venerdì 21 luglio 2017

Il rapporto tra psicofarmaci e psicoterapia



Quando è utile un percorso di psicoterapia e quando invece è meglio fare ricorso agli psicofarmaci?

Psicoterapia e cura psicofarmacologica sono approcci che utilizzano metodi d’intervento e teorie di base completamente diversi.

La psicoterapia (la cosiddetta “terapia della parola”) agisce sulle cause emotive e cognitive del disagio psicologico utilizzando il colloquio e il rapporto tra terapeuta e paziente.

La psicofarmacologia interviene sul piano fisiologico e materiale, mediante la somministrazione degli psicofarmaci, ossia dei farmaci che agiscono sul funzionamento del sistema nervoso centrale.

Questi due interventi sono generalmente forniti da due differenti tipi di specialisti della salute mentale: gli psicologi psicoterapeuti da un lato e i medici psichiatri dall’altro.

Gli psicoterapeuti sono in genere degli psicologi (ma vi è anche una minoranza di medici psicoterapeuti) e in quanto psicologi non sono autorizzati (né formati) a somministrare gli psicofarmaci. Il loro intervento riguarda piuttosto gli aspetti comportamentali, mentali, emotivi e di comprensione della persona.

Gli psichiatri sono invece innanzitutto dei medici che hanno ricevuto una formazione che si è focalizzata prevalentemente sugli aspetti fisici dell'essere umano e, di conseguenza, si occupano delle cure psicofarmacologiche (si veda anche il mio articolo sulla differenza tra lo Psicologo e lo Psichiatra).


Psicofarmaci e/o psicoterapia?
Il rapporto tra i due approcci è piuttosto complesso e – ad oggi – alcuni li ritengono metodologie di intervento inconciliabili e in antitesi.

In realtà vi sono numerosi punti di vista diversi, alcuni suffragati da ricerche scientifiche, altri basati sulla esperienza pratica e clinica degli psichiatri e degli psicoterapeuti che lavorano sul campo.

Alcuni specialisti sostengono che i due tipi di cura debbano essere utilizzati in alternativa: la psicoterapia quando il disturbo è leggero o mediamente grave, la psicofarmacologia quando il disturbo è molto grave.

Altri specialisti della salute mentale sostengono invece che la psicofarmacologia debba essere usata come strumento principale e prioritario nel maggior numero dei casi.

Ci sono poi quelli che invece utilizzerebbero sempre e solo la psicoterapia.

Infine vi sono gli specialisti che auspicano una diffusa integrazione delle due metodiche.

Per cercare di gettare luce sul rapporto tra queste due metodologie ho intervistato la Dott.ssa Nicoletta Borioni che, pur essendo un Medico specialista in Psichiatra ha conseguito anche una specializzazione in Psicoterapia e, avendo maturato una esperienza professionale in entrambi i campi, mi è sembrata la persona più adatta per trattare questo tema.


L’intervista alla Dott.ssa Nicoletta Borioni
Vorrei cominciare col chiederle qualcosa di personale: come ha deciso di diventare un Medico Psichiatra?
Sono sempre stata appassionata di medicina e in più ho sempre letto libri in tema di psicologia. Quando mi sono iscritta a medicina mi interessava molto anche l’approccio psicologico al paziente. Dopo la laurea in medicina ho scelto di specializzarmi in psichiatria perché si occupava degli aspetti psichici della cura del paziente e durante il corso di specializzazione in psichiatria ho studiato le malattie mentali e ho verificato anche l’utilità dell’uso degli psicofarmaci, specie nel caso di alcune malattie mentali, come ad esempio le psicosi.

Perché ha deciso di prendere una ulteriore specializzazione in Psicoterapia?
Studiando psichiatria mi sono resa conto che la psichiatria mi forniva le nozioni sulle patologie e sull’uso dei farmaci, però queste nozioni non mi erano sufficienti per gestire il rapporto col paziente e l’investimento emotivo personale con quel paziente. Poi sapevo che mi sarebbe piaciuto fare anche lo psicoterapeuta, che è una professione per cui serve una formazione specialistica.

