lunedì 20 febbraio 2017

Pet therapy: che cos’è e gli studi sull’efficacia.



La pet therapy oggi viene sempre più utilizzata nella cura dei bambini e degli anziani attraverso il coinvolgimento di animali.

Oggi la pet therapy si sta espandendo molto anche in Italia, con metodi ed applicazioni a tipologie di pazienti molto diverse tra loro. Crescono anche gli studi scientifici internazionali sull’efficacia di questi interventi. (Chiara Daldosso, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO)

Pet therapy: che cos’è

Cani, cavalli, delfini e gatti possono aiutare molti pazienti a migliorare nelle aree emotive, sociali e comportamentali.

La comunicazione verbale tra terapeuta – di qualsiasi orientamento egli sia – e paziente, è il veicolo principale attraverso cui pensieri, emozioni e sofferenza trovano una forma condivisibile tra i 2. La pet therapy è una forma di terapia in cui il canale comunicativo più usato e sollecitato è quello dell’immediata espressione delle emozioni, in cui si attiva il sistema rettiliano, nel paziente come nell’animale.

La pet therapy in Italia viene riconosciuta come utilizzabile per la cura di anziani e bambini nel decreto ministeriale del 2003. Nel 2005 anche il comitato nazionale bioetico la riconosce.
Nel frattempo, nel 2004, nasce la ESAAT (European Society for Animal Assisted Therapy) che certifica la formazione degli operatori e definisce le linee guida del trattamento degli animaliimpegnati in tutte le attività di terapia, di assistenza e di educazione, affinchè venga sempre preservato il loro benessere.
In realtà gli animali sono impiegati nella cura di diverse patologie da molto più tempo ed oggi esistono molti tipi di quella che viene comunemente conosciuta come “pet therapy”.
Le origini della pet therapy

Da quando gli animali sono stati coinvolti nella cura di alcune patologie psicologiche e fisiche dell’uomo?
L’addomesticamento degli animali da parte dell’uomo ha origini molto antiche, ma solo all’inizio del XX secolo si capisce quanto la vicinanza degli animali possa sortire effetti positivi e terapeutici nella psiche umana ed in alcune patologie fisiche. Negli anni ’60 lo psichiatra infantile Boris Levinson nota gli effetti positivi della presenza del suo volpino nelle sedute con i suoi piccoli pazienti. Per primo conia il termine “pet therapy” e gli attribuisce valore scientifico attraverso i suoi studi.
Sulla scìa delle ipotesi di Levinson, negli USA si susseguono altre applicazioni: nella cura dei disturbi mentali e come “facilitatori di relazioni” per gli anziani.

Negli anni ’80, Erica Friedmann, osservando per un anno pazienti dimessi dall’ospedale a seguito di problemi cardiaci, rileva una correlazione tra la sopravvivenza dei pazienti ed il loro possesso di animali domestici. In ricerche successive, la Friedmann scopre che non è necessario il contatto tra paziente ed animale, ma che basta l’osservazione dell’animale per indurre nel paziente cardiopatico la diminuzione della pressione, la regolarizzazione del battito cardiaco e della respirazione, il rilassamento del tono muscolare e delle espressioni del viso.
Nel 1992, mentre la pet therapy inizia a diffondersi anche in italia, Holcomb mette a punto un protocollo terapeutico per pazienti anziani: ne risulta che il livello di depressione cala con l’esposizione dei pazienti a uccellini e conigli.

Oggi la pet therapy si sta espandendo molto anche in Italia, con metodi ed applicazioni a tipologie di pazienti molto diverse tra loro. Crescono anche gli studi scientifici internazionali sull’efficacia di questi interventi. Prima di addentrarci nel merito è bene fare un po’ di chiarezza terminologica.

La prima importante distinzione da farsi è tra le Animal Assisted Activities (AAA), ovvero tutte quelle attività che migliorano la qualità della vita delle persone con handicap fisici o psico-fisici, e le Animal Assisted Therapies (AAT), veri e propri percorsi di terapia, che affiancati ad altri più tradizionali, hanno l’obiettivo di migliorare lo stato fisico, sociale, emotivo e cognitivo dei pazienti.
Le AAT possono essere usate, ad esempio, in carcere, a scuola, con pazienti psichiatrici, con anziani, con pazienti affetti da disturbi dello spettro autistico, con pazienti oncologici. Le sedute hanno fin dall’inizio un obiettivo terapeutico preciso e possono essere svolte in gruppo o individualmente. Dietro le quinte della progettazione di tali interventi vi sono quasi sempre equipe multidisciplinari composte da operatori specializzati, educatori, psicomotricisti, psicologi, medici, veterinari.

Le esperienze di pet therapy in Italia

In italia, onlus come Frida’s Friends dal 2012 si occupano di portare le AAA e le AAT in diversi contesti, con diversi pazienti e diversi obiettivi. Dalle scuole primarie, in cui attraverso i cani si riescono a creare contesti di maggiore inclusione tra i pari per i bimbi con difficoltà, alla Casa Pediatrica dell’ Ospedale Fatebenefratelli di Milano. In questo contesto, per i bimbi con disabilità gravi viene svolto un lavoro di riabilitazione sensoriale, in cui l’obiettivo può essere che il bimbo percepisca il contatto del muso del cane su un arto, o riesca a muovere un piedino e sorridere grazie alla presenza del cane.
In questa come in altre situazioni meno gravi (le ospedalizzazioni, i deficit cognitivi, i prelievi ematici), i cani che intervengono sono selezionati e monitorati dagli operatori, ma mai addestrati a fare qualcosa di specifico. Ogni cane (ed ogni altro animale impiegato nelle pet therapy) ha un temperamento specifico ed un suo modo di entrare in relazione con le persone, e viene lasciato libero di agirlo in quel dato momento.
L’impiego dei cani in contesti terapeutici ed educativi è stato dimostrato essere un fattore facilitante il raggiungimento degli obiettivi proprio perchè l’animale viene percepito dai bambini come un operatore non giucante e non portatore delle aspettative che invece caratterizzano spesso gli adulti umani (Friesen, 2010).

Questi setting dalle dinamiche libere e non del tutto prevedibili hanno come risvolto della medaglia una grande difficoltà di standardizzazione. Mettere a punto dei protocolli può significare, per alcuni operatori, snaturare il tipo di attività.

Gli studi sull’efficacia della pet therapy

La conseguenza più immmediata è che sebbene la pet therapy nei reparti pediatrici degli ospedali sia sempre più diffusa, ci sono ancora relativamente pochi studi scientifici che ne dimostrano l’efficacia. Nella Casa Pediatrica del Fatebenefratelli si stanno iniziando a raccogliere dati.
Lo racconta la Dott.ssa Beatrice Garzotto, responsabile e coordinatrice dell’attività: le prime rilevazioni fatte con il saturimetro rivelano che quando i bambini affrontano il prelievo ematico con il cane accanto, si regolarizza il battito cardiaco, la pressione arteriosa si abbassa e c’è una maggior ossigenazione del sangue rispetto a quando i prelievi vengono affrontati in condizioni classiche, senza il cane. Sono tutti indicatori fisiologici associati al livello di ansia.

Buoni risultati in questa direzione sono già stati riportati da Kaminski, Pellino e Wish, che nel 2002 hanno osservato un campione di 70 bambini e hanno usato come dato anche il livello dell’umore osservato dai genitori nei figli ospedalizzati.
A fronte di valori fisiologici immutati come la pressione sanguigna o il ritmo respiratorio, la presenza del cane può però far diminuire significativamente il livello del dolore percepito da bambini tra i 3 ed i 17 anni, in contesti ospedalieri e in alcuni momenti in cui il dolore è particolarmente forte (Braun, Stangler, Narveson, Pettingell, 2009).

Più nello specifico, secondo Sobo, Eng e Kassity-Krich, il fattore cognitivo sarebbe quello maggiormente influenzato: i pensieri negativi relativi al dolore percepito verrebbero affiancati e sostituiti da pensieri confortanti relativi all’essere in piacevole compagnia ed al sentirsi in un contesto più vicino a casa.

I pazienti ospedalizzati che ricevono pet-therapy avvertono anche un maggior livello di energia ed un abbassamento del livello di fatica, secondo lo studio di Bulette Coakley e Mahoney (2009).
Oltre ai cani, anche i cavalli, anch’essi animali che in natura vivono in branco e che quindi sono particolarmente abituati a relazionarsi con gli altri, sono sempre più spesso protagonisti di interventi a scopi terapeutici o educativi.

All’Ospedale Niguarda di Milano è attivo da anni il centro di riabilitazione equestre per persone con disabilità. Altri progetti, più propriamente ascrivibili nell’ambito AAT, partiranno al Fatebenefratelli con un pony che visiterà i bambini nel cortile ed in corsia.
Altri ancora, rivolti a pazienti psichiatrici e a donne con cancro al seno sono portati avanti dal Fienile Animato, un centro in provincia di Milano, in cui vengono impiegati cavalli e cani, talvolta insieme.

Alcune peculiarità metodologiche dell’approccio, che prevede setting in piccolo gruppo o individuali, sono che contrariamente a quanto avviene con i cani ad esempio, non vi è quasi mai contatto fisico tra paziente e cavallo. Inoltre il paziente entra in un’area erbosa in cui il cavallo (al massimo con capezza e longe) viene lasciato libero di pascolare ed, eventualmente, di cibarsi. Quest’ultimo aspetto in particolare è rilevante perchè consente al cavallo di “cedere” alla distrazione del cibo: un elemento molto significativo rispetto a quanto può rimandare l’animale in termini di dinamica relazionale, così come l’eventuale forte attivazione (corsa, imbizzarimento, ..).

