lunedì 20 novembre 2017

Perché abbiamo bisogno di piangere?


Lungi dall'essere sinonimo di debolezza, il pianto ci aiuta a canalizzare e a liberare le tensioni e ha sul nostro organismo un effetto simile a quello degli analgesici.

Veniamo al mondo piangendo. Piangiamo tanto, a volte per tristezza, altre di felicità. Troppo spesso abbiamo bisogno di piangere, ma ci tratteniamo dal farlo perché pensiamo che in questo modo saremo più coraggiosi o perché, comunque, non viene ben visto lasciarsi andare in questo modo.

Tuttavia, questo modo di “scaricarsi” è essenziale per esprimerci, per andare avanti o per dimostrare come ci sentiamo. In questo articolo vi raccontiamo perché abbiamo bisogno di piangere di tanto in tanto.

Il bisogno di piangere profondamente per liberarci

Le lacrime sono uno strumento usato per vari fini: per scaricare la tensione o per attirare l’attenzione, per dare sfogo alla nostra tristezza o alla delusione, per ricordarci di qualcosa che è successo in passato, ecc. Può anche essere una reazione fisica istintiva, come quando starnutiamo, soffriamo di allergie o ridiamo a crepapelle.

Piangere ci fa sentire meglio, più tranquilli e può aiutarci ad essere coscienti di cose che non vedevamo o che non volevamo vedere.

Certamente ricorderete una di quelle volte in cui avete pianto “con tutte le vostre forze” e dopo vi siete addormentati di sasso oppure siete usciti dall’angolo in cui vi eravate rifugiati per svolgere qualche attività. Perché? Perché il pianto serve per togliersi un gran peso dalle spalle.

Esistono persone in grado di piangere, ma ce ne sono altre che non riescono a farlo così facilmente. Quando siamo piccoli, veniamo spesso rimproverati quando piangiamo, perché ci viene detto che è una cosa da deboli, da capricciosi o da viziati.

Si tratta di una cosa che rimane incisa nella nostra mente e per questo, a volte, non ci consentiamo di piangere quando ne abbiamo bisogno.Controllare troppo le emozioni (negandole o camuffandole con sorrisi falsi) è dannoso per la salute.

Se il corpo accumula troppe sensazioni negative, non solo si generano depressione, tensione e stress, ma è anche probabile che ciò influisca sul carattere o la personalità. Maggiore irritabilità, cattivo umore e nervosismo sono alcuni segnali.

Non dimenticate che da qualche parte l’organismo deve pur espellere tutto ciò che fa male e provoca sofferenza. Un giorno non riusciremo più a trattenere queste lacrime e la tristezza sfocerà in un pianto senza precedenti o in un attacco d’ira.

Per quanto riguarda le sofferenze di natura fisica causate dall’assenza di pianto, citiamo il mal di testa o di collo, il mal di stomaco e la nausea. Le difese diminuiscono e saremo più propensi a soffrire di malattie di qualsiasi tipo.

Le emozioni contenute, inoltre, bloccano il flusso di energia e anche questo influisce sulla salute.

Il pianto profondo è un eccellente metodo naturale per sfogare le nostre pene e per capire di più sulle cause del nostro dolore e della nostra tristezza. Ciò non significa che dobbiamo sperare di accumulare tutti questi sentimenti negativi, ma solo che dobbiamo conoscere il modo di lasciare andare tutto ciò che ci danneggia.

Oggi siamo tutti troppo occupati per comprendere a fondo cosa ci succede. Non ci prendiamo il tempo di analizzare le emozioni quotidiane e prendere decisioni profonde ci risulta particolarmente difficile.

Se siamo impegnati tutto il giorno, non riusciremo mai a piangere e a buttare fuori tutta la negatività.

Forse potreste approfittarne mentre fate la doccia o quando andate a dormire. Questo non vi trasformerebbe in autentici depressi cronici, ma in persone che sanno canalizzare i loro dolori in modo positivo. Dopo, vi sentirete certamente bene, leggeri e dotati di molta energia per andare avanti.

Se per voi piangere è molto difficile, non preoccupatevi. Succede a molti. Avrete bisogno di sensibilizzarvi un po’ e prendervi il vostro tempo. Potete mettere un po’ di musica, leggere qualcosa o vedere uno di quei film che richiedono una buona scorta di fazzolettini.

Non starete piangendo per il protagonista o per la storia in sé, si tratta solo di un meccanismo interessante che ci permette di sprigionare ciò che abbiamo accumulato dentro di noi nel tempo.

Sapevate che esiste un punto all’altezza della gola che, se premuto, attiva il pianto? Potete anche provare respirando profondamente. Per molti questa tecnica aiuta.
Il pianto è un calmante naturale

Abbiamo già parlato dell’area “spirituale” dell’atto di piangere, ma abbiamo detto poco sulle sue conseguenze. Sono stati condotti diversi studi per analizzare il perché dopo aver pianto molto ci si sente più tranquilli.

Se il pianto deriva dal dispiacere, il liquido salato (ovvero le lacrime), invece, hanno la capacità di pulire il dotto lacrimale degli occhi e di idratare i globi oculari in modo naturale. A cosa serve ciò? Né più né meno che a sprigionare gli ormoni del benessere.

Quando siamo stressati, ci sono più possibilità di finire per piangere. Questo si deve a una ragione scientifica più che convincente: espellendo le lacrime, eliminiamo ossitocina, noradrenalina e adrenalina. Questi elementi hanno sul corpo gli stessi effetti di un analgesico.

Gli ormoni fissano la loro attenzione su ciò che proviamo, per questo motivo, dopo un gran pianto, ci sentiamo meglio. Come se non bastasse, gli esperti sostengono che piangere faccia diminuire l’angoscia e che favorisca il rilassamento.
Piangere e ridere danno gli stessi benefici?