La cura del rapporto con il paziente è una materia del corso di specializzazione in psichiatria?
Sì, durante la specializzazione in psichiatria vengono insegnate molte cose circa il rapporto col paziente: come accogliere il paziente, come gestire la prima visita ... Durante il mio corso in psichiatria, poi, mi sono stati insegnati anche molti concetti e autori dell’ambito psicologico. Però non mi sono state fornite le nozioni, le tecniche, la supervisione per esercitare la professione di psicoterapeuta. Perciò dopo la specializzazione in psichiatria, ho voluto affrontare un secondo corso di specializzazione in psicoterapia, per divenire capace di fornire anche la “cura della parola”.

Quando è opportuno intervenire sul disagio psicologico esclusivamente mediante l’uso degli psicofarmaci?
Si interviene esclusivamente con gli psicofarmaci quando il paziente non possiede quel livello di lucidità tale per entrare in relazione con un’altra persona. Questo ha luogo, ad esempio, quando il paziente è delirante, oppure ha delle allucinazioni, oppure è mutacico [N.d.r.: incapace di comunicare verbalmente].
Quando però il paziente ha recuperato la capacità di relazionarsi, è sempre bene utilizzare anche la psicoterapia.

E quando è opportuno intervenire esclusivamente mediante l’uso della psicoterapia?
Sono tanti i casi di disagio psichico in cui è opportuna solo la psicoterapia. Quando il disagio è reattivo a degli eventi e non è così grave da sovvertire la stabilità mentale del paziente. Cioè, quando la persona sta reagendo ad un trauma, più o meno lontano nel tempo.
O quando c’è un disagio relazionale, ad esempio quando un paziente ha un problema col proprio coniuge, oppure quando la persona ha bisogno di fare delle scelte, oppure quando sta attraversando dei momenti di vita normali ma difficoltosi, chessò, un lutto, una separazione, un trasloco, uno sfratto, un licenziamento …
O quando la persona ha una crisi esistenziale, ha bisogno di fare il punto sulla sua vita e non presenta sintomi così gravi da sconvolgere il suo equilibrio.
L’uso esclusivo della psicoterapia è auspicabile poi nel caso dei Disturbi di personalità, in cui gli psicofarmaci possono al più ridurre alcuni sintomi ma non sono indispensabili, mentre è essenziale la psicoterapia.

Quando invece è maggiormente auspicabile una integrazione dei due approcci?
Nei casi precedenti, quando il paziente sta reagendo ad un trauma, o ad un evento stressante, o si trova in un momento di crisi e il suo equilibrio è fortemente sconvolto. Quando, cioè, la persona perde la sua capacità di funzionare completamente nella propria vita quotidiana, allora può essere utile integrare la psicoterapia con l’uso degli psicofarmaci.
Ci sono poi dei disturbi per i quali le ricerche hanno mostrato che l’approccio integrato di psicoterapia e psicofarmacologia produce i maggiori effetti di cura.

Interessante. Ad esempio per quali disturbi è stato verificato che l’integrazione delle metodiche è la strategia più utile?
Per esempio, per gli Attacchi di panico, o per il Disturbo bipolare le ricerche hanno mostrato questo. In questi casi gli psicofarmaci contribuiscono ad attenuare i sintomi critici di cui soffre la persona, cosicché poi questa diviene maggiormente capace di entrare in relazione e di lavorare in psicoterapia sugli eventi stimolo che provocano il malessere. Con i pazienti bipolari, la farmacoterapia impedisce le grosse oscillazioni, ma è con la psicoterapia che la persona diviene consapevole di quando “vira” [N.d.r.: la brusca variazione dell'umore del paziente che improvvisamente comincia a mostrare una eccessiva eccitazione fisica, psichica e comportamentale], di perché “vira” e impara a prevenire le ricadute serie.

Quindi talvolta integrare psicofarmaci e psicoterapia può aiutare il paziente a beneficiare maggiormente del percorso di psicoterapia?
Sì, come ho appena detto per gli Attacchi di panico e i disturbi bipolari. Ma anche nel caso dei pazienti psicotici, i quali sono fortemente disequilibrati presentando deliri, allucinazioni e altri comportamenti fortemente disorganizzati. In questi casi se il paziente viene “compensato” [N.d.r.: stabilizzato] con una farmacoterapia, poi è possibile lavorare con la “terapia della parola” sul disagio e aiutare la persona a impegnarsi nel cercare di sviluppare le proprie competenze sociali, chessò, frequentando un centro diurno e lavorando sulle proprie difficoltà di relazione con gli altri.
Talvolta però è il paziente stesso che richiede l’integrazione di psicoterapia e psicofarmaci e questo può essere utile per alleviare i sintomi particolarmente disturbanti, come ad esempio l’insonnia che è fortemente debilitante, specie nel lungo periodo.

