoro dopo la chiusura della mia vecchia azienda. Non demordo. Devo guardarmi dentro e STIMARMI PER ME E PER MIO FIGLIO. L'importante è cercare sempre di migliorarsi come essere umani. Scusate se sono stata lunga....ci vorrebbe un libro per descrivere tutte le sensazioni che si nascondo dietro di me e gli episodi che mi hanno portata ad essere quella che sono. Sicuramente in futuro spero di riprendermi ancora meglio xchè sono piena di vita, ALLEGRA con la tendenza ad una certa depressione in un percorso di sofferenza!!! La mancanza e il vuoto affettivo pesa, adesso mi appoggio a me stessa e chi mi ama mi segua!!! Non ho più vergogna di dire che ho sofferto anche se qualche volta sono un pò arrabbiata con il destino!!!!
Daniela

lunedì 27 settembre 2010

Storie di Panico- Caludia: Ho iniziato a soffrire di Ansie e Panico quando avevo 15 anni

Ho iniziato a soffrire di Dap quando avevo 15 anni; ero un adolescente e pur non capendo esattamente cosa mi stesse succedendo, avevo capito che era una forma di disagio e di intolleranza rispetto all’ambiente familiare da cui provenivo; proprio per questo non ho mai parlato del mio disagio, anche perché i rapporti familiari non erano buoni e non sapevo con chi parlarne.
Andavo a scuola, e avevo un gran freddo, mi veniva sempre da rimettere, non riuscivo a concentrarmi come sempre negli studi, tanto che il mio rendimento scolastico, sempre molto alto, scese visibilmente!La notte , mi mettevo le cuffiette con la musica perché faticavo a prendere sonno o mi ripetevo , a mente, per distarmi dal fatto che tendevo a sentirmi male fisicamente, il primo canto della divina commedia che avevo imparato a memoria, accogliendo la sfida che aveva lanciato ai più volenterosi il nostro professore d’Italiano.
Poi, fortunatamente, senza averne parlato con nessuno, i disturbi si attenuarono e poi scomparvero , per ripresentarsi in maniera drammatica nell’ultimo anno di scuole superiori, nel mese di maggio, proprio prima degli esami di maturità. Lo ricordo come se fosse ieri, anche se sono passati tantissimi anni; era l’ultima ora , quella di educazione fisica, e all’improvviso mi prese un terribile malessere; in quel corridoio che portava all’uscita di scuola, mi sentivo scoppiare; un senso di claustrofobia terribile si impadronì di me; non riuscivo ad aspettare che suonasse la campanella, dovevo fuggire e allontanarmi da quel corridoio che per me all’improvviso era diventato una gabbia da cui dover scappare prima possibile .
Finalmente la campanella suonò e io mi allontanai velocemente da quella che per me era diventata una gabbia, ma per la strada, mentre mi trovavo con due delle mie compagne di scuola, strane sensazioni si impadronivano di me. Non riuscivo a partecipare ai loro discorsi, la mia testa e i miei pensieri erano tutti catturati da un malessere fisico sempre piu’ forte; mi veniva da vomitare e sentivo il bisogno di allontanarmi al più presto dalle mie compagne di scuola; ora, so, a distanza di tempo, che era la mia fobia sociale, che stava uscendo fuori in maniera così prepotente!Quello fu praticamente il mio ultimo giorno di scuola!Pensavo che era una cosa passeggera, ma non passava più!Il cuore all’improvviso cominciava a battermi a mille, mi veniva da vomitare, e la sola vista delle persone era sufficiente a scatenare terribile sintomi di malessere fisico. Tutto questo non solo mi impedi’ di frequentare l’ultimo mese di scuola , proprio nell’anno degli esami, ma mi portò all’isolamento; piangevo in continuazione, cominciai a prendere dei calmanti, fui portata da uno psichiatra, ma non servì assolutamente a niente; non era uno specialista coscienzioso infatti; pur mangiando, continuavo a dimagrire, tanto che raggiunsi i 40 chili. Il mio medico era convinto che non mangiassi piu’, invece paradossalmente non era cosi’; continuavo a dimagrire perché ero sottoposta a pressioni familiari terribili; avevo una madre isterica, con serissimi disturbi di personalità che da sempre ci sottoponeva a maltrattamenti psicologici terribili, minacce di morte e altro, offese continue soprattutto riguardanti la mia sfera morale e con il peggiore dei modi e delle parole, sempre in maniera estremamente violenta!Cominciai ad avere la certezza che era lei la causa dei miei malesseri e del disintegramento dei rapporti familiari con i miei fratelli e anche con mio padre:
Dovetti fare gli esami di stato in una condizione pietosa, drogata dai farmaci, che avevo dovuto assumere in enormi quantità, solo per riuscire a stare in classe , con i miei compagni, presente, perché la mia fobia sociale era talmente forte, che non appena qualcuno provava ad avvicinarsi a me, io mi sentivo male, anche avendo estremamente bisogno degli altri. Il mio 60/60 divenne un 54/60, concessomi solo per la mia eccellenza negli studi dell’ultimo triennio, perché sostenni un esame molto al di sotto delle mie reali possibilità. Non potevo fare file dal medico, non potevo stare nella piazza del mio paese, ero costretta ad uscire da sola per non stare a casa mia, in quell’ambiente terrificante dove continuavo a subire ogni tipo di violenza psicologica, da sola e andare solo in campagna, dove facevo lunghe passeggiate serali da sola perché era l’unica cosa che mi faceva stare meglio, e soffrivo nel vedere che invece le mia amiche uscivano e stavano in mezzo alla gente!Tutti credevano che fossi anoressica, a causa del mio sottopeso!In realtà, soffrivo di disturbi alimentari, ma non ero anoressica!Erano le tensioni in casa a farmi dimagrire cosi’ e le enormi sofferenze che vivevo , anche se poi sono arrivata ad un vero e proprio rifiuto del cibo in periodi successivi della mia vita, non dovuti al fatto che non avessi una visione corretta del mio corpo , come avviene nei casi di anoressia primaria, ma come reazione ad altri disturbi quali l’ansia e la depressione, denominata in termini scientifici anoressia secondaria, non per questo meno grave e pericolosa, visto che in questi casi non è la persona a decidere di non mangiare, ma il rifiuto del cibo è del tutto inconscio, per cui, pur volendo mangiare , non ci si riesce, perché è il corpo stesso che si ribella inconsciamente all’assunzione del cibo..
Quando è morta mia madre, io sono stata attraversata da due emozioni completamente diverse e opposte; da una parte la consapevolezza di essere rimasta completamente sola al mondo, e quindi un forte senso di solitudine e di fragilità, dall’altra un vero e proprio senso di liberazione e un grande senso di sollievo di un incubo che era finalmente finito.
Da allora, il mio peso è aumentato considerevolmente; sono addirittura leggermente in sovrappeso , perché per quanto la mia vita sia stata difficilmente e complicata, per certi verso era finito un incubo e ne cominciava un altro, comunque non era più sottoposta a maltrattamenti e minacce continue e giornaliere come è stato fino a quando mia madre è stata in vita!
Claudia

domenica 19 settembre 2010

Storie di Panico- Quella Galleria!-Evitamento, Ansia e Agorafobia




I gatti giravano in continuazione e come ballerine su un palcoscenico sembravano attenti ad ogni loro passo, tirai fuori dallo zaino le sigarette e con gli occhi cercai un posacenere, lei allungò la mano e me lo porse.

 Lo stereo mandava una canzone sussurata, mi accesi la sigaretta e le dissi,
“Ti voglio raccontare una cosa mia, una cosa che sanno solo altre due persone”
“Ti ascolto” mi disse,
e si avvicinò al muretto incominciando a prepararsi una sigaretta.
Le raccontai di quella galleria e della luce che non arrivava mai. Sono passati circa vent’anni da quel giorno ma per me è come fosse successo ieri.

