L'autostima è l' insieme dei giudizi valutativi che l'individuo dà di se stesso. Essa può essere costruita giorno dopo giorno attraverso strategie cognitive.
Definizione di Autostima
Definire il costrutto di autostima non è semplice, in quanto si tratta di un concetto che ha un’ampia storia di elaborazioni teoriche. Una definizione concisa e condivisa in letteratura potrebbe essere la seguente:
Insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di se stesso (Battistelli, 1994).
Tre elementi fondamentali ricorrono costantemente in tutte le definizioni di autostima (Bascelli, 2008):
La presenza nell’individuo di un sistema che consente di auto-osservarsi e quindi di auto-conoscersi.
L’aspetto valutativo che permette un giudizio generale di se stessi.
L’aspetto affettivo che permette di valutare e considerare in modo positivo o negativo gli elementi descrittivi.
La costruzione cognitiva dell’autostima
L’autostima è un paradigma che può essere costruito giorno dopo giorno attraverso strategie cognitive.
Una prima definizione del concetto di autostima si deve a William James (cit. in Bascelli e all, 2008), il quale la concepisce come il risultato scaturente dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente e le aspettative in merito ad essi.
Alcuni anni dopo Cooley e Mead definiscono l’autostima come un prodotto che scaturisce dalle interazioni con gli altri, che si crea durante il corso della vita come una valutazione riflessa di ciò che le altre persone pensano di noi.
Infatti l’autostima di una persona non scaturisce esclusivamente da fattori interiori individuali, ma hanno una certa influenza anche i cosiddetti confronti che l’individuo fa, consapevolmente o no, con l’ambiente in cui vive. A costituire il processo diformazione dell’autostima vi sono due componenti: il sé reale e il sé ideale.
Il sé reale non è altro che una visione oggettiva delle proprie abilità; detto in termini più semplici corrisponde a ciò che noi realmente siamo.
Il sé ideale corrisponde a come l’individuo vorrebbe essere. L’autostima scaturisce per cui dai risultati delle nostre esperienze confrontati con le aspettative ideali. Maggiore sarà la discrepanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, minore sarà la stima di noi stessi.
La presenza di un sé ideale può essere uno stimolo alla crescita, in quanto induce a formulare degli obiettivi da raggiungere, ma può generare insoddisfazioni ed altre emozioni negative se lo si avverte molto distante da quello reale. Per ridurre questa discrepanza l’individuo può ridimensionare le proprie aspirazioni, e in tal modo avvicinare il sé ideale a quello percepito, oppure potrebbe cercare di migliorare il sé reale (Berti, Bombi, 2005).
Possedere un’alta autostima è il risultato di una limitata differenza tra il sé reale e il sé ideale. Significa saper riconoscere in maniera realistica di avere sia pregi che difetti, impegnarsi per migliorare le proprie debolezze, apprezzando i propri punti di forza. Tutto ciò enfatizza una maggiore apertura all’ambiente, una maggiore autonomia e una maggiore fiducia nelle proprie capacità.
Le persone con un’alta autostima dimostrano una maggiore perseveranza nel riuscire in un’attività che le appassiona o nel raggiungere un obiettivo a cui tengono e sono invece meno determinate in un ambito in cui hanno investito poco. Si tratta di persone più propense a relativizzare un insuccesso e ad impegnasi in nuove imprese che le aiutano a dimenticare.
Al contrario, una bassa autostima può condurre ad una ridotta partecipazione e a uno scarso entusiasmo, che si concretizzano in situazioni di demotivazione in cui predominano disimpegno e disinteresse. Vengono riconosciute esclusivamente le proprie debolezze, mentre vengono trascurati i propri punti di forza. Spesso si tende a evadere anche dalle situazioni più banali per timore di un rifiuto da parte degli altri. Si è più vulnerabili e meno autonomi. Le persone con una bassa autostima si arrendono molto più facilmente quando si tratta di raggiungere un obiettivo, soprattutto se incontrano qualche difficoltà o sentono un parere contrario a ciò che pensano.
Si tratta di persone che faticano ad abbandonare i sentimenti di delusione e di amarezza connessi allo sperimentare un insuccesso. Inoltre, di fronte alle critiche, sono molto sensibili all’intensità e alla durata del disagio provocato.
Ma cosa concorre a far sì che un individuo si valuti positivamente o negativamente? Ebbene ci si autovaluta in merito a tre processi fondamentali:
Assegnazione di giudizi da parte altrui, sia direttamente che indirettamente. Si tratta del cosiddetto ‘specchio sociale‘: mediante le opinioni comunicate da altri significativi noi ci autodefiniamo.
