mercoledì 22 aprile 2015

Disturbo Evitante di Personalità: sintomi, cura e terapia da seguire.

Timore delle critiche, paura della disapprovazione e dell’esclusione e, soprattutto, la radicata convinzione di valere poco. Se tutto questo suona familiare è probabile che ci si trovi di fronte ad un disturbo evitante di personalità (DEP), che spinge chi ne soffre a rinunciare ad una vita sociale per paura di risultare inadeguato.

 

Cos’è il disturbo evitante di personalità

Il disturbo evitante di personalità è un disturbo della personalità che si manifesta solitamente all’inizio dell’età adulta. Coloro che ne soffrono vorrebbero instaurare buoni rapporti con altre persone, avere un gruppo di amici con cui uscire la sera e un partner con il quale condividere i propri interessi, ma la paura di non risultare adeguati è tanto forte e la prospettiva di un rifiuto talmente dolorosa che preferiscono isolarsi ed evitare il confronto con gli altri, soprattutto se il rapporto implicherebbe un certo coinvolgimento emotivo. Se da un lato così facendo il soggetto si sente al sicuro, dall’altro questa condizione di solitudine è vissuta con tristezza, mitigata magari da attività e hobby che non prevedano un contatto con altre persone, come ad esempio la musica, la lettura e le collezioni di vario tipo.

Sintomi del disturbo evitante di personalità

Una spiccata timidezza, un atteggiamento particolarmente riservato o la tendenza ad essere apprensivi non sono ovviamente indice di uno stato patologico. I sintomi del disturbo evitante di personalità tracciano un quadro più complesso, che prende in considerazione molti elementi. Alcuni dei sintomi principali sono un forte senso di inadeguatezza, un’estrema timidezza, la tendenza all’isolamento sociale, l’ipersensibilità alle critiche e una bassa autostima.
Chi soffre di questo disturbo tende quindi a non instaurare nuove relazioni sociali all’infuori di quelle consuete con i familiari e gli amici più stretti, pensando di non essere attraente e di non avere argomenti interessanti da condividere con altre persone; spesso rinuncia anche alla possibilità di fare carriera per evitare il confronto con gli altri. Lo stile di vita di chi soffre di disturbo evitante di personalità tende ad essere monotono e solitario, condizione che è vissuta con tristezza o fastidio: quando però il soggetto cerca di cambiare questa situazione si scontra con la sua paura di un giudizio negativo e del rifiuto.

Le cause del disturbo evitante di personalità

Le cause di questo disturbo non sono definite in maniera chiara e univoca, spesso si tratta della combinazione di più fattori sociali e biologici. Spesso chi è affetto da disturbo evitante di personalità ha avuto genitori rigidi ed esigenti oppure esageratamente protettivi, storie di abuso fisico oppure esperienze negative con i coetanei durante l’infanzia.

Disturbo evitante di personalità, come guarire

Superare il disturbo evitante di personalità è possibile. Ci sono infatti diversi tipi di trattamento, sia farmacologico che psicoterapeutico, spesso associati a strategie comportamentali.

La terapia per il disturbo evitante di personalità

Nella cura del disturbo evitante di personalità ha un posto molto importante la psicoterapia, effettuata sia a livello individuale che di gruppo con lo scopo di aiutare il paziente a controllare l’imbarazzo all’interno delle situazioni sociali e ad affrontare quindi con meno timore le relazioni con altre persone. In particolar modo, la terapia di gruppo per il disturbo evitante di personalità può aiutare chi soffre di questo disturbo a riconoscere in modo corretto l’atteggiamento degli altri nei propri confronti e a capire che la critica non è  l’unica reazione possibile da parte del prossimo; aiuta inoltre a superare l’ansia di rapportarsi con gruppi di persone. Queste sedute possono essere associate a strategie comportamentali e a training assertivi per migliorare le abilità sociali e l’autostima dei pazienti.

La cura farmacologica per il disturbo evitante di personalità

Tra i rimedi per il disturbo evitante di personalità ci sono anche i farmaci, che possono venire utilizzati in alcune fasi per tenere sotto controllo sintomi come, ad esempio, ansia e depressione. Tra i farmaci per il disturbo evitante di personalità i più comunemente usati sono quindi gli ansiolitici, che permettono al paziente di affrontare le situazioni che è solito evitare, gli antidepressivi e i betabloccanti, che riescono ad agire su alcune manifestazioni dell’ansia come rossore, sudorazione e tremore.