La galleria era lunga sembrava interminabile, circa a metà incominciai a sentire che il respiro si faceva sempre più affannoso, il cuore incominciò ad andare per conto suo e l’aria era sempre meno, aprii per un attimo il finestrino della macchina, fu peggio, l’odore che mandava il tubo di scappamento del camion che avevo davanti invase l’abitacolo.
Ebbi una sensazione improvvisa di dolore al petto e l’ansia conquistò tutto me stesso.
Sentivo un nodo alla gola che non lasciava passare neanche un filo d’aria, nella mia mente la sensazione della morte si concretizzò, pensavo fosse questione di attimi.

Dovevo arrivare prima che questo succedesse in fondo alla galleria, mi buttai senza guardare sulla corsia di sorpasso e iniziai una folle corsa verso l’uscita. Quel puntino luminoso mi sembrava sempre più irraggiungibile, la macchina andava da sola e il sudore mi colava dappertutto. Il tutto durò al massimo pochi minuti ma quella cicatrice è ancora viva. Appena fuori della galleria fermai la macchina.
Ero stremato e il respiro era ancora affannoso, mi girai verso mia moglie e le guardai la pancia, mi convinsi che non avrei mai visto gli occhi di quella vita appena formata.

Ripresi il viaggio cercando di convincermi che non mi fosse successo nulla, ma durò poco. In fondo al rettilineo l’autostrada spariva come inghiottita dalle viscere della terra, c’era un’altra galleria. Incominciai a rallentare cercando una via di fuga, ero obbligato per forza a passare lì sotto, di nuovo il respiro divenne affannoso e il cuore sembrava mi dovesse sfondare il petto. Accostai vicino al cartello che indicava la lunghezza, 1.200 metri, poco più di un minuto andando a velocità moderata.
Di nuovo come prima, fu un incubo, decisi di uscire al primo svincolo.

La convinzione di avere un male incurabile mi portò nei mesi successivi a fare il giro di tutti i medici della città. Mi dicevano tutti la stessa cosa,
“Non ha niente, è solo un po’ di esaurimento” e giù medicine ed io sempre peggio. Ormai per me tutto era diventato un tabù, ma anche fare le cose più semplici e banali rappresentavano un ostacolo, le crisi invece che diminuire erano sempre più frequenti, mi sentivo un invalido, riuscivo ad andare a mala pena a lavorare.
Gli occhi di quella creatura erano del colore del mare, ora è una donna, ma di tutto questo non sa niente.

Ci sono voluti degli anni prima di abituarmi a convivere con le “crisi di panico”, ora sono solo un ricordo che mi porto dentro e che non condiziona più la mia vita..
“Tua moglie in questi anni ti è stata d’aiuto!” mi chiese, dalla sua domanda mi resi conto che aveva capito.
Ci sedemmo sul divano, in bocca mi ero era rimasto il sapore del caffè, fu un attimo e anche la sua bocca aveva lo stesso sapore della mia.

 
(G.S.)

Storie di Panico-Per Mara ora è iniziata una nuova vita.




Mara nasce in una città del Nord, un bel pò di anni fa, madre ansiosa, padre militare, riceve un'educazione molto rigida. Dolce e schiva, molto timida, soffre per i continui trasferimenti subiti a causa del lavoro del padre da una città all'altra, senza possibilità di stringere solide amicizie.

A 11 anni qualcosa sconvolge la sua vita, tornando a casa da scuola viene aggredita dal "branco"(definizione moderna,allora non si chiamva così,ma era la stessa tremenda cosa!) un gruppo di adolescenti locali circonda Mara e il capobranco le punta un coltello sotto la gola. La ragazzina riesce a scappare, ma da allora l'incubo è ricorrente, ogni notte è un problema riuscire ad addormentarsi. Inizia allora quel disturbo del sonno che l'accompagnerà per sempre.

Gli anni passano più o meno serenamente, tra continui trasferimenti , nuove scuole, lunghi viaggi attraverso la penisola. Mara ha vent'anni e inizia l'Università. Sono gli anni migliori, i più felici, pieni di progetti e di iniziative da realizzare.