Nel momento in cui il paziente entra nel perimetro del cavallo, dopo essere stato opportunamente preparato dal professionista, entra in relazione in maniera diretta e non mediata con il grande animale erbivoro. Entrambi possono provare le somatic experiencies della fuga, dell’attacco o del congelamento. Il terapeuta, al termine della seduta, aiuta il paziente a decifrare l’esperienza vissuta, accoglie le emozioni riportate e lo supporta nell’attribuzione di significato relativamente agli obiettivi terapeutici.

La presenza di un cane nei percorsi di supporto psicologico a donne con diagnosi di cancro al seno si è dimostrata favorire la comunicazione con i professionisti e quindi la partecipazione ed il coinvolgimento nella terapia, nello studio di White, Quinn, Garland, Dirkse, Wiebe, Hermann e Carlson (2015).

Le ultime tendenze in ambito di AAT ci dicono che da qualche tempo si sta facendo strada negli USA come in Europa, la Green Care: fattorie e contesti agricoli e rurali vengono usati nei programmi di promozione della salute fisica e mentale. In quest’ottica sono compresi non solo gli animali che abitualmente popolano le fattorie, ma anche la vegetazione ed il paesaggio stesso.
In tal senso uno studio fatto da Berget, Ekeberg e Braastad (2008) su un campione di 90 pazienti psichiatrici (schizofrenici, disordini affettivi, ansia e disturbi di personalità) usando la pet therapycon animali da fattoria, ha dimostrato un buon risultato in termini di aumento dell’auto-efficacia percepita e delle abilità di coping.

Conclusioni

In conclusione, in Italia non si è ancora giunti ad una regolamentazione chiara e unica per tutte le regioni. Di fatto queste attività non vengono riconosciute come terapie e quindi nella maggior parte dei casi non godono di finanziamenti degli enti sanitari pubblici, ma vengono portate avanti dalle onlus e da associazioni di volontariato.
Anche in merito alla dimostrabilità scientifica dell’efficacia ci sono ancora molti passi avanti da fare, ma meta-studi come quello di Nimer e Lundahl del 2007, che hanno considerato 250 ricerche, hanno rilevato che le AAT influenzano significativamente i risultati in 4 aree: le sindromi dello spettro autistico, le difficoltà fisiche, i problemi di comportamento ed il benessere emotivo. Le caratteristiche specifiche dei partecipanti e degli studi invece non si sono dimostrate significative.

Disturbo Bipolare



Il disturbo bipolare, o sindrome maniaco depressiva è caratterizzato da gravi alterazioni dell’umore, con alternarsi di episodi maniacali e depressivi
Definizione di Disturbo Bipolare

Il Disturbo Bipolare, definito anche Sindrome Maniaco-Depressiva, è una patologia molto seria che se non trattata tempestivamente ed in maniera adeguata, può causare gravi sofferenze e risultare decisamente invalidante. Questo disturbo è caratterizzato da gravi alterazioni dell’umore, delle emozioni e dei comportamenti, il tutto con una durata piuttosto variabile. Questi sbalzi d’umore sono caratterizzati dall’alternarsi di Episodi Maniacali/Ipomaniacali ed Episodi Depressivi, motivo per cui questa patologia è definita Bipolare.

Caratteristiche del disturbo bipolare

Queste variazioni patologiche dell’umore persistono per mesi e anni ed hanno sulla persona un effetto invasivo tanto da influenzarne ed alterarne la capacità di giudizio. Sia la Mania che la Depressione influiscono notevolmente sulla vita dell’individuo, e sono fortemente debilitanti sia sul piano lavorativo, che sociale, che affettivo e familiare.

Il disturbo bipolare necessita di un intervento adeguato e quanto mai tempestivo specie se si considera l’elevato rischio di suicidio cui il soggetto può andare incontro. In particolar modo lo stato che più può portare a rischio di suicidio, come ripotato dal manuale Merck, risulta essere lo stato Misto (Condizione in cui l’individuo è altamente irritabile e nervoso e al contempo prova un grande senso di scoramento, tristezza e perdita di piacere nel fare le cose) che, in associazione all’elevata impulsività che caratterizza questo disturbo, può spesso rivelarsi fatale.
Storia del Disturbo Bipolare

La storia del Disturbo Bipolare ha inizio nella Grecia classica. Il primo a descrivere la melancolia e la mania come due aspetti della stessa malattia è stato Areteo di Cappadocia nel I secolo a.C. Il concetto moderno di disturbo bipolare nasce in Francia con i lavori di Farlet sulla folie circulaire (1851, 1854) e di Baillarger (1854) sulla folie à double forme. Successivamente Emil Kraepelin (1896) ha riunito tutti i disturbi affettivi nella “frenosi maniaco-depressiva”, distinguendo quest’ultima dalla dementia praecox. Il concetto unitario di Kraepelin, tranne qualche eccezione, è stato ampiamente accettato in tutto il mondo. La distinzione definitiva tra disturbi affettivi unipolari e bipolari si deve all’opera di Leonhard (1957), Angst (1966) e Perris (1966) in Europa e di Winokur e Clayton (1967) negli Stati Uniti ed è tutt’ora mantenuta nella nosologia del DSM-IV (Zaccagni, Colombo & Aceti, 2008).


Episodio Maniacale nel disturbo bipolare

L’Episodio Maniacale è caratterizzato da un umore persistentemente elevato, decisamente superiore al norma, sia sul versante dell’espansività che dell’irritabilità. L’autostima del soggetto è ipertrofica, definita da aspirazioni eccessive e un forte senso di grandiosità. Vi è la presenza di una spiccata ed eccessiva loquacità, affiancata da un’agitazione psicomotoria con netta riduzione delle ore di sonno (3 sono sufficienti per sentirsi riposati), dovuta probabilmente in parte dalla successione continua dei pensieri come se si rincorressero uno dopo l’altro.

L’attenzione viene catturata da ogni stimolo, anche quelli meno pertinenti, provocando una distraibilità continua, che conduce successivamente ad una diminuzione della capacità di giudizio e dell’autocritica. L’ episodio maniacale del disturbo bipolare è caratterizzata inoltre da un aumento delle attività lavorative, scolastiche e sociali, con un relativo aumento dell’interesse nell’attività sessuale, ed un eccessivo coinvolgimento in attività con il rischio di conseguenze potenzialmente dannose (shopping eccessivo, comportamento sessuale sconveniente, investimenti avventati).

Episodio Depressivo nel disturbo bipolare

L’Episodio Depressivo è caratterizzato da umore depresso e/o perdita di interesse verso attività fino ad allora piacevoli, con uno stato emotivo prolungato di sconforto, sensazione di vuoto, pessimismo, scoraggiamento e disperazione. Vi è la presenza di una netta alterazione del comportamento alimentare caratterizzato da diminuzione o aumento dell’appetito con conseguenti variazioni ponderali. Le alterazioni del sonno sia sul versante dell’insonnia che dell’ipersonnia ed alterazioni del bioritmo caratterizzate da risvegli precoci sono una costante di questa fase, e insieme agli altri sintomi portano ad un rallentamento della capacità di pensare e forte indecisione.

La persona è soggetta a mancanza di energia e faticabilità, visibile anche attraverso il rallentamento psicomotorio. Forti sentimenti di autosvalutazione e senso di colpa eccessivo (spesso inappropriati) affiancano il soggetto nella quotidianità. L’Episodio Depressivo nel disturbo bipolare è inoltre caratterizzato da ricorrenti pensieri di morte, ideazione suicidaria con o senza pianificazione e tentativo di suicidio.

Episodio Misto

Questa fase, spesso di passaggio tra la fase depressiva e quella maniacale del disturbo bipolare, è caratterizzata dalla presenza contemporanea di sintomi depressivi e ipomaniacali. Frequentemente la persona in questa fase soffre di una pervasiva ansia e irritabilità.

Incidenza del disturbo bipolare ed esordio della malattia

Come stimato dal National Institute of Mental Health circa il 2,6 % della popolazione americana al di sopra dei 18 anni soffre di disturbo bipolare e vi sarebbero determinanti genetiche che interagendo con l’ambiente darebbero luogo alla patologia. I primi sintomi si manifestano generalmente nell’adolescenza per poi acutizzarsi in età adulta.

Si tratta di un disturbo molto eterogeneo che si può manifestare con sintomi e intensità molto diverse da persona a persona. L’esordio può avere inizio con un grave episodio maniacale che può comportare il ricovero oppure essere più lieve e alternare fasi di sintomi ipomaniacali a lievi sintomi depressivi. Il Disturbo Bipolare ha un decorso cronico. In tutti i casi può comportare gravi danni, poiché chi ne soffre con il suo comportamento spesso va a compromettere la propria vita familiare e sociale.

Sintomi del disturbo bipolare
Disturbo bipolare di Tipo I

La caratteristica principale è la presenza di almeno un episodio di Mania o Misto e di un episodio Depressivo. La durata dei singoli episodi si mantiene costante mentre diminuisce quella tra uno e l’altro nel tempo. Secondo il DSM 5 i principali sintomi che caratterizzano il Disturbo Bipolare di Tipo I sono:

– Ridotto bisogno di sonno;

– Eloquio rapido e pressante, intrusivo, caratterizzato da teatralità, eccessivo gesticolare, tono e volume del discorso più importante di ciò che viene detto;

– Aumento e attivazione accompagnati da sintomi depressivi;

– Fuga delle idee, bruschi cambiamenti di pensiero, distraibilità;

– Eccessiva pianificazione e partecipazione ad attività multiple;

– Aumento della libido;

– Aumento della socievolezza;

– Irrequietezza;

– Grandiosità, scarso giudizio;

Tra le caratteristiche associate troviamo la non percezione di essere malati e la resistenza al trattamento, la modifica del proprio aspetto personale per essere più provocanti, la messa in atto di comportamenti impulsivi e antisociali. Alcuni soggetti possono diventare ostili e pericolosi, con conseguenze catastrofiche che spesso derivano da scarsa capacità di giudizio.