Confronto sociale: ovvero la persona si valuta confrontandosi con chi lo circonda e da questo confronto ne scaturisce una valutazione.
Processo di autosservazione: la persona può valutarsi anche autosservandosi e riconoscendo le differenze tra se stesso e gli altri. Kelly (1955), il padre della Psicologia dei Costrutti Personali, ad esempio considera ogni persona uno ‘scienziato’ che osserva, interpreta (i.e: attribuisce significati alle proprie esperienze) e predice ogni comportamento od evento, costruendo, tra l’altro, una teoria di sé per facilitare il mantenimento dell’autostima.
Autostima e ideali
In pratica l’assunto centrale della teoria è che la gente si muove attraverso ideali e mete e monitora il proprio percorso verso di esse, confrontando continuamente la percezione del proprio comportamento rispetto agli standard di riferimento. Quando l’individuo percepisce una discrepanza tra il proprio stato attuale e la meta cerca delle strategie comportamentali per ridurre tale discrepanza.
Le persone si muovono attraverso molteplici piani ideali, alcuni sono legati alle abitudini concrete (“ideale di andare in palestra due volte la settimana”), altri sono legati a ideali più astratti da realizzare (“diventare una persona sportiva e dinamica”). In generale la percezione di una distanza tra come siamo e come vorremmo essere genera emozioni negative di tristezza, tale per cui siamo portati in qualche modo a minimizzare tale differenza percepita. Esistono però due tipi di idealistudiati: gli ideali propriamente intesi, ovvero esperienze, concetti e standard di riferimento a cui tendere e a cui riferirsi, e gli ideali negativi (sé temuti) ovvero situazioni, persone (reali o simboliche), mete e circostanze da cui le persone cercano di distanziarsi e di tenere lontane perché giudicano negativamente.
In generale il senso comune e la letteratura ipotizzano un ruolo negativo degli ideali sull’autostima, specie se essi sono troppo ambiziosi e irraggiungibili (Marsh, 1993).
In generale si può dire che nonostante il chiaro valore che l’autoregolazione verso le mete ha per la società, poiché spinge l’individuo a migliorarsi e a tendere verso nuovi obiettivi, la rincorsa verso gli ideali ha dei costi individuali in termini di risorse mentali e senso del proprio valore.
Le distorsioni cognitive
Talvolta le autoanalisi che contribuiscono definire l’autostima di una persona sono falsate dalle sue distorsioni cognitive, ovvero da pensieri che inficiano la considerazione di sé.
Sacco e Beck (1985) indicano una serie di distorsioni cognitive, che sono:
Le inferenze cognitive, attraverso le quali gli individui maturano delle idee arbitrarie su se stessi senza l’avallo di dati reali e obiettivi;
Le astrazioni selettive, per mezzo delle quali un piccolo particolare negativo viene estrapolato, divenendo emblematico e rappresentativo del proprio modo di essere;
Le sovrageneralizzazioni, per cui si è portati a generalizzare partendo, per esempio, da un singolo tratto di personalità che contraddistingue un individuo o da un singolo episodio esperienziale che lo ha visto protagonista;
La massimizzazione, che consente di implementare gli effetti negativi di una singola azione svolta;
La minimizzazione, la quale permette di rimpicciolire la portata positiva di qualche evento;
La personalizzazione, che autorizza a sentirsi colpevole per qualche evento negativo accaduto;
Il pensiero dicotomico, che non ammette sfumature nell’ambito delle assunzioni di responsabilità, riconducendo l’analisi ai costrutti del tutto e niente (visione in bianco e nero).Autostima ed attribuzioni causali
Il processo mediante cui l’individuo si autovaluta è dovuto anche alle attribuzioni causali. Detto in termini più semplici le persone spesso cercano di spiegarsi un evento collegandolo ad una causa. Sovente si tende ad attribuire un successo raggiunto ad una causa esterna alla persona, quale potrebbe essere la fortuna, oppure ad una causa interna, come ad esempio la tenacia.
Weiner, nel 1994, ha affermato che le attribuzioni possono essere distinte in base a tre dimensioni:
Locus of control: ossia se la causa di un successo (o di un fallimento) è interna o esterna alla persona;
Stabilità: per cui le cause possono essere stabili o instabili nel tempo (per esempio la facilità del compito è stabile, al contrario la fortuna è instabile);
Controllabilità: non tutte le cause possono essere controllate dal soggetto;Pare che l’attribuzione a cause stabili, controllabili e interne all’individuo abbia, in caso di raggiungimento di un successo, un innalzamento dell’autostima nell’individuo.