Passano altri anni, siamo nel 2002.Un giorno di luglio il padre ha un malore,il medico lo fa ricoverare, la diagnosi è delle peggiori. La radioterapia non ha effetto e la fine arriva ancora prima del previsto.

La madre di Mara cade in depressione,da cui uscirà solo anni dopo per passare in una forma peggiore che la costringe a un'invalidità permanente.Mara si occupa di tutto, si sente forte,è una roccia, ora deve prendere il posto del padre, quante volte fin dall'infanzia si è sentita ripetere questa frase, ma deve fare i conti anche con il lavoro e le frequenti emicranie di cui soffre da sempre. A volte si sente stanca, stanchissima, eppure stranamente la notte non riesce mai a prendere sonno.

Un giorno per strada inizia a non sentirsi bene, la testa le gira, le manca il respiro, suda molto, l'unico rimedio è fuggire lontano, il più lontano possibile dalle persone,dai luoghi chiusi e affollati. Mara ha sempre viaggiato molto,eppure ora non riesce più a salire su un treno, un terrore la soffoca quando salgono le persone, lo stesso sui mezzi pubblici. Anche attraversare la strada diventa difficile: il rumore delle auto è ovattato, le voci delle persone filtrano come attraverso un vetro... che strana sensazione!

Mara piano piano sprofonda in un mondo da incubo, dove ogni sensazione viene amplificata o annullata., dove nulla è più come un tempo,tutto è distorto, sconvolto. Per puro caso entra in un centro per la cura del disturbo da Attacchi di panico, ne esce un'ora dopo con qualche speranza e una lista di medicine e un percorso terapeutico da iniziare.

Agosto 2010, ora Mara viaggia spesso sia per lavoro che per diletto, sale e scende tranquillamente da treni e bus sovraffollati, vive e lavora in mezzo alla gente a contatto con il pubblico, assiste la mamma invalida, diventa volontaria della Croce Rossa. Per Mara ora è iniziata una nuova vita.