Ridere e piangere sono due esperienze particolarmente presenti nella nostra vita. Se le analizziamo a livello fisico, si tratta di fenomeni abbastanza simili. Perché? Perché modificano la respirazione e la pressione sanguigna.

Se ridiamo un’ora al giorno, perdiamo ben 14 grammi di grasso. Forse potrà sembrarvi poco, ma se li sommate in un anno avrete perso ben 5 chili. E questo non è l’unico beneficio, infatti ridere fa aumentare l’autostima, ritarda l’invecchiamento ed elimina lo stress e le tensioni.

Il pianto riesce esattamente in quest’ultima cosa. La medicina ippocratica lo considerava un “purgante per gli umori”. Nell’arco della storia, è stato poi mal interpretato come segno di debolezza e poca integrità.

Questo però non è vero. Riempite la vostra vita di risate, ma anche di pianti!

Dal Sito: viverepiusani.it

Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/tag/depressione/

6 cose da fare subito quando hai un attacco di panico



Il cuore sembra impazzito e l'aria all'improvviso comincia a mancare: c'è un modo per stare meglio?

Gli attacchi di panico sanno davvero metterti al tappeto. Stai benissimo e, tutto d'un tratto, ti senti sopraffatta dalla paura. Ognuna reagisce a modo proprio, c'è chi ha bisogno d'aria, chi del contatto fisico e chi ha bisogno di ricordarsi di fare respiri profondi. Per quanto fastidiosi siano, gli attacchi di panico non sono assolutamente da condannare e sottovalutare. Tu vai bene così come sei, devi però impegnarti per sconfiggerli.

Essere te stessa è un importante passo avanti e il percorso da fare è lungo e necessario: ecco delle cose che puoi fare immediatamente, così da essere più tranquilla.


1. Inspira dal naso ed espira dalla bocca

Immagina che l'aria che immetti dentro sia bianca, pura, buona, e quella che butti fuori nera, cattiva, da scacciare. Quest'ultima è esattamente la paura che esce da te. In effetti, gli attacchi di panico sono la manifestazione di qualche spettro che, volente o nolente, ci portiamo dentro. Il nostro corpo ci fa capire che qualcosa non funziona e, per farlo, rende il nostro cuore un velocista, ci appanna la vista, ci fa fluttuare in un universo distante dal nostro.
Può darsi che tu riesca a controllarli però, se dovessero persistere, non prenderli sotto gamba: rivolgiti ad uno specialista.

2. Parla

Con chi ti sta accanto in quel momento, con un passante, con un negoziante. Parlare ti farà prendere contatto con la situazione che realmente ti circonda. Questo perché spesso succedono cose che non ti piacciono, tieni tutto dentro e rimane lì intrappolato. Avere questo atteggiamento, purtroppo, non è un gran punto di partenza, soprattutto se sei una persona naturalmente ansiosa.
Se il tuo ragazzo si presenta con 40 minuti di ritardo e non ha nemmeno l'accortezza di avvisare, non sei tu che sei paranoica, è lui che potrebbe applicarsi di più. In generale, dì ad alta voce quello che non ti piace. Magari non stravolgerà le cose ma, di certo, ti sentirai meglio.

3. Scrivi, canta e disegna

Vedere fuori di te quello che ti sta tormentando può essere davvero d'aiuto. Scrivi come ti senti, dipingi sogni e paura, canta per scaricare la tensione. Sembrerà una follia, soprattutto se pensi a quei momenti durissimi, ma è un modo efficace per portare la mente altrove.

4. Conosci te stessa e immagina quel che accadrà dopo

Questo è il motto scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi e non esiste al mondo niente di più vero. Il trucco sta nel conoscere quello che sta per succedere perché, come noto, troviamo conforto nelle cose che sono per noi familiari. Sai cosa accadrà e sai che per qualche minuto sembrerà la fine del mondo ma sai anche che, effettivamente, non sarà così. Prenditi il tuo tempo e immagina. Ti mancherà il fiato, forse ti girerà la testa ma, in men che non si dica, tornerai ad essere te stessa. Forse una versione un po' traballante, ma starai bene e sarai tu.

5. "Resta con te"

Ci sono persone che si affidano ad un mantra da ripetere nei momenti di bisogno, frasi semplici su cui concentrarsi e da ripetere (quasi) all'infinito, finché tu e la situazione non sembrate calmarvi. Altre invece si sentono meglio recitando una vecchia poesia imparata da bambine. Trova delle parole a cui vale la pena aggrapparsi e cerca di essere la tua àncora di salvataggio. Parlarne con qualcuno fa bene però purtroppo, durante un attacco di panico, non sempre abbiamo la fortuna di non essere sole.

6. Gioca a "se fosse..."

Ormai l'hai capito, durante un attacco di panico è importante tenere la mente occupata.
"Se fosse" è un gioco semplicissimo che spesso i genitori fanno in macchina con i bambini e che, al trentaduesimo "quanto manca" devono necessariamente inventarsi qualcosa. Pensa a qualcuno, a te, ad un'amica, a tua madre, e immaginala in vesti diverse. Chi sarebbe se fosse una cantante, quale sarebbe se fosse un colore, che gusto avrebbe se fosse un dolce... ti aiuterà a superare il peggio!

Gli attacchi di panico sono fastidiosi e difficili da spiegare ma non lasciare che loro ti definiscano: sei circondata da persone pronte ad aiutarti, devi solo chiedere.
Prova a rilassarti e... cerca di essere felice. Te lo meriti!




