Può capitare che, in un certo momento della propria vita, si avverta l’ esigenza di rivolgersi ad uno psicoterapeuta per risolvere un disagio di natura psicologica, una problematica conclamata o, più semplicemente, perché si desidera acquisire maggiore conoscenza e consapevolezza di se stessi.
Necessariamente si deve fare una scelta relativa a quello che è il percorso più adatto alle proprie esigenze, scelta tutt’ altro che semplice e scontata per chi sia avvicina per la prima volta al mondo della psicoterapia.
È, innanzi tutto, importante specificare che esistono molti tipi di psicoterapia, ognuno dei quali fa riferimento ad una scuola di pensiero diversa e quindi ad un differente approccio metodologico al paziente e che all’ interno di ogni modello si sono evidenziate, nel tempo, sottili differenze.
Partendo dal presupposto che non esiste un tipo di terapia migliore o peggiore rispetto all’altra, esistono diversità significative tra i modelli per quanto riguarda le tempistiche, le modalità di lavoro e gli obiettivi che ognuna di esse si pone.
Proviamo a fare un po’ di chiarezza…
Tenendo conto della complessità della mente umana, si sviluppa
l’ esigenza di fare riferimento, per la sua comprensione ed interpretazione, ad un paradigma che la sostenga, ossia ad un insieme di assunti che definiscano i modi per concettualizzare, studiare, raccogliere e interpretare i dati (Davison e Neal, 2001).
Dal paradigma teorico si sviluppano le applicazioni pratiche che danno forma ad ogni approccio psicoterapeutico.
Il paradigma più “antico” può essere considerato quello psicoanalitico che ha avuto come padre fondatore il famoso Freud ma i cui temi cruciali si sono andati modificando nel corso del tempo dando vita a diversi tipi di psicoanalisi.
L’assunto alla base della psicoanalisi classica è che la psicopatologia nasca da conflitti di tipo inconscio e che il processo di guarigione si possa ottenere facendo in modo che tali contenuti rimossi (contenuti coscienti che, in quanto insopportabili per la mente, sono stati trasferiti in una dimensione inconscia) riemergano alla coscienza per essere elaborati, eliminando così la psicopatologia presente. Essendo l’obiettivo quello di entrare in contatto con aspetti inconsci, le sedute psicoanalitiche danno una grande importanza all’interpretazione dei sogni, alle associazioni libere, ai lapsus, all’analisi del transfert e del controtransfert e, in generale, a tutti quegli aspetti che sfuggono al controllo cosciente della persona.
All’interno del paradigma psicoanalitico, oltre a Freud, altri autori di spicco che hanno incoraggiato modalità psicoanalitiche diverse sono, per citarne alcuni: Jung, Lacan, Winnicot, Erikson. Ciò che accomuna tutte gli psicoterapeuti che abbracciano tale indirizzo è che il sintomo viene considerato come conseguenza di un conflitto di natura inconscia che, per potersi risolvere, deve essere reso cosciente. La terapia psicoanalitica prevede che si stabilisca una stretta relazione tra psicoterapeuta e paziente grazie alla quale il primo aiuta il secondo ad elaborare la struttura di tutti quei conflitti che sono responsabili del sintomo manifesto.
Ciò determina un percorso terapeutico piuttosto lungo che porta ad acquisire una maggiore consapevolezza della propria persona a livello globale.
Tali aspetti inconsci non vengono, invece, presi in considerazione da quei terapeuti che abbracciano un’ottica comportamentale, i quali adottano un tipo di psicoterapia interessata a modificare certi comportamenti specifici piuttosto che a scoprire conflitti inconsci (Davison e Neal, 2001).
Partendo dal presupposto che il comportamento è il risultato di un apprendimento, il trattamento terapeutico si basa sul ri-apprendimento di una nuova risposta più adattiva; a tal fine vengono proposte varie tecniche che aiutano il paziente ad avvicinarsi all'oggetto o alla situazione fonte di ansia, ad evitare di perpetuare in certi comportamenti nocivi (per esempio abbuffarsi), abbandonare abitudini fastidiose (come ad esempio la tendenza a ruminare o a mettere in atto comportamenti compulsivi).
