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martedì 5 gennaio 2021

Ansia: quando il cuore sta per “scoppiare”



Quando il livello di ansia diventa incontrollabile, il cervello interpreta che c'è un rischio dalquale fuggire così attiva una reazione. Solo chi ha sperimentato in prima persona gli attacchid'ansia può comprendere cosa si prova nel corso del verificarsi di un simile episodio. Gli attacchi di panico (detti anche crisi di panico) sono episodi diimprovvisa ed intensa paura o di una rapida escalation dell'ansia normalmente presente. Sono accompagnati da sintomi somatici e cognitivi. Ad esempio palpitazioni, sudorazione improvvisa, tremore, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea, vertigini, paura di morire o di impazzire, brividi o vampate di calore. Questo momento critico può colpire non solo chi soffre del disturbo in modo cronico ma anche chi non ne soffre. A tutti gli effetti si tratta di un disturbo classificato nel manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM-V). Chi soffre di attacchi di ansia può viverli sia sporadicamente sia periodicamente.

Quali sono i sintomi dell'ansia?Diversi fattori possono scatenare un attacco di ansia. Come ad esempio: una situazione stressante, un evento dal grande impatto emotivo, unepisodio traumatico o anche le feste Natalizie. Dai racconti di chi hasperimentato un simile episodio, emerge che si ha la sensazione che si stia permorire. Si fa riferimento alla sensazione di: cuore che sta per scoppiare. Mail quadro dei sintomi fisici ed emotivi risulta alquanto variegato. Si deveprecisare che si tratta di una forma di crisi, perché in linea di massima l'ansia è una sensazione che ha un’utilitàper gli uomini. Di fatto è un campanello di allarme che segnala unaminaccia.

Quando l'ansia diventa un problema? Quindi un livello di ansia equilibrato spinge ad essere piùefficaci nella quotidianità. Invece il problema sorge quando il livello diansia diventa incontrollabile. In tal caso il cervello interpreta che c’è unrischio dal quale fuggire il prima possibile. Così, attiva una reazione di tipo organico con rilascio di adrenalina nel sangue, accelerazione del cuore, aumentodella pressione sanguigna. Allo stesso tempo la mente invia pensieri negativiche peggiorano la crisi in atto. Perciò, la persona si trova ad affrontare un attacco di ansia. Spesso può risultare più allarmante se chi ne è testimone nonsa cosa sta succedendo e non sa come comportarsi. La sintomatologia degli attacchi di ansia

Diversi fattori e situazioni personali possono innescare gli attacchi di ansia. Ad esempio alcune persone hanno paura di volare, altrepossono soffrire di paure come l'agorafobia o l’aracnofobia. Talvolta unattacco di ansia può nascere in una situazione di grande impatto emotivo. Secondo uno studio condotto all'Università di Seoul, il disturbo psicologico avolte rivela un'origine genetica. Per quanto riguarda il quadro dei sintomi sideve distinguere tra due piani di manifestazioni. Infatti si evidenzianosintomi emotivi quali: nervosismo, tensione, difficoltà di concentrazione, sentimentinegativi, sensazioni di apprensione, paura incontrollabile, pensierifatalistici.

Le caratteristiche del disturbo di panico La caratteristica essenziale del disturbo da attacchi dipanico è la presenza di attacchi ricorrenti e inaspettati. Questi sono seguitida almeno 1 mese di preoccupazione persistente di avere un altro attacco dipanico. La persona si preoccupa delle possibili implicazioni o conseguenzedegli attacchi d'ansia e cambia il proprio comportamento in conseguenza degliattacchi. Principalmente evita le situazioni in cui teme che essi possanoverificarsi. Il primo attacco di panico è generalmente inaspettato, cioè simanifesta “a ciel sereno”, per cui il soggetto si spaventa enormemente e, spesso,ricorre al pronto soccorso. Poi possono diventare più prevedibili. Mentre tra i sintomifisici si individuano di solito: vertigini, sudorazione, tremori e tic, tensionemuscolare, mal di testa, iperventilazione, minzione frequente, mal di stomaco, stanchezzae debolezza, frequenza cardiaca accelerata, aumento della pressione sanguigna difficoltàa respirare e sensazione di un attacco di cuore. Gli attacchi di ansia possono essere collegati alla depressione se si palesano difrequente. Di fatto l'ansia e la depressione derivano dal comune senso diincapacità di controllo. In genere l'ansia e la depressione sono due disturbidiversi. A volte però uno stato ansioso può essere un sintomo depressivo.

Come affrontare un attacco di ansiaNon è semplice superare questa crisi. Per affrontare gliattacchi di ansia è necessario affrontare i sintomi emotivi e razionalizzare lapaura ed il senso di minaccia. Quindi per soccorrere una persona che ha unattacco d'ansia si deve per prima cosa fare appello alla calma. Poi si può aiutarlo a respirare magari slacciando i vestiti che lo opprimono. Inoltre è bene portarlo in un posto all'aperto per farlo respirare meglio. Nel caso poidi iperventilazione si deve farlo respirare attraverso un sacchetto. Inmancanza di questo mezzo lo si può motivare a respirare come se stessesoffiando su una candela. In più è d'aiuto il sostegno delle parole. Quindioltre a ripetergli ‘tutto va bene’ si deve usare un tono pacato. È importanteregolare la respirazione per riportare la calma. Se i sintomi non si risolvonoin breve tempo ed il polso resta accelerato meglio chiamare un’ambulanza. Soprattutto se la persona soffre di: malattia cardiaca, diabete, obesità.

Cura del disturbo dipanico: Psicoterapia per gli attacchi di panico. Nella cura degli attacchi di panico con o senza agorafobia edei disturbi d'ansia in generale, la forma di psicoterapia che la ricercascientifica ha dimostrato essere più efficace è quella“cognitivo-comportamentale“. Si tratta di una psicoterapia relativamente breve, a cadenza solitamente settimanale, in cui il paziente svolge un ruolo attivo nella soluzione del proprio problema. Insieme al terapeuta, si concentra sull'apprendimento di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali alla cura degli attacchi di panico. Ciò nell'intento di spezzare i circoli viziosi del disturbo. Per panico e agorafobia, una cura a base di terapia cognitivo comportamentale è altamente raccomandabile e di prima scelta.Sostanzialmente è controindicato affidarsi ai farmaci o ad altre forme dipsicoterapia senza intraprendere questa forma di trattamento. L'intera comunitàscientifica ha infatti dimostrato essere la più efficace per la cura deldisturbo di panico. 


Dal Sito: ragusanews.com

lunedì 14 dicembre 2020

Ansia: i suggerimenti facili per tenerla a bada




Ansia: i suggerimenti facili per tenerla a bada

È un malessere che colpisce con maggior frequenza le donne: si può controllare ma non va sottovalutato.


Ci sentiamo sempre con il fiato sospeso, l’ambiente che ci circonda appare potenzialmente minaccioso, siamo sempre vigili e preoccupati,anche se non sappiamo con precisione che cosa sia a intimorirci: tutto questo è l’ansia, uno stato emotivo di disagio e di paura suscitato da qualcosa che percepiamo come pericoloso per noi e per i nostri cari e davanti al quale non siamo certi di poterci difendere in modo efficace. Anche se di per sé l’ansia non è uno stimolo negativo, perché spinge alla prudenza e a comportamenti responsabili, può trasformarsi in una tensione continua, logorante e un serio ostacolo alla nostra quotidianità. In questi casi è indispensabile chiedere aiuto. 

FOTOGRAFIA DELL’ANSIA – Il termine ansia viene dal latino anxia, derivante a sua volta dal verbo angere che significa stringere, soffocare. La parola stessa, dunque, descrive lo stato d’animo che vuole indicare: l’ansia è un timore interiore che costringe e toglie il fiato. Di per sé non è un fenomeno anormale, ma è semplicemente è la sensazione di allerta psicologica e fisica che proviamo in presenza di uno stimolo minaccioso: questa condizione vigile e attiva ci mantiene in guardia e ci rende pronti a mettere in atto misure efficaci per proteggerci e preservare la nostra incolumità. Quando però lo stato di tensione non si interrompe mai o diventa eccessivo, può disturbare in maniera più o meno importante le nostre azioni quotidiane e occorre fare qualcosa.

 

I SINTOMI - I sintomi dell’ansia possono essere vari e diversi: di solito coinvolgono sia la sfera cognitiva che quella fisica. Di solito il soggetto in preda all’ansia prova unsenso crescente di allarme e di pericolo, nutre pensieri negativi e pessimisti, oppure sperimenti una sensazione di vuoto mentale. Le reazioni più comuni sono il tentativo di esplorare l’ambiente alla ricerca di spiegazioni, rassicurazioni e, soprattutto, vie di fuga. A questo si accompagnano alcuni sintomi fisici, tra cui l’aumento della sudorazione, il batticuore, il respiro che diventa superficiale e affannoso, la nausea, i disturbi addominali e, nei casi più acuti, il dolore al torace e la difficoltà a respirare. 

 

COME COMPORTARSI – Se abbiamo provato con frequenza uno o più di questi sintomi, o se abbiamo sperimentato un episodio acuto, è opportuno cercare l’aiuto di uno specialista: l’ansia può essere di diversi tipi e richiedere un trattamento specifico: è quindi di pertinenza di un medico preparato. Se invece ci troviamo a dover gestire sintomi blandi o se siamo alle prese con un semplice senso di timore che ogni tanto ci assale e ci infastidisce, possiamo provare a mettere in atto qualche regola di auto-aiuto che ci aiuti   a stare meglio e, soprattutto, a non sentirci a disagio davanti ad altre persone.  