Dal Sito: www.alfemminile.com

Ansia e panico: come curarli


Maggiormente diffusi tra le donne, possono manifestarsi in qualunque istante della vita modificandone la qualità

Ansia e panico sono solo alcune delle parole abusate al giorno d’oggi nel linguaggio comune, ma solo chi ne soffre ne conosce davvero il significato. L’ansia o il panico sono tirati in ballo per descrivere situazioni difficili o persone particolarmente apprensive, ma nella realtà identificano sintomatologie ben precise e riconoscibili. Le più diffuse sono:

- Indolenzimenti e contratture muscolari

- Tachicardia e palpitazioni

- Sensazione di soffocamento

- Mal di testa

- Sudorazione eccessiva

- Tremore muscolare

- Disturbi gastrointestinali

- Irritabilità

- Parestesie locali

Si tratta di manifestazioni che inizialmente vengono recepite, da chi le prova, come esclusivamente fisiche. Insorgono in maniera così apparentemente improvvisa e “fisica” che, almeno inizialmente, si cerca di individuare una causa patologica che spieghi tali disturbi. In genere, dopo le prime visite e analisi (risonanze, esami neurologici, ecc…) si scopre di non avere alcun tipo di patologia scatenante.

E così, comincia la fase più difficile: il doversi confrontare più o meno frequentemente con le sensazioni spiacevoli tipiche delle crisi di ansia generalizzata o di crisi di panico senza che vi sia una causa patologica individuabile e, dunque, curabile velocemente, rende il soggetto coinvolto estremamente vulnerabile e fragile, oltre a fargli provare uno stato profondo di smarrimento e, spesso, di depressione. L’ansia comincia a creare un circolo vizioso di fobie e “paura della paura”, ovvero il timore di riprovare le stesse sensazioni spiacevoli che, inevitabilmente, innescano un avvitamento della persona fino, nei casi peggiori, a provocare un cambiamento nettamente peggiorativo dello stile di vita.

In aggiunta, occorre sottolineare come, in genere, il soggetto che soffre di disturbi di ansa non si sente pienamente compreso da chi gli sta intorno, poiché è difficile, per chi non lo prova o non lo ha provato, comprendere fino in fondo l’entità del disagio.

Dunque, spesso è difficile ottenere il giusto sostegno o aiuto da parte di chi vive accanto. Inoltre, i disturbi di ansia o di panico “celano”, nella maggior parte delle volte, dei conflitti interiori che vengono esternalizzati e camuffati sotto forma di disturbi di ansia o panico. E quindi, è difficile risalire alle cause dei propri disagi psicologici. La vita frenetica, gli stress lavorativi e familiari, la carriera, la corsa nell’affrontare gli impegni, la complessità delle relazioni personali…sono tutti fattori scatenanti. Le persone soggette ai disturbi di ansia sono sempre più in aumento tanto che il disturdo d’ansia generalizzata potrebbe essere definito come la malattia del secolo.

Per tutti questi motivi, nel caso di disturbi di ansia generalizzata o di crisi di panico, è consigliabile affidarsi il prima possibile a uno psicologo esperto in grado di fornire, non solo gli strumenti per affrontare nel breve le eventuali crisi che dovessero insorgere, ma soprattutto per risolvere il problema nel lungo periodo. Solo con una terapia cognitiva-comportamentale è possibile scavare a fondo nel proprio essere e far riemergere le reali cause e conflitti interiori che sono alla base dei disturbi di ansia e panico al fine di una loro risoluzione.




Dal Sito: www.prontoprofessionista.it

martedì 7 novembre 2017

Ansia e paura


Utilizziamo continuamente le parole ansia e paura con una certa leggerezza. Spesso per parlare di una stessa situazione o esperienza, ma conosciamo realmente la differenza tra questi due termini?

Paura

La paura è una delle emozioni basiche per eccellenza, necessarie molto spesso in diverse occasioni. Tutti in diversi momenti della vita abbiamo provato questa emozione con maggiore o minore intensità. Tuttavia, quando la sperimentiamo?

La paura si attiva di fronte alla presenza di una minaccia, che può essere una percezione o un’interpretazione di pericolo per il nostro benessere fisico o psicologico. Solitamente si presenta di fronte ad un pericolo reale, presente ed imminente, anche se gli studiosi sostengono che si prova paura anche verso i pericoli immaginari.

In qualsiasi caso, il denominatore comune di tutto questo è dato dalla capacità di mettere in funzione il comportamento d’emergenza dell’individuo che lo sperimenta, in modo da far scattare l’attivazione necessaria per evitare o fuggire dalle situazioni che la generano. La maggior parte delle volt,e le nostre paure sono passeggere, perché non suppongono un problema importante per la nostra vita, però le forme di risposta emotiva alla paura possono alterare in forma significativa le nostre abitudini di vita.

Grazie all’intervento della corteccia prefrontale, prendiamo coscienza della sensazione di paura, e possiamo interpretare la situazione in maniera corretta, sovrainterpretarla o malinterpretarla, a seconda di come valutiamo la situazione nella quale ci troviamo. Quando proviamo paura, quindi, si attivano due considerazioni importanti: la perdita e l’immediatezza, che determinano il nostro comportamento.

Le risposte e le strategie che adottiamo dipendono dalle nostre convinzioni e aspettative di come affrontare la paura e possono essere attive (affrontare) o passive (evitare o fuggire). Quanto più saremo convinti, tanto più saranno efficaci le nostre abilità e i nostri mezzi per regolare questa emozione. Se la paura non viene controllata in modo adeguato, infatti, ci creerà sfiducia, preoccupazione e malessere.

Ansia

L’ansia è relazionata agi avvenimenti che dovranno succedere, ovvero quando stiamo aspettando che qualcosa succeda e prevediamo gli effetti negativi che questo qualcosa produrrà. Ci fa oscillare, come la paura, tra l’accettazione e l’incapacità.

La funzione dell’ansia, quindi, sarà di attivarci davanti all’aspettativa di un possibile pericolo, facendoci capire in modo selettivo o amplificando le informazioni che sono considerate minacciose, e non dando peso al resto delle condizioni stimolanti che consideriamo neutre.

Possiamo quindi fare una chiara distinzione tra paura e ansia, e si tratta della certezza della presenza dello stimolo, essendo chiara nel caso della paura e confusa e imprecisa nel caso dell’ansia. Quando proviamo ansia, sperimentiamo una grande preoccupazione prodotta dall’anticipazione degli effetti negativi di una situazione futura e questo può determinare in molti casi la salute mentale di un individuo.