Di contro l’attribuzione a cause esterne a sé, instabili e poco controllabili portano ad un calo dell’autostima e della fiducia in se stessi.
Bassa autostima: le strategie per incrementarla
Secondo Toro (2010), per accrescere la percezione positiva di sé esistono diverse strategie, quali:
l’incremento delle capacità di problem solving, poichè spesso l’autostima è funzione delle proprie capacità di risolvere i problemi.
l’implementazione del dialogo interno (self – talk) positivo; l’autostima, infatti, può essere incrementata attraverso il dialogo positivo con se stessi, utilizzando la propria voce interiore. In altre parole, se noi per primi inviamo dei messaggi positivi alla nostra mente, è molto probabile che le autopercezioni possano migliorare.
la ristrutturazione dello stile attribuzionale, tesa a farci raggiungere una maggiore obiettività, grazie alla quale potremmo, ad esempio, interpretare gli avvenimenti o le situazioni che non dipendono da noi come semplicemente sfavorevoli.
il miglioramento dell’autocontrollo;
la modificazione degli standard cognitivi; ponendoci aspettative eccessivamente elevate, infatti, corriamo il rischio di non essere all’altezza di quelle attese e, quindi, di influenzare l’autopercezione.
il potenziamento delle abilità comunicative.
Autostima ed immagine corporea
Secondo lo psicoterapeuta Luca Saita, sarebbero tre i meccanismi che interferirebbero negativamente con la creazione dell’immagine corporea, ovvero:
attacco diretto o indiretto
proiezione
etichettamento
Nel primo caso la persona subisce un attacco, diretto o non, al proprio corpo (‘Oggi hai davvero un aspetto orribile!’); nel secondo caso qualcuno, in modo inconsapevole, per liberarsi delle proprie caratteristiche fisiche ritenute inaccettabili, le attribuisce a qualcun altro (ad es., la madre che dice alla figlia ‘Non metterti quel vestito, ti ingrassa‘); nell’ultimo caso vengono attribuite delle etichette alla persona (il ‘nasone‘, il ‘roscio‘, ‘gambe storte‘).
Quando una persona viene costantemente sottoposta ad influenze negative di questo genere non c’è da meravigliarsi che impari a vedersi solo ed unicamente attraverso le lenti distorte della disistima. Non bisogna sottovalutare gli effetti di un tale atteggiamento: l’immagine corporea, il modo in cui ci vediamo e ci presentiamo agli altri ha delle ripercussioni molto profonde a livello di sicurezza di sé; in altre parole, il vedersi brutti, il percepirsi inadeguati ha conseguenze che influiscono non solo sul corpo, ma anche sulla mente, sul modo di stare al mondo.
Chiaramente si tratta di un vissuto del tutto personale e soggettivo; esistono, come è possibile osservare nell’esperienza quotidiana di ciascuno di noi, persone considerate belle che, però, si vivono come costantemente inadeguate e sono sempre alla ricerca di un qualcosa che manca per sentirsi, finalmente, a proprio agio nel proprio corpo. Al tempo stesso, ci sono persone che, pur avendo dei piccoli difetti, si vogliono bene, vivono il proprio corpo con serenità e trasmettono tale serenità anche all’esterno, in termini di sicurezza di sé.
Per questa ragione diventa importante aiutare la persona che non si accetta e tende ad ingigantire i propri difetti, fino, in alcuni casi, a non riuscire a condurre una vita gratificante, a prendere coscienza delle convinzioni erronee che sono alla base della percezione di sé, in modo da sottoporle ad un vaglio critico, riguadagnando un’immagine positiva.
Per fare ciò l’autore suggerisce alcune strategie, che passano attraverso il contestare le etichette e l’imparare a difendersi dagli attacchi mossi alla propria immagine di sé, anche e soprattutto quando questi attacchi vengono da persone significative.
In ultima analisi, bisogna tenere a mente che la mente è ‘come una lente: la visione di sé stessi e del proprio corpo avviene attraverso questa lente che può modificare, deformare, ampliare o distorcere ciò che osserva‘.
Dobbiamo quindi imparare a conoscere questa lente e i suoi filtri, perché essa influisce non solo sul modo in cui vediamo il nostro corpo, ma sul modo in cui vediamo noi stessi in generale. A sua volta, il modo in cui vediamo noi stessi è a fondamento del nostro modo di porci rispetto all’ambiente, alla nostra vita.