 

-    Impariamo a respirare – Dato che uno dei primi sintomi dell’ansia è proprio il fiato corto, impariamo a gestire lo stress sul filo del respiro. Esistono particolari tecniche, anche mutuate dallo yoga, per mantenere sotto controllo le emozioni sgradevoli proprio tramite la respirazione profonda e diaframmatica: alternando in modo regolare inspirazioni ed espirazioni profonde si possono controllare anche le tensioni muscolari eccessive e recuperare uno stato di benessere e di autocontrollo. 
-    Accettazione – Può sembrare strano a dirsi, ma l’ansia non va combattuta: va invece accettata e persino assecondata, entro certi limiti. Occorre esserne consapevoli e accoglierla come faremmo con un limite fisico o un’imperfezione. Diamo il giusto peso ai nostri bisogni e a quello che ci rende felici: proponiamoci obiettivi ragionevoli e cerchiamo di raggiungerli passo dopo passo anche se sappiamo che il timore ad un certo punto ci assalirà. Quando avremo trovato un modo per arrivare comunque al nostro obiettivo, a quel punto anche l’ansia scomparirà. 
-    Controllo, ma non troppo – Un ansioso di solito fa di tutto per tenere sotto controllo tutti gli aspetti di una situazione. Cerchiamo di non eccedere con questa smania: avere il dominio di ogni aspetto della vita è impossibile, anche se entro una certa misura, di sicuro è alla nostra portata. Pianifichiamo allora le situazioni e prevediamone i possibili punti critici, ma restiamo consapevoli che qualcosa può comunque andare storto: ripetiamo a noi stessi che anche in questo caso di certo saremo in grado di affrontare la situazione e di cavarcela con onore.
-    Non concediamo spazio al pessimismo: la legge di Murphy è purtroppo una tagliola sempre in agguato, ma se vediamo tutto nero, le cose hanno maggiori probabilità di andare storte. Meglio essere ottimisti e sbagliarsi che essere pessimisti e avere ragione. Concentriamoci dunque sul presente, senza lasciarci intimorire dal futuro. 
-    Situazioni ansiogene: la cautela è d’obbligo – Se conosciamo le situazioni che ci creano particolare apprensione, affrontiamole con coraggio ma sempre con cautela e in modo graduale, senza pretendere troppo da noi stessi. Ad esempio, se parlare in pubblico ci terrorizza, facciamo qualche prova davanti allo specchio o con un registratore; potremo passare poi a un piccolo auditorio con qualche amico e conoscente e poi, se siamo riusciti a prendere coraggio, affrontare la presentazione importante della quale il capo ci ha incaricati. Con un po’ di esperienza, e di fiducia in noi stessi, probabilmente l’ansia svanirà. 


Dal Sito: tgcom24.mediaset.it


giovedì 26 novembre 2020

ATTACCHI DI PANICO IN MEZZO ALLA GENTE: ALCUNI CONSIGLI UTILI PER AFFRONTARLI




L’attacco di panico fa parte dello spettro dell’ansia, come il disturbo d’ansia generalizzata e le fobie. Si parla di disturbo di panico quando gli attacchi si verificano in maniera ricorrente e imprevedibile. Tali crisi sono eventi di alcuni minuti caratterizzati da un’ansia e una preoccupazione crescenti e un’intensa paura di morire e di impazzire, accompagnati da sintomi somatici respiratori e cardiaci quali tachicardia, palpitazioni, fame d’aria, dolore toracico e sensazione di oppressione o soffocamento. È possibile provare sentimenti di irrealtà, come depersonalizzazione o derealizzazione, che rappresentano i sintomi psichiatrici del disturbo.

È possibile che la paura di un altro attacco sia tanto intensa che la persona si ritrova a evitare i luoghi pubblici e limitare significativamente le uscite; così, potrebbe modificare la propria vita nella paura di rivivere un evento simile, inficiando la propria socialità e qualità di vita. Tale atteggiamento di fuga e di evitamento non fa altro che rinforzare la propria vulnerabilità, portando allo sviluppo dell’agorafobia, cioè la paura di usare i mezzi pubblici, di stare in mezzo alla gente, di trovarsi in grandi spazi aperti o chiusi e, in generale, di stare da soli fuori da casa propria.

Ciò che contraddistingue il panico è l’ansia. K. Schneider definisce l’ansia come quella sensazione di tensione e malessere che sta nel fondo della vita psichica di tutte le persone. Definisce il panico, invece, come una reazione abnorme a un avvenimento, caratterizzato da una insolita intensità, da una inadeguatezza rispetto al motivo che lo ha scatenato e dall’assunzione di un comportamento esagerato per il contesto.

A causa del presunto stigma sociale, molte persone che soffrono di ansia non cercano aiuto e, per vergogna o per paura, si chiudono in sé stesse. Oggi le conoscenze del campo si sono parecchio ampliate e chiedere aiuto si rivela davvero utile per accettare il disturbo e, di conseguenza, evitare che si instaurino circoli viziosi di preoccupazioni e potere così condurre una vita “normale”.

L’ansia e il panico sono due condizioni emergenti, addirittura prevalenti, della società moderna. Colpiscono 2-3 volte di più le donne che gli uomini e si verificano soprattutto nei giovani. In Italia, secondo il Ministero della Salute il disturbo di panico colpisce 7 milioni di persone e si stima che un attacco colpisca fino al 5% della popolazione nell’arco della vita. Le statistiche potrebbero sottostimare il fenomeno, dal momento che sono molti i casi non diagnosticati per via dell’atteggiamento di chiusura delle persone affette.

Di fronte ad attacchi di panico frequenti, è opportuno che un professionista faccia una diagnosi precisa, escludendo qualsiasi causa di natura organica. Per gestire al meglio il disturbo di panico, si preferisce un approccio integrato che preveda la psicoterapia, come ad esempio la terapia cognitivo comportamentale, e in certi casi la farmacoterapia. Fondamentale è la psicoeducazione: è necessario ricevere tutte informazioni sui meccanismi clinici e psicologici della propria condizione, in modo da essere coscienti che l’attacco in sé non è pericoloso e identificare le proprie paure.

Non sempre i farmaci sono necessari, ma a volte costituiscono un ausilio nel percorso terapeutico. In questo caso sarà lo psichiatra a formulare la terapia farmacologica più efficace per il caso specifico, qualora si riveli necessaria, valutando le eventuali comorbilità e gli effetti collaterali.

Affidarsi a uno psicologo è la scelta più saggia, in modo da essere guidati in questo percorso di scoperta personale da chi, con competenza, offre strumenti potenti per gestire il problema e modificare la propria struttura di pensieri “mal-funzionanti” collegati al panico e all’ansia. Una delle tecniche più efficaci ed utilizzate nella terapia, è l’esposizione graduale: una situazione “ansiogena” viene destrutturata in step, nonché piccole sfide da affrontare gradualmente: avere successo ad uno step funge da fattore “decondizionante” per lo step successivo, riducendo la preoccupazione.

Per chi cerca di controllare un attacco, anche fuori casa, è particolarmente utile padroneggiare una respirazione lenta, dato che l’iperventilazione è uno dei sintomi quasi sempre presenti. Inoltre, andrebbero apprese delle tecniche di rilassamento, come il rilassamento isometrico, che prevede una sequenza ripetuta di tensione e distensione di un gruppo muscolare. Altri strumenti preziosi sono l’allenamento dell’attenzione, la meditazione mindfulness o il body-scan, tecniche che permettono di ristrutturare i propri pensieri grazie a una “pulizia” della mente.

Qualsiasi sia il trattamento che si decide seguire, è decisivo auto-osservarsi durante, prima e dopo gli attacchi, per identificare le situazioni e riconoscere le circostanze ad essi correlate, prevedere quali sono i comportamenti protettivi o di evitamento messi in atto, guardare come cambiano i propri pensieri con la crisi, osservare i sintomi fisici che emergono, e fermarsi a riflettere, in maniera analitica, sui processi che si sperimentano, in modo da fare chiarezza sul proprio stato psicofisico, passo per passo, in un percorso di auto-conoscenza.

Dal Sito: psicologionline

sabato 8 agosto 2020

Pattinare sul ghiaccio sottile: Considerare qualsiasi cosa accada come il nostro sentiero



Appesa a una parete della mia stanza c’è la foto di una ragazza che pattina sul ghiaccio. Avanza scivolando con le braccia alzate e la teste buttata all’indietro. Apparentemente priva di preoccupazioni, è ignara della presenza di un cartello: ATTENZIONE, GHIACCIO SOTTILE. Vi ricorda qualcosa?

Attraversiamo quasi tutti la vita a velocità di crociera

Attraversiamo quasi tutti la vita a velocità di crociera col pilota automatico inserito. Forse le cose vanne bene, o per lo meno la vita e attualmente priva di sventure. Magari abbiamo un lavoro decente, dei rapporti che ci offrono sostegno, siamo in buona salute, eppure, mentre avanziamo scivolando, abbiamo la vaga sensazione che il ghiaccio sotto di noi sia sottile. Avvertiamo il fremito ansioso che vibra di una vaga insoddisfazione, aree di dolore non sanato o di paure mai affrontate. Eppure, per lo più, scegliamo di non guardare sotto la superficie.