Come tenerle sotto controllo

Come abbiamo già detto, la paura è relazionata alla valutazione di un pericolo imminente, mentre l’ansia con l’aspettativa di qualcosa che succederà nel futuro.

Entrambe le risposte smettono di essere normali quando superano i nostri limiti di tolleranza, quando perdiamo il controllo e quando si produce continuamente un rifiuto agli stimoli che interferisce con il funzionamento dell’individuo stesso.

In questo tipo di situazioni una delle raccomandazioni è quella di intraprendere un processo di disattivazione, poiché il nostro cervello tende a ripetere le risposte emotive positive o negative di fronte alle situazioni che consideriamo particolarmente importanti.

Per questo, dobbiamo imparare a disconnettere, ad eliminare il collegamento esistente tra l’ansia o la paura e le situazioni per ottenere risposte che ci permettono di adattarci meglio. Possiamo utilizzare tecniche di rilassamento e respirazione per esempio, oltre ad informarci sul funzionamento del nostro cervello e ad arrivare a capirlo. In questi casi è di grande aiuto l’intervento di un professionista. Questi ci aiuterà a capire le associazioni che facciamo delle valutazioni negative sotto forma di preoccupazioni, e anche la differenza tra preoccuparci di qualcosa o occuparsi solo di quel qualcosa e di come le valutazioni che realizziamo siano associate alla paura, a sua volta associata all’aspettativa dell’arrivo di un pericolo imminente.

Ogni caso è differente, per cui un esperto utilizzerà metodi e tecniche differenti a seconda dell’individuo che si troverà davanti.

Dal Sito: lamenteemeravigliosa.it

Psicoterapia: 5 luoghi comuni da sfatare



Andare in psicoterapia è ancora oggi una scelta circondata da tanti luoghi comuni che possono purtroppo allontanare da un percorso di questo tipo e lasciare una persona in balia della sua sofferenza psichica.

1. In psicoterapia ci vanno i pazzi.

Bisognerebbe innanzitutto capire cosa si intenda per pazzia ma questo comporterebbe una riflessione un po’ troppo ampia. Più modestamente, può essere utile ricordare che uno studio di qualche anno fa, il progetto europeo ESEMeD, ha stimato che almeno un italiano su cinque soffre, nel corso della sua vita, di un qualche disturbo mentale. Più di otto milioni e mezzo di persone. Sono pazze?

Forse è più conveniente pensare che, nella vita, può capitare a tutti di stare male, di soffrire di depressione o ansia o, mettendo da parte etichette diagnostiche, di essere litigiosi col partner o coi figli a un punto tale che la vita diviene impossibile.

Probabilmente sarebbe invece più utile chiedere aiuto e decidere di affrontare un cambiamento. Fare una psicoterapia significa voler stare meglio. È una scelta di salute che permette di conoscersi meglio, mettere a fuoco le proprie risorse, affrontare in modo più adeguato le proprie tensioni, l’infelicità, l’insicurezza. Ed è un percorso che le ricerche hanno dimostrato essere efficace.

2. Parlare con un amico è la stessa cosa che parlare con uno psicoterapeuta.

La differenza c’è e gli amici non possono essere considerati come sostituti di un terapeuta, sebbene il loro sostegno sia di fondamentale importanza nella vita di ciascuno di noi. Uno psicoterapeuta mette al servizio del paziente le sue competenze per aiutarlo a considerare i suoi pensieri e le sue emozioni da altri punti di vista e a costruire nuovi modi di gestire situazioni problematiche e dolorose.

Uno psicoterapeuta non è semplicemente un professionista che ascolta in modo empatico. È anche un professionista che ha alle spalle anni di formazione e che impiega metodi e tecniche che poggiano su basi scientifiche.

3. Lo psicoterapeuta ti dice cosa fare.

Uno psicoterapeuta non dà consigli né fornisce soluzioni. È una guida che facilita l’esplorazione di se stessi e la scoperta e l’utilizzo delle proprie risorse. Ogni psicoterapeuta fa questo seguendo un suo metodo; ogni persona seguendo i propri tempi e i propri talenti. Come nel proverbio cinese Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.

4. Se uno prende i farmaci, è inutile che faccia una psicoterapia.

I farmaci intervengono esclusivamente sui sintomi e non risolvono il problema di fondo. I farmaci di per sé non costruiscono nuovi modi di essere. Possono però essere un importante supporto parallelo a una psicoterapia: ad esempio, possono placare un’ansia troppo forte mentre contemporaneamente, nelle sedute di psicoterapia, si cerca di capirne il senso e di individuare strategie per gestirla meglio.

5. È meglio uno psicoterapeuta uomo o uno psicoterapeuta donna?

È uguale. La ricerca scientifica non ha indicato alcun legame tra efficacia di una psicoterapia e sesso dello psicoterapeuta. Ciò non toglie che vi possano essere delle preferenze personali e che, ad esempio, una donna abusata dal padre si senta più a suo agio nel parlare con uno psicoterapeuta donna.


Dal Sito: www.quipsicologia.it

Ipocondria (disturbo d’ansia per la salute)


Che cos'è l'ipocondria

L'ipocondria o disturbo d’ansia per la salute è una condizione di disagio caratterizzata da una preoccupazione eccessiva e infondata riguardo la propria salute, tanto che qualsiasi sintomo fisico, anche lieve, viene interpretato come segno di patologia. Chi presenta questo disturbo viene solitamente considerato “malato immaginario” o ipocondriaco, a causa delle sue convinzioni infondate di essere malato.
La prevalenza dell'ipocondria comprende tra l’1,3 % ed il 10% della popolazione, mentre considerando le persone ricoverate in ambulatori medici le percentuali vanno dal 3 all’8 % (Fonte: DSM – 4, 2000). Non si riscontrano differenze tra maschi e femmine nella presenza del disturbo.