Tali terapie agiscono sul sintomo e producono buoni risultati con tutti i disturbi dello spettro ansioso.
Similmente a questi ultimi, gli approcci cognitivo-comportamentali, accanto alla modifica del comportamento, aggiungono una maggiore enfasi sul pensiero del paziente: il terapeuta cerca di modificare anche i processi cognitivi allo scopo di correggere le emozioni oltre ai comportamenti (Davison e Neal, 2001). Ciò apre la strada a diverse correnti di pensiero, di cui, tra le più diffuse ci sono: la terapia razionale-emotiva di Ellis o il modello cognitivo di Beck.
Particolarmente focalizzate sulle emozioni, sono le terapie umanistiche ed esistenziali, le quali si basano sul presupposto che il comportamento disturbato possa essere modificato incrementando la consapevolezza che l’individuo ha delle sue motivazioni e dei suoi bisogni, dando un grande risalto alla libertà di scelta della persona e considerando il libero arbitrio come la caratteristica più importante dell’ essere umano (Davison e Neal, 2001). Esponenti particolarmente noti di questo approccio sono Rogers, con la sua terapia centrata sul cliente e Perls con la terapia della Gèstalt.
La complessità relativamente agli approcci è molto più vasta di quanto io sia riuscita ad esporre fino ad adesso. Altri orientamenti non descritti in questa sede sono, ad esempio:
terapia sistemica, che vede il portatore del sintomo come facente parte di un sistema, quello familiare, dal quale non può essere isolato al fine di essere compreso
costruttivista, che pone una particolare importanza al significato che il sintomo riveste nella vita della persona
bioenergetica, che parte dal presupposto che ciò che avviene sul corpo influenza la mente e viceversa e pertanto si basa sulla comprensione dei processi energetici che avvengono nel corpo
transazionale, che dà una grande importanza al ruolo dell’ esperienza, in particolar modo quella intersoggettiva, con particolare attenzione ai comportamenti comunicativi che l’individuo si costruisce nell'interazione dinamica col proprio ambiente
strategica, che si occupa di eliminare sintomi e comportamenti fonte di sofferenza in tempi molto brevi avvalendosi dell’uso di strategie di cambiamento e della comunicazione persuasiva, focalizzandosi sul presente.
La psicoterapia si rivolge al singolo individuo, alle coppie, alle famiglie ed ai gruppi e, nonostante la modalità di lavoro scelta da ogni approccio sia diversa, uno degli obiettivi comuni è quello di aiutare il paziente a “stare meglio”.
Attualmente, viene rivolto un discreto interesse ai modelli detti integrati, a tutti quei modelli, cioè, che basandosi sui contributi delle diverse proposte teoriche, cercano di fare in modo che i diversi approcci si affianchino e si uniscano al fine di creare un modello più completo, flessibile ed adattabile alle diverse caratteristiche del paziente.
Lo stesso approccio di specializzazione scelto da me, l’approccio comparato, fa parte dei modelli integrati, sebbene quest’ ultimo si focalizzi sul confronto tra un modello e l’altro piuttosto che sulla loro integrazione.
L’obiettivo finale consiste nel tailoring, ossia nella capacità di ritagliare un’intervento psicoterapeutico sugli aspetti peculiari del paziente.
L’essere umano è un essere complesso e, proprio per questo, la disciplina che si occupa di comprenderlo non può che essere altrettanto articolata. Ogni modello psicologico fornisce un vasto ventaglio di possibilità per aiutare il paziente a superare le difficoltà; nonostante questo la scelta di una terapia o dell’ altra è, talvolta, veicolata dalla richiesta del paziente.
Se l’unica esigenza è quella di eliminare un sintomo in tempi rapidi (“Dopo l’ attacco di panico non riesco a prendere il treno e invece devo farlo perché mi serve per andare a lavoro”), le terapie focalizzate sul sintomo, quali quelle comportamentali o strategiche saranno le più efficaci nell’immediato (sebbene non risolvano il problema alla base: “Perché ho avuto un attacco di panico?”).