venerdì 3 settembre 2010

Sintomi e Cura- Attacchi di panico - Ansia - Agorafobia

Un attacco di panico è un periodo di paura o disagio intensi, tipicamente con un inizio improvviso e solitamente della durata inferiore ai trenta minuti. I sintomi includono tremore, respirazione superficiale, sudore, nausea, vertigini, iperventilazione, parestesie (sensazione di formicolio), tachicardia, sensazione di soffocamento o asfissia. La manifestazione è significativamente diversa da quanto avviene negli altri tipi di disturbi di ansia, in quanto gli attacchi sono improvvisi, non sembrano provocati da alcunché e spesso sono debilitanti. Un episodio è spesso categorizzato come un circolo vizioso dove i sintomi mentali accrescono i sintomi fisici, e viceversa.
La maggior parte delle persone che ha un attacco, poi ne ha altri in seguito. Se una persona ha attacchi ripetuti, oppure sente una forte ansia riguardo la possibilità di avere un altro attacco, allora si dice che ha un "disturbo da attacchi di panico" o DAP.
La maggior parte delle persone che soffre di attacchi di panico riferisce la paura di morire, “impazzire” o perdere il controllo di emozioni e comportamento. L'esperienza generalmente provoca un forte bisogno di evitare o scappare dal posto in cui comincia l'attacco (risposta “combatti o fuggi”) e, quando è associata a dolori nel petto, tachicardia o respiro affannoso, un senso di morte imminente e/o visione del tunnel, sempre risulta nel cercare aiuto al pronto soccorso di un ospedale o ad altri tipi di assistenza urgente.
L'attacco di panico si distingue da altre forme di ansia dall'intensità e la sua natura improvvisa ed episodica. Gli attacchi di panico sono spesso esperiti dalle persone che soffrono di disturbi d'ansia, agorafobia, claustrofobia, fobia sociale, ipocondria e altre condizioni psicologiche che comprendono l'ansia, sebbene gli attacchi di panico non siano sempre indicativi di un disturbo mentale.
Fino al 10% di persone altrimenti sane, esperiscono un attacco di panico isolato ogni anno, e negli Stati Uniti una persona su sessanta soffre di disturbo di panico ad un certo punto nella vita. Le persone con fobie esperiscono attacchi di panico, spesso come risultato diretto dell'esposizione al loro elemento scatenante. Questi attacchi di panico sono di solito brevi e si attenuano rapidamente una volta che è stato evitato l'elemento scatenante. In condizioni di ansia cronica un attacco di panico può spesso finire in un altro, portando ad un esaurimento nervoso nel giro di pochi giorni e a comportamenti di evitamento. Quando si instaura una sindrome da attacco di panico l'elemento predominante che si impadronisce del soggetto affetto è "la paura della paura". Infatti quasi sempre, tra un attacco e l'altro l'individuo vive nel terrore che si possa ripetere l'attacco di panico. Secondo qualcuno, coloro che soffrono di Disturbo di Panico portano in sé una forma di depressione reattiva cioè dovuta alla condizione in essere. Alcune ricerche sull'eziologia del disturbo sono indirizzate, dalle neuroscienze, verso una base biogenetica: la mancata ricaptazione della serotonina (neurotrasmettitore delle sinapsi chimiche) sembrerebbe essere fra le cause di attacchi di panico. È stato chiamato in causa il gene numero 5 preposto al controllo della serotonina. Per chi soffre del disturbo, un aspetto importante per avere padronanza sugli attacchi di panico sarebbe il saper riconoscere variazioni ordinarie: molte volte variazioni fisiologiche normali del nostro organismo possono indurre attacchi di panico in questi pazienti. Per esempio lo sbalzo termico che il nostro corpo può avere spostandosi da un ambiente più areato ad uno più chiuso; oppure una palpitazione del nervo vago dovuta al sistema vegetativo, o altro come, a volte succede, sentirsi la famosa testa vuota, confusa. Anche elementi percettivi possono scaturire nelle persone preposte dei veri e propri attacchi di panico come ad esempio la variazione della luce. Secondo l'approccio cognitivo-comportamentale imparare a riconoscere questi aspetti normalissimi possiamo cominciare già in un certo qual modo tenere a bada un improvviso attacco di panico.
I sintomi di un attacco di panico appaiono improvvisamente, senza alcuna causa apparente. Possono includere:
  • Aumento della frequenza cardiaca o palpitazioni
  • Cefalea
  • Confusione mentale (difficoltà nell'organizzare pensieri)
  • Sudorazione
  • Dolori al petto
  • Vertigini, stordimento, nausea, conati di vomito, senso di sbandamento
  • Difficoltà di respirazione (dispnea), affanno
  • Formicolio o intorpidimento alle mani, al viso, ai piedi o alla bocca
  • Grida ed urla strazianti
  • Incapacità di comunicare a voce
  • Nodo alla gola
  • Rossore al viso e al petto o brividi
  • Sensazioni di sogno o distorsione percettiva (derealizzazione)
  • Dissociazione, la percezione che non si è connessi al corpo o perfino che si è disconnessi dal tempo e dallo spazio (depersonalizzazione) o come un automa
  • Terrore, una sensazione che qualcosa di inimmaginabilmente orribile sta per succedere e si è impotenti per prevenirlo
  • Parti distali fredde e sudate (mani e piedi)
  • Paura di perdere il controllo e fare qualcosa di imbarazzante o di diventare matti
  • Paura di morire
  • Paura e sensazione di svenire
  • Sensazione di morte imminente
  • Sensazione di lingua e bocca asciutta
  • Sapore metallico in bocca
  • Tremori fini o a scatti
  • Vampate di calore o brividi di freddo
  • Pianto
  • Sensazioni di rivissuto (deja-vu)
Un attacco di panico tipicamente dura dai 2 agli 8 minuti, ed è una delle condizioni più spaventose e stressanti di cui una persona può avere esperienza nella vita, ci sono casi però in cui possono durare anche molto di piu dalle due alle tre ore.
I vari sintomi di un attacco di panico possono essere compresi come segue. Per primo arriva l'improvviso inizio di una paura con poco o nessuno stimolo. Questo porta al rilascio di adrenalina (epinefrina) che causa la cosiddetta risposta “attacca o fuggi”, per cui il corpo si prepara ad un'attività fisica importante. Questo porta a sua volta ad una frequenza cardiaca accresciuta (tachicardia), respirazione rapida (iperventilazione) e sudorazione (che aumenta la presa e aiuta la perdita di calore). Siccome l'attività vigorosa succede raramente, l'iperventilazione porta ad abbassare i livelli di anidride carbonica nei polmoni e quindi nel sangue. Questo porta al cambiamento di pH del sangue che a sua volta porta a tanti altri sintomi, come formicolio o intorpidimento, vertigini e stordimento. Da parte di qualcuno è anche possibile sentire di non essere in grado di trattenere l'aria che respira, e di conseguenza cominciare a respirare più profondamente: anche questo fa decrescere i livelli di anidride carbonica nel sangue.
Chiunque si iperventila per un breve periodo di tempo può mostrare questi sintomi. Per le persone sofferenti di attacchi di panico che sanno questo, questi sintomi sono visti spesso come prova ulteriore di quanto sia seria la loro condizione. Un circolo vizioso di rilascio di adrenalina alimenta e peggiora i sintomi fisici e lo stress psicologico.