Sintomi dell'ipocondria

Per una corretta diagnosi del disturbo d’ansia per la salute è necessario riscontrare la presenza di alcuni tratti specifici:
Preoccupazione di avere o contrarre una grave malattia.
I sintomi somatici non sono presenti o, se presenti, sono di lieve intensità. Se è presente un’altra condizione medica o vi è un rischio elevato di svilupparla, la preoccupazione risulta eccessiva o sproporzionata.
È presente un elevato livello di ansia riguardante la salute e un alto livello di allarme su questi temi.
L’individuo attua eccessivi comportamenti correlati alla salute (come controllare di continuo il proprio corpo alla ricerca di segni di malattia) o presenta un evitamento che potrebbe danneggiare la sua vita quotidiana (evita visite mediche e ospedali).
La preoccupazione per la malattia è presente da almeno 6 mesi, anche se la specifica patologia temuta può cambiare nel corso di questo lasso di tempo.

I comportamenti correlati all'ipocondria

Si evidenziano due tipi di comportamenti tipici, opposti tra loro, che si presentano qualora si soffra di ipocondria:
Eccessiva richiesta di assistenza medica.
Evitamento dell’assistenza medica.

Il disturbo ipocondriaco infatti può portare una persona ad allarmarsi al punto da voler controllare ogni minimo sintomo fisiologico, con la speranza di prevenire le malattie. Viceversa tale preoccupazione può venire volontariamente evitata, per timore di scoprire una grave patologia.
È tipico delle persone che sperimentano il disturbo rivolgersi sempre a centri per la salute fisica, risultando sani a tutti i controlli. Alcuni medici possono reagire negativamente, a causa dell’insistenza nelle richieste dei pazienti, creando incomprensioni. Viceversa i pazienti possono aumentare il loro livello di ansia se i medici sono interessati al loro caso e vogliono approfondire le visite.


Ipocondria e altri disturbi

Per diagnosticare correttamente l'ipocondria è necessario differenziarla da altri disturbi affini. In molte condizioni mediche, per esempio, quando una persona è affetta da una malattia, è normale manifestare uno stato d’ansia. Tuttavia se quest’ansia è sproporzionata rispetto alla gravità della malattia e non si limita nel tempo (ma supera i 6 mesi), può essere diagnosticato il disturbo d’ansia per la salute.

Nel Disturbo da sintomi somatici sussiste una sintomatologia fisica concreta e ben individuabile nel paziente, mentre nel Disturbo d’ansia da malattia i sintomi sono minimi ed è la preoccupazione del paziente ad essere rilevante.

In altri disturbi d’ansia, quali Ansia Generalizzata e Attacchi di Panico, le preoccupazioni sono generali o legate strettamente a ciò che scatena l’attacco, mentre nel Disturbo d’Ansia da malattia il contenuto della preoccupazione riguarda esclusivamente la salute.

Nel Disturbo ossessivo-compulsivo i pensieri possono riguardare la salute, ma risultano intrusivi e riguardano il timore di contrarre una malattia futura, mentre l’ansia da malattia riguarda la situazione presente. Inoltre nell’ipocondria non si riscontrano ossessioni e compulsioni.
Anche nel Disturbo depressivo maggiore possono essere presenti preoccupazioni circa il proprio stato di salute o l’insorgenza di malattie, tuttavia tali pensieri sono legati agli episodi depressivi e mancano della continuità tipica del disturbo ipocondriaco. È possibile diagnosticare entrambi i disturbi nel caso tale continuità sia invece presente.

Infine a differenza dei Disturbi psicotici, nel Disturbo d’ansia per la salute non sono presenti idee deliranti: la persona è consapevole che la malattia che teme non è presente, ma ne avverte comunque i sintomi, mentre lo psicotico è fermamente convinto della presenza della sua malattia immaginaria. Inoltre nei disturbi di tipo psicotico le idee sono esagerate e bizzarre, mentre nell'ipocondria non si sviluppano credenze estremamente distorte.

Esordio e decorso dell'ipocondria

L’esordio e il decorso del Disturbo d’ansia da malattia sono poco definiti. In generale si presenta la prima volta nei giovani adulti e permane fino alla mezza età; sembra essere una condizione pervasiva se non avviene un intervento di cura. Vi è un aumento dell’ansia collegato all’avanzare dell’età, mentre nell’infanzia il disturbo è molto raro.

Cause dell'ipocondria

La causa del disturbo può essere identificata su più fronti, molti dei quali sono tuttora indagati. Tuttavia un singolo evento traumatico (come una malattia che mette a repentaglio la vita dell’individuo) può scatenare la comparsa del disturbo. Anche un’infanzia difficile o traumatica può predisporre una persona a sviluppare tale disturbo. Circa un terzo delle persone affette da ansia da malattia possono manifestare una forma più lieve di ipocondria, ma comunque da analizzare e tenere sotto controllo.

Costrutti psicopatologici caratteristici dell'ipocondria

Il Disturbo d’ansia da malattia può costringere la persona che ne è affetta a continue visite mediche, anche molto approfondite, per verificare la fondatezza dei sintomi che percepisce. Un riscontro negativo da parte del medico non arresta il comportamento del paziente, che continua a chiedere attenzione sulle sue presunte malattie. Tali convinzioni possono far sì che la persona si limiti nella vita di tutti i giorni: chi crede di essere malato si comporta ben diversamente da chi si considera sano. Possono risultare compromesse le relazioni interpersonali, il lavoro e i rapporti familiari.