Per questo dobbiamo neutralizzare le visioni distorte che non ci permettono di volerci bene per come siamo; come scrive l’autore tirando le somme:
"Date al vostro cigno una chance e non permettete mai a nessuno di convincervi che siete solo un brutto anatroccolo e che niente potrà cambiarvi."
Autostima e social network
Secondo i risultati di una ricerca americana, l’utilizzo del social network Facebook favorirebbe l’incremento della propria autostima. Lo studio in questione è stato condotto da Hancock e colleghi della Cornell University (New York) ed ha coinvolto 63 studenti della stessa università.
Le condizioni sperimentali erano così strutturate: gli studenti del primo gruppo potevano navigare liberamente su Facebook senza alcun impedimento, quelli del secondo gruppo, invece, rimanevano di fronte al monitor spento. Infine, un terzo gruppo di studenti rimaneva di fronte a degli specchi, collocati davanti ai monitor. Dopo tre minuti, ad ogni partecipante veniva dato un test per valutare la propria autostima. Nel gruppo di controllo, ovvero quello formato dagli studenti che osservavano i computer spenti e da quelli posizionati davanti agli specchi, non si registrava alcun aumento nei livelli di autostima, mentre gli studenti che avevano navigato Facebook riportavano aumenti significativi della stima di sé.
Hancock e colleghi hanno ipotizzato che Facebook mostrerebbe un’immagine positiva di noi stessi, mentre, al contrario, uno specchio ci ricorderebbe chi siamo veramente e per questo potrebbe avere un effetto negativo sulla nostra autostima.
Naturalmente non tutti gli utenti abituali risentono di un incremento dell’autostima, anzi, alcune ricerche hanno suggerito una correlazione tra l’uso intensivo di Facebook e narcisismo e, più in generale, tra l’utilizzo dei social network e altre patologie.
Autostima e bullismo
Pare che la stima attribuita a noi stessi possa avere un sua influenza nei fenomeni di bullismo. Tuttavia, in letteratura, la relazione tra autostima e bullismo, fornisce dati in parte contraddittori.
La maggior parte degli studi sembra concorde nel sostenere che i bambini vittime di bullismosoffrono di scarsa autostima, hanno un’opinione negativa di sé e delle proprie competenze (Menesini, 2000).
I bulli invece appaiono spesso caratterizzati da un’alta autostima. In una importante ricerca sul tema (Salmivalli, 1999) si è indagata l’autostima a 14 e 15 anni e i risultati hanno evidenziato che i bulli hanno un’autostima più alta della media, combinata a narcisismo e manie di grandezza. Un ulteriore studio ha evidenziato che i bulli sono soggetti popolari, e ciò ha portato i ricercatori a ipotizzare che la popolarità potrebbe condurre ad un innalzamento dell’autostima e delle condotte aggressive, in quanto il bullo non avrebbe paura di essere sanzionato dal gruppo di pari (Caravita, Di Balsio, 2009).
Comunque questi dati sono stati più volte smentiti, in quanto il fatto che i bulli percepiscono sé stessi come ben visti non vuol dire che essi realmente lo siano. Spesso accade che le persone che hanno un comportamento da bullo si mostrano come superiori e potenti, ma in realtà essi non pensano questo di sé stessi.
I dati che supportano l’ipotesi che i bulli hanno una positiva percezione di sé, ritengono che essa è spesso inconsistente. Per esempio Salmivalli (1998) ha trovato nei bulli un’alta autostima per quanto riguarda le relazioni interpersonali e l’attrazione fisica, ed una bassa autostima per quanto riguarda l’ambito scolastico, quello familiare, quello del comportamento e quello delle emozioni (Salmivalli, 2001).
In conclusione, le ricerche sono concordi nel sostenere che l’essere vittima di bullismo correla con la bassa autostima, meno chiaro è invece il ruolo che gioca l’autostima nel comportamento antisociale del bullo. Le correlazioni emerse dalle varie ricerche tra autostima e comportamento aggressivo sono poco concordanti.
L’autoefficacia
Con il termine autoefficacia (Bandura, 2000) si intende la fiducia nelle proprie capacità di escogitare le strategie che ci consentono di affrontare nel modo ottimale qualsiasi evenienza. Il concetto di autoefficacia dipende da molte variabili, quali:
l’esito brillante di precedenti situazioni problematiche affrontate;
le esperienze vicarie, date dall’aver visto altri fronteggiare contesti situazionali difficoltosi ed esserne usciti vittoriosi;
le autopersuasioni positive;
lo stato di benessere derivante dall’aver superato prove particolarmente impegnative;
la capacità di immaginarsi vincenti in esperienze gravose.
