Riconoscere e diagnosticare uno stato di depressione è importante, altrimenti non lo si può curare, lo si peggiora, lo si cronicizza. Ma è importante anche il suo opposto: non bisogna pensare di averlo quando non lo si ha! Oggi molti si fanno “auto-diagnosi” di depressione, di ansia, di panico... Basandosi su informazioni trovate su Internet o ascoltate da persone che ne soffrono, si sono convinte di avere “quel problema”. Basta osservare i modi in cui oggi spesso ci si esprime: si usa “sono depresso” per segnalare una transitoria tristezza o malinconia; “sono nel panico” per situazioni di normale difficoltà quotidiana; “è un delirio” di fronte a momenti di semplice stress o di sovraccarico di impegni... I termini psichiatrici sono entrati di prepotenza nel linguaggio, e il linguaggio a sua volta crea e potenzia stati d’animo e percezioni di sé.
Non abituarti allo schema del lamento
Si tratta solo di un colorito modo di esprimersi, quasi di una moda? Lo si fa per rendersi interessanti? Il lamento in fondo è uno schema comunicativo che funziona: crea attenzione, fa superare i silenzi imbarazzati quando incontri un conoscente. Può diventare un’abitudine di cui non ci si accorge. Ma il risultato è di non riuscire più a sentirsi “semplicemente” tristi, a vivere uno scoramento, ad attraversare una crisi: codifichiamo questi stati come depressione, come qualcosa che non va bene e non dovrebbe accadere. Non si riesce a sentirsi agitati, preoccupati o disorientati: parliamo subito di panico, di delirio, di “andare fuori di testa”. O sei normale, cioè funzioni senza perdere colpi, o sei malato, sei strano, sei “fuori”. Da un lato viene proposta la cultura del superuomo e della superdonna che non devono chiedere mai, dall’altro, appena c’è un problema psicologico o esistenziale, viene bollato come un malfunzionamento, ricorrendo magari agli psicofarmaci per tornare a “funzionare”.
Evita il “minestrone emotivo”
È necessario riappropriarsi dei propri stati d’animo per non trattare se stessi come dei malati. Non perché ci sia qualcosa di male nell’esserlo, ovviamente, ma perché a forza di farlo si finisce per cadere davvero in stati interiori di grande confusione e per peggiorare la qualità della vita nostra e quella di chi vive con noi. La prima cosa da fare è ricordarci di una cosa fondamentale: le nostre emozioni sono un evento del tutto naturale. La paura ad esempio fa parte naturalmente dell’esperienza umana. A volte diventa depressione o ansia, ma solo a volte. Nella maggior parte dei casi è uno stato d’animo spontaneo e inevitabile, e, al contempo, costituisce il necessario passaggio per un’evoluzione o una soluzione.
Non possiamo cioè negare un significato essenziale a ciò che, in realtà, ha una sua ben precisa funzione. Il prezzo, altrimenti, è quello di restare bloccati in una concezione di sé molto limitata, in cui ogni sentimento che devia da una norma appare come un problema da curare .
Cogli tutte le sfumature presenti in te
Prima di dire: “Sono depresso, sono nel panico”, tratteniamoci. Non cediamo al lamento e all’esternazione continua. Piuttosto soffermiamoci su ciò che proviamo. Osserviamo le emozioni e gli stati d’animo: tristezza, perdita di senso, demotivazione, umor nero, nervosismo, paura, tensione, angoscia, smania, insofferenza, stanchezza, prostrazione, preoccupazione, rifiuto. Ci sono tante parole per definire come stiamo: usiamole. Non mettiamole tutte nel calderone dei due o tre termini psichiatrici che conosciamo. Cerchiamo di riconoscere quale parola meglio si addice a quel momento, e lasciamo che quel momento viva, anche se è spiacevole. È ovvio che se, ad esempio, la prostrazione dura un mese, bisogna fare una visita da uno specialista, ma la maggior parte dei nostri stati d’animo non sono patologici e, se lasciati vivere, svolgono il loro compito: farci essere in sintonia con la realtà.
Meno confidenze
Non creare o partecipare a “club” di persone che si sentono in sintonia a causa di stati “depressissimi” o “impanicati”: il compiacimento e il continuo parlarsi addosso amplifica il malessere.
Più attenzione a sé
Osserva con più attenzione le tue emozioni. Valuta se sono consone agli eventi e alle situazioni. Impara man mano a non intervenire sulle emozioni negative, anche intense, ma a osservarle e ascoltarle. Hanno sicuramente dei suggerimenti da darti.
Trova aiuti mirati
Se il tuo disagio si presenta con frequenza e per un periodo prolungato, quantificabile in almeno tre mesi, è comunque necessario fare una visita specialistica da uno psicologo per avere un’opinione esterna.
Dal Sito: Riza.it
Non abituarti allo schema del lamento
Si tratta solo di un colorito modo di esprimersi, quasi di una moda? Lo si fa per rendersi interessanti? Il lamento in fondo è uno schema comunicativo che funziona: crea attenzione, fa superare i silenzi imbarazzati quando incontri un conoscente. Può diventare un’abitudine di cui non ci si accorge. Ma il risultato è di non riuscire più a sentirsi “semplicemente” tristi, a vivere uno scoramento, ad attraversare una crisi: codifichiamo questi stati come depressione, come qualcosa che non va bene e non dovrebbe accadere. Non si riesce a sentirsi agitati, preoccupati o disorientati: parliamo subito di panico, di delirio, di “andare fuori di testa”. O sei normale, cioè funzioni senza perdere colpi, o sei malato, sei strano, sei “fuori”. Da un lato viene proposta la cultura del superuomo e della superdonna che non devono chiedere mai, dall’altro, appena c’è un problema psicologico o esistenziale, viene bollato come un malfunzionamento, ricorrendo magari agli psicofarmaci per tornare a “funzionare”.
Evita il “minestrone emotivo”
È necessario riappropriarsi dei propri stati d’animo per non trattare se stessi come dei malati. Non perché ci sia qualcosa di male nell’esserlo, ovviamente, ma perché a forza di farlo si finisce per cadere davvero in stati interiori di grande confusione e per peggiorare la qualità della vita nostra e quella di chi vive con noi. La prima cosa da fare è ricordarci di una cosa fondamentale: le nostre emozioni sono un evento del tutto naturale. La paura ad esempio fa parte naturalmente dell’esperienza umana. A volte diventa depressione o ansia, ma solo a volte. Nella maggior parte dei casi è uno stato d’animo spontaneo e inevitabile, e, al contempo, costituisce il necessario passaggio per un’evoluzione o una soluzione.
Non possiamo cioè negare un significato essenziale a ciò che, in realtà, ha una sua ben precisa funzione. Il prezzo, altrimenti, è quello di restare bloccati in una concezione di sé molto limitata, in cui ogni sentimento che devia da una norma appare come un problema da curare .
Cogli tutte le sfumature presenti in te
Prima di dire: “Sono depresso, sono nel panico”, tratteniamoci. Non cediamo al lamento e all’esternazione continua. Piuttosto soffermiamoci su ciò che proviamo. Osserviamo le emozioni e gli stati d’animo: tristezza, perdita di senso, demotivazione, umor nero, nervosismo, paura, tensione, angoscia, smania, insofferenza, stanchezza, prostrazione, preoccupazione, rifiuto. Ci sono tante parole per definire come stiamo: usiamole. Non mettiamole tutte nel calderone dei due o tre termini psichiatrici che conosciamo. Cerchiamo di riconoscere quale parola meglio si addice a quel momento, e lasciamo che quel momento viva, anche se è spiacevole. È ovvio che se, ad esempio, la prostrazione dura un mese, bisogna fare una visita da uno specialista, ma la maggior parte dei nostri stati d’animo non sono patologici e, se lasciati vivere, svolgono il loro compito: farci essere in sintonia con la realtà.
Meno confidenze
Non creare o partecipare a “club” di persone che si sentono in sintonia a causa di stati “depressissimi” o “impanicati”: il compiacimento e il continuo parlarsi addosso amplifica il malessere.
Più attenzione a sé
Osserva con più attenzione le tue emozioni. Valuta se sono consone agli eventi e alle situazioni. Impara man mano a non intervenire sulle emozioni negative, anche intense, ma a osservarle e ascoltarle. Hanno sicuramente dei suggerimenti da darti.
Trova aiuti mirati
Se il tuo disagio si presenta con frequenza e per un periodo prolungato, quantificabile in almeno tre mesi, è comunque necessario fare una visita specialistica da uno psicologo per avere un’opinione esterna.
Dal Sito: Riza.it
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