"Le vostre storie, il vostro coraggio, la vostra forza."
GOLA, LA CANZONE MEDICINA DI CHIARA CRYSTAL E Il “SECONDO PIANO” DI
LAURA CHIATTI.
LAURA CHIATTI.
Chiara Crystal: "Il mio messaggio, infatti, è quello di vivere le difficoltà come
segnale che deve spingerci a ricercare ciò che siamo, ad avere coraggio e forza di
volontà per riuscire a sentire ciò che di bello c’è nelle nostre vite, senza aspettare
che 'la paura finisca prima che sorge il sole'
…
Nel brano e nel video è presente un elemento, lo specchio: guardarsi allo specchio
e imparare ad accettarsi ed amarsi per tutto ciò che siamo, cela anche un messaggio
diretto a chiunque ascolterà il brano, 'io sono come te, ci somigliamo' ed ancora 'se
sono riuscita io a specchiarmi ed amare le mie difficoltà, puoi farlo anche tu'".
Laura Chiatti “Mi curo con la bioenergetica e con la psicoterapia. E’ sbagliato
pensare di potercela fare sempre senza farsi aiutare, un errore in cui noi donne
cadiamo spesso. Lavoriamo, ci occupiamo della casa, della famiglia: un
sovraccarico di responsabilità che può schiantarti fisicamente”.
“…Quando metti al mondo un figlio capisci per la prima volta che cos’è l’amore…”
“solo un figlio ti porterà quell’amore che ti stacca la pelle. Ma il prezzo, ed è questo
che tolgono, è che tu passi totalmente in secondo piano. Tu, i tuoi bisogni, il tuo
lavoro“.
Ho ripreso due citazioni importanti, da due testi pubblicati qui sul blog. Due
testimonianze di qualcuno che come me, come noi, sa bene che cosa significa
sprofondare in quel buco nero che è un attacco di panico.
Ne escono due messaggi opposti: quello di Chiara Crystal che ci parla della sua
canzone