Il trattamento dell'ipocondria

La terapia per il Disturbo d’ansia da malattia è di tipo farmacologico, psicoterapeutico o un’integrazione dei due. L’approccio farmacologico è utile per alleviare i sintomi o per meglio controllarne alcune fasi più acute, o come supporto alla psicoterapia. È da considerare che, per la natura del disturbo, una persona potrebbe rifiutarsi di assumere i farmaci per paura di ammalarsi o di avere danni alla salute, dato che il contesto medico può allarmare chi soffre del disturbo.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è ritenuta a oggi la forma di intervento più efficace per affrontare con successo il Disturbo d’ansia da malattia. (Fonte: National Institute for Health and Clinical Excelence, NICE, 2011).
Chi soffre di ipocondria interpreta erroneamente le sue sensazioni corporee e ve ne attribuisce una pericolosità esagerata rispetto alla realtà. L’intervento di psicoterapia cognitivo-comportamentale è volto a sostituire l’idea che i sintomi sperimentati siano generati da una grave malattia, costruendo un’ipotesi alternativa, più adeguata e vicina alla realtà. Se i pazienti sono riluttanti ad affidarsi a un percorso di psicoterapia è utile agire con un intervento psicoeducativo (un passaggio intermedio) che meglio delinei sia la situazione della persona che si rivolge al terapeuta, sia gli obiettivi della terapia stessa. Evidenze da studi scientifici (Fonte: Lukens & McFarlane, 2004) confermano l’efficacia dell’intervento psicoeducativo, in particolare se eseguito in gruppo. Il paziente, intrapresa la psicoterapia, viene guidato attraverso un percorso atto a renderlo maggiormente consapevole dei suoi processi mentali, dei meccanismi che governano il suo comportamento. Con l’aiuto del terapeuta vengono individuati i circoli di mantenimento del disturbo e le sue ripercussioni su aspetti comportamentali, con un graduale miglioramento della qualità della vita, fino a quel momento compromessa dal timore di avere una grave malattia.

Dal Sito: studicognitivi.it

Bolo Isterico (nodo alla gola)


Generalità

Il bolo isterico - anche definito "nodo alla gola" - è una condizione clinica nella quale il paziente percepisce una sensazione di corpo estraneo a livello della gola. Tale sensazione può inficiare notevolmente sulla qualità della vita dell'individuo, poiché può rendere difficoltosa la deglutizione.




Se la manifestazione del bolo isterico si presenta come singolo episodio, può essere sufficiente tenere sotto controllo il sintomo senza preoccuparsi eccessivamente. Nel momento in cui questo disturbo si presenta in maniera costante, è invece bene rivolgersi al proprio medico ed, eventualmente, effettuare una visita medica specialistica dall'otorinolaringoiatra.

Cause

Generalmente, il bolo isterico viene percepito dal paziente come la sensazione di avere un nodo alla gola, anche se non vi sono vere e proprie condizioni patologiche a provocarlo.
Molto spesso, l'origine del bolo isterico risiede in una causa di tipo psicologico e rappresenta il sintomo di disturbi ansiosi e depressivi, dato che nulla sta realmente ostruendo la gola.
In alcuni casi, invece, la sensazione di corpo estraneo nella gola può essere provocata da secchezza delle fauci e da frequenti deglutizioni derivanti da stati di stress emotivo, come può accadere in caso di angoscia.
Le cause esatte dell'insorgenza del bolo isterico, pertanto, sono ancora sconosciute, ma alcuni autori affermano che la comparsa di questo disturbo posa correlarsi a un'anomala motilità esofagea, o a un'elevata pressione a livello dello sfintere esofageo superiore.
In altri casi, invece, il bolo isterico non costituisce una sensazione di natura puramente psicologica, bensì il sintomo o la manifestazione clinica di altre malattie. Fra queste patologie, ricordiamo: il reflusso gastroesofageo, gli spasmi esofagei, l'acalasia esofagea, le discinesie idiopatiche, i disturbi neuromuscolari (come, ad esempio, la miastenia gravis) e le neoplasie benigne o maligne della faringe e dell'esofago. Tuttavia, in questi casi, più che di bolo isterico, si preferisce parlare di bolo ipofaringeo.

Diagnosi

La diagnosi del bolo isterico è uno strumento fondamentale per escludere l'eventuale presenza di altre patologie anche molto gravi, quali, ad esempio, i tumori dell'esofago e della faringe.
Dopo un'attenta valutazione dei sintomi effettuata tramite il colloquio con il paziente, il medico può eseguire la palpazione del collo e della gola per verificare la presenza o meno di rigonfiamenti e/o noduli. Inoltre, solitamente, l'otorinolaringoiatra analizza il tratto orofaringeo attraverso l'utilizzo di appositi endoscopi, in modo tale da individuare la presenza di eventuali patologie.

Sintomi

Il bolo isterico consiste nella percezione di un senso di ostruzione alla gola, che sembra essere provocato dalla presenza di un corpo estraneo. Spesso e volentieri, questa sensazione è accompagnata da un'intensa preoccupazione da parte del paziente, che teme che il disturbo possa essere scatenato da gravi patologie. In realtà, nella maggior parte dei casi il problema è di tipo psicologico e l'intensità del fenomeno tende ad aumentare con l'aumentare della preoccupazione dello stesso paziente. Naturalmente, ciò non toglie che l'origine del disturbo debba sempre essere indagata in maniera adeguata con il supporto medico.
Il principale sintomo correlato al bolo isterico consiste nella difficoltà di deglutizione che, talvolta, potrebbe risultare anche dolorosa.

Quando preoccuparsi?

Come accennato, il bolo isterico è un disturbo che nella maggior parte dei casi si rivela correlato a stati ansiosi o a stress emotivi del paziente. Ciò nonostante, non dev'essere trattato con superficialità, soprattutto quando si manifesta in maniera costante nel tempo.
Si consiglia di consultare immediatamente un medico quando si manifestano sintomi, quali:
Presenza di una massa palpabile e/o visibile a livello della gola;
Difficoltà di deglutizione accompagnata da dolore e sensazione di soffocamento;
Mal di gola e/o dolore al collo;
Anoressia;
Perdita di peso corporeo;
Peggioramento graduale dei sintomi.