Fobie provocate 

Le persone che hanno avuto un attacco di panico, per esempio mentre stavano guidando, facendo shopping in un negozio affollato o stando in ascensore, possono sviluppare paure irrazionali, chiamate fobie, riguardo le situazioni e cominciare ad evitarle. Alla fine, lo schema di evitamento e il livello di ansia riguardo un altro attacco possono raggiungere il punto in cui individui con disturbo di panico possono essere incapaci di guidare o perfino di mettere un piede fuori casa. A questo stadio, si dice che la persona ha un disturbo di panico con agorafobia. Quindi il disturbo di panico può avere un serio impatto sulla vita quotidiana di una persona come altre patologie più gravi. A volte coloro i quali soffrono di disturbo di panico sviluppano agorafobia: le situazioni sociali possono scatenare attacchi e guidare può risultare impossibile. Questo può essere uno degli effetti collaterali più dannosi del disturbo di panico, in quanto può impedire ai malati di cercare la cura in prima battuta.

Occorrenza 

Il disturbo di panico negli Stati Uniti è un problema grave. Si stima che l'1,6% della popolazione americana soffre di disturbo di panico. Tipicamente colpisce nella prima età adulta; all'incirca la metà di tutti coloro che soffrono di disturbo di panico sviluppano la condizione prima dei 24 anni, con le donne in numero doppio rispetto agli uomini.
Il disturbo di panico può continuare per mesi o anni, a seconda di come e quando si cerca la cura. Se viene lasciato non curato può peggiorare fino al punto in cui la vita della persona è influenzata gravemente dagli attacchi di panico e dai tentavi di evitarli o di nasconderli. Di fatto, molte persone hanno avuto problemi con gli amici e la famiglia o con la perdita del lavoro mentre si affannavano a lottare con il disturbo di panico. Di solito non passa a meno che la persona riceva cure progettate specificatamente per aiutare persone con il disturbo di panico.
Per le persone che cercano cure efficaci dall'esordio del disturbo, la maggior parte dei sintomi può scomparire in poche settimane, con nessun effetto negativo permanente dopo che la cura è completata.