Al contrario, le terapie analitiche o quelle umanistiche ed esistenziali, focalizzandosi sul vissuto dell’individuo, gli consentono di conoscersi meglio e di annullare, di conseguenza, il sintomo; questo obiettivo, però, richiede molto tempo per essere raggiunto.
Dal paradigma teorico si sviluppano le applicazioni pratiche che danno forma ad ogni approccio psicoterapeutico.
Il paradigma più “antico” può essere considerato quello psicoanalitico che ha avuto come padre fondatore il famoso Freud ma i cui temi cruciali si sono andati modificando nel corso del tempo dando vita a diversi tipi di psicoanalisi.
L’assunto alla base della psicoanalisi classica è che la psicopatologia nasca da conflitti di tipo inconscio e che il processo di guarigione si possa ottenere facendo in modo che tali contenuti rimossi (contenuti coscienti che, in quanto insopportabili per la mente, sono stati trasferiti in una dimensione inconscia) riemergano alla coscienza per essere elaborati, eliminando così la psicopatologia presente. Essendo l’obiettivo quello di entrare in contatto con aspetti inconsci, le sedute psicoanalitiche danno una grande importanza all’interpretazione dei sogni, alle associazioni libere, ai lapsus, all’analisi del transfert e del controtransfert e, in generale, a tutti quegli aspetti che sfuggono al controllo cosciente della persona.
All’interno del paradigma psicoanalitico, oltre a Freud, altri autori di spicco che hanno incoraggiato modalità psicoanalitiche diverse sono, per citarne alcuni: Jung, Lacan, Winnicot, Erikson. Ciò che accomuna tutte gli psicoterapeuti che abbracciano tale indirizzo è che il sintomo viene considerato come conseguenza di un conflitto di natura inconscia che, per potersi risolvere, deve essere reso cosciente. La terapia psicoanalitica prevede che si stabilisca una stretta relazione tra psicoterapeuta e paziente grazie alla quale il primo aiuta il secondo ad elaborare la struttura di tutti quei conflitti che sono responsabili del sintomo manifesto.
Ciò determina un percorso terapeutico piuttosto lungo che porta ad acquisire una maggiore consapevolezza della propria persona a livello globale.
Tali aspetti inconsci non vengono, invece, presi in considerazione da quei terapeuti che abbracciano un’ottica comportamentale, i quali adottano un tipo di psicoterapia interessata a modificare certi comportamenti specifici piuttosto che a scoprire conflitti inconsci (Davison e Neal, 2001).
Partendo dal presupposto che il comportamento è il risultato di un apprendimento, il trattamento terapeutico si basa sul ri-apprendimento di una nuova risposta più adattiva; a tal fine vengono proposte varie tecniche che aiutano il paziente ad avvicinarsi all'oggetto o alla situazione fonte di ansia, ad evitare di perpetuare in certi comportamenti nocivi (per esempio abbuffarsi), abbandonare abitudini fastidiose (come ad esempio la tendenza a ruminare o a mettere in atto comportamenti compulsivi).
Tali terapie agiscono sul sintomo e producono buoni risultati con tutti i disturbi dello spettro ansioso.
Similmente a questi ultimi, gli approcci cognitivo-comportamentali, accanto alla modifica del comportamento, aggiungono una maggiore enfasi sul pensiero del paziente: il terapeuta cerca di modificare anche i processi cognitivi allo scopo di correggere le emozioni oltre ai comportamenti (Davison e Neal, 2001). Ciò apre la strada a diverse correnti di pensiero, di cui, tra le più diffuse ci sono: la terapia razionale-emotiva di Ellis o il modello cognitivo di Beck.