Disturbo Bipolare di Tipo II

È caratterizzato da Episodi Ipomaniacali e mancata interferenza con la vita quotidiana a livello di funzionamento sociale o lavorativo. Sono assenti l’ospedalizzazione e i sintomi psicotici. Secondo il DSM 5 i principali sintomi che caratterizzano il Disturbo Bipolare di Tipo II sono:

– Episodi di alterazione dell’umore (uno o più Episodi Depressivi Maggiori con la durata di almeno due settimane, e almeno uno Ipomanicale con la durata di almeno 4 giorni);

– Elevato rischio di suicidio;

– Messa in atto di comportamenti impulsivi;

– Livelli di creatività accresciuti;


Disturbo Ciclotimico

È caratterizzato da un alto grado di malfunzionamento sociale e lavorativo per via del continuo alternarsi di periodi Ipomaniacali e sintomi Depressivi. Secondo il DSM 5 i principali sintomi che caratterizzano il Disturbo Ciclotimico sono:

– Alterazione dell’umore cronica, fluttuante;

– Periodi con sintomi ipomaniacali e depressivi

– Non sono però soddisfatti i criteri per durata, numero, gravità, pervasività.


La differenza tra Disturbo Bipolare e Disturbo Borderline di Personalità

Disturbo di Personalità Borderline e il Disturbo Bipolare, evidenziano entrambi caratteristiche comuni quali l’impulsività, l’umore instabile, la rabbia inadeguata, un elevato rischio suicidario e relazioni affettive instabili, motivo per cui spesso numerosi terapeuti si trovano in difficoltà ad effettuare una diagnosi corretta.

Tuttavia i pazienti con Disturbo Borderline di Personalità tendono a mostrare una maggiore instabilità e impulsività e ostilità rispetto ai pazienti con Disturbo Bipolare. In secondo luogo, il Disturbo Borderline di Personalità è più fortemente associato ad una storia di infanzia di abusi. Inoltre, nel Disturbo Borderline di Personalità il cambiamento del tono dell’umore è solitamente a breve termine e costituisce solitamente la reazione ad un rifiuto da parte dei propri conoscenti o comunque a stimoli interpersonali. Le persone con Disturbo Borderline di Personalità spesso diventano depresse e possono rientrare nei criteri per un episodio depressivo maggiore; ma non sviluppano mai una reale sindrome maniacale o mista, a meno che non siano affetti anche da un disturbo bipolare.


Diagnosi e comorbilità nel disturbo bipolare

A contribuire al problema della diagnosi, concorre anche il fatto che il Disturbo Bipolare e il Disturbo Borderline di Personalità possono coesistere nello stesso paziente: si stima, infatti, che circa il 20% dei pazienti con Disturbo Borderline di Personalità presenti in comorbilità un Disturbo Bipolare e che nel 15% dei pazienti con Disturbo Bipolare sia coesistente un Disturbo Borderline di Personalità. Allo stato attuale, per condurre una diagnosi corretta è necessario conoscere adeguatamente i criteri diagnostici più recenti (DSM-5), nonché affidarsi allo strumento di più grande rilievo nel campo psicologico/psichiatrico: l’anamnesi. ()


Disturbo Bipolare e altre patologie

Il Disturbo Bipolare, spesso può essere confuso con il Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività. Le persone con questo tipo di patologia hanno problemi costanti di attenzione e impulsività, ed anche le persone con Disturbo Bipolare possono presentare deficit comportamentali di questo tipo, ma per lo più durante gli Episodi Maniacali o gli Episodio Misti. Il Disturbo da Deficit dell’Attenzione non è accompagnato da euforia, aumentata spinta motivazionale, ipersessualità, diminuito bisogno di sonno o grandiosità, e non è caratterizzato dall’alternarsi di profonde depressioni a periodi di umore stabile.

Un’altra patologia psichiatrica da cui deve essere distinto il Disturbo Bipolare è la Schizofrenia. Le persone con Schizofrenia presentano deliri e allucinazioni, possono sperimentare depressioni severe, ma spesso il loro problema più grande è l’ottundimento emotivo. Anche le persone con disturbo bipolare possono avere allucinazioni o deliri ma queste sono tipicamente di tipo maniacale grandioso, paranoico o depressivo, sono circoscritti nel tempo e compaiano con l’instaurarsi dei cambiamenti del tono dell’umore. Inoltre, la prognosi a lungo termine della Schizofrenia è peggiore che nel disturbo bipolare.

Trattamento e cura del Disturbo Bipolare

Nonostante il Disturbo Bipolare sia fra le malattie psichiatriche con una base organica ben identificata, e quindi trattabile farmacologicamente, è importante ricordare che un percorso di cura non sostituisce l’altro. È stato infatti riscontrato come, specie nella fase acuta della malattia, sia importante associare ad una cura farmocologica strettamente controllata anche un percorso psicoterapico.

Il trattamento psicoterapico nasce, in particolare, per affrontare i problemi di mancanza di collaborazione del paziente (compliance al trattamento). Molto spesso aspettarsi che il trattamento farmacologico proceda in modo lineare crea, con buone probabilità, problemi secondari. Il Litio, in particolare, fornisce controllo sulla maggior parte degli eventi problematici, ma spesso non in maniera sufficiente. Ciò comporta notevole frustrazione da parte del paziente. A volte la mancata compliance nei confronti dell’assunzione del Litio diventa un tema fondamentale nella terapia. In alcuni casi, inoltre, l’efficacia del litio nell’alleviare il decorso della malattia, non è sempre gradita, poiché priva alcuni pazienti della loro energia e dei momenti di esaltazione dell’umore a lungo desiderati e a volte può avere sgraditi effetti collaterali (Goodwing e Jamison 2007).

Una terapia valida ed efficace del Disturbo Bipolare si deve dunque fondare sulla conoscenza competente della malattia, intesa come la comprensione della fenomenologia, della storia naturale, ovvero la natura ricorrente, il peggioramento e l’andamento stagionale, la conoscenza degli aspetti biologici, compresa la reazione ai farmaci nelle diverse fasi di mania e depressione, le teorie biologiche riguardanti l’eziologia e i meccanismi di azione dei farmaci utilizzati.

Terapia cognitivo comportamentale per il disturbo bipolare

Numerosi studi hanno dimostrato, negli ultimi anni, l’efficacia della Terapia Cognitivo Comportamentale combinata con la farmacoterapia nel trattamento del disturbo bipolare (Beck e Newman 2005). La Terapia Cognitivo Comportamentale è molto efficace nell’incrementare la compliance. In particolare il lavoro sulla compliance si basa su tre interventi cardine:

1. Sviluppare e rafforzare costantemente l’alleanza terapeutica durante tutto il processo psicoterapeutico.

2. Sviluppare strategie di problem-solving che aiutino il paziente a risolvere problemi di natura pratica legati all’utilizzo dei farmaci.

3. Sviluppare strategie che aiutino il paziente a fronteggiare le convinzioni disfunzionali sottostanti allo stress emotivo e ai comportamenti disfunzionali.

Gli scopi principali del trattamento sono i seguenti:

• Fornire informazioni al paziente e ai suoi familiari sul Disturbo Bipolare, il trattamento farmacologico e le difficoltà alla compliance al trattamento.

• Far riconoscere precocemente i segnali d’allarme, insegnando abilità di fronteggiamento preventive che possano far diminuire la gravità e la durata dei sintomi.

• Far riconoscere le credenze disfunzionali tipiche del Disturbo Bipolare, in particolare rispetto alla terapia farmacologica per poter migliorare la compliance al trattamento.

• Favorire abilità di problem-solving, di regolazione emotiva e di risposta adattiva per poter fronteggiare gli stressors psico-sociali.

• Favorire un senso di potere personale migliorando la qualità di vita, riducendo in particolare le ospedalizzazioni e il rischio di suicidio.


A cura di Chiara Ajelli e Claudio Nuzzo


BIBLIOGRAFIA:

· F., Allegria, P.P., Leonardini, C., Lombardo, C., Milanese, A., Rainone (2008). Capire il disturbo bipolare, in Cognitivismo Clinico, vol. 5, n. 1.

· M., Saettoni, P., Bartoletti, (2008). Farmacoterapia del disturbo bipolare in Cognitivismo Clinico, vol. 5, n. 1.

· Cassano B.G., Tundo A., Elsevier Masson (2008) La dimensione cognitiva dei disturbi, in Trattato Italiano di Psichiatria, Terza Edizione.

· I disturbi bipolari. Un’ipotesi cognitivista di comprensione – Rainone A., Mancini F., a cura di Perdighe C., Mancini F. – Giovanni Fioriti Ed., 2010.

· Rainone A., Marras L., Chichierchia A, (2008). Quale ruolo per la psicoterapia nella cura del disturbo bipolare? La terapia Cognitivo-Comportamentale, in Cognitivismo Clinico, vol. 5, n. 1, 2008.

· M. ZACCAGNI, P. P. COLOMBO, F. ACETI, A history of bipolar disorder: from Areteo of Cappadocia to DSM-IV and bipolar spectrumautori – vau_aut_id

· Allegria, P., Leonardini, C., Lombardo, C., Milanese, A., Rainone, CAPIRE IL DISTURBO BIPOLARE




Dal Sito: www.stateofmind.it


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/tag/disturbo-bipolare/

La crisi di panico che ci fa sentire foglia nel vento.




Non lo aveva mai capito quel peso sullo stomaco. Ci conviveva da molti anni. Un peso che era andato crescendo nel corso del tempo. Fino a divenire uno stato d’angoscia. E non prendeva più solo allo stomaco, ma anche al cuore e alla gola fino ad essere percepito in tutto il corpo.