Trattamento

Psicoterapia

Il disturbo di panico è reale e potenzialmente debilitante, ma può essere controllato con cure specifiche. A causa dei sintomi che accompagnano il disturbo di panico, può essere scambiato erroneamente per una cardiopatia o altre malattie mediche pericolose. Questo malinteso spesso aggrava o scatena attacchi futuri nelle persone disinformate. Spesso le persone vanno al pronto soccorso quando hanno un attacco di panico, e possono essere fatti test medici completi per escludere queste altre condizioni di salute.
Altri spesso cercano di rassicurare le persone che hanno un attacco di panico che non sono in un grande pericolo. Espressioni del tipo “niente di serio”, “tutto nella tua testa” o “niente di cui preoccuparsi” possono dare l'impressione che non vi è alcun problema reale e che la cura non sia possibile oppure non sia necessaria. Comunque, mentre i sintomi e la serietà del disturbo di panico è molto reale, la sensazione del panico o del morire che accompagnano molti attacchi di panico sono esagerate. Una notizia importante che molti medici danno a chi soffre di disturbo di panico è che mentre il corpo è sotto l'effetto di un attacco, non si è in pericolo di vita (a parte le reazioni supplementari come fare un incidente con la macchina, correre in mezzo al traffico, suicidarsi, ecc.). Dunque se chi soffre di disturbo di panico può anticipare un attacco e trovare un posto sicuro dove sfogare la crisi, vi sono pochi rischi immediati.
Psicoterapie appropriate condotte da un professionista esperto possono ridurre o prevenire gli attacchi di panico nel 70-90% di persone con disturbo di panico. La maggior parte dei pazienti mostrano un significativo progresso dopo poche settimane di terapia. Se si è scelta una terapia breve, possono capitare delle ricadute, ma spesso tali ricadute possono essere trattate come l'episodio iniziale.
In molti casi, un miglioramento significativo può essere già visto nelle prime settimane di terapia.
Oltre a tutto il resto, in alcuni casi le persone che soffrono di disturbo di panico possono avere bisogno di cure per altri problemi. La depressione clinica viene spesso associata con il disturbo di panico, così come l'alcolismo e l'abuso di sostanze. Circa il 30% delle persone che soffrono di disturbo di panico fanno uso di alcol e il 17% fanno uso di sostanze come cocaina o marijuana per alleviare l'angoscia e lo stress causati dalla propria condizione. Se viene intrapreso un percorso di terapia breve spetta al paziente la scelta di lavorare su altri sintomi concomitanti il problema degli Attacchi di panico e in questo caso il clinico dovrebbe occuparsi solo di quello che risulta più invalidante per il soggetto in quel momento; secondo questa prospettiva ci si aspetta che, una volta superato efficacemente il problema principale, la persona sperimenti un innalzamento del suo tono d'umore che si rifletterà positivamente in altri ambiti della vita.
Come spesso accade per tutte le forme strettamente correlate ai disturbi d'ansia, parte dei soggetti che soffrono del disturbo da attacco di panico, trovano nell'abuso di alcol un momentaneo apparente sollievo. Questa forma di "automedicamento" è in realtà responsabile, oltre ai rischi correlati all'abuso di alcolici, dell'acutizzarsi degli episodi di panico, tanto nella frequenza quanto nell'intensità oltre ad un generale peggioramento del quadro clinico. L'abuso di alcol, come quello di sostanze, è pertanto assolutamente da evitare.
Come per molti altri disturbi, avere una struttura di supporto o una famiglia e amici che sanno come affrontare la situazione può aiutare ad aumentare la rapidità di guarigione; ecco perché l'intervento può comprendere i famigliari o il partner del paziente. Meno indicati (nonostante la loro larga diffusione) i gruppi di auto/mutuo aiuto, nei quali spesso il sintomo viene amplificato dalla risonanza emotiva costituita dagli altri pazienti. Per questo motivo, i gruppi auto/mutuo aiuto dovrebbero essere sempre accompagnati o monitorati da psicoterapeuti esperti.