Definire il costrutto di autostima non è semplice, in quanto si tratta di un concetto che ha un’ampia storia di elaborazioni teoriche. Una definizione concisa e condivisa in letteratura potrebbe essere la seguente:
Insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di se stesso (Battistelli, 1994).
Tre elementi fondamentali ricorrono costantemente in tutte le definizioni di autostima (Bascelli, 2008):
La presenza nell’individuo di un sistema che consente di auto-osservarsi e quindi di auto-conoscersi.
L’aspetto valutativo che permette un giudizio generale di se stessi.
L’aspetto affettivo che permette di valutare e considerare in modo positivo o negativo gli elementi descrittivi.
La costruzione cognitiva dell’autostima
L’autostima è un paradigma che può essere costruito giorno dopo giorno attraverso strategie cognitive.
Una prima definizione del concetto di autostima si deve a William James (cit. in Bascelli e all, 2008), il quale la concepisce come il risultato scaturente dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente e le aspettative in merito ad essi.
Alcuni anni dopo Cooley e Mead definiscono l’autostima come un prodotto che scaturisce dalle interazioni con gli altri, che si crea durante il corso della vita come una valutazione riflessa di ciò che le altre persone pensano di noi.
Infatti l’autostima di una persona non scaturisce esclusivamente da fattori interiori individuali, ma hanno una certa influenza anche i cosiddetti confronti che l’individuo fa, consapevolmente o no, con l’ambiente in cui vive. A costituire il processo diformazione dell’autostima vi sono due componenti: il sé reale e il sé ideale.
Il sé reale non è altro che una visione oggettiva delle proprie abilità; detto in termini più semplici corrisponde a ciò che noi realmente siamo.
Il sé ideale corrisponde a come l’individuo vorrebbe essere. L’autostima scaturisce per cui dai risultati delle nostre esperienze confrontati con le aspettative ideali. Maggiore sarà la discrepanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, minore sarà la stima di noi stessi.
La presenza di un sé ideale può essere uno stimolo alla crescita, in quanto induce a formulare degli obiettivi da raggiungere, ma può generare insoddisfazioni ed altre emozioni negative se lo si avverte molto distante da quello reale. Per ridurre questa discrepanza l’individuo può ridimensionare le proprie aspirazioni, e in tal modo avvicinare il sé ideale a quello percepito, oppure potrebbe cercare di migliorare il sé reale (Berti, Bombi, 2005).
Possedere un’alta autostima è il risultato di una limitata differenza tra il sé reale e il sé ideale. Significa saper riconoscere in maniera realistica di avere sia pregi che difetti, impegnarsi per migliorare le proprie debolezze, apprezzando i propri punti di forza. Tutto ciò enfatizza una maggiore apertura all’ambiente, una maggiore autonomia e una maggiore fiducia nelle proprie capacità.
Le persone con un’alta autostima dimostrano una maggiore perseveranza nel riuscire in un’attività che le appassiona o nel raggiungere un obiettivo a cui tengono e sono invece meno determinate in un ambito in cui hanno investito poco. Si tratta di persone più propense a relativizzare un insuccesso e ad impegnasi in nuove imprese che le aiutano a dimenticare.
Al contrario, una bassa autostima può condurre ad una ridotta partecipazione e a uno scarso entusiasmo, che si concretizzano in situazioni di demotivazione in cui predominano disimpegno e disinteresse. Vengono riconosciute esclusivamente le proprie debolezze, mentre vengono trascurati i propri punti di forza. Spesso si tende a evadere anche dalle situazioni più banali per timore di un rifiuto da parte degli altri. Si è più vulnerabili e meno autonomi. Le persone con una bassa autostima si arrendono molto più facilmente quando si tratta di raggiungere un obiettivo, soprattutto se incontrano qualche difficoltà o sentono un parere contrario a ciò che pensano.
Si tratta di persone che faticano ad abbandonare i sentimenti di delusione e di amarezza connessi allo sperimentare un insuccesso. Inoltre, di fronte alle critiche, sono molto sensibili all’intensità e alla durata del disagio provocato.
Ma cosa concorre a far sì che un individuo si valuti positivamente o negativamente? Ebbene ci si autovaluta in merito a tre processi fondamentali:
Assegnazione di giudizi da parte altrui, sia direttamente che indirettamente. Si tratta del cosiddetto ‘specchio sociale‘: mediante le opinioni comunicate da altri significativi noi ci autodefiniamo.
Confronto sociale: ovvero la persona si valuta confrontandosi con chi lo circonda e da questo confronto ne scaturisce una valutazione.