Aveva iniziato a soffrire di attacchi di panico da un anno. Ed erano sempre più frequenti, tanto da arrivare ad evitare una serie di situazioni, anche le più semplici.

Palpitazioni, fiato corto quasi a morire, fitte allo stomaco, mani e piedi immobilizzati. Era sempre più difficile stare in pubblico, prendere un caffè, fare la spesa, mangiare il panino in un pub.

Non sapeva stabilire il tempo del primo esordio ma era stato un crescendo di sensazioni e brutte esperienze. E anche ora che il panico si era manifestato, ogni attacco era peggiore del precedente.

La sua vita era diventata vuota, ogni occasione di svago era declinata per paura che ‘il mostro, così lo chiamava, potesse presentarsi nel bel mezzo della suo divertimento.

L’attacco di panico investe almeno una volta nella vita una percentuale sempre crescente di persone. Innesca un circolo vizioso dal quale la mente non riesce a fuggire. Influenza le nostre azioni quotidiane, anche le più banali.

Chi soffre di panico vive uno stato di allerta anche per le cose apparentemente più innocue, con la paura costante che qualcosa possa avvenire, anche se non si sa bene né cosa ne quando.

La catena deleteria scaturisce da quella che viene definita ansia anticipatoria: un complesso di idee e sensazioni che fanno scattare la molla del nostro cervello innescando il segnale di tensione, anche quando non ci sarebbe nulla da temere.

Ma qual è il pensiero antecedente a questo meccanismo?

Sappiamo perfettamente di quanto potere abbiano nostri pensieri nel guidare le nostre e mozioni e le nostre azioni. Ebbene, uno dei fattori che danno la miccia a tale sensazione è la percezione di aver perso il controllo sulla situazione.

Questa sensazione, fa sì che la paura di essere trascinati dagli aventi abbia la meglio su di noi. Arrivando ad ipotizzare scenari catastrofici che si discostano di molto dalla realtà che invece si sta vivendo. E la percezione di non avere il potere di noi stessi ci lascia in balia dello stordimento che arriva dai canali emotivi.

Se parlassimo con delle metafore potremmo definire l’attacco di panico un tornado che arriva, ci inghiottisce e quando va via ci lascia inermi. Spazzando via la nostra anima che rimane turbata e spaventata.

Un primo passo per superare questo momento che ci dilania è accettarlo a noi stessi, cercano di ritrovare l’aderenza alla realtà sulla quale abbiamo perso il senso del potere.

Non c’è mai da vergognarsi di ciò che si vive e soprattutto non bisogna nascondersi per la paura di non essere creduti perché davvero il panico può cambiare le sorti della propria vita e farci sentire come foglie nel vento.

Psicologa e blogger

Non ho più l’età per avere rimpianti.


Alla fine, senza sapere come, arriva quel giorno. Qualcosa dentro di noi si sveglia per dirci che non abbiamo più l’età per avere rimpianti, per gli abbracci a metà, per le mezze intenzioni e per le notti senza luna. Alla fine, arriva quella tappa in cui le paure vengono meno e i limiti non hanno più l’opportunità di creare abissi davanti a noi.Jorge Luis Borges, nell’epilogo di “Tutte le opere”, dice che le persone sono il loro passato, il loro sangue, i libri letti e le altre persone conosciute. Tuttavia, a questa lista bisogna aggiungere tutto ciò che non è stato possibile fare a suo tempo. Le persone sono anche quei vuoti, quei tentativi falliti che hanno implicato un rimpianto molto pesante, più pesante degli errori commessi.

“Il fallimento è l’opportunità per ricominciare con più intelligenza”.
(Henry Ford)

Convincersi che i treni passano sempre per chi sa aspettare è una triste illusione, una frase trita e ritrita riportata spesso sui libri di auto-aiuto. Ci sono fatti che hanno avuto il loro momento, la loro magica occasione, la quale è svanita come fumo da una finestra aperta. Non si ripeteranno più. Tuttavia, ogni mattina si aprono nuove porte che lasciano passare venti più freschi e spazi più nitidi a cui approcciarci con un nuovo atteggiamento.

Prima di dire a noi stessi frasi come “alla mia età non può più succedere” o “queste cose non fanno più per me”, dobbiamo essere capaci di staccarci da questa triste malinconia per recuperare la fame, la voglia e il piacere di vivere con le mani piene e il cuore acceso.
Il rimpianto ci spinge ad uscire dalla nostra zona di comfort

Non siamo più fatti per avere rimpianti o per mostrare il meraviglioso mare dentro di noi a persone che non sanno nuotare e che non capiscono il linguaggio delle nostre onde. Arriva un momento in cui odiamo il suono della routine perché, invece di darci sicurezza, ci appare come un triste inverno mai sostituito dalla primavera, tanto meno dalle ispiratrici notti d’estate.

Non importa l’età scritta sulla nostra carta d’identità: è il nostro cuore a racchiudere la vera gioventù, quella che aspira a nuove esperienze e a nuovi sapori. Abbiamo voglia di fare qualcosa, ma come dare forma a questa necessità vitale? Come oltrepassare la frontiera della nostra quotidianità? Può sembrare contraddittorio, ma spesso possiamo rendere il nostro malessere o la nostra inquietudine veri alleati per andare oltre le nostre zone sicure.

Molti di voi penseranno che il termine “zona di comfort” sia una reliquia della psicologia motivazionale degli anni ’80 su cui sono stati scritti tanti libri. Tuttavia, quegli studi, iniziati per verificare il livello di “temperatura ambientale” in cui una persona si sente a suo agio, hanno dimostrato un dato ancora più interessante: gli esseri umani sono programmati per ricercare spazi neutri in cui sentirsi al sicuro.

Ciononostante, tale sicurezza non li porta sempre ad essere più produttivi o più felici: in certe occasioni nascono nuove necessità vitali.

Comprendere che le nostre aree di comfort si sono fatte piccole ci spinge ad oltrepassare la linea della nostra paura in cerca di nuove opportunità. Perché a volte abbracciare le nostre inquietudini e i nostri malesseri è l’unico modo per assicurarci le basi del progresso.
I cerchi della nostra vita e le nuove opportunità

Visualizzate per un attimo il trascorso della vostra vita. È probabile che vi siate immaginati una linea retta: alle vostre spalle rimane il passato con tutto ciò che vi siete lasciati scappare, i tentativi falliti e i cammini mai esplorati. Dall’altra parte, sospeso davanti al vostro naso, proprio di fronte a voi, si apre il vostro futuro, in cui si profilano tutte le opportunità di progresso sopracitate.

Ebbene, in realtà non dovreste pensare così alla vostra vita: l’ideale è visualizzarla per mezzo di cerchi. Peter Stange, celebre scienziato e ingegnere di sistema, definisce il nostro mondo e la nostra esistenza come un bellissimo meccanismo di cerchi connessi tra essi. Quasi come fosse un mandala. Si tratta di cicli che iniziano e finiscono e che si intrecciano gli uni con gli altri in modo assolutamente meraviglioso. Pensare alla vostra vita in questo modo vi invita a riflettere su diverse questioni.

La prima idea che dovete trarre da quest’immagine è che le opportunità perse ieri, gli errori e i tentativi non riusciti del passato fanno parte di un ciclo già terminato. Vedere che in tale ciclo c’è un inizio e una fine vi spinge a cominciarne uno nuovo con più solidità, saggezza e speranza.

In questa attuale tappa, tutto è possibile: è un cerchio aperto in cui siete ricettivi a tutto ciò che vi circonda. Le opportunità sono molteplici e ora sapete che non avrete più rimpianti. Tutto ciò che è stato vissuto in passato non rimane dietro di voi, ma vi avvolge per fungere da punto di riferimento, per ricordarvi quali porte non meritano di essere aperte e quali linee potete oltrepassare in tutta tranquillità.

In fin dei conti, la vita è la costruzione di un bellissimo mandala in cui tutto è in movimento. Ora sarete voi a scegliere i colori, voi a non avere più rimpianti, voi a creare la vostra tanto sognata e agognata felicità.

Dal Sito: lamenteemeravigliosa

venerdì 17 febbraio 2017

ATTACCHI DI PANICO NEI BAMBINI: COME COMPORTARSI?


Gli attacchi di panico nei bambini sono sempre più frequenti: cerchiamo di capire quali sono le cause scatenanti e qual è la migliore cura possibile.
Attacchi di panico nei bambini: come comportarsi?

Attacchi di panico o disturbi di panico, che rientrano nella più ampia categoria dei disturbi d’ansia, sono degli episodi di paura intensa che determinano tutta una serie di sintomi sia di natura psichica che fisica. Anche i bambini possono essere colpiti da questo problema cui bisogna far fronte con una terapia ad hoc. Sottovalutare il disturbo, infatti, può favorire nel soggetto atteggiamenti asociali (come, ad esempio, il rifiuto della scuola o l’isolamento dal gruppo dei coetanei) o lo sviluppo di malattie psichiatriche più gravi.
Attacchi di panico nei bambini: principali cause e sintomi

Ma da cosa sono determinati gli attacchi di panico nei bambini? Nella maggior parte dei casi alla base del disturbo vi sono elevati livelli di stress e di ansia, causati, per esempio, da una separazione, da una perdita o dalla paura, talora immotivata, di essere abbandonati. Anche una bassa autostima può favorire la comparsa del disturbo di panico: la paura ad esempio di non essere all’altezza dei propri compagni di classe o di disattendere le aspettative di insegnanti e/o allenatori. Come accennato precedentemente gli attacchi di panico sono accompagnati da una serie di sintomi fisici:
  1. tachicardia
  2. sensazione di soffocare
  3. nausea
  4. brividi
  5. vertigini
  6. tensione muscolare
  7. sudorazione eccessiva
  8. vampate di calore
  9. sensazione di estraneità
  10. paura di impazzire
  11. paura di morire

Non di rado gli episodi di panico si manifestano di notte durante il sonno, sotto forma di incubi inquietanti.
Attacchi di panico nei bambini: diagnosi e cura

La diagnosi deve essere effettuata da uno specialista del settore in tempi rapidi, in modo tale da individuare le cause scatenanti del disturbo e mettere a punto una terapia mirata.