Terapia farmacologica 

La terapia farmacologica è prescrivibile in associazione alla psicoterapia là dove quest'ultima trova indicazione, valutati i casi soggetto per soggetto. Essa è solitamente rappresentata dagli ansiolitici benzodiazepinici a emivita = > alle 48 ore in abbinamento ad antidepressivi di nuova generazione (SSRI); a volte, e in seguito a valutazione specialistica, possono essere utilizzati anche gli antidepressivi triciclici (TCA}, buspirone e/o betabloccanti. Va ribadito che la terapia farmacologica deve tassativamente essere stabilita dal medico - possibilmente specialista - di concerto con il paziente, tenuto conto della sua storia personale pregressa (anamnesi patologica remota e recente), delle sue abitudini di vita, dell'età, della situazione familiare e di ogni altro elemento, soggettivo e oggettivo, che a giudizio del medico possa assumere rilievo a tali fini.
Una fra le molecole, facenti parte della famiglia degli (SSRI), che nei casi più gravi, in clinica, ha dimostrato la maggior efficacia nella cura del disturbo da panico, è la Paroxetina somministrata a dosi medio-alte (di norma 40 mg al giorno). A prescindere da questo dato oggettivo, sia il tipo di farmaco che la posologia, deve sempre essere necessariamente quella indicata dal medico.

Cause 

Spesso i primi attacchi sono scatenati da una malattia fisica, uno stress severo o alcuni farmaci. Alcune persone che tendono a prendersi troppe responsabilità possono sviluppare la tendenza a soffrire di attacchi di panico. Anche i pazienti con DPTS mostrano una maggiore frequenza di disturbo di panico rispetto alla popolazione generale. Le cause esatte del disturbo da panico sono ancora in fase di studio [1][2]. Alcuni [3] attribuiscono il disturbo alla scarsa autonomia dell'Io e quindi, in un certo senso, alla sua debolezza. La dipendenza dell'Io farebbe sì che l'individuo soggetto agli attacchi abbia un' "Intenzionalità" (Husserl) praticamente assente che lo costringerebbe a dipendere dagli altri. Quando questo si rivela troppo distante o addirittura in opposizione al proprio "Desiderio" profondo e autentico, si scatena la crisi. In questa direzione interpretativa, si individua un conflitto fra bisogno di appartenenza/integrazione sociale (la dipendenza dell'Io) e bisogno di opposizione/individuazione (la tensione dell'Io verso l'autonomia morale e decisionale). L'attacco di panico sorge allo scopo di reprimere l'istanza autonomizzante, che attaccando il legame di dipendenza ingenera la paura. In questo senso, la manifestazione somatica del panico (registrata dalle tecniche di neuroimaging e dai rilievi neuroendocrini) rappresenta l'interfaccia del pattern emozionale. In senso filosofico, occorre recuperare la distinzione di Husserl fra "corpo anatomico" e "corpo intenzionato". In questa direzione interpretativa l'intenzionalità entra in conflitto con l'adattamento alla realtà ambientale, tale da produrre la "crisi" nelle certezze e lo squilibrio registrato dal corpo anatomico.
Studi condotti su animali ed umani si sono concentrati nel localizzare le aree specifiche del cervello che sono coinvolte nei disturbi di ansia come il disturbo di panico. La paura, un'emozione che si è evoluta per affrontare il pericolo, causa un'automatica, rapida risposta protettiva, che avviene senza il bisogno di pensiero cosciente [2]. È stato scoperto che la risposta di paura è coordinata da una piccola ma complicata struttura all'interno del cervello, chiamata amigdala[3].
Anche l'ipoglicemia può causare attacchi di panico. In questa condizione i recettori dell'insulina non rispondono in maniera appropriata all'insulina, interferendo con il trasporto di glucosio attraverso le membrane delle cellule. Il cervello dipende da un rifornimento sostenuto di glucosio, la sua unica fonte di energia. Quando si verifica una caduta improvvisa dei livelli di zucchero nel sangue, il cervello manda un segnale ormonale alle ghiandole adrenergiche per produrre adrenalina. Questo ormone agisce innalzando il livello di zuccheri nel sangue convertendo il glicogeno in glucosio, perciò prevenendo la mancanza di energia al cervello, ma è anche un ormone del panico che è responsabile degli attacchi di paura.[senza fonte]
Anche problematiche relative alla tiroide, specialmente in casi di gozzo, portano frequentemente il soggetto che ne soffre ad avere attacchi di panico. Anche la semplice familiarità con problemi tiroidei (avere parenti che hanno sofferto o soffrono di un disturbo legato alla tiroide) può essere ricollegabile ad attacchi di panico del paziente (Wikipedia)