Quando la vita prende una brutta piega

Quando la vita prende una brutta piega, quando iniziamo a incontrare crepe nel ghiaccio, che facciamo? Cerchiamo di ripulire la superficie, compiendo gli sforzi abituali per respingere o superare le difficoltà. Oppure cerchiamo di pattinare intorno alle crepe ignorando o reprimendo le nostre reazioni agli episodi spiacevoli.

Tentando di non cadere nelle crepe formatesi nel ghiaccio, scegliamo la nostra strategia, o sforzandoci maggiormente di mantenere il controllo sulla nostra vita, o compiendo tentativi mal diretti di sfuggire alle difficoltà con lo svago, i piaceri, l’attività. Raramente mettiamo in discussione le nostre strategie che sono sempre radicate nella paura. Riteniamo che siano verità indiscutibili. Eppure, comportandoci così, tracciamo i nostri confini, i nostri limiti. Di conseguenza, la nostra vita si riduce a una sensazione di vaga insoddisfazione. A quali strategie ricorriamo per costruirci un terreno apparentemente solido in modo da non affrontare le paure? Esse sono diversificate quanto le personalità.

Strategie

Alcune sono strategie di controllo, tentativi di mantenere un ordine per scongiurare la sensazione del caos incombente. Altre sono strategie di successo che comportano la spinta a far carriera, a trovarsi ai vertici, innestate allo scopo di ignorare il tormentoso imperativo interiore di dimostrare il proprio valore. Ci sono strategie di acquiescenza che cercano l’immaginaria consolazione dell’inserimento, e strategie di cura con cui si spera di trovare sicurezza nell’essere richiesti e apprezzati. Ci sono anche strategie di bisogno in cui assumiamo l’identità della debolezza e tentiamo disperatamente di essere salvati da una persona, da un gruppo o da un’istituzione; e strategie di svago con cui cerchiamo un piacere dopo l’altro per colmare i vuoti dello struggimento e della solitudine. La lista è lunga.

Precipitare nell’acqua ghiacciata

A volte ci tocca precipitare nell’acqua ghiacciata, incapaci di muoverci e di respirare, sopraffatti e in procinto di annegare, prima di essere costretti a occuparci del condizionamento inveterato che manda avanti la nostra vita: le mine della rabbia, paura e confusione. Può essere necessaria una malattia, un rovescio finanziario, il fallimento di un rapporto o la morte di una persona cara per risvegliarci e costringerci a essere semplicemente in quell’acqua ghiacciata. Quando sprofondiamo in queste situazioni indesiderate non possiamo più ricorrere a strategie per non fronteggiare il dolore. È lì, proprio davanti a noi! La perdita della sicurezza finanziaria, della salute o di un rapporto, per esempio, farà affiorare la paura e probabilmente proveremo rabbia, autocommiserazione, depressione e confusione . Il nostro modo di elaborare questi sentimenti ci darà la misura di quanto abbiamo compreso il vero significato della vita.

Quando siamo feriti da uno degli inevitabili colpi della vita

Quando siamo feriti da uno degli inevitabili colpi della vita, la fortuna di avere una pratica spirituale intensa e autentica ci dà la possibilità di fare qualcos’altro che non sia cercare consolazione e fuga. Nei primi anni Settanta comprai una casa con un piccolo appezza mento di terreno nella California del nord. Per undici anni mia moglie ed io coltivammo un grande orto biologico. Avevamo in mente di vivere dei frutti della terra, il che voleva dire allevare capre per il latte, polli e pecore per la carne. Era una vita piacevole ed eravamo soddisfatti di poter crescere i nostri figli nel modo secondo noi più sano. Quando però ci ammalammo entrambi di una grave malattia del sistema immunitario, nel nostro sangue furono rilevati alti livelli di residui di DDT. Il DDT era stato sepolto nella proprietà prima che la acquistassimo e i veleni si erano introdotti nel nostro corpo tramite le verdure e la carne che avevamo coltivato e allevato con tanta cura. L’esposizione prolungata aveva indebolito il sistema immunitario.

Il tentativo di vivere secondo uno stile di vita salutare

Paradossalmente il tentativo di vivere secondo uno stile di vita salutare ed ecologico aveva contribuito all’insorgenza di una malattia debilitante cronica. Non c’era nessuno da incolpare. Seppellire i rifiuti era esattamente ciò che la gente faceva a quei tempi per smaltire i pesticidi. La strategia che avevamo adottato per rendere sicuro e protetto il nostro mondo era fallita. Avevamo pattinato sul ghiaccio sottile. Qualsiasi cosa facciamo, per quanto siano buone le nostre intenzioni, niente ci può dare la certezza di non precipitare nelle acque gelide. Per quanto proviamo, non possiamo mettere in atto strategie e controllare il nostro mondo in modo da evitare ogni difficoltà.

Imparare dal senso di impotenza

L’essenziale è se impariamo o no dal senso di impotenza che scaturisce dal fallimento delle strategie. Quando, ai primi sintomi della malattia del sistema immunitario, la mia vita andò in pezzi, mi ci vollero molti anni per comprendere realmente il grande insegnamento che mi aveva impartito il senso di impotenza dato dalla perdita del controllo. Tuttavia, anche quando impariamo la lezione che ci danno gli sconvolgimenti di questa portata, non appena ci rimettiamo, spesso torniamo a scivolare sul ghiaccio sottile. Magari sappiamo qualcosa della spaccatura nella quale siamo caduti, ma che ne sappiamo delle altre crepe nel ghiaccio? Siamo in grado di riconoscere le nostre delusioni dalle piccole incrinature (i turbamenti, gli sbalzi d’umore, gli sforzi per proteggerci, difenderci, respingere)?

Ciò di cui abbiamo bisogno è vedere con chiarezza che insistiamo a pattinare sul ghiaccio sottile

Ciò di cui abbiamo bisogno è vedere con chiarezza che insistiamo a pattinare sul ghiaccio sottile, che utilizziamo identità, strategie e immagini mentali per mantenerci in moto. Abbiamo bisogno di vedere la nostra energica determinazione a far funzionare le strategie. Allora, quando nella vita si presenteranno situazioni che non ci soddisfano, che mettono in discussione la nostra identità e il nostro senso del benessere, potremo aprirci alla possibilità di imparare queste due lezioni fondamentali.

Prima lezione

In primo luogo potremo imparare a riconoscere che la difficoltà è il sentiero, invece che cercare di sfuggirle. E’ un cambiamento di prospettiva radicale, ma necessario. Quando capita qualcosa di sgradevole, vogliamo raramente averci a che fare. Forse reagiamo con la convinzione “non dovrebbe andare cosi”, o “la vita non dovrebbe essere così ingarbugliata”. Chi l’ha detto? Chi ha mai detto che la vita non debba essere un caos? Di solito, quando la vita non corrisponde alle nostre aspettative, cerchiamo di cambiarla in modo che vi si adattiL’essenza della pratica tuttavia non consiste nel cercare d cambiare la vita, quanto il nostro rapporto con le aspettative: imparare a considerare qualsiasi cosa accada come il nostro sentiero. Le difficoltà non sono ostacoli sul sentiero, sono il sentiero stesso. Sono occasioni di risveglio.

Siamo capaci di imparare cosa significa accogliere una situazione indesiderata, col senso di fragilità che tra smette, come un invito al risveglio? Siamo capaci di considerarla il segnale di una lezione da imparare? Siamo in grado di lasciarla entrare nel cuore? Imparando ad agire cosi, compiamo il primo passo che ci porta a imparare cosa significa aprirsi alla vita cosi com’è. Impariamo che cosa significa essere disposti ad accogliere qualsiasi cosa la vita offra. Anche quando una situazione non ci piace, capiamo che la difficoltà presente è la nostra pratica, il nostro sentiero, la nostra vita.

Seconda lezione

In secondo luogo quando siamo colpiti dalla durezza della vita, possiamo imparare a non puntare il dito accusatore (contro qualcun altro, contro noi stessi, contro un’istituzione o addirittura contro la vita stessa) e a volgere invece l’attenzione all’interno. Spesso, quando siamo afflitti, è una delle cose più difficili da fare, perché proviamo un desiderio intenso di difenderci. Vogliamo con tutte le forze aver ragione. Ma è molto più utile capire con cosa abbiamo contribuito alla situazione: convinzioni, aspettative, esigenze e smanie.

Allora potremo a poco a poco arrivare a comprendere che ogni reazione emotiva è il segnale della presenza di un sistema di convinzioni che non abbiamo ancora esaminato accuratamente. Con la pratica, tale comprensione diventa gradualmente il nostro orientamento di base.

Guardare in noi stessi

Forse intellettualmente ci rendiamo conto della necessita di guardare in noi stessi, ma è come se non lo sapessimo. Ci sono persone di cui ci facciamo beffe perché non sanno vedere di sé le cose più ovvie. Ebbene, quelle persone siamo noi! Dobbiamo ammettere che spesso ci rifiutiamo di vedere quegli aspetti di noi stessi che ci fanno soffrire. Sostanzialmente, vogliamo che la vita ci accontenti; desideriamo sentirci a nostro agio e protetti. L’ultima cosa che vorremmo è mettere in mostra i nostri sostegni traballanti, le convinzioni inconsistenti che si frappongono tra noi e il territorio sconosciuto. Perché? Perché esaminare noi stessi a questo livello non è necessariamente piacevole. Ma fintanto che non diventeremo consapevoli di tutti i sistemi con cui ci manteniamo nell’ignoranza di ciò che si nasconde sotto il ghiaccio, continueremo ad avanzare scivolando privi di direzione.