Uno dei trattamenti più efficaci è la terapia cognitivo comportamentale, la quale ha lo scopo di insegnare al paziente le principali strategie per gestire l’ansia.

Dal Sito: www.mamme.it

mercoledì 15 febbraio 2017

Il cervello nello stomaco: rabbia, ansia e tensioni finiscono lì









A chi non è mai capitato, almeno una volta nella vita, di interiorizzare le emozioni, i sentimenti e le sensazioni, così tanto da poterle sentire con la pancia? In realtà, nella pancia abbiamo un “cervello addominale” che non serve soltanto alla digestione e che, al pari del cervello vero e proprio, produce alcune sostanze, come la serotonina e dopamina, in grado di influenzare i nostri stati d’animo.



E’ come se il nostro intestino si comportasse da “secondo cervello” e, in maniera completamente autonoma, inviasse segnali di stress, compromettendo la produzione dell’ormone del benessere, rilasciato dal medesimo organo. E’ proprio sull’addome che si accumulano la rabbia, le tensioni sul lavoro, le discussioni di coppia o di famiglia, le preoccupazioni in generale.

L’accumulo di ansia, quella che non riesce ad essere scaricata correttamente, viene interiorizzata ed inizia a circolare nella pancia (pancia gonfia).

Il respiro affannoso, tipico delle persone ansiose, favorisce l’ingestione di molta aria che resta bloccata nell’intestino, perché non riesce a venir fuori da bocca o naso.

I sintomi che più di frequente vengono riferiti al proprio medico (quali dolori addominali, stitichezza, diarrea, digestione lenta, nausea, ecc.), vengono approfonditi mediante alcune indagini diagnostiche (esami e test per scoprire le cause fisiche che li originano), anche se molto spesso i disturbi intestinali hanno matrice psicosomatica.

Dietro questi sintomi, non sempre, c’è una vera e propria patologia (allergie, ulcere, polipi, ecc.), pertanto, è bene affrontare il prima possibile le cause psicologiche scatenanti.

L’intestino e il cervello comunicano molto da vicino. Le cellule neuronali presenti nell’intestino, seppur in numero inferiore rispetto a quelle presenti nel cervello, a seguito di fattori fisici o stimoli di vario tipo (ad esempio le emozioni), rilasciano in media il 95% della serotonina complessiva rilasciata dall’organismo.

Tutte le volte che le emozioni sono associate ad ansia, paura e tensione il cervello invia all’intestino “l’ordine” di rilasciare altra serotonina in modo tale da poter gestire questo surplus di emozioni negative, e, purtroppo, questo avviene non senza conseguenze per la funzionalità dell’intero apparato digestivo.

La muscolatura addominale, infatti, si contrae, provocando gonfiore, diarrea, crampi, ecc.; inoltre, l’eccessiva tensione e stress emotivo inducono nello stomaco una iper- secrezione di acido cloridrico che provoca, nel tempo, infiammazioni, bruciori e addirittura ulcere.

Alla luce di questo, ricordiamo che sono proprio le emozioni negative la fonte del nostro malessere!

In assenza di una vera patologia fisica, pertanto, è fondamentale lavorare sul proprio stato psicologico, riducendo il livello di stress anche mediante altre vie di sfogo.

giovedì 9 febbraio 2017

Come liberarsi dell'ansia da prestazione (e non avere più paura di fallire)

Come si manifesta e quali sono i rimedi per superare l'imbarazzo causato dalla paura di fallire?


La paura di non farcela, di non essere all'altezza, di non poter centrare un determinato obiettivo: l'ansia da prestazione, da qualsiasi motivo dipenda, è un fenomeno molto più comune di quanto si pensi. Da cosa è provocata? Da una moltitudine di fattori. In generale, comunque, l'ansia è un meccanismo attraverso cui il corpo reagisce in particolari situazioni, legati per esempio al raggiungimento di certi risultati. È un modo per stimolare la concentrazione, per applicarsi di più: se in eccesso, però, può risultare dannosa e controproducente.

ANSIA DA PRESTAZIONE: RIMEDI

L'ansia da prestazione blocca, frena, limita, inibisce. Non è mai un aiuto ma un fardello. Ed è comune a tutti, anche se il motivo scatenante è diverso da persona a persona. Esistono un'ansia da prestazione scolastica, un'ansia da prestazione sportiva, un'ansia da prestazione sessuale, persino un'ansia da prestazione lavoro, mille e mille ansie da prestazione diverse.L'ansia da prestazione può riguardare qualsiasi campo di attività e può anche dipendere da fattori esterni, essere magari il riflesso di genitori particolarmente ansiosi oppure di figure rilevanti nella vita di un individuo che sono soggette a particolari paure e problemi cognitivi. Ma quando sopraggiunge e soprattutto come sconfiggere l'ansia da prestazione? Nei casi di ansia da prestazione sessuale si ha paura di deludere e di non essere all'altezza delle aspettative dell'altro, di non riuscire a procurare al partner il piacere auspicato. È un'ansia che accomuna entrambi i sessi, non c'è infatti un'ansia da prestazione maschile piuttosto che un'ansia da prestazione femminile: in tutti i casi, l'esperienza della sessualità non è vissuta più come un piacere, ma come un dovere ed è foriera non di appagamento, ma di tensioni. Anche l'ansia da valutazione è molto afflittiva. Persino un giudizio solo parzialmente e non pienamente positivo – un 8 anziché un 10, per intenderci – può essere vissuto come un fallimento, una mancata realizzazione di aspettative e speranze. Ma l'ansia coinvolge praticamente tutte le sfere sociali ed affettive, ad esempio quando si ha paura di non essere accettati in un gruppo, dagli amici, in una comunità. Al panico, alla tachicardia, ai disturbi della socialità si accompagnano spesso insonnia, tensioni, patemi, che portano poi a confusione, vuoti mentali e, nei casi peggiori, anche alla depressione. Come curare l'ansia da prestazione? Cercando conforto nelle persone amiche, quelle su cui si sa di poter contare a dispetto di tutto e tutti. E, se non dovesse bastare, rivolgendosi ad uno specialista.

TECNICHE MENTALI PER ANSIA DA PRESTAZIONE 

La psicoterapia può essere di grande aiuto per superare ansie e timori legate al raggiungimento di un determinato risultato. Tutto sta nel riuscire a comprendere l'esatta importanza di un obiettivo, la reale portata di un traguardo, o di attribuire il giusto peso alle aspettative nei confronti di se stesso ed anche di quelle degli altri nei nostri confronti. Costruire un modo di pensare differente è proprio l'obiettivo ultimo della terapia, che è in grado di insegnare anche tecniche e capacità di rilassamento. Grazie al nuovo modo di vedere e valutare le cose, le stesse appariranno sotto una luce diversa, avranno un 'peso' minore e tutto potrà sembrare più leggero. Il percorso è lungo e tortuoso, ma non è per nulla impossibile. L'importante è avere coscienza non solo dei propri limiti, ma anche e soprattutto delle proprie potenzialità, che possono essere notevoli se applicate nel modo giusto. L'ansia da prestazione è inevitabile, persino auspicabile in certe determinate occasioni, perché sta a dimostrare che ci teniamo parecchio ad una cosa: fondamentale, però, è riuscire a governarla, a trasformarla in energia positiva, per evitare di esserne sopraffatti.

Dal Sito: www.marieclaire.it


Vittimismo patologico: Persone che funzionano in modalità “lamento”



Tutti, prima o poi, abbiamo assunto il ruolo della vittima. Ma ci sono persone che si trasformano in vittime permanenti arrivando a soffrire di ciò che si potrebbe definire "vittimismo cronico". Queste persone si travestono da false vittime, consapevolmente o inconsapevolmente, per simulare un’aggressione inesistente e, allo stesso tempo, scaricare la colpa sugli altri, liberandosi così da ogni responsabilità.


Infatti, il vittimismo cronico non è una malattia, ma potrebbe portare con il tempo a sviluppare un disturbo paranoico quando la persona insiste continuamente a incolpare gli altri di tutti i mali di cui soffre. Inoltre, questo modo di affrontare il mondo genera una visione pessimistica della realtà, terminando per causare malessere tanto in chi si lamenta come in chi riceve la colpa.


In molti casi, la persona che cade nel vittimismo cronico finisce per alimentare sentimenti molto negativi, come rancore e rabbia, che sfociano in un vittimismo aggressivo. È il tipico caso di chi non si limita a lamentarsi ma attacca e accusa gli altri, mostrandosi intollerante e violando in continuazione i loro diritti.


Radiografia di una vittima cronica

- Distorce la realtà. Si tratta di persone che credono fortemente che la colpa di ciò che accade loro sia sempre degli altri. In realtà, il problema è che hanno una visione distorta della realtà, hanno un locus of control esterno, e credono che tanto le cose positive come quelle negative che accadono loro non dipendano direttamente dalla loro volontà, ma da circostanze esterne. Inoltre, esagerano gli aspetti negativi, sviluppando un pessimismo esacerbato che le porta a concentrarsi solo sulle cose negative che accadono, ignorando quelle positive.