Processo di autosservazione: la persona può valutarsi anche autosservandosi e riconoscendo le differenze tra se stesso e gli altri. Kelly (1955), il padre della Psicologia dei Costrutti Personali, ad esempio considera ogni persona uno ‘scienziato’ che osserva, interpreta (i.e: attribuisce significati alle proprie esperienze) e predice ogni comportamento od evento, costruendo, tra l’altro, una teoria di sé per facilitare il mantenimento dell’autostima.
Autostima e ideali
In pratica l’assunto centrale della teoria è che la gente si muove attraverso ideali e mete e monitora il proprio percorso verso di esse, confrontando continuamente la percezione del proprio comportamento rispetto agli standard di riferimento. Quando l’individuo percepisce una discrepanza tra il proprio stato attuale e la meta cerca delle strategie comportamentali per ridurre tale discrepanza.
Le persone si muovono attraverso molteplici piani ideali, alcuni sono legati alle abitudini concrete (“ideale di andare in palestra due volte la settimana”), altri sono legati a ideali più astratti da realizzare (“diventare una persona sportiva e dinamica”). In generale la percezione di una distanza tra come siamo e come vorremmo essere genera emozioni negative di tristezza, tale per cui siamo portati in qualche modo a minimizzare tale differenza percepita. Esistono però due tipi di idealistudiati: gli ideali propriamente intesi, ovvero esperienze, concetti e standard di riferimento a cui tendere e a cui riferirsi, e gli ideali negativi (sé temuti) ovvero situazioni, persone (reali o simboliche), mete e circostanze da cui le persone cercano di distanziarsi e di tenere lontane perché giudicano negativamente.
In generale il senso comune e la letteratura ipotizzano un ruolo negativo degli ideali sull’autostima, specie se essi sono troppo ambiziosi e irraggiungibili (Marsh, 1993).
In generale si può dire che nonostante il chiaro valore che l’autoregolazione verso le mete ha per la società, poiché spinge l’individuo a migliorarsi e a tendere verso nuovi obiettivi, la rincorsa verso gli ideali ha dei costi individuali in termini di risorse mentali e senso del proprio valore.
Le distorsioni cognitive
Talvolta le autoanalisi che contribuiscono definire l’autostima di una persona sono falsate dalle sue distorsioni cognitive, ovvero da pensieri che inficiano la considerazione di sé.
Sacco e Beck (1985) indicano una serie di distorsioni cognitive, che sono:
Le inferenze cognitive, attraverso le quali gli individui maturano delle idee arbitrarie su se stessi senza l’avallo di dati reali e obiettivi;
Le astrazioni selettive, per mezzo delle quali un piccolo particolare negativo viene estrapolato, divenendo emblematico e rappresentativo del proprio modo di essere;
Le sovrageneralizzazioni, per cui si è portati a generalizzare partendo, per esempio, da un singolo tratto di personalità che contraddistingue un individuo o da un singolo episodio esperienziale che lo ha visto protagonista;
La massimizzazione, che consente di implementare gli effetti negativi di una singola azione svolta;
La minimizzazione, la quale permette di rimpicciolire la portata positiva di qualche evento;
La personalizzazione, che autorizza a sentirsi colpevole per qualche evento negativo accaduto;
Il pensiero dicotomico, che non ammette sfumature nell’ambito delle assunzioni di responsabilità, riconducendo l’analisi ai costrutti del tutto e niente (visione in bianco e nero).Autostima ed attribuzioni causali
Il processo mediante cui l’individuo si autovaluta è dovuto anche alle attribuzioni causali. Detto in termini più semplici le persone spesso cercano di spiegarsi un evento collegandolo ad una causa. Sovente si tende ad attribuire un successo raggiunto ad una causa esterna alla persona, quale potrebbe essere la fortuna, oppure ad una causa interna, come ad esempio la tenacia.
Weiner, nel 1994, ha affermato che le attribuzioni possono essere distinte in base a tre dimensioni:
Locus of control: ossia se la causa di un successo (o di un fallimento) è interna o esterna alla persona;
Stabilità: per cui le cause possono essere stabili o instabili nel tempo (per esempio la facilità del compito è stabile, al contrario la fortuna è instabile);
Controllabilità: non tutte le cause possono essere controllate dal soggetto;Pare che l’attribuzione a cause stabili, controllabili e interne all’individuo abbia, in caso di raggiungimento di un successo, un innalzamento dell’autostima nell’individuo.
Di contro l’attribuzione a cause esterne a sé, instabili e poco controllabili portano ad un calo dell’autostima e della fiducia in se stessi.