State of Mind

giovedì 9 aprile 2015

Nuova ipotesi sugli attacchi di panico A provocarli potrebbe essere una forma di paura di aver paura

Palpitazioni o vertigini, percepite come catastrofiche, causano ansia, che a sua volta le amplifica. E ciò non fa che aumentare i timori.

Una strana forma di paura della paura potrebbe essere alla base dei tanto temuti attacchi di panico. È l’ipotesi avanzata da un modello cognitivo di questo disturbo che frequentemente inizia a presentarsi già nell’adolescenza e che colpisce soprattutto le donne, ma che non risparmia neppure gli uomini. All’attacco di panico spesso si associa la cosiddetta agorafobia, la specifica paura di trovarsi in luoghi nei quali può essere difficile o imbarazzante ricevere soccorso.
Secondo questo modello, alla base dell’insorgenza degli attacchi di panico ci sarebbe un’interpretazione erronea, di carattere catastrofico, di sensazioni di per sé normali e trascurabili provenienti dal corpo o dalla stessa mente. Interpretazione catastrofica vuol dire attribuire un esagerato significato negativo e patologico a sensazioni che magari un’altra persona quasi neppure noterebbe. «Le sensazioni che vengono più frequentemente mal interpretate sono soprattutto quelle collegate alle normali risposte ansiose - dicono alcuni ricercatori guidati da Myriam Rudaz, del Department of psychology dell’University of California di Los Angeles, autori di un articolo pubblicato sulla rivista Depression and Anxiety , dedicato proprio alla paura della paura -. Ad esempio, si tratta di palpitazioni o di vertigini, ma includono anche altre sensazioni fisiche o mentali, come la percezione di corpuscoli nel campo visivo o sensazioni di vuoto mentale. L’ipotesi è che, quando queste sensazioni sono percepite come catastrofiche, l’ansia che ne deriva produce un aumento delle stesse sensazioni. Ne risulta così un circolo vizioso di sensazioni, risposte ansiose e pensieri catastrofici che alla fine sfociano nell’attacco di panico». Quindi, secondo tale ipotesi, a provocare l’attacco di panico sarebbe, pur senza rendersene conto, la stessa persona che ne soffre.
Gli studi
Questo modello cognitivo della genesi degli attacchi di panico è più di una semplice ipotesi. Diversi studi hanno dimostrato che chi soffre di attacchi di panico ha davvero la tendenza a dare interpretazioni catastrofiche di innocui segnali provenienti dal suo interno. Un tratto che, pur con sfumature diverse, si trova più in generale in chi soffre di disturbi d’ansia, anche se in questo ultimo caso le interpretazioni catastrofiche tendono a coinvolgere principalmente i segnali provenienti dal mondo esterno. Sottoposte a questionari per la rilevazione della paura di segnali interni, come il Body sensation questionnaire, le persone che soffrono di attacchi di panico fanno registrare punteggi più elevati sia rispetto a chi soffre di disturbi d’ansia, sia nei confronti della popolazione generale.
Il legame con l’ipocondria
Un interessante legame esiste anche tra gli attacchi di panico e l’ipocondria, la paura delle malattie in generale, oggi ridefinita all’interno del DSM-5, l’ultima versione del manuale diagnostico e statistico dell’American Psychiatric Association. In questa nuova versione l’ipocondria non è più considerata in quanto tale, ma è stata sostituita da due diversi disturbi: il disturbo da sintomi somatici e quello da ansia di malattia. Il primo è caratterizzato da un elevato livello di ansia per la salute alla quale si associano sintomi somatici percepiti dalla persona; il secondo è costituito essenzialmente dalla sola ansia per la propria salute. Alcune ricerche hanno chiarito come in quasi la metà delle persone che soffrono di attacchi di panico con o senza agorafobia, prima che questi si manifestassero, erano già presenti altri sintomi correlabili alla fobia delle malattie.

Danilo Di Diodoro

Corriere della Sera