- Si consola lamentandosi. Queste persone credono di essere vittime degli altri e delle circostanze, così non si sentono colpevoli o responsabili per nulla di ciò che accade loro. Di conseguenza, l'unica cosa che gli rimane da fare è “lamentarsi”. Infatti, questi individui provano spesso piacere nell'atto di lamentarsi perché permette loro di assumere meglio il ruolo di "povere vittime" riuscendo così ad attirare l'attenzione degli altri. Queste persone non cercano aiuto per risolvere i loro problemi, si limitano esclusivamente a lamentarsi alla ricerca di compassione e protagonismo.

- Cerca continuamente dei colpevoli. Le persone che assumono il ruolo di eterne vittime sviluppano un atteggiamento sospettoso, credono che gli altri agiscano sempre in mala fede. A questo proposito, spesso si affannano a scoprire piccole mancanze solo per sentirsi discriminati o maltrattati, e questo solo per riaffermare il loro ruolo di vittime. Così, finiscono per sviluppare ipersensibilità e diventano specialisti a scatenare una tempesta in un bicchiere d'acqua.

- Non è in grado di fare una autocritica onesta. Queste persone sono convinte di non avere nessuna colpa, che non ci sia niente da criticare nei loro comportamenti. Dal momento che la responsabilità è degli altri, non accettano le critiche costruttive e tanto meno fanno un esame di coscienza approfondito che potrebbe portarle a cambiare il loro atteggiamento. Per queste persone, gli errori e le colpe degli altri sono intollerabili, mentre le loro sono sottigliezze. Dopo tutto, sono loro le vittime.

Perché una persona assuma il ruolo della vittima ci deve essere un colpevole. Di conseguenza, è necessario sviluppare una serie di strategie allo scopo di far sì che l’altro assuma la colpa. Se non siamo consapevoli di queste strategie è probabile che cadiamo nella loro rete e prendiamo tutta la colpa su di noi.

1. Retorica vittimista

In sostanza, la retorica di questa persona ha come obiettivo delegittimare gli argomenti del suo avversario. Ma non smentendo le sue affermazioni con argomenti più validi, piuttosto facendo in modo che l'altra persona assuma, inconsapevolmente, il ruolo di aggressore.

Come lo fanno? Semplicemente assumendo il ruolo di vittima nella discussione, in modo tale che l'altra persona sembri autoritaria, poco empatica o addirittura aggressiva. Questa strategia si conosce come "retorica centrista", dato che la persona cerca di mostrare il suo avversario come un estremista, invece di preoccuparsi di confutarne le affermazioni. Pertanto, qualsiasi argomentazione che avanzi il suo avversario sarà solo una dimostrazione di malafede.

Ad esempio, se una persona osa contrastare una lamentela con prove indiscutibili o statistiche provenienti da fonti attendibili, la vittima non risponderà con dei fatti, ma dirà qualcosa del tipo: "Mi aggredisci continuamente, ora dici che sto mentendo" o "Stai cercando di imporre le tue opinioni, fammi il favore di chiedermi scusa".

2. Ritirata vittimista

In alcuni casi, l'argomento della vittima ha lo scopo di permettergli di sottrarsi alle sue responsabilità ed evitare di dover chiedere scusa o riconoscere il suo errore. Pertanto, cercherà di divincolarsi dalla situazione. Per raggiungere questo obiettivo la strategia è quella di screditare l'argomento del vincitore, ma senza ammettere che si era sbagliato.

Come lo fa? Anche in questo caso, assume il ruolo della vittima, gioca con i dati a suo piacimento e li manipola come gli conviene per seminare confusione. Fondamentalmente, questa persona proietterà i suoi errori sull'altro.

Ad esempio, se una persona risponde con un dato verificato che nega quanto già affermato, la vittima non riconoscerà il suo errore. In ogni caso, cercherà di ritirarsi in modo dignitoso dicendo qualcosa del tipo: "Questo fatto non nega ciò che ho detto. Per favore, non creare più confusione e caos" o "Mi stai incolpando di confondere gli altri, sei un maleducato, è chiaro che è inutile discutere con te perché non vuoi sentire ragioni", quando in realtà a creare confusione è lei stessa.

3. Manipolazione emotiva

Una delle strategie preferite dalle vittime croniche è la manipolazione emotiva. Quando questa persona conosce abbastanza bene l'altra parte, non esiterà a giocare con le sue emozioni per portare il gioco a suo favore e assumere il ruolo della vittima. Infatti, queste persone sono molto abili nel riconoscere le emozioni, così approfittano di qualsiasi piccolo dubbio o errore per usarli a loro favore.

Come lo fanno? Scoprendo il punto debole del loro avversario e sfruttando l’empatia che può provare. Così, finiscono per farlo cadere nella loro rete, facendogli assumere la piena responsabilità e il ruolo di carnefice, mentre loro restano tranquilli e comodi nel loro ruolo di vittime continuando a lamentarsi.

Ad esempio, una madre che non vuole ammettere i propri errori, può dare la colpa al figlio dicendo qualcosa del tipo: "Con tutto quello che ho fatto per te, è così che mi ripaghi?" Ma questo tipo di manipolazione è piuttosto comune anche nelle relazioni, tra amici e sul posto di lavoro.

Come trattare con queste persone?

Il primo passo è rendersi conto che si tratta di una persona che assume il ruolo di vittima. Quindi resistere all'attacco evitando di rimanere intrappolati nel suo gioco. La cosa più opportuna da fare è dire che non abbiamo tempo per ascoltare le sue lamentele, che se ha bisogno di aiuto saremo lieti di darglielo, ma non siamo disposti a sprecare tempo ed energie ad ascoltare le sue lamentele.

Ricordate che la cosa più importante è che queste persone non vi rovinino la vita scaricandovi addosso la loro negatività e, soprattutto, che non vi facciano sentire in colpa. Non dimenticate che vi può fare del male emotivamente solo colui al quale voi date il potere di farlo.


Dal Sito: www.angolopsicologia.com

Basta compiacere chi mi sta intorno. La vita è troppo breve per essere vissuta come vogliono gli altri.



A volte, niente di ciò che facciamo risponde alle aspettative di chi ci circonda. “Potevi fare meglio” Secondo me è sbagliato….non va bene quella persona per te, ecc.” Queste dinamiche relazionali sono molto comuni in tutti gli ambiti della vita; c’è sempre un familiare, un amico/a o un collega di lavoro per il quale, qualsiasi cosa facciamo o diciamo, non va mai bene. Eppure, le uniche opinioni o aspettative che importano dovrebbero essere le nostre.
Siamo noi stessi o siamo ciò che gli altri ci hanno detto che siamo?

Devo essere una persona carina perché le persone vogliono che io sia carina, devo essere intelligente perché la gente mi vuole intelligente, devo essere davvero divertente perché la gente vuole ridere alle mie battute così da essere amata, accettata e ben voluta dagli altri. ”

Portando attenzione a quello che gli altri pensano di noi, ci focalizziamo su come gli altri ci vogliono. Pian piano diventiamo il risultato dei desideri degli altri per compiacerli e le nostre interazioni con le altre persone modella il nostro comportamento.
Compiacere gli altri spesso ci porta ad agire come degli automi

Finiamo col fare ciò che vogliono gli altri, perché crediamo sia la cosa giusta. E può darsi che a volte lo sia, ma questa comporta un duro prezzo da pagare: non imparare mai a prendere nessuna decisione da soli.

Certe persone hanno un obiettivo molto concreto: tenerci in pugno e controllarci con i loro rigidi schemi di comportamento e valori.
Le nostre priorità non si allineano con quelle degli altri

Può succedere di ritrovarsi in contesti in cui le opinioni divergono; possono verificarsi situazioni in cui le cose che noi valorizziamo sono disprezzati dagli altri. Parlo di situazioni nelle quali, per esempio, decidiamo di diventare vegetariani e la nostra famiglia ironizza questa scelta, situazioni in cui decidiamo una determinata carriera e la famiglia pronta a scoraggiarci e a farci cambiare idea.

“A ogni essere umano è stata donata una grande virtù: la capacità di scegliere. Chi non la utilizza, la trasforma in una maledizione – e altri sceglieranno per lui.” Paulo Coelho

Quante volte ci è capitato di portare a casa un’amica o un nuovo partner e la nostra famiglia ha dimostrato disappunto ripetendoci la classica frase “tesoro, ti meriti di meglio”.
Non siamo dei satelliti che girano intorno a un altro pianeta

Ognuno di noi ha una visione diversa dello stesso concetto. Nonostante questo, c’è chi (il genitore, il partner, l’amica di turno…) cerca di imporsi, invece di rispettare e “lasciar vivere”, solo perchè pensa che la sua realtà sia migliore della nostra. Ovviamente, non è la cosa giusta da fare.