Trattamento

Purtroppo, al momento non esiste alcun farmaco in grado di contrastare il bolo isterico. Il compito del medico, pertanto, è quello di individuare qual è il fattore scatenante il disturbo e indirizzare il paziente verso il trattamento e il controllo dei sintomi.
Alla luce di quanto appena detto, se ad esempio il bolo isterico è dovuto a condizioni depressive, ansiose o di stress emotivo, la strategia terapeutica dovrà basarsi sulla cura di questi disturbi.
Nel caso in cui il bolo isterico sia provocato da gravi stati di ansia e depressione - oltre a una terapia farmacologica mirata con farmaci antidepressivi e ansiolitici - il medico, se lo ritiene necessario, può consigliare al paziente di ricorrere anche alla psicoterapia.

Dal Sito: www.my-personaltrainer.it

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/benessere/bolo-isterico.html

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/benessere/bolo-isterico.html

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/benessere/bolo-isterico.html

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/benessere/bolo-isterico.html


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2017/09/manipolazione-psicologica/


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2016/03/depressione-sintomatologia-prevalenza-cause/

Uso di cannabis e insorgenza di disturbi psichiatrici: quale relazione?


Psicosi da cannabis, depressione e attacchi di panico: questi sono, secondo ricerche condotte su adolescenti, i disturbi dovuti all'ultilizzo di cannabis.

Alcuni studi che hanno esaminato gli effetti del consumo di cannabis negli adolescenti hanno rilevato una forte correlazione tra uso di cannabis e l‘insorgenza di molti disturbi psichiatrici, come la psicosi da cannabis, la depressione e gli attacchi di panico.

Questi disturbi possono insorgere a causa di uno specifico effetto farmacologico della cannabis, o come risultato delle esperienze stressanti vissute durante l’intossicazione da cannabis. Si è rilevato, inoltre, che tra i consumatori di cannabis vi è un alto rischio di insorgenza di ideazione suicidaria e di tentativi di suicido.

Secondo dati provenienti da indagini condotte sulla popolazione, in media il 31,6% dei giovani adulti europei (15-34 anni) ha utilizzato la cannabis almeno una volta nella vita, mentre il 12,6% ne ha fatto uso nell’ultimo anno e il 6,9% nell’ultimo mese. Una percentuale ancora più alta di europei appartenenti alla fascia dei 15–24 anni ha utilizzato la cannabis nell’ultimo anno (15,9%) o nell’ultimo mese (8,4%) (Osservatorio Europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, 2010).

Il consumo di cannabis è stato associato ad un aumento del rischio di insorgenza di disturbi psichiatrici. In uno studio longitudinale condotto in Svezia su 50.465 maschi svedesi, ad un follow up condotto dopo 15 anni, si è rilevato che coloro che avevano cominciato a consumare cannabis
a 18 anni avevano una probabilità due volte e mezzo maggiore, rispetto ai non consumatori, di essere diagnosticati schizofrenici (Andreasson et al., 1987).

Secondo i risultati di uno studio condotto in Bosnia-Erzegovina (Licanin et al., 2002) l’ abuso di sostanze è risultato molto più alto tra gli adolescenti delle aree urbane (con tassi del 62,4% per l’abuso di alcool e del 70,0% per abuso di cannabis) rispetto a quelli che vivono nelle aree rurali (dove si registra un tasso del 37,6% per abuso di alcool e del 30% per abuso di cannabis). Per quanto riguarda l’età, l’abuso di cannabis è risultato più frequente tra gli adolescenti di età compresa tra i 15 ed i 17 anni. Gli adolescenti consumatori di cannabis sono a rischio sia di
abbandono che di ridotto rendimento scolastico.

L’ uso occasionale o continuativo di cannabis può indurre molti disturbi psichiatrici come psicosi da cannabis, attacchi di panico, depressione che può sfociare in tentativi di suicido. Wayne Hall e Louisa Dagenhardt (2009) hanno individuato degli effetti collaterali legati all’assunzione sia occasionale che continuativa di cannabis.

Per gli autori, gli effetti collaterali legati all’uso occasionale di cannabis possono essere di tre tipi:
attacchi di ansia e di panico, in particolare nei nuovi consumatori;
sintomi psicotici (nel caso di consumo di dosi elevate di cannabis);
incidenti stradali legati alla guida in stato di intossicazione da cannabis.

Gli effetti avversi legati all’uso continuativo di cannabis sono invece:
sindrome di dipendenza da cannabis (osservata in circa il 10% dei consumatori);
bronchite cronica e funzione respiratoria compromessa nei fumatori abituali di cannabis;
sintomi psicotici e disturbi psichiatrici nei consumatori che fanno uso massiccio di cannabis, in particolare nei soggetti con una storia pregressa di sintomi psicotici o con una storia familiare di questi disturbi;
ridotto livello di istruzione negli adolescenti che sono consumatori regolari;
deterioramento cognitivo per i consumatori abitudinari giornalieri da più di 10 anni.

Altri possibili effetti collaterali, individuati dagli autori, legati al regolare consumo di cannabis con relazione causale sconosciuta sono:
tumori delle vie respiratorie;
disturbi comportamentali in bambini le cui madri hanno fatto uso di cannabis durante la
gravidanza;
disturbi depressivi, mania, e suicidio;
uso di altre droghe illecite da parte degli adolescenti.
Cannabis nel DSM IV-TR

Secondo il DSM IV-TR le problematiche derivanti dall’uso di Cannabis sono dipendenza da cannabis e abuso di cannabis.

I disturbi psichici indotti dal abuso di cannabis sono:
Intossicazione da cannabis;
Delirium da Intossicazione;
Disturbo Psicotico Indotto da Cannabis (con manie o con allucinazioni);
Disturbo d’Ansia indotto da Cannabis
Disturbo cannabis-correlati non altrimenti specificati: come il Disturbo Delirante indotto da cannabis che è una sindrome (di solito con deliri di persecuzione) che si sviluppa subito dopo l’uso di cannabis. Essa può essere associata a marcata ansia, depersonalizzazione,
e labilità emotiva e può essere erroneamente diagnosticata come schizofrenia. Successivamente all’episodio può subentrare amnesia. 