Particolarmente focalizzate sulle emozioni, sono le terapie umanistiche ed esistenziali, le quali si basano sul presupposto che il comportamento disturbato possa essere modificato incrementando la consapevolezza che l’individuo ha delle sue motivazioni e dei suoi bisogni, dando un grande risalto alla libertà di scelta della persona e considerando il libero arbitrio come la caratteristica più importante dell’ essere umano (Davison e Neal, 2001). Esponenti particolarmente noti di questo approccio sono Rogers, con la sua terapia centrata sul cliente e Perls con la terapia della Gèstalt.
La complessità relativamente agli approcci è molto più vasta di quanto io sia riuscita ad esporre fino ad adesso. Altri orientamenti non descritti in questa sede sono, ad esempio:
terapia sistemica, che vede il portatore del sintomo come facente parte di un sistema, quello familiare, dal quale non può essere isolato al fine di essere compreso
costruttivista, che pone una particolare importanza al significato che il sintomo riveste nella vita della persona
bioenergetica, che parte dal presupposto che ciò che avviene sul corpo influenza la mente e viceversa e pertanto si basa sulla comprensione dei processi energetici che avvengono nel corpo
transazionale, che dà una grande importanza al ruolo dell’ esperienza, in particolar modo quella intersoggettiva, con particolare attenzione ai comportamenti comunicativi che l’individuo si costruisce nell'interazione dinamica col proprio ambiente
strategica, che si occupa di eliminare sintomi e comportamenti fonte di sofferenza in tempi molto brevi avvalendosi dell’uso di strategie di cambiamento e della comunicazione persuasiva, focalizzandosi sul presente.
La psicoterapia si rivolge al singolo individuo, alle coppie, alle famiglie ed ai gruppi e, nonostante la modalità di lavoro scelta da ogni approccio sia diversa, uno degli obiettivi comuni è quello di aiutare il paziente a “stare meglio”.
Attualmente, viene rivolto un discreto interesse ai modelli detti integrati, a tutti quei modelli, cioè, che basandosi sui contributi delle diverse proposte teoriche, cercano di fare in modo che i diversi approcci si affianchino e si uniscano al fine di creare un modello più completo, flessibile ed adattabile alle diverse caratteristiche del paziente.
Lo stesso approccio di specializzazione scelto da me, l’approccio comparato, fa parte dei modelli integrati, sebbene quest’ ultimo si focalizzi sul confronto tra un modello e l’altro piuttosto che sulla loro integrazione.
L’obiettivo finale consiste nel tailoring, ossia nella capacità di ritagliare un’intervento psicoterapeutico sugli aspetti peculiari del paziente.
L’essere umano è un essere complesso e, proprio per questo, la disciplina che si occupa di comprenderlo non può che essere altrettanto articolata. Ogni modello psicologico fornisce un vasto ventaglio di possibilità per aiutare il paziente a superare le difficoltà; nonostante questo la scelta di una terapia o dell’ altra è, talvolta, veicolata dalla richiesta del paziente.
Se l’unica esigenza è quella di eliminare un sintomo in tempi rapidi (“Dopo l’ attacco di panico non riesco a prendere il treno e invece devo farlo perché mi serve per andare a lavoro”), le terapie focalizzate sul sintomo, quali quelle comportamentali o strategiche saranno le più efficaci nell’immediato (sebbene non risolvano il problema alla base: “Perché ho avuto un attacco di panico?”).
Al contrario, le terapie analitiche o quelle umanistiche ed esistenziali, focalizzandosi sul vissuto dell’individuo, gli consentono di conoscersi meglio e di annullare, di conseguenza, il sintomo; questo obiettivo, però, richiede molto tempo per essere raggiunto.
Dott.ssa Ilaria Visconti
Dal Sito: www.psicologiaok.com
4 commenti:
Quando si parla di terapie strategiche ,si include anche la terapia breve strategica( Nardone)? E se sì,quali indicazioni può darci su questa terapia?
Quando si parla di terapie strategiche ,si include anche la terapia breve strategica( Nardone)? E se sì,quali indicazioni può darci su questa terapia?
Il nostro è solo un blog d'informazione e quindi mette a confronto le varie opinioni di esperti. Sicuramente potrà trovare informazioni in merito alla sua domanda su diversi siti.
Posta un commento