“L’istante magico è quel momento in cui un si o un no può cambiare tutta la nostra esistenza.” Paulo Coelho

Pertanto, ogni volta che ci ritroviamo intrappolati in una situazione simile, dobbiamo ricordarci che non siamo dei satelliti che girano intorno a un altro pianeta: siamo persone libere con il diritto di vivere nel proprio universo con dignità. Nessuno ha il diritto di imporci come essere felici!
Ciò che mi rende felice va bene per me

È un dato indiscutibile, se gli altri non accettano o criticano le nostre scelte, è un problema loro, non nostro. Siamo noi a vivere la nostra vita, non loro. Basta compiacere gli altri: è arrivato il momento di essere coscienti di noi stessi e delle nostre necessità. Se viviamo solo per far piacere agli altri o per compiere le aspettative che hanno su di noi, la nostra vita non avrà senso. La vita è troppo breve per essere vissuta come vogliono gli altri. È normale sbagliare ogni tanto e, in questi casi, chi ci vuole bene davvero ci aiuterà a migliorare

Se ciò che facciamo, che diciamo o che difendiamo ci rende felici, il resto non importa. Sono le nostre scelte a definirci e ogni passo che facciamo traccia una strada che appartiene a noi e a nessun altro.
Chi passa le giornate a corregge gli altri, a punirli, a umiliarli e a ridicolizzarli non aiuta, distrugge

Se frequentiamo persone che agiscono in questo modo, dobbiamo solo allontanarli; queste persone non cambieranno mai. Se una persona non sa provare empatia o non sa agire con reciprocità, è molto difficile che cambi da un giorno all’altro. In questi casi, non c’è altra scelta se non accettare una verità fondamentale: la vita è troppo breve per compiacere gli altri. Date la priorità a voi stessi. Se per qualcuno, niente di ciò che fate è giusto, allontanatelo.
Decidi di diventare più egoista…

Molti potrebbero dire che essere egoisti è un sentimento dannoso. Assolutamente NO! L’egoismo è negativo solo quando fa male a qualcuno. Se viviamo la nostra vita seguendo i nostri valori e senza fare del male a nessuno, nessuna delle nostre decisioni può considerarsi negativa.
Decidi di dire addio alle relazioni tossiche

Il primo passo per smettere di compiacere gli altri, è allontanare le relazioni distruttive; quelle persone in grado di ferirci anche solo con una parola, quelle che non sono mai al nostro fianco quando ne abbiamo davvero bisogno. Quante volte abbiamo sentito la classica frase “Per qualsiasi cosa, chiamami” ma poi al bisogno reale, quante volte si sono fatte avanti?

Stesso discorso vale per il partner: se è pronto a sentenziare e farvi sprofondare nella vostra insicurezza, chiudete la relazione. Amare non significa possedere, ma rispettare. E la prima persona da amare siamo noi stessi. Dobbiamo scegliere la persona con cui condividere la nostra vita soltanto perché ci piace, perchè ci fa stare bene, ci fa sognare….non per una serie di motivi più complessi.

Decidi di circondarti di veri amici

Molti dicono di avere tanti amici, ma stiamo scherzando? Al massimo possiamo definirle conoscenze. Quante di queste conoscenze sono davvero persone che ci rispettano? Quante volte abbiamo dovuto tollerare pur di essere accettati? I veri amici, sono quelli intimi, quelli di cui possiamo fidarci, quelli che non ci giudicano…..possono essere al massimo 2.
Decidi di dire addio persino ad alcuni membri della tua famiglia

Certo, può essere complicato, ma si tratta di tracciare dei limiti. Forse a loro non piacerà, ma a noi ci farà davvero bene!

Se hai deciso di non sprecare più la tua vita, ti consiglio di leggere l’articolo “Cosa fanno le persone che hanno capita che la vita è troppo beve per sprecarla”

Ana Maria Sepe

mercoledì 8 febbraio 2017

Ansia e attacchi di panico: come combatterli in menopausa.

Che nel periodo della menopausa la qualità della vita delle donne non sia il massimo già lo si sapeva. Ansia, vampate di calore, problemi del sonno e dolori muscolari e articolari sono i nemici principali, ma si pensava che questi fastidi scomparissero nel periodo della post-menopausa, ma le cose non sembrano stare proprio così.


Uno studio della rivista North American Menopause Society (NAMS) ha analizzato 3.503 donne in post-menopausa, di razza latino americana. Quelle che soffrivano di gravi sintomi, sul piano fisico, avevano un’incidenza maggiore di ansia. Questi livelli di ansia sono stati connessi con quelli di serotonina e noradrenalina, due neurotrasmettitori che vanno a influenzare la frequenza delle vampate di calore e, quindi, portano a sbalzi nei livelli di termoregolazione.

L’ansia è frequente in chi ha sintomi urogenitali gravi. JoAnn Pinkerton, la direttrice esecutiva di NAMS, ha evidenziato come, mentre l’ansia è frequente durante la menopausa non lo devono essere gli attacchi di panico. Consiglia infatti alle donne di seguire tecniche di rilassamento, fare un po’ di esercizio fisco e soprattutto ridurre l’assunzione di caffeina, per migliorare il loro stato fisico in questa delicata fase di passaggio.

Anche una cura a base di estrogeni potrebbe produrre effetti positivi.

Le complicazioni della menopausa

La menopausa e la post menopausa sono delle fasi molto delicate nella vita di ogni donna e possono portare al presentarsi di alcuni tipi di complicazioni. Dopo la menopausa ci sono infatti alcune patologie che divengano più frequenti. Vediamo insieme quali sono le principali.

Le malattie cardiovascolari sono una delle complicanze più diffuse. Questo accade quando i livelli di estrogeni vanno a diminuire. Le malattie dei vasi sanguigni sono una delle principali cause di morte, ed è quindi importante cercare di tenerle alla larga. Fare dell’esercizio fisico e fare una dieta sana, per mantenere il giusto peso corporeo, sono regole importanti da seguire. Se i livelli di colesterolo e la pressione sanguigna hanno valori troppo alti, chiedi al tuo medico un consiglio su come tutelare la salute del tuo cuore.

L’osteoporosi è un’altra possibile complicanza. Si tratta di una condizione che rende le ossa fragili, andando così ad aumentare il rischio che possano presentarsi delle fratture. È proprio durante i primi anni dopo la menopausa che il rischio di perdere densità ossea è più forte. È stato notato come le donne in post menopausa siano molto soggette a fratture di anche, polsi e colonna vertebrale.

Con la post menopausa i tessuti della vagina e dell’uretra diventano meno elastici, cosa questa che può portare all’incontinenza urinaria. Potrebbe bastare un colpo di tosse o uno sforzo per perdere involontariamente dell’urina. Anche le infezioni alle vie urinarie divengono più frequenti. Per rinforzare il pavimento pelvico sono utili gli esercizi di Kegel e l’uso di estrogeni vaginali.

Anche se si è avanti con l’età, le donne in post menopausa vogliono ancora godere delle gioie del sesso. La secchezza vaginale è la perdita di elasticità della vagina possono però andare a creare sensazione di disagio o sanguinamento durante i rapporti. Questo porta con se anche la diminuzione della libido. Possono essere utili l’uso di idratanti e lubrificanti vaginali a base d’acqua. Sono da evitare i prodotti a base di glicerina, che possono provocare bruciore e irritazione. Se questi prodotti non producono effetti positivi si può ricorrere a estrogeni vaginali locali, come creme vaginali o anelli.

Una condizione negativa, che si riflette anche sull’umore, che si presenta in post menopausa è l’aumento di peso. Questo accade a causa di un rallentamento del metabolismo. Per risolvere il problema è necessario prestare più attenzione al proprio peso, facendo esercizio fisico e cercando di mangiare in modo sano, allo scopo di mantenere costante il livello di grasso nel corpo.

Simona Fenzi

Dal Sito: www.pazienti.it

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Chi siamo:

“Insieme Onlus” è un ’Associazione di volontariato che promuove la cultura e la metodologia dell’auto-mutuo-aiuto, con lo scopo di aiutare e sostenere le persone che soffrono di D.A.P. e di dare visibilità a tale disagio.

(L´OMS ha calcolato che il 7% della popolazione mondiale ne soffre, mentre uno studio coordinato dall´ISS ha dimostrato che in Italia tre milioni e mezzo di persone adulte hanno sofferto di un disturbo mentale negli ultimi 12 mesi e di costoro, quasi due milioni e mezzo hanno presentato un disturbo d´ansia dei quali quasi un milione di disturbo da attacchi di panico. Il DAP inoltre colpisce la fascia sociale più attiva, quella di età compresa tra i 20 e i 40 anni, le donne più degli uomini.)

Il nostro scopo primario è quello di sostenere, aiutare, ascoltare, rassicurare, le persone che vivono con tali disagi.

Progetti in corso

Dare visibilità a tale disagio attraverso convegni, seminari, conferenze e stampe volte a sensibilizzare l’opinione pubblica, la classe medica, le istituzioni, sul Disturbo di Panico.
Aiutare e sostenere le persone affette da D.A.P. e i loro famigliari, attraverso un help-desk telefonico e gruppi di auto-mutuo-aiuto.
Diffondere la cultura dell’auto-mutuo-aiuto anche tramite corsi di formazione.
Favorire la ricerca scientifica sul D.A.P..
Collaborare con le altre associazioni di volontariato, ospedali, università, centri specializzati, istituzioni, mondo del lavoro, al fine di ricercare sostegno per le persone affette da D.A.P. e aumentare la consapevolezza verso tale disturbo.





Pagina Facebook: Ansia-Attacchi di Panico-Agorafobia "Associazione Insieme Onlus"

lunedì 6 febbraio 2017

Le Malattie Psicosomatiche Sono Angeli Custodi: Se le Ascolti, Guarisci.


Era una settimana che non stavo in piedi, respiravo a fatica e mi girava la testa. “Strano”, ho detto alla dottoressa, “ero in formissima, e poi di colpo è cominciata una tachicardia che non mi fa dormire. E ho anche un dolore al petto: non è che mi viene un infarto?”. La dottoressa mi ha prescritto subito un elettrocardiogramma. Risultato? Il battito è regolare, tutto nella norma. Allora ho fatto un esame del sangue, non sia mai che la tachicardia sia dovuta alla tiroide. Risultato? Sono sana come un pesce.

Mentre stavo uscendo dal suo studio, la dottoressa mi ha chiamata:

“Signorina?”. “Si?”. “Le passerà tutto quando smetterà di fare un lavoro che non le piace”.

Com’è che quando sono in giro per il mondo non mi ammalo mai, e quando sono in Italia ne ho sempre una? Come dice mio padre, “Mangi da noi e ti viene la gastrite, mangi mais e fagioli in Kenya dal piatto dei bambini, e non ti prendi niente”.
Benvenuta nel mondo delle malattie psicosomatiche.

