giovedì 25 maggio 2017

Claustrofobia e Agorafobia: Un problema relazionale?


Secondo la teoria cognitiva la claustrofobia e l'agorafobia sono una risposta di ansia a ciò che viene percepito come perdita di protezione o libertà.

Claustrofobia e Agorafobia sono entrambi Disturbi d’ansia (DSM 5, 2014), in particolar modo Fobie. Esse consistono in una paura estrema di qualcosa di oggettivamente non così pericoloso. Il soggetto riconosce l’irrazionalità della sua paura, ma non riesce a controllarla ed è costretto a fuggire dall’ oggetto fobico. Nell’ articolo approfondiremo come la fobia, in particolar modo degli spazi chiusi e degli spazi aperti, nasconda un problema di natura profondamente relazionale.

La fobia secondo la psicoanalisi

Secondo Freud (1894), la fobia ha origine dalla rimozione dalla propria coscienza di desideri proibiti. Essi verrebbero quindi disconosciuti e poi proiettati su un oggetto, che scatenerà dunque la fobia. Lo spostamento del proprio affetto inaccettabile (che sia la rabbia o un desiderio sessuale) su un oggetto o su una situazione esterna consente dunque l’ evitamento: non avvicinandomi a quella circostanza posso non entrare in contatto con i sentimenti che mi fanno paura. Secondo l’approccio psicodinamico, l’ oggetto fobico avrà una connessione indiretta col vero problema dell’individuo: lo simbolizza. La capacità simbolica del nostro inconscio è infatti la sua forza più sorprendente.

La teorizzazione cognitiva della fobia

Guidano (1988), sul versante cognitivo, ha invece sottolineato come la tendenza del soggetto fobico sia quella di rispondere con paura ed ansia a ciò che viene percepito come perdita di protezione e/o perdita di libertà.

Ugazio (1998), esponente della teoria sistemico-relazionale, conia il concetto di polarità semantiche: ogni famiglia si organizza intorno ad alcune polarità che definiscono cosa è rilevante per quel nucleo e per la definizione di sé e dei suoi componenti. Ad esempio: buono/cattivo; dare/prendere; sincero/falso. Secondo l’approccio sistemico-cognitivo, l’area saliente per un individuo con un’ organizzazione fobica è la seguente: bisogno di protezione/libertà. Questi estremi sono vissuti come reciprocamente escludentesi e non conciliabili, e viene valorizzata soprattutto la polarità “libertà-indipendenza”, su cui verrà basata la propria autostima e il senso di competenza.

Secondo Ugazio, l’ organizzazione fobica è un assetto che si sviluppa nel bambino a partire dalle prime esperienze con una figura di attaccamento che scoraggia in lui un comportamento esplorativo e che gli trasmette una definizione negativa di sé. Tale organizzazione può poi dare origine a comportamenti sintomatici, nell’infanzia o nell’adolescenza, in seguito a eventi eccessivamente intensi che tocchino una delle due polarità.

La claustrofobia e l’agorafobia secondo la teoria cognitiva

Il dilemma del fobico è quindi: rinuncio alla sicurezza della compagnia in modo da essere libero (ma anche solo di fronte ai pericoli) oppure rinuncio alla libertà di esplorazione in cambio di una protezione che mi rassicura (ma che può anche soffocarmi)? Le vie di uscita sono due strade dicotomiche: o aderisco a un’immagine di me che esclude fragilità e debolezza e identifica l’autostima con l’indipendenza, oppure mi imbarco in rapporti affettivi stretti dai quali dipendere. La prima coincide con la claustrofobia, la seconda con l’ agorafobia. La persona con claustrofobia sente pericolose le situazioni che interpreta come perdita di libertà (come un rapporto troppo stretto o la nascita di un figlio), l’ agorafobico ha paura di ciò che vive come perdita di protezione (la fine di una storia d’amore o un lavoro che richiede più responsabilità). Si tratta di un continuum ai cui estremi abbiamo da una parte la scelta di essere indipendente ma rinunciare a un coinvolgimento emotivo, dall’altra essere protetti da un legame ma avere una bassa autostima.

Il claustrofobico può avere un legame affettivo purché a basso coinvolgimento. Sceglierà un partner dal profilo basso: poco brillante, dipendente, che si coinvolge emotivamente per entrambi. Nella coppia è in posizione “one up”, è accentratore, fuggitivo e svalutante. L’ agorafobico, al contrario, privilegia la relazione a scapito del sé. Per paura di perdere il legame, controlla le persone significative e sottopone la relazione a continue verifiche. Il fatto di non essere indipendente compromette il suo senso di realizzazione. Si legherà in giovane età a un partner apparentemente forte e protettivo a cui dedicherà tutto. Nella coppia è in posizione “one down”.

L’ organizzazione fobica di un individuo, che risulta esemplificativa nei due estremi “claustrofobico” e “agorafobico”, affonda quindi le radici in difficoltà relazionali che si esprimono in una modalità non equilibrata di vivere la relazione: il primo tende a sentirsi soffocato (gli spazi chiusi lo angosciano), il secondo ha paura che, solo e sperduto in balìa del pericolo, nessuno lo salvi (gli spazi aperti e dispersivi gli trasmettono senso di minaccia e mancata protezione). Diceva lo scrittore Robert Heinlein: “Puoi avere la pace. Oppure puoi avere la libertà. Non sperare di averle tutte e due insieme”. Ma non è detto: le due strategie, adattive solo sul breve periodo, possono essere col tempo, attraverso la psicoterapia, sostituite da un atteggiamento costruttivo capace di smussare la continua tensione tra i due poli. Riconducendo l’angoscia al terreno relazionale, sarà possibile raggiungere una riconciliazione armonica tra bisogni e paure, e una nuova capacità di apprezzare se stessi nello spazio dinamico dell’esistenza.


Scritto da: Marta Di Grado

Dal Sito: www.stateofmind.it






Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2017/01/claustrofobia-agorafobia/


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2015/09/rimuginio-preoccupazioni/


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2017/05/terapia-assistita-con-animali/

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