In questi casi è meglio che sia lo psichiatra stesso ad assumere anche il ruolo di psicoterapeuta, o è più opportuno che siano due persone differenti?
In generale è meglio che siano due persone diverse, magari che siano in contatto e collaborino tra loro. In questo modo il paziente quando si trova in psicoterapia si può concentrare sui temi psicologici, sulle sue difficoltà emotive e relazionali, invece di sottrarsi a questi temi parlando degli effetti del farmaco: “Questo farmaco mi crea sonnolenza, non dormo, eccetera”. In questo modo se il paziente tenta di “coprire” i temi psicologici con l’attenzione ai farmaci, lo psicoterapeuta può rifocalizzarlo dicendogli: “Bè di queste cose ne può parlare con lo psichiatra”, di fatto scindendo i due campi e facilitando il lavoro in psicoterapia.
In taluni casi però, ad esempio con i pazienti giovani o con i pazienti molto resistenti alla terapia, può essere utile invece che lo psichiatra e lo psicoterapeuta siano la stessa persona, nel senso che nei casi più complessi è più utile essere flessibili: lo stesso professionista può fare da psichiatra e psicoterapeuta e conquistarsi gradualmente la fiducia del paziente e convincerlo piano piano a cominciare una terapia farmacologica e nel frattempo parlarci conducendo il discorso sulle sue difficoltà psicologiche. Con i pazienti più resistenti non è utile essere troppo rigidi e dire “io faccio lo psichiatra e l’altra persona fa lo psicoterapeuta” perché è difficile anche solo che il paziente si fidi di un solo specialista.

E ora, una domanda che riflette alcune paure e luoghi comuni: è possibile che l’uso degli psicofarmaci impedisca o rallenti il percorso di psicoterapia?
Ci sono diverse scuole di pensiero, ma io direi, come si diceva all’inizio, che spesso trattare farmacologicamente i sintomi che impediscono di entrare in relazione, quali i deliri, le allucinazioni, le disorganizzazioni gravi, facilita e permette la psicoterapia.
Ci sono invece alcuni casi non gravi, come ad esempio l’Attacco di panico, laddove, se la persona non soffre più dei sintomi, allora perde la motivazione a fare un lavoro psicoterapeutico. Finché il paziente ha il sintomo, anche solo attenuato, va in psicoterapia e si mette a ragionare: “Cosa era successo il giorno prima dell’attacco di panico? Come stavo?” e fa delle connessioni tra gli eventi, le sue convinzioni, le sue emozioni e le sue sensazioni fisiche.
Ma se il paziente grazie agli psicofarmaci non ha più gli attacchi di panico, si dice: “Sto bene” e non va più a fare il lavoro di psicoterapia. In questo caso il paziente ha risolto la sintomatologia critica, ma non risolve le cause scatenanti e probabilmente non le affronterà mai, fintantoché continuerà ad utilizzare gli psicofarmaci.

La psicoterapia mira ad una conclusione allorché la persona che ha risolto i propri problemi e ha acquisito le risorse necessarie, non ha più bisogno di effettuare un lavoro psicoterapeutico. E’ la stessa cosa per gli psicofarmaci, ossia la somministrazione degli psicofarmaci ha come obiettivo l’interruzione degli stessi?
Dipende. Vi sono alcuni casi, le situazioni gravi, quali le psicosi e i disturbi bipolari, in cui se la persona sta meglio utilizzando degli psicofarmaci deve continuare a prenderli per continuare a stare bene. Magari dopo una prima fase in cui i dosaggi sono più alti, si effettua una riduzione progressiva per arrivare, dopo anni, ad una dose sempre più bassa, una dose minima di mantenimento che la persona deve continuare ad assumere. Comunque sono capitati dei casi in cui delle persone con disturbi importanti, magari un unico episodio, e subito trattato, piano piano sono arrivati a non assumere più nessun farmaco, in genere con l'aiuto di una buona psicoterapia…
La maggioranza degli studi soprattutto sulle psicosi ha mostrato che l'intervento precoce al primo episodio e la continuità di assunzione delle terapie farmacologiche già dal primo anno sono il fattore principale per un ritorno al funzionamento precedente l'episodio critico.
Ci sono invece molti casi in cui ci si pone dall’inizio l’obiettivo di interrompere gli psicofarmaci, ossia i farmaci vengono somministrati con l’idea di agire sui sintomi invalidanti e facilitare una psicoterapia per poi essere tolti.

Come ad esempio?
Bè, ad esempio gli Attacchi di Panico. Se insieme ai farmaci viene effettuato un buon percorso di psicoterapia, probabilmente si riuscirà a togliere gli psicofarmaci.
Stessa cosa vale per alcuni tipi di depressione, o per altri disturbi ansiosi: se l’intervento farmacologico viene abbinato con la psicoterapia vi sono buone possibilità di eliminare poi gli psicofarmaci.

La Dott.ssa Nicoletta Borioni è Medico Chirurgo specialista in Psichiatra, Psicoterapeuta, Dirigente medico in servizio presso il CSM (Centro di Salute Mentale) dell’ASL RM-C. Per ulteriori informazioni è possibile visionare la scheda di presentazione della Dott.ssa Nicoletta Borioni.

Conclusioni
I rapporti tra psicoterapia e psicofarmacologia sembrano essere complessi e influenzati dal tipo di patologia nonché dalle caratteristiche del singolo paziente.
Pur con le dovute eccezioni e differenze tra persona e persona, mi arrischio ad effettuare le seguenti sintesi e generalizzazioni:
Ci sono molti disturbi psicologici che hanno bisogno di essere affrontati unicamente con la psicoterapia. Quando i sintomi non sono molto pesanti, ad esempio quando l’ansia, l’umore depresso, la confusione mentale, gli accessi di rabbia non sono così intensi da impedire che la persona porti avanti la propria vita, è consigliabile intervenire unicamente con la psicoterapia.
Questo è il caso della maggioranza delle persone che generalmente si rivolgono ad uno psicologo.

Ci sono poi alcuni disturbi psicologici la cui cura è invece avvantaggiata dall’integrazione di psicofarmaci e psicoterapia, con l’obiettivo di arrivare a interrompere entrambe le metodiche di intervento. L’intervento farmacologico ha l’obiettivo di portare il livello dei sintomi sotto controllo e di permettere alla persona di trarre il massimo vantaggio da un percorso di psicoterapia. L’idea è comunque quella di lavorare in psicoterapia per giungere a interrompere l’intervento farmacologico. Rientrano in questa categoria disturbi con sintomi quali: gli attacchi di panico, le ossessioni e le compulsioni, l’umore depresso “grave”.

Infine, vi sono alcuni disturbi psicologici gravi, come le psicosi e i disturbi dell'umore unipolari o bipolari, laddove l’intervento farmacologico è indispensabile e ci si aspetta che continuerà per un lungo periodo, se non per tutta la vita del paziente. Anche in questi casi, la persona trae benefici da un percorso psicoterapeutico in integrazione con la terapia farmacologica.

Vale la pena di ricordare che è assolutamente sconsigliato effettuare da sé una diagnosi psichiatrica o determinare da sé il piano di intervento psicoterapeutico e psicofarmacologico. Particolarmente pericolosi sono gli interventi psicofarmacologici fai da te, come ad esempio quando la persona decide da sola di aumentare le dosi o di sospendere le assunzioni di uno psicofarmaco dopo un lungo periodo di assunzione.

Rispetto ai disturbi psicologici la miglior cosa è stabilire il piano di intervento insieme allo specialista di fiducia o, nei casi più complessi, con l’aiuto di una equipe di specialisti – composta da psichiatri e psicoterapeuti, ma anche da neurologi, fisioterapisti, dietologi, etc. – per individuare il miglior intervento integrato.


Adriano Stefani Psicologo


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