L’uso occasionale di cannabis può generare sintomatologie che potrebbero essere diagnosticate erroneamente come crisi di panico, disturbo depressivo maggiore, disturbo delirante, disturbo bipolare, o schizofrenia paranoide.
Ipotesi sul rapporto tra uso di cannabis e psicosi

Ci sono due ipotesi che possono spiegare l’insorgenza di psicosi legato al consumo di cannabis. Lo stato psicotico può verificarsi sia come risultato di uno specifico effetto farmacologico della cannabis, che come il risultato di esperienze stressanti vissute durante l’intossicazione di
cannabis. L’effetto psicotico sembrerebbe derivare dall’azione del delta-9-tetraidrocannabinolo (delta-9-THC), uno dei maggiori e più noti principi della cannabis. La seconda ipotesi è che l’uso di cannabis possa generare schizofrenia, o aggravarne i sintomi, in un
individuo vulnerabile o predisposto. In particolare l’uso regolare e continuativo di cannabis sembrerebbe quadruplicare il rischio di sviluppare un disturbo schizofrenico (Hautecouverture et al., 2006).
Cannabis e ideazione suicidaria

Licanin et al. (2003) hanno osservato una maggior prevalenza di ideazione suicidaria nei consumatori che abusano di cannabis (50,0%) e di alcol (36,6%) rispetto ai non-consumatori, indipendentemente dal sesso del consumatore e/o da cause ambientali. L’aumento dell’ideazione
suicidaria, non è stato osservato nei fumatori di tabacco. In uno di studio condotto in Bosnia-Erzegovina relativo al rapporto tra pensieri suicidari e l’abuso di droghe psicoattive, si è constatato che il 28,7% degli adolescenti che abusavano di droghe psicoattive e il 20,2% che, in particolare, abusava di cannabis, in seguito aveva sviluppato pensieri suicidari (Spremo & Loga, 2005).

Per molto tempo la cannabis è stata la droga illecita più usata dai giovani, soprattutto gli adolescenti. Il consumo di cannabis si è dimostrato essere associato ad un aumentato rischio di disturbi mentali. Gli effetti collaterali del consumo di cannabis dipendono dalla modalità di
somministrazione, dalla dose ricevuta, dal tempo di utilizzo, dalle aspettative del consumatore e dalla sua personalità. Il rischio di insorgenza di disturbi psichiatrici è molto alta nei soggetti vulnerabili, comprese le persone che hanno usato cannabis durante adolescenza, quelli che in
precedenza avevano sperimentato sintomi psicotici, e quelli ad alto rischio genetico di disturbi psichiatrici.

Dal Sito: www.stateofmind.it

Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2014/09/cannabis-disturbi-psichiatrici/

Claustrofobia: quando manca il respiro

Claustrofobia : quando manca il respiro


Sudorazione, affanno, battito cardiaco accelerato, offuscamento della vista, capogiri, sensazione di cadere o essere in trappola, nausea, vomito, tremore, vertigine, formicolio. Questi alcuni sintomi degli attacchi di panico di cui nucleo centrale è la sensazione di pericolo (sovrastima del pericolo) e il proprio sé come estremamente vulnerabile (sottostima della capacità individuali di fronteggiamento)

In particolare la claustrofobia si presenta nel momento in cui ci troviamo in uno spazio chiuso o affollato, ed è associata all’evitamento di oggetti o situazioni che creano senso di oppressione e sensazione di mancanza di libertà di movimento. La paura di soffocare, la sensazione di sentirsi in trappola ed in pericolo, l’impossibilità di muoversi possono invalidare il quotidiano, come i tunnel, i treni, la metropolitana, gli ascensori, le stanze piccole, i negozi, le maschere. Eviteremo di frequentare questi ambienti, ma di fatto aumenteremo la paura dello stesso stimolo, poiché se nell’immediato possiamo sentirci sollevati, alla prossima occasione l’ansia salirà maggiormente. Oltre l’evitamento, la claustrofobia coinvolge il controllo costante ad esempio all’interno di un veicolo, preferiremmo sederci accanto a una porta e viaggiare solo quando c’è poco traffico; nei luoghi pubblici staremo vicino alla porta evitando i bagni affollati. In generale, la claustrofobia è associata ad altre fobie situazionali come il buio, l’altezza, volare in aereo, in cui la percezione di pericolo e del sé indifeso restano alte.

Probabilmente la figura di attaccamento ansiogena, controllante e invadente ci ha scoraggiati verso un comportamento esplorativo dandoci un immagine del mondo pericoloso e ingannevole, e del nostro sé negativa, poco pronta all’adattamento, e al superamento di un ostacolo. Il dilemma che si crea nell’età adulta è rinunciare alla sicurezza della compagnia in modo da essere liberi (e da soli di fronte ai pericoli) o rinunciare alla libertà di esplorazione in cambio di una protezione che rassicura (ma che può anche soffocare). Potremo aderire a un’immagine di sè apparentemente sicura e autonoma (non mi fido del mondo e degli altri - claustrofobia) o imbarcarci in rapporti affettivi stretti dai quali dipendere (agorafobia – paura spazi aperti). Nel primo caso sentiamo pericolose le situazioni che interpretiamo come perdita di libertà, soffocamento e i legami affettivi sono a basso coinvolgimento.

Con questi ingredienti potremo sentirci poco sereni nella routine o con gli amici, dovendo rinunciare a molte cose, o incontrare difficoltà relazionale, specie nella vita di coppia o con un figlio. Un intervento cognitivo comportamentale può essere la via per ritornare a respirare serenamente e non sentirsi in uno stato di perenne sofferenza emotiva e limitazioni quotidiane.

di Rita Verardi- psicologa e psicoterapeuta