Quello che ci serve è un cambiamento, graduale

Quello che ci serve è un cambiamento, graduale ma sostanziale, di orientamento verso la vita; un cambiamento che comporti la disponibilità a vedere, a imparare,a essere semplicemente con tutto ciò che incontriamo. Forse non c’è nulla di più basilare e sostanziale del la disponibilità a essere. Essere semplicemente con la nostra esperienza, fosse pure la pesantezza e l’oscurità che circondano la sofferenza, suscita una sensazione di leggerezza e compassione. La chiave è la disponibilità a imparare da delusioni e disinganni. Dolori che ritenevamo di non essere mai in grado di sopportare diventano accessibili. Coltivando la disponibilità a essere semplicemente scopriremo di poter lavorare con qualsiasi cosaFintanto che non arriveremo a comprenderlo, ci escluderemo dall’apertura, dal senso di connessione e riconoscenza, che sono doti naturali dell’essere umano.


Dal Sito: interattivamente.org 

La psicoterapia spiegata nel modo più semplice possibile


Premesse teoriche

Il modello psicoterapeutico adottato per organizzare le prassi d’intervento clinico per le varie problematiche umane di cui la psicoterapia si occupa ha un indirizzo teorico costruttivista ed interazionista che potremmo riassumere in tre punti fondamentali:

gli esseri umani agiscono nei confronti delle “cose” (oggetti fisici, esseri umani, istituzioni, idee…) in base al significato che attribuiscono ad esse;
il significato attribuito a tali oggetti nasce dall’interazione tra gli individui ed è quindi condiviso da questi (il significato è un prodotto sociale);
tali significati sono costruiti e ricostruiti attraverso un “processo interpretativo messo in atto da una persona nell’affrontare le cose in cui si imbatte.

Questo processo interpretativo è costruito da processi psicologici e “I processi psicologici sono canalizzati dall’anticipazione degli eventi”. L’attenzione è qui focalizzata sulla persona, intesa nel suo insieme come sistema complesso, nonché sulla natura processuale della sua vita psicologica. Ogni atto “interpretativo” avviene attraverso un sistema di costrutti personali. “Un costrutto, come la stessa radice semantica lascia intuire, è l’unità elementare di discriminazione attraverso la quale si attua il processo di costruzione. È una dimensione di senso, “un asse di riferimento, un criterio fondamentale di valutazione” che può essere “esplicitamente formulato o implicitamente agito, verbalmente espresso o totalmente inarticolato, intellettivamente ragionato o vegetativamente sentito ma che, in ogni caso, permette di riconoscere due cose come simili e, allo stesso tempo, differenti da una terza. I costrutti sono le chiavi di lettura che rendono il mondo intelligibile: se non disponessimo di tali criteri di discriminazione, il fluire degli eventi ci apparirebbe indifferenziato e di conseguenza privo di significato.
Per formare un costrutto sono necessari almeno tre elementi: due elementi devono essere percepiti come simili l’uno all’altro, il terzo come differente dagli altri due. I primi due formano quello che è inteso come polo di somiglianza del costrutto. Il terzo rappresenta il polo di contrasto del costrutto ed è dato dalla differenza nel confronto con agli altri due elementi.
L’uomo osserva il mondo attraverso lenti o schemi che egli stesso crea e che cerca di adattare alle diverse realtà. I costrutti sono dimensioni di significato, modalità per costruire la realtà, strade sulle quali percorriamo la nostra vita o i canali lungo i quali scegliamo di orientare la nostra esistenza.

Psicologia delle differenze

Le persone differiscono fra loro nel modo in cui costruiscono la realtà dei loro eventi. Le differenze tra le persone non dipendono (sol)tanto dall’avere esperito eventi diversi, ma dal modo con cui hanno costruito tali eventi. Il riferimento alla dimensione “interna” di interpretazione spiega come mai due persone sottoposte ai medesimi stimoli ambientali, (re)agiscano in modi del tutto differenti. Il sistema costruttivo di una persona varia a seconda di come, di volta in volta, essa costruisce la replica degli eventi medesimi, mentre i processi psicologici di una persona sono simili a quelli di un’altra persona, nella misura in cui la prima costruisce l’esperienza in modo simile alla seconda. In tal senso è possibile poter parlare di corrispondenze, ma mai di correlazione causa-effetto. Per la psicologia costruttivo-interazionista i medesimi contenuti (sintomi) possono avere processi di costruzione differente. Al contrario, processi dissimili (eziologia) possono avere contenuti (sintomi) abbastanza uguali.

Il problema è sempre la migliore soluzione

L’aspetto che più dovrebbe interessare l’occhio del clinico non è tanto l’inquadramento diagnostico del disagio riportato, quanto il saper cogliere le implicazioni collegate alla vita di quelle specifiche persone sia rispetto ai modi con cui tale disagio si esprime, sia rispetto alla remissione di quel “sintomo” manifestato. Per la psicologia interattivo-costuttivista il disturbo della persona non può essere separato dalla sua identità. Il modo in cui una persona si deprime, manifesta una disfunzione erettile o un vaginismo, accuserà uno stato d’ansia o un disturbo psicosomatico, sarà diverso da quello di un’altra: possono esserci degli aspetti in comune, come ad esempio i pensieri negativi, le preoccupazioni, ecc.., ma il contenuto dei pensieri sarà sempre particolare. La teoria costruttivo-interazionista definisce un disturbo psicologico come qualsiasi costruzione personale che venga usata ripetutamente nonostante una continua invalidazione. Una persona è in difficoltà quando il sistema di costrutti che usa la tradisce, quando non può dare un senso a ciò che le accade. E’ allora che può sviluppare quelli che sono noti come ‘sintomi’.
La psicoterapia dovrebbe far sentire alla persona che sta tornando a vivere”
“Scopo della psicoterapia costruttivista è quello di aiutare una persona a ri-costruire la propria vita senza che essa rimanga vittima del proprio passato” (George  Kelly)
“Proprio come lo studente ricercatore che non sa organizzare un progetto di ricerca in una domanda adeguata, il paziente spesso è così vicino al problema da non saper distinguere la foresta dagli alberi. La psicoterapia deve cominciare non fornendo risposte, ma generando domande migliori a mano a mano che vengono prese in considerazione costruzioni alternative. Il modo in cui il problema è formulato è di solito parte del problema stesso” (Trevor Butt)

Quale Diagnosi?

Il primo scopo di una misura psicologica, in situazione clinica, è cercare di vedere i sentieri lungo i quali la persona è libera di muoversi e il primo scopo di una diagnosi clinica è fare una mappa della direzione di movimento che è attualmente disponibile. (G.Kelly)
L’approccio costruttivista considera la persona come un sistema di conoscenze impegnato in una continua attività costruttiva della propria realtà. Nel suo continuo divenire, il sistema tende verso livelli di maggiore complessità e di ordine interno, cercando di mantenere un adattamento dinamico con l’ambiente (e con l’ambiente sociale in particolare) e di conservare il proprio senso di identità personale.
Partendo da tali presupposti, la cosiddetta “malattia” viene concettualizzata come un disturbo nel processo di elaborazione del sistema stesso e non come un’entità indipendente dal paziente, definibile secondo criteri esterni al sistema personale del soggetto. Si tratta, quindi, della scelta da parte del sistema di costrutti personali di non modificarsi in relazione alle modificazioni che percepisce nell’ambiente da esso definito al fine di mantenere un adattamento.
La cosiddetta “guarigione” è, invece, rappresentata dalla acquisita possibilità da parte del sistema di operare nuove elaborazioni. In sede di terapia è possibile individuare le caratteristiche strutturali del sistema responsabili dell’arresto del suo sviluppo e, attraverso opportune tecniche – scelte in base delle dimensioni diagnostiche ritenute implicate nel disturbo – favorire la modificazione di tali caratteristiche al fine di permettere al paziente la ripresa del movimento elaborativo.
“Nessuno abbandona alla leggera il suo attuale contatto con la realtà: è una scelta costellata di minacce e difficoltà. L’incoraggiamento di nuove costruzioni è un esercizio creativo che rappresenta chiaramente la forma più radicale che la psicoterapia può prendere” (Trevor Butt)
Le persone richiedono un aiuto terapeutico quando sentono di non poter affrontare la vita o uno specifico evento della loro vita.
Pertanto, nella relazione di consulenza clinica così intesa, la persona è l’esperta di se stessa, della sua storia; ha un’intima e profonda conoscenza del contenuto del problema. Il terapeuta, invece, è un esperto delle tecniche conversazionali utili a indagare e elaborare il materiale della persona, metterla in reazione con ciò che, fondamentalmente, è impegnata a fare: organizzare l’esperienza in un modo che le permetta di poter mantenere e giocare un ruolo nella relazione con il mondo”.

Cambiamento

La teoria dei costrutti personali guarda al cambiamento come al modo di interpretare le cose, non come al comportamento: “l’attenzione è sulla filosofia generale della persona piuttosto che sul condizionamento di specifici comportamenti” . Il cambiamento è possibile solo nella misura in cui la persona percepisce come significativo il movimento che sta realizzando nella sua vita.
Nella sua esposizione dei progetti psicoterapeutici, Kelly descrive otto livelli di cambiamento, distinguendoli l’uno dall’altro sulla base del diverso e sempre maggiore grado di creatività ed elaborazione del sistema.
1. Il primo livello di cambiamento è quello per contrasto. Tale cambiamento è piuttosto superficiale, poiché la dimensione di significato rimane la medesima, semplicemente il sé si sposta da un polo all’altro di uno stesso costrutto. Esso è spesso improvviso, ma poco duraturo, poiché la persona può andare incontro ad invalidazioni non anticipate. Il cambiamento per contrasto è abbastanza semplice da realizzare, tuttavia è importante prestare attenzione alle implicazioni, spesso complesse, che esso può avere per altri aspetti della visione del mondo generale della persona.
2. Il secondo livello di cambiamento consiste nella scelta di un altro costrutto, già presente all’interno del repertorio di costruzioni a disposizione della persona. Anche se lo spostamento può apparire superficiale e leggero, tuttavia esso può implicare un cambiamento più vasto all’interno del sistema di costrutti: la persona, per esempio, può raggiungere una miglior capacità di discriminazione ed un maggior potere predittivo.
3. Il terzo livello di cambiamento ha a che vedere con l’aumento del livello di consapevolezza cognitiva: alcuni costrutti non verbali, pre-verbali o verbali poco definiti diventano via via più espliciti e la persona comprende maggiormente il perché di alcuni suoi comportamenti ed è in grado di spiegarli anche attraverso le parole
4. Il quarto livello di cambiamento concerne la verifica della coerenza interna del sistema di costrutti personali: gli apparenti contrasti vengono risolti, i dilemmi vengono superordinati, le incoerenze vengono riconosciute e ad esse viene attribuito un significato. Ciò che accade è che l’organizzazione gerarchica del sistema viene ristrutturata, riuscendo ad individuare un costrutto superordinato che possa risultare comprensivo rispetto alla contraddizione prima esistente.
5. Il quinto livello di cambiamento riguarda la verifica della validità predittiva dei costrutti, il che per la persona implica divenire un buon osservatore e raccogliere prove per validare o invalidare le proprie convinzioni. Tale atteggiamento di apertura nei confronti della rielaborazione ha a che fare con la proposizionalità della persona stessa e ne migliora la capacità di anticipazione, riducendo inoltre la sua ansia.
6. Il sesto livello di cambiamento consiste nell’aumento o nella riduzione del campo di pertinenza di un costrutto, il quale viene applicato in modo più esteso per comprendere un maggior numero di eventi o, viceversa, viene reso obsoleto attraverso una costrizione a pochi eventi. Tale cambiamento ha spesso a che fare con i ruoli che le persone rivestono nella loro vita (es. figlio, padre).
7. Il settimo livello di cambiamento riguarda la rotazione degli assi di riferimento di un costrutto. Questo implica che il significato del costrutto in oggetto viene modificato, come anche le sue relazioni con il resto del sistema. Ciò comporta un cambiamento piuttosto profondo all’interno del sistema di costrutti della persona ed un grande atteggiamento creativo: gli elementi appartenenti al campo di pertinenza di un certo costrutto possono passare da un suo polo al polo opposto.
8. L’ottavo e ultimo livello di cambiamento descritto da Kelly concerne la creazione di nuovi costrutti. Questa è la massima espressione di creatività: attraverso tale processo la persona acquisisce nuovi significati. Le vecchie dimensioni non vengono solo sostituite da nuove costruzioni, ma vengono anche abbandonate, sospese. Grazie a questo tipo di cambiamento, la persona vede il mondo da una prospettiva completamente nuova e ciò le fornisce dei vantaggi prima inesistenti.


Dal Sito:interattivamente.org

sabato 13 giugno 2020

Quando tocchi il fondo non puoi che risalire





A volte sembra che la vita precipiti a capofitto giù in un abisso dal quale non sembra esserci via di fuga.Tocchiamo il fondo sul piano emotivo, fisico, sociale e lavorativo, e ci ritroviamo lì, rannicchiati nella paura e nella tristezza, sentimenti ormai sempre più presenti e che sembrano il preambolo dell’apparizione di vari disturbi dello stato d’animo.

Nella vita tutti abbiamo affrontato fatti gravi, vissuto drammi o persino tragedie, ma la gravità di ciascuno di essi dipende dal modo in cui li affrontiamo, più che dall’evento in sé.Tutti siamo stati forti, tutti abbiamo avuto un piano preciso in testa prima di sperimentare il dolore: è allora che i piani sono svaniti. In realtà, bisognava solo rifarli. Quando si tocca il fondo è normale sentirsi persi.

Secondo la spiegazione della depressione data da Beck, per mettere in discussione alcuni pensieri irrazionali si fa riferimento al concetto della Freccia Discendente e a quello dell’Intenzione Paradossa. Prendendo come punto di riferimento tali tecniche ed applicandole alla vostra esperienza personale, vi renderete conto che dopo aver toccato il fondo si può soltanto risalire.

“Il vero dolore, quello che ci fa profondamente soffrire, rende talvolta veramente serio e fermo anche l’uomo più spensierato, sia pure per breve tempo. E persino i poveri di spirito diventano più intelligenti dopo il vero dolore”.

– Fëdor Dostoevskij –


Quando l’errore è la paura

È normale aver paura che si verifichino degli eventi avversi, ma dopo aver sperimentato un forte dolore ed aver toccato il fondo, si scopre che le opzioni sono due: permanere in uno stato quasi vegetativo e doloroso o risalire. La decisione spetta a voi.

La Freccia Discendente è una tecnica di terapia cognitiva che consiste nel selezionare un pensiero negativo e rispondere alla domanda: se questo pensiero fosse reale, a cosa mi porterebbe? La risposta genererà un nuovo pensiero negativo. Di seguito, bisognerebbe rispondere ad altre domande (tracciando delle frecce discendenti), che metteranno alla luce delle convinzioni controproducenti (perfezionismo, la necessità di approvazione, paure, ecc.)

Quando siete sopraffatti da un pensiero doloroso e credete di aver toccato il fondo, quando siete convinti che non esista via di fuga e vi trovate a dover spiegare cosa questo significhi per voi, è normale essere soggiogati da nuovi pensieri negativi. Esempio: siete di fronte ad un uomo che ha perso un figlio e che è assalito dal pensiero di non potersi più prendersi cura degli altri figli, domandategli “Cosa significherebbe per te la malattia di un altro figlio?”

Sicuramente vedrà spuntare un nuovo sentimento di dolore e altri ancora, fino ad arrivare ad una visione catastrofica della sua vita. In quel momento, a prescindere dalla durezza dell’esercizio e delle vicende vissute, la persona in questione si renderà conto che può sopportarlo e continuare a vivere.  La sua immaginazione ha amplificato il suo dolore rendendolo più forte di quanto non sia.

A questo punto, probabilmente la persona si renderà conto che, nonostante sia stata vittima di un evento devastante, altri ne potrebbero accadere perché nulla è sicuro in questa vita. Potrebbe essere la dinamica di pensieri disfattisti creata dalla sua stessa mente a favorirli: a causa sua potrebbe perdere il lavoro, far allontanare il resto dei suoi figli… In altre parole, perdere tutto ciò che è importante per lei.

In quel momento la persona sarà consapevole di essere sul piano dello sconforto, ma non vorrà scendere ancora più in basso. Potrà solo risalire, e sarà più facile di quel che pensava. L’unica cosa che le resta da perdere infatti, è la paura.

Ingigantiamo le pene e riveliamo l’assurdità in cui viviamo

L’intenzione paradossa è una tecnica secondo la quale viene insegnato al paziente ad esagerare i pensieri negativi anziché fermarli o contrastarli. Paradossalmente, tali pensieri arrivano ad assumere caratteristiche assurde e prive di senso. Evidentemente tale tecnica dovrà essere associata a pensieri negativi legati ad eventi di relativa gravità – non sarebbe plausibile affrontare pensieri sulla paura del futuro dopo la perdita di un figlio.

Grazie alla tecnica dell’intenzione paradossa, il paziente è reso cosciente del fatto che la sua situazione non rientra nel peggior scenario possibile. In altre parole, se si sente solo perché è stato lasciato, scoprirà di essere ben lontano dallo stato di solitudine di chi non può contare nemmeno sull’appoggio degli amici o dei familiari.

Portiamo il nostro dolore al terrore della tragicommedia e ridiamo dell’assurdità del nostro catastrofismo.

La sofferenza ci rende saggi, la resilienza ci rende forti

Nulla al mondo può abbatterci se noi non lo permettiamo. Siamo noi a stabilire i limiti e i tempi e a doverci difendere dai commenti nocivi di chi giudica senza aver mai vissuto una simile situazione. A ciascuno il “suo”.

Ci sono persone che attraversano periodi bui uscendone frustrate, causando frustrazione anche in chi hanno accanto. Altre, invece, trasformano la propria frustrazione nell’esatto opposto: sanno per cosa sono passati e non lo augurano a nessuno. Sono persone luminose, rinate dal grigio della loro esistenza. 

Quando superiamo il limite del ridicolo, del dolore, dell’umiliazione, dell’essere giudicati, sciagurati… quando superiamo tutto ciò e ci rendiamo conto di aver sofferto abbastanza, allora intravediamo il vero senso della nostra esistenza. Perché solo dopo aver toccato il fondo ed averne compreso il procedimento, ci si accorge che l’unica soluzione rimasta è risalire.

Ci troviamo di fronte alla certezza che non sarà più l’ego a darci la spinta, bensì il desiderio di raggiungere un benessere personale autentico; smetteremo di competere con chiunque altro per centrarci soltanto sui nostro sogni. Dopo tutto il male vissuto, è inevitabile che ci aspetti qualcosa di buono dietro l’angolo. Affrettatevi dunque, uscite dal lamento, buttatevi a capofitto nella vita e lasciatevi semplicemente vivere. Siete scesi talmente in basso che adesso potete soltanto risalire.


Dal Sito: lamenteemeravigliosa.it

martedì 9 giugno 2020

Psicoterapia: quali tipologie




Psicoterapia: cos'è e a cosa serve

Quando si parla di psicoterapia si fa riferimento a una pratica svolta da un professionista specializzato volta, in generale, a curare la sofferenza psichica. 

 

Lo psicoterapeuta è psicologo o medico iscritto all’albo professionale, che ha conseguito una scuola di specializzazione quadriennale. Visto che queste ultime seguono un orientamento teorico di riferimento, si parla di differenti tipologie di psicoterapia. 

 

Indipendentemente dalle peculiarità dell’approccio scelto, lo psicoterapeuta ha come fine ultimo del proprio agire la cura e il miglioramento delle condizioni di benessere e salute del paziente, lavorando su più aspetti.

 

Psicoterapia: in cosa si differenziano gli approcci

Le differenti tipologie di psicoterapia differiscono in primis per la teoria di riferimento alla base, ovvero quell’insieme di principi fondamentali e di ricerca con i quali agiscono nella comprensione e considerazione della sintomatologia e psicopatologia, delle cause e dei processi sottostanti.

 

Tali principi teorici definiscono:

> l’oggetto dell’agire del terapeuta (con maggior focus, ad esempio su aspetti emotivi, cognitivi, comportamentali, conflittuali, psicosomatici, relazionali ecc.);

> la natura dei sintomi;

> le cause;

> il ragionamento effettuato.

 

Oltre a questo si delineano il setting, gli strumenti e le tecniche utilizzate, il linguaggio e l’approccio al paziente, al disagio e al contesto.

 

Questa eterogeneità presenta sicuramente i suoi pro e i suoi contro:

 

> da un lato infatti permette al mondo clinico di avere una visione più ampia del funzionamento dell’individuo e della sofferenza umana, con differenti strumenti e tecniche da mettere in campo. Inoltre dà al paziente la possibilità di scegliere a chi affidarsi, e al professionista quella di specializzarsi nell’orientamento che più si avvicina al suo modo di essere e di pensare;

 

> dall’altro, talvolta può talvolta generare confusione e fatica nella comprensione delle singole sfaccettature e nella scelta del terapeuta.

 

Psicoterapia: le principali tipologie

Per quanto gli approcci siano molto numerosi, alcuni sono più conosciuti e hanno posto le radici per i successivi sviluppi.

 

Psicoanalisi. Fondata da Sigmund Freud, può essere identificata come la prima forma di psicoterapia formalizzata e concettualizzata. Ancora oggi nell'immaginario collettivo è sinonimo di psicoterapia e identifica la figura dello psicoterapeuta, o addirittura dello psicologo in generale.

 

I fondamenti principali sono i conflitti psichici, le pulsioni, i sogni, le dinamiche relazionali tra paziente e terapeuta, le libere associazioni, le dinamiche inconsce ecc. Nel tempo sono sorte nuove specializzazioniche si basano sulla psicoanalisi ma si discostano per alcune peculiarità, come ad esempio la psicodinamica. 

 

Psicoterapia cognitivo-comportamentale. Nata con gli studi sul comportamento e della sua modifica (con autori come Pavlov e Skinner), è stata in seguito ampliata e interconnessa alle teorie cognitiviste (ad esempio Ellis e Beck).

 

L’assunto generale sottostante è il forte legame tra pensiero, emozioni e comportamento, aspetti sui quali si può intervenire mediante tecniche specifiche, al fine di migliorare il benessere dell’individuo. Alcune scuole sono più orientate al comportamentismo, altre al cognitivismo, altre ancora integrano le tue teorie in modo paritetico. 

 

Psicoterapia sistemico-relazionale. Tale approccio è nato dalle teorie della Scuola di Palo Alto e del Mental Research Institutecon autori come Bateson e Watzlawick. In seguito è stato sviluppato in differenti realtà tra cui l’Italia, con il Modello della Scuola Milanese di Selvini-Palazzoli, Boscolo, Cecchin e Prata. Questo orientamento considera il vissuto dell’individuo come esito dell’interazione tra sé e ambiente, quindi opera sul sistema stimolandone il cambiamento.

 

Terapia costruttivista. Sorta dagli assunti di George Kelly, considera l’individuo come attivo costruttore della propria visione del mondoattraverso schemi mentali. Qualora essi risultino disfunzionali, il terapeuta aiuta a rimodellarli per migliorare la condizione di salute dell’individuo.

 

Terapia della Gestalt. Mediante tecniche ed esercizi ad hoc, il terapeuta guida il paziente all’attenzione al qui e ora e a quanto accade a livello di sensazioni, emozioni e pensieri. In questo modo il paziente diventa più consapevole di sé, del proprio vissuto e della propria autonomia su di esso.

 

Oltre a questi approcci di base si possono annoverare tantissime altre realtà, tra cui la terapia integrata (che integra i presupposti di cognitivismo, Gestalt e neuroscienze), quella breve e strategica, quelle di stampo psicosomatico e bioenergetico con maggiore focus verso il corpo e suoi segnali, l’analisi transazionale, le terapie basate sulla Mindfulness, lo psicodramma, la psicoterapia centrata sul cliente, l'ipnosi ecc.

 

Questo elenco, tutt'altro che esaustivo, serve per capire che le teorie più conosciute sono molto differenti tra loro e che nel tempo sono sorti tantissimi approcci, ciascuno caratterizzato da peculiarità, tecniche, strumenti e fondamenti ben precisi. 

 

Non esiste un approccio che sia, a prescindere, "migliore" rispetto agli altri. A livello di ricerca e di raccolta dati si può piuttosto osservare quale sia il risultato più funzionale ed efficace per i vari disturbi, ricordandosi che ogni paziente è unico. 

 

Quale approccio scegliere in base alla tipologia di paziente

I vari approcci di psicoterapia si differenziano anche in base alle tipologia di paziente e/o utente:

 

> la psicoterapia individuale è diretta al singolo. Bisogna poi fare una distinzione tra bambino, adolescente e adulto, oltre che sulla base del disagio o della difficoltà su cui intervenire; 

 

> l’utente può essere invece la famiglia, specialmente in alcuni orientamenti, ma in generale ogniqualvolta la richiesta e la difficoltà coinvolga l'intero nucleo o alcuni dei suoi membri;

 

> la terapia di coppia agisce sulle difficoltà incontrate da coniugi o partner; 

 

> con la terapia di gruppo, il singolo porta la propria difficoltà all’interno del setting gruppale, con il terapeuta che conduce e media le dinamiche;

 

> ancor più ampia è la psicoterapia rivolta all’intera comunità.

 
Dal Sito: crescita-personale.it

mercoledì 6 maggio 2020

Modello ABC di Ellis - Psicologia cognitiva per Ansia e Attacchi di panico

Il modello ABC di Ellis è una tecnica usata nella terapia cognitiva per rendere il paziente consapevole di come i suoi pensieri di valutazione degli eventi che accadono in certa situazione determinano le emozioni spiacevoli (ansia, paura, rabbia, colpa, tristezza, etc.) che prova.

Spesso tutti noi, immersi in una situazione, proviamo una certa emozione e tendiamo a ritenere che sia stata la situazione a generarla.
Ad esempio, un soggetto può trovarsi in ascensore insieme ad un estraneo e provare imbarazzo. L'emozione provata non dipende dal fatto che ci siamo trovati in questa situazione. Non è la situazione che imbarazza. Ma è quello che abbiamo pensato nel momento in cui stavamo nell'ascensore.
Spesso tali pensieri sono automatici, veloci, e difficili da cogliere. Ci si sente imbarazzati senza capirne il perchè!

Allenandosi con questa tecnica il paziente acquisisce invece consapevolezza di tali pensieri e il terapeuta cercando di agire su di essi cerca di mitigare, ridurre o eliminare del tutto la conseguente reazione emotiva.

Spighiamo meglio cos'è e come si usa L'ABC.

L' ABC cognitivo è uno strumento utile per individuare insieme al paziente le sue convinzioni (credenze) funzionali o, soprattutto in clinica, disfunzionali

ABC è un acronimo, dove A sta per antecedent, B per belief e C sta per consequence.

L’antecedent è lo stimolo di partenza, che in terapia è una situazione problematica in cui la sofferenza emotiva si è presentata in maniera particolarmente vivida e concreta. Per lo più si tratta di situazioni: guidare l’auto, parlare in pubblico. 

belief sono i pensieri, le convinzioni(ovvero, in inglese, i belief) che il paziente ha utilizzato per valutare –positivamente o negativamente- l’antecedent. Tali pensieri spesso agiscono al di fuori della consapevolezza. (Es: "oggi non mi va proprio di parlare in pubblico", "voglio fare una bella figura", "devo assolutamente fare una bella figura sennò non valgo niente").

Infine i C, le consequences, possono essere emozioni o comportamentiazioni. (se penso che devo assolutamente fare bella figura è molto probabile che mi senta teso, nervoso, ansioso).

 

In terapia il paziente viene incoraggiato ad allenarsi a casa a trascrivere su un foglio di carta, suddiviso in 3 colonne verticali, le componenti dell’ABC, come segue:


Il foglio ABC va consegnato al paziente, che così familiarizzerà direttamente con lo strumento. Naturalmente il paziente va istruito e guidato a compilare l’ABC in seduta e incoraggiato a usarlo a casa. In questo modo la sua consapevolezza degli stati cognitivi e la sua capacità di leggere le proprie emozioni aumenterà.

Abbiamo detto che l’A è una situazione. In realtà, è più corretto dire che durante la fase iniziale di familiarizzazione con il paziente è preferibile usare situazioni reali e recenti come A. Ma non è necessarioche l’A sia una situazione o un evento esterno. Si può considerare un A anche un evento immaginariopossibile o perfino impossibile; uno stato d’animo internoun’emozione, un pensiero. Può essere una relazione e può appartenere al passato, al presente o al futuro.

Facciamo un esempio:

  • Nella colonna delle A vengono inseriti gli “antecedents” (gli antecedenti), ovvero situazioni, episodi ma anche stati emotivi situazionali (come, ad esempio, “sono a casa da solo”); 
  • nella colonna centrale dei B vengono inseriti i “beliefs” (le credenze), pensieri (più o meno automatici) che il paziente “produce” per dare significato all’A antecedente;
  • nella colonna finale dei C, rientrano le “consequences” (le conseguenze) in termini emotivi (“cosa provo”) e comportamentali (“cosa faccio”)influenzate dalle credenze in B.
A questo punto l’ABC cognitivo si configura così: 


Un altro esempio:




venerdì 21 febbraio 2020

Soffri di attacchi di panico? Questi esercizi ti possono aiutare


Gli attacchi di panico possono essere un’esperienza molto intensa e spiacevole. Le persone sperimentano sintomi fisici acuti come: accelerazione del battito cardiaco, mancanza d’aria, tremori, vertigini e paura di non potersene più liberare, congiuntamente al desiderio di fuggire dal luogo dell’attacco.

Resistere o cercare di contrastare i sintomi iniziali del panico significa peggiorarli. È importante evitare di innervosirsi in risposta ai sintomi o sforzarsi di “mandarli via” cercando di trattenersi o irrigidirsi. Malgrado sia importante reagire piuttosto che restare passivi, è meglio comunque cercare di non combattere le sensazioni fisiche ad ogni costo. Esistono infatti una serie di esercizi che possono essere di aiuto in queste situazioni. Col tempo e con la pratica è possibile riuscire a diminuire l’intensità del disagio.

Vediamo un approccio al panico in 4 fasi descritto da una nota terapeuta Claire Weekes, medico e ricercatrice, pioniera delle moderne lineeguida per il trattamento di ansia e panico (1969):

Affrontate i sintomi, non cercate di evitarli
Cercare di sopprimere o fuggire dai sintomi iniziali del panico è un modo per dire a voi stessi che non siete in grado di gestire quella situazione. Spesso addirittura, questo modo di fare creerà solo ancora più panico. Un atteggiamento più costruttivo è quello di dirsi “OK, ci siamo di nuovo. Posso lasciare che il mio corpo manifesti queste sensazioni e poso riuscire a gestirle. Ce l’ho fatta altre volte”.

Accettate quello che il vostro corpo sta facendo, non lottate contro queste sensazioni
Se cercate di lottare contro il panico, non farete altro che mettervi ancora più in tensione, cosa che farà aumentare l’ansia. Adottare l’atteggiamento opposto di “lasciar andare”, permettendo al corpo di avere le sue reazioni,vi metterà nelle condizioni di attraversare questi momenti in modo più facile e rapido. Il punto chiave consiste nel diventare capaci di osservare il livello di attivazione psicologica del corpo, non importa quanto insolito o spiacevole sia, senza reagire con ulteriore paura o apprensione. Sicuramente non è facile, ma mettere in atto qualche tecnica di rilassamento e concentrazione sul respiro può essere molto utile.

Lasciate che “l’onda” del panico passi, piuttosto che remare contro
C’è una distinzione da fare tra paura primaria e paura secondaria. La paura primaria consiste nelle reazioni fisiologiche che fanno da sfondo al panico e che sono fisiologiche, normali. La paura secondaria consiste invece nell’aver paura di queste reazioni aumentando la vostra apprensione con frasi del tipo: “non posso sopportarlo”, “devo uscire di qui immediatamente”, “cosa penserà la gente se mi vede in queste condizioni”. Non si può fare granché per quanto riguarda la paura primaria, ma è possibile eliminare la paura secondaria imparando a lasciar correre ed accettare gli stati di attivazione del corpo invece di cercare di contrastarli o reagire spaventandovi. E’ meglio dirsi piuttosto frasi incoraggianti come: “anche questa volta passerà”, “il mio corpo fa quello che deve fare”, “ce l’ho fatta altre volte e riuscirò anche adesso”.

Concedersi un po’ di tempo
Il panico è causato da un improvviso picco di adrenalina. Se si lascia che questo picco e le conseguenti reazioni fisiche facciano il loro corso, la maggior parte dell’adrenalina verrà metabolizzata e riassorbita entro 5 minuti. Non appena il livello di adrenalina inizierà a tornare nella norma, ci si sentirà subito meglio. Gli attacchi di panico durano un tempo limitato. In molti casi iniziano e terminano in pochi minuti ed è più probabile che passino più in fretta se non si aggrava la situazione cercando di contrastare le sensazioni fisiche o reagendo con una paura ancora più intensa  dicendosi cose che mettono paura! (causando così la paura secondaria…)

Passando alla pratica, se si è in grado di individuare i sintomi preliminari prima della loro intensificazione, una qualunque delle seguenti strategie può essere utilizzata per prevenire lo sviluppo di un attacco di panico completo:

1. Parlare con un’altra persona
Parlare con qualcuno può aiutare a spostare l’ attenzione dai sintomi del panico e dai pensieri ansiogeni per cui questa strategia può rivelarsi molto utile.

2. Muoversi o cominciare a fare attività fisica
Fare esercizio fisico permette di utilizzare il surplus di energia o adrenalina generata dalla risposta di attacco-fuga. Invece di resistere alla reazione fisica che accompagna il panico, si può seguirla facendo movimento.

3. Concentrarsi sul presente
Concentrare l’ attenzione sugli oggetti che ci circondano. Utilizzare i propri sensi e rimanere nel presente, prestando attenzione a ciò che vi circonda, può aiutare a dare meno importanza ai preoccupanti sintomi fisici o ai pensieri catastrofici che si presentano alla mente (le tecniche di Mindfulness a tal fine possono essere molto utili).

4. Intraprendere attività semplici e ripetitive
Ci sono una serie di attività semplici e ripetitive che possono aiutarci a distogliere l’attenzione dai sintomi del panico o dai pensieri ansiogeni. Ad esempio, masticare una gomma, contare all’indietro partendo da 100, di 3 in 3, contare le persone che sono in fila alla cassa del supermercato, etc. Lo scopo è quello di trovare una strategia distrattiva che consenta di spostare l’attenzione dalle sensazioni fisiche e dai pensieri ansiogeni.

5. Fare qualche cosa che richieda concentrazione
E’ difficile intraprendere determinate attività quando ci si sente ansiosi o quando si avverte che sta salendo il panico. Comunque, queste attività possono aiutare a distogliere l’attenzione dall’ansia. Esempi di tal genere sono: leggere un bel racconto o un giornale, costruire un puzzle, giocare alle parole crociate etc.

6. Esprimere la rabbia
Molte persone pensano che i sintomi di ansia e panico costituiscano una versione sostitutiva di emozioni inespresse come rabbia, frustrazione e collera. Se si ha la possibilità di sfogare fisicamente la rabbia su un oggetto – e non solo esprimerla verbalmente – appena si avvertono le prime sensazioni del panico, si riesce ad impedire l’esplosione dell’attacco. Si può per esempio prendere a pugni un cuscino o il materasso.

Ovviamente queste sono solo alcune delle cose che è possibile fare per provare a gestire l’ansia. Se notate che la situazione perdura e diventa ingestibile, è importante richiedere l’aiuto di uno psicoterapeuta cognitivo comportamentale che vi aiuti a lavorare su emozioni, pensieri e comportamenti.


Dal Sito: iwatson.com 

La psicoterapia si sta evolvendo



La psicoterapia viene in aiuto, ogni anno, di migliaia di persone, per risolvere problemi di natura più o meno grave. Da semplici fobie e disturbi più complessi. Si rivolgono alla psicoterapia anche soggetti che non hanno nessun disturbo, ma che semplicemente vogliono intraprendere un percorso per conoscere meglio sé stessi.

Al giorno d’oggi la psicoterapia ha fatto passi da gigante. Si è lasciata alle spalle i trattamenti infiniti e i lettini su cui sdraiarsi. Uno dei metodi di lavoro più efficaci infatti è detto psicoterapia cogntiva e comportamentale e nasce dalla ricerca scientifica. Si tratta di trattamenti di grande efficacia utilizzati negli Stati Uniti e in Inghilterra, ma da noi ancora poco diffusi. In Italia è presente il gruppi di Psicoterapia Scientifica che cerca di diffondere questo modo di lavorare.

Cos’è la psicoterapia – La psicoterapia è una pratica della psicologia clinica e della psichiatria che si occupa di curare disturbi psicopatologici di diversa natura che vanno dal semplice disadattamento a patologie gravi come comportamenti psicotici o nevrotici. Si tratta di una terapia psicologica articolata, con una struttura ben definita, in cui il terapeuta istruisce il paziente, breve e rivolta al presente. Viene utilizzata per il trattamento individuale, di coppia o di gruppo, sia in adulti che in bambini/adolescenti.

Questo tipo di terapia si avvale di due metodi: La psicoterapia comportamentale: che prevede l’apprendimento di diverse modalità di risposta e aiuta a cambiare la relazione che c’è tra le situazioni che causano difficoltà e le conseguenti reazioni emotive. Il tutto aiutato da una graduale esposizione alle situazioni che preoccupano e creano disagio.

La psicoterapia cognitiva: identifica i pensieri disfunzionali ricorrenti, gli schemi di ragionamento e di interpretazione della realtà connesse con le emozioni problematiche vissute dal paziente. Aiuta a correggere tali schemi, comprenderli e integrarli con pensieri funzionali per il proprio benessere.

La psicoterapia si basa su: Una formulazione dei problemi in continua evoluzione e una loro concettualizzazione in termini cognitivi. Si parte dal modo di pensare del paziente nel presente e si fa un percorso a ritroso, risalendo ai fattori scatenanti e ai modelli interpretativi della realtà che si sono appresi durante l’infanzia. Vengono anche individuati i pensieri automatici, le credenze intermedie e profonde.

Una solida relazione terapeutica che si basi sull’empatia verso il paziente, sul rispetto, la cura e la competenza. Una collaborazione e partecipazione attiva da entrambe le parti. La focalizzazione sul problema e un orientamento all’obiettivo. La prevenzione delle ricadute. Un tempo di terapia limitato nel tempo, i cui risultati si vedano già nei primi 6 mesi. Sedute strutturate per rendere il processo di terapia costruttivo e comprensibile.

Quando ci si rivolge alla psicoterapia – La psicoterapia serve ad individuare nei pazienti i pensieri negativi ricorrenti e gli schemi disfunzionali, si adatta ad una vastissima gamma di problemi psicologici.

Vari tipi di depressione: Disturbi d’ansia e attacchi di panico; Fobie; Disturbi ossessivo-compulsivi; Disturbi del sonno; Disturbi alimentari; Dipendenze; Disturbi della personalità; Stress post-traumatico; Problemi di coppia e disturbi sessuali.

Ovviamente, in base alla gravità del disturbo, la terapia più prolungarsi o meno nel tempo. Ci si può rivolgere a questa disciplina a tutte le età, la psicoterapia cura disturbi nei bambini come in adolescenti e adulti.

Come si svolge una seduta di psicoterapia – La seduta psicoterapeutica è fondamentalmente un dialogo tra professionista e paziente in cui quest’ultimo porta dei dati sul suo disturbo insieme ad eventuali prescrizioni di farmaci. Dal secondo incontro, si va a parlare degli effetti delle stesse, oltre che a fare considerazioni su stati d’animo, sentimenti e sensazioni provate dal soggetto. La partecipazione attiva, da parte del paziente, è fondamentale affinché la terapia si svolga in modo corretto e si riveli utile.

Solitamente il numero di sedute viene stabilito durante la prima seduta, così come tempo e frequenza delle stesse. Il paziente, dall’altra parte, deve capire come si trova in questa relazione con lo psicoterapeuta, valutare se è a suo agio. Solitamente questo avviene nell’arco delle prime sedute. Domandarsi continuamente se la terapia stia funzionando o aspettarsi risultati già dopo poche sedute è assolutamente controproducente, perché gli schemi mentali su cui si va a lavorare, necessitano di tempo per modificarsi.

La psicoterapia, a differenza di quello che pensano molti, non è un luogo dove un professionista dispensa consigli su come migliorare la tua vita. È un percorso strutturato, che segue un determinato medico e che richiede tempo. Non esiste una bacchetta magica che permette di spegnere, da un giorno all’altro, i pensieri negativi che affollano la mente. Il processo, per dimostrarsi funzionale, deve essere graduale.

Dal Sito: ntr24.tv

domenica 22 dicembre 2019

Terapia cognitivo comportamentale


Nel corso degli anni, la psicologia ha adottato svariati approcci per comprendere e affrontare il funzionamento umano. Ciascuno di essi con i propri approcci teorici e applicazioni pratiche. Da più di tre decenni, la terapia cognitivo comportamentale si è confermata come l’orientamento psicoterapico con più prove della sua efficacia.

La terapia cognitivo comportamentale si applica, con ottimi risultati, alle problematiche più diverse. Si tratta, infatti, di un’opzione estremamente efficiente e flessibile. Garantisce cambiamenti significativi in ​​tempi limitati e la pluralità di tecniche che racchiude le conferisce la flessibilità necessaria ad adattarsi ai problemi specifici e all’individuo.

Origini della terapia cognitivo comportamentale

Nel corso degli anni sono state diverse le correnti psicologiche che hanno prevalso in un dato momentoper poi cedere il passo ad altri approcci.

Due di questi (comportamentismo e cognitivismo) sono all’origine della terapia di cui ci occupiamo oggi. In primo luogo, pertanto, è necessario capire in cosa consistono.

Comportamentismo

Il comportamentismo concentra il suo interesse sul comportamento visibile. Il suo oggetto di studio è costituito unicamente dai comportamenti che l’individuo produce e che possono essere osservati e misurati.

Secondo tale corrente, i comportamenti sono risposte a determinati stimoli e aumentano o diminuiscono la loro frequenza in base alle conseguenze. Possiamo dunque modificare il comportamento di una persona variando le relazioni tra stimolo, risposta e conseguenza.

Ad esempio: il soggetto con la fobia dei cani ha associato i cani alla paura, pertanto scappa in loro presenza. Se riusciamo a interrompere tale associazione, i cani cesseranno di essere uno stimolo avverso e il soggetto smetterà di scappare. D’altro canto, se vogliamo che un bambino mangi più verdure, dovremmo premiarlo ogni volta che lo fa.

Cognitivismo

Questo approccio psicologico si concentra sullo studio delle cognizioni, ovvero dei pensieri o processi mentali. È interessato a comprendere il meccanismo realizzato dall’essere umano dopo aver ricevuto delle informazioni: come le elabora e come le interpreta.

Il fondamento del cognitivismo è che non percepiamo la realtà così com’è, ma per come siamo. Ognuno di noi, con i propri processi interiori, dà un significato diverso alla realtà che percepisce.

Ad esempio: chiamate un amico e non vi risponde. Potereste pensare che non abbia sentito la chiamata o che non vi vuole parlare perché non ne ha piacere. La realtà è la stessa, ma il processo interiore è decisamente diverso.

Terapia cognitivo comportamentale

La terapia cognitivo comportamentale si presenta come una combinazione delle due correnti precedenti, mettendo in relazione pensieri e comportamenti. Essa afferma che esiste una relazione intrinseca tra pensiero, emozione e comportamento e che i cambiamenti in una qualsiasi di queste tre componenti si ripercuoteranno sulle altre.

In tal senso, impiega tecniche molto diverse tra loro, volte a modificare uno dei tre elementi, sapendo che in tal modo interesserà l’essere umano nella sua interezza.

Ad esempio:

La ristrutturazione cognitiva è una tecnica che consiste nell’aiutare il soggetto a modificare le proprie convinzioni o pensieri. A tale scopo, lo si invita a valutare la veridicità dei suoi pensieri e a cercare alternative più adattive. Dopo aver cambiato il modo in cui si interpreta la realtà, cambia anche il modo di sentire e agire.

L’esposizione è una tecnica volta a modificare il comportamento. Il soggetto viene incoraggiato a smettere di evitare o sfuggire ciò che teme e ad affrontarlo. Quando cambia il proprio comportamento e affronta la situazione, ne comprova l’innocuità; immediatamente cambiano le sue convinzioni ed emozioni al riguardo.

Le tecniche di rilassamento si concentrano sulle emozioni. In particolare, aiutano la persona a gestire autonomamente le proprie emozioni e il proprio livello di attivazione. Quando le emozioni cambiano, i pensieri diventano meno catastrofici e il comportamento passa dall’evitamento all’affrontamento.

La terapia cognitivo comportamentale è pertanto un approccio completo, flessibile ed efficace. Ottiene miglioramenti importanti in breve tempo e per un’ampia varietà di disturbi e problematiche. Si tratta, inoltre, dell’orientamento psicologico con più prove sperimentali che ne avvalorano l’efficacia. Tuttavia, quando si tratta di scegliere l’approccio terapeutico, è consigliabile informarsi sulle alternative disponibili e scegliere quello nel quale ci si riconosce maggiormente.