Come se non le conoscessi già! L’ho capito da tempo: il mio inconscio comunica con me in questo modo. Anche (e soprattutto) quando non lo voglio ascoltare. Perché io per non ascoltarlo faccio di tutto: mi inganno da sola che vada tutto bene, che sì sono felice come una Pasqua, no non c’è nessun problema, in amore va tutto alla grande, il lavoro, poi, è proprio quello che volevo! Ah che meraviglia la mia vita! E proprio quando si tenta di ingannare se stessi, arriva lei: la malattia psicosomatica, a farci capire che ci stiamo prendendo in giro.

Il nostro corpo non mente: ci dice la verità su ciò che proviamo davvero.

Anni fa, mentre mi trovavo in Cambogia a fare volontariato, e ancora non avevo risolto un certo senso di soffocamento, trovai un interessante documento sulle malattie psicosomatiche, redatto dallo psicoterapeuta Claudio Bonipozzi. Egli afferma che “quando l’ansia e lo stress prendono il sopravvento, il lavoro perde la sua positività e si trasforma in un peso che opprime anziché arricchire”. Se vi siete già sentiti così, sapete di cosa parla.

Bonipozzi ha elencato il linguaggio simbolico di alcuni organi: ogni sintomo, un messaggio.

Ve ne riporto alcuni:

Articolazioni

Le persone che soffrono di dolori articolari sono quasi sempre molto esigenti nei confronti di se stessi o della propria cerchia. A volte appaiono agli altri come molto flessibili, ma la loro docilità è dettata dalla paura e da una sensazione di impotenza di fronte a figure autoritarie. Sono presenti in queste persone sentimenti di collera e da un senso di rivolta, tenuti entrambi sotto silenzio, ma inevitabilmente espressi dal corpo per mezzo di questo particolare disagio.


Mal di schiena

Il nostro corpo, sotto l’effetto di una umiliazione, tende a “piegarsi” o meglio a “ripiegarsi” su noi stessi. La schiena ricurvata segue frequentemente profondi disagi affettivi: la sofferenza ci “piega” (fardelli troppo pesanti da portare).

Il ginocchio (condizione di inferiorità)

Il dolore può esprimere il grande disagio a vivere delle situazioni “umilianti”: rifiuto di sottomettersi.

Apparato respiratorio

Le vie respiratorie sono le vie di comunicazione (scambio tra l’ambiente interno e l’ambiente esterno), dove entra la vita, che verrà poi distribuita dal sangue in tutto l’organismo. Le malattie degli organi della respirazione traducono gli scambi con l’ambiente circostante per quel che riguarda il nostro bisogno di “aria”, spazio e autonomia. Ci possono segnalare un’assenza di gusto per la vita, la perdita di desiderio di continuare a vivere, o anche un senso di colpa devastante.

Laringite (infiammazione del canale respiratorio)

E’ un modo di soffocare la comunicazione quando dobbiamo parlare con qualcuno che è vissuto come l’autorità.

Gastrite (infiammazione della mucosa dello stomaco)

Collegata alla collera perché non ci sentiamo rispettati o apprezzati per quanto valiamo. Il nervosismo e i disagi emotivi sono spesso responsabili. Il famoso “bruciore allo stomaco” parla della presenza di un fuoco che brucia all’interno, ma che non si esprime mai sotto forma di rabbia e ribellione (rabbia inespressa).

Insonnia

Solitamente è un soggetto sempre in movimento durante il giorno, sempre impegnato, con notevoli difficoltà a delegare e a staccarsi da pensieri che circolano continuamente nella sua testa. L’insonne non riesce assolutamente a lasciarsi andare neppure di notte e tenta di portare con sé nel mondo del sonno, tutto quello che appartiene alla sua esistenza diurna. Ha comunque molti volti, ma esistono elementi comuni: insoddisfazione ed attese. L’insoddisfazione riguarda i problemi quotidiani, angoscia di non essere all’altezza, affetti che non “guardiamo”. C’è sempre un timore a lasciarsi andare; indica debolezza e vulnerabilità (uomo); diventa sinonimo di sudditanza e prevaricazioni (donna). Nelle ore diurne sempre c’è movimento, non riesce a staccarsi dalle cose anche se sono deteriorate (rapporti sentimentali, amicizie, ecc.) non perde mai il controllo (aggressività e sentimenti), rimane continuamente legato al passato. Nella difficoltà a prendere sonno una “parte di noi” (l’Io) non vuole perdere il controllo perché teme di incontrare le emozioni profonde (che durante il giorno riesce a tenere sotto controllo). Il risveglio notturno, invece, indica semplicemente che si sta realizzando quello che non si è riuscito a fare durante il giorno; rimuginare su ciò che è accaduto durante il giorno o invaso dalla tristezza, dalla rabbia e dalla paura.

Psoriasi (una spessa corazza per isolarsi dal mondo)

Vengono colpite, in genere, persone ipersensibili che hanno un gran bisogno dell’amore degli altri.

Candida e Herpes vaginale

Il bruciore dell’herpes richiama, a livello simbolico, il “fuoco” e al bisogno costante di purificazione. Per certi versi questa sintomatologia consente al soggetto di espiare certe esperienze peccaminose. Se invece l’herpes si associa anche alla Candida, il dualismo regola-trasgressione, santità-peccato viene rafforzato da un “imbianchimento” (fungo): manifestando tutto il suo “candore” come se si volesse mostrare la sua pulizia morale, a dispetto del comportamento particolarmente trasgressivo.

Tachicardia

E’ un’improvvisa accelerazione del ritmo cardiaco: emozioni che in qualche modo cercano di emergere, di esprimersi, in pratica risalire a galla.

Interessante, vero?

Chissà se vi siete rivisti in certi comportamenti da lui elencati?

Di gastrite ho sofferto per anni; di laringite ogni tanto; di tachicardia ne ho sofferto qualche giorno fa. Che cosa sta cercando di dirmi? Una cosa che so benissimo, ma non voglio ammettere a me stessa.

Quando mi passerà? Quando affronterò il problema, e lo risolverò. Eliminando la causa che sta alla base della malattia psicosomatica di solito si guarisce. Come scrive lo psichiatra Fausto Manara:

Bisogna trasformare i malesseri psicologici in alleati.

Vi riporto un suo passo illuminante:

“Quando si rimane sordi alla sua voce, l’esperienza non insegna nulla. E’ anche per questo che ci impegniamo più volte in progetti del tutto estranei ai nostri desideri, magari per compiacere coloro da cui vorremmo amore, sapendo in anticipo che, anche se li realizzeremo, non ci porteranno vera gioia. E’ ancora per questo che ci neghiamo la libertà in nome del quieto vivere, quando ben sappiamo che non è così facendo che il vivere sarà mai davvero quieto”.

Quante volte siete diventati schiavi del quieto vivere? Io lo stavo diventando, e poi ho deciso di uscirne. Come? Decidendo di ascoltare una malattia psicosomatica (il senso di soffocamento e l’attacco di panico) come fosse un angelo custode. Tre mesi dopo il mio arrivo in Cambogia, il senso di soffocamento sparì come per incanto. Ma non fu un incanto: scelsi solo di lasciare per un anno il lavoro di insegnante (che mi soffocava) per inseguire un sogno (darmi gratuitamente agli altri, anche se avevo mio padre contro – e non solo lui).

Raffaele Morelli lo dice chiaro:

La rinuncia a essere se stessi prima o poi si trasforma in disagio, in malattia.

Non sopporto più il fidanzato, che non mi lascia essere me? Ecco che mi viene la colite! Un’amica insegnante aveva avuto un alunno a scuola che non voleva continuare gli studi scientifici dopo la scuola superiore: lui voleva suonare il sassofono, era un artista, ma non riusciva a dirlo a suo padre. Il risultato? Spesso arrivava a scuola senza voce.

Lo psichiatra e creatore della bioenergetica Alexander Lowen parlava di una sua paziente che aveva sempre una sensazione di soffocamento. Come mai? Perché stava soffocando la sua protesta: quando era giovane, non era stata capace di protestare contro l’atteggamento dei suoi genitori, nè aveva osato gridare contro di loro: lei soffocò il grido, e le si era chiusa la gola.

Si può vivere così, con una sensazione costante di insoddisfazione, che ti corrode la vita? No, non si può. Che vita sarebbe?

Stanca di stare male, avevo speso l’anno prima della grande decisione leggendo libri psicologici e motivazionali per comprendere cosa stesse cercando di dirmi il mio inconscio; siccome non lo ascoltavo, aveva cominciato a urlare – ne avevo parlato anche qui: Non sentirti turbato se la mente pensa (e il corpo risponde).

Alla fine avevo deciso di accogliere la malattia psicosomatica e di ascoltarla: stavo male perché non solo ero invischiata in una relazione d’amore che non faceva per me, ma anche perché non stavo mettendo a frutto i miei talenti, ciò che io ero veramente. Mi stavo soffocando, e di conseguenza non respiravo più.

Ho imparato che si può sempre scegliere: di continuare a fare finta di niente (e stare sempre peggio), o di ascoltare i sintomi della malattia psicosomatica, e diventare ciò che siamo. Purché, come afferma Manara, “si abbia il coraggio di uscire dal territorio cupo dell’ormai per entrare in quello luminoso del perché no?“.

E tu, hai mai sofferto di malattie psicosomatiche? Le hai ascoltate? Come bisogna reagire quando il nostro corpo ci parla, secondo te?


Bibliografia:Claudio Bonipozzi, La medicina psicosomatica in Articoli e pubblicazioni Georg Groddeck, Il libro dell’Es, Adelphi, 1961
Alexander Lowen, Paura di vivere, Astrolabio, 1980
Fausto Manara, Occhiali per l’anima, Sperling & Kupfer, 2005
Raffaele Morelli, Puoi fidarti di te, Mondadori, 2009