Bassa autostima: le strategie per incrementarla
Secondo Toro (2010), per accrescere la percezione positiva di sé esistono diverse strategie, quali:
l’incremento delle capacità di problem solving, poichè spesso l’autostima è funzione delle proprie capacità di risolvere i problemi.
l’implementazione del dialogo interno (self – talk) positivo; l’autostima, infatti, può essere incrementata attraverso il dialogo positivo con se stessi, utilizzando la propria voce interiore. In altre parole, se noi per primi inviamo dei messaggi positivi alla nostra mente, è molto probabile che le autopercezioni possano migliorare.
la ristrutturazione dello stile attribuzionale, tesa a farci raggiungere una maggiore obiettività, grazie alla quale potremmo, ad esempio, interpretare gli avvenimenti o le situazioni che non dipendono da noi come semplicemente sfavorevoli.
il miglioramento dell’autocontrollo;
la modificazione degli standard cognitivi; ponendoci aspettative eccessivamente elevate, infatti, corriamo il rischio di non essere all’altezza di quelle attese e, quindi, di influenzare l’autopercezione.
il potenziamento delle abilità comunicative.
Autostima ed immagine corporea
Secondo lo psicoterapeuta Luca Saita, sarebbero tre i meccanismi che interferirebbero negativamente con la creazione dell’immagine corporea, ovvero:
attacco diretto o indiretto
proiezione
etichettamento
Nel primo caso la persona subisce un attacco, diretto o non, al proprio corpo (‘Oggi hai davvero un aspetto orribile!’); nel secondo caso qualcuno, in modo inconsapevole, per liberarsi delle proprie caratteristiche fisiche ritenute inaccettabili, le attribuisce a qualcun altro (ad es., la madre che dice alla figlia ‘Non metterti quel vestito, ti ingrassa‘); nell’ultimo caso vengono attribuite delle etichette alla persona (il ‘nasone‘, il ‘roscio‘, ‘gambe storte‘).
Quando una persona viene costantemente sottoposta ad influenze negative di questo genere non c’è da meravigliarsi che impari a vedersi solo ed unicamente attraverso le lenti distorte della disistima. Non bisogna sottovalutare gli effetti di un tale atteggiamento: l’immagine corporea, il modo in cui ci vediamo e ci presentiamo agli altri ha delle ripercussioni molto profonde a livello di sicurezza di sé; in altre parole, il vedersi brutti, il percepirsi inadeguati ha conseguenze che influiscono non solo sul corpo, ma anche sulla mente, sul modo di stare al mondo.
Chiaramente si tratta di un vissuto del tutto personale e soggettivo; esistono, come è possibile osservare nell’esperienza quotidiana di ciascuno di noi, persone considerate belle che, però, si vivono come costantemente inadeguate e sono sempre alla ricerca di un qualcosa che manca per sentirsi, finalmente, a proprio agio nel proprio corpo. Al tempo stesso, ci sono persone che, pur avendo dei piccoli difetti, si vogliono bene, vivono il proprio corpo con serenità e trasmettono tale serenità anche all’esterno, in termini di sicurezza di sé.
Per questa ragione diventa importante aiutare la persona che non si accetta e tende ad ingigantire i propri difetti, fino, in alcuni casi, a non riuscire a condurre una vita gratificante, a prendere coscienza delle convinzioni erronee che sono alla base della percezione di sé, in modo da sottoporle ad un vaglio critico, riguadagnando un’immagine positiva.
Per fare ciò l’autore suggerisce alcune strategie, che passano attraverso il contestare le etichette e l’imparare a difendersi dagli attacchi mossi alla propria immagine di sé, anche e soprattutto quando questi attacchi vengono da persone significative.
In ultima analisi, bisogna tenere a mente che la mente è ‘come una lente: la visione di sé stessi e del proprio corpo avviene attraverso questa lente che può modificare, deformare, ampliare o distorcere ciò che osserva‘.
Dobbiamo quindi imparare a conoscere questa lente e i suoi filtri, perché essa influisce non solo sul modo in cui vediamo il nostro corpo, ma sul modo in cui vediamo noi stessi in generale. A sua volta, il modo in cui vediamo noi stessi è a fondamento del nostro modo di porci rispetto all’ambiente, alla nostra vita.
Per questo dobbiamo neutralizzare le visioni distorte che non ci permettono di volerci bene per come siamo; come scrive l’autore tirando le somme:
"Date al vostro cigno una chance e non permettete mai a nessuno di convincervi che siete solo un brutto anatroccolo e che niente potrà cambiarvi."
Autostima e social network
Secondo i risultati di una ricerca americana, l’utilizzo del social network Facebook favorirebbe l’incremento della propria autostima. Lo studio in questione è stato condotto da Hancock e colleghi della Cornell University (New York) ed ha coinvolto 63 studenti della stessa università.
Le condizioni sperimentali erano così strutturate: gli studenti del primo gruppo potevano navigare liberamente su Facebook senza alcun impedimento, quelli del secondo gruppo, invece, rimanevano di fronte al monitor spento. Infine, un terzo gruppo di studenti rimaneva di fronte a degli specchi, collocati davanti ai monitor. Dopo tre minuti, ad ogni partecipante veniva dato un test per valutare la propria autostima. Nel gruppo di controllo, ovvero quello formato dagli studenti che osservavano i computer spenti e da quelli posizionati davanti agli specchi, non si registrava alcun aumento nei livelli di autostima, mentre gli studenti che avevano navigato Facebook riportavano aumenti significativi della stima di sé.
Hancock e colleghi hanno ipotizzato che Facebook mostrerebbe un’immagine positiva di noi stessi, mentre, al contrario, uno specchio ci ricorderebbe chi siamo veramente e per questo potrebbe avere un effetto negativo sulla nostra autostima.
Naturalmente non tutti gli utenti abituali risentono di un incremento dell’autostima, anzi, alcune ricerche hanno suggerito una correlazione tra l’uso intensivo di Facebook e narcisismo e, più in generale, tra l’utilizzo dei social network e altre patologie.
Autostima e bullismo
Pare che la stima attribuita a noi stessi possa avere un sua influenza nei fenomeni di bullismo. Tuttavia, in letteratura, la relazione tra autostima e bullismo, fornisce dati in parte contraddittori.
La maggior parte degli studi sembra concorde nel sostenere che i bambini vittime di bullismosoffrono di scarsa autostima, hanno un’opinione negativa di sé e delle proprie competenze (Menesini, 2000).
I bulli invece appaiono spesso caratterizzati da un’alta autostima. In una importante ricerca sul tema (Salmivalli, 1999) si è indagata l’autostima a 14 e 15 anni e i risultati hanno evidenziato che i bulli hanno un’autostima più alta della media, combinata a narcisismo e manie di grandezza. Un ulteriore studio ha evidenziato che i bulli sono soggetti popolari, e ciò ha portato i ricercatori a ipotizzare che la popolarità potrebbe condurre ad un innalzamento dell’autostima e delle condotte aggressive, in quanto il bullo non avrebbe paura di essere sanzionato dal gruppo di pari (Caravita, Di Balsio, 2009).
Comunque questi dati sono stati più volte smentiti, in quanto il fatto che i bulli percepiscono sé stessi come ben visti non vuol dire che essi realmente lo siano. Spesso accade che le persone che hanno un comportamento da bullo si mostrano come superiori e potenti, ma in realtà essi non pensano questo di sé stessi.
I dati che supportano l’ipotesi che i bulli hanno una positiva percezione di sé, ritengono che essa è spesso inconsistente. Per esempio Salmivalli (1998) ha trovato nei bulli un’alta autostima per quanto riguarda le relazioni interpersonali e l’attrazione fisica, ed una bassa autostima per quanto riguarda l’ambito scolastico, quello familiare, quello del comportamento e quello delle emozioni (Salmivalli, 2001).
In conclusione, le ricerche sono concordi nel sostenere che l’essere vittima di bullismo correla con la bassa autostima, meno chiaro è invece il ruolo che gioca l’autostima nel comportamento antisociale del bullo. Le correlazioni emerse dalle varie ricerche tra autostima e comportamento aggressivo sono poco concordanti.
L’autoefficacia
Con il termine autoefficacia (Bandura, 2000) si intende la fiducia nelle proprie capacità di escogitare le strategie che ci consentono di affrontare nel modo ottimale qualsiasi evenienza. Il concetto di autoefficacia dipende da molte variabili, quali:
l’esito brillante di precedenti situazioni problematiche affrontate;
le esperienze vicarie, date dall’aver visto altri fronteggiare contesti situazionali difficoltosi ed esserne usciti vittoriosi;
le autopersuasioni positive;
lo stato di benessere derivante dall’aver superato prove particolarmente impegnative;
la capacità di immaginarsi vincenti in esperienze gravose.
Come si evince da questa lista, anche il concetto di autoefficacia interviene nelle valutazioni che la persona compie su se stessa e che, in ultima analisi, definiscono la sua autostima.
A cura di: Claudio Nuzzo
Dal Sito: www.stateofmind.it
Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/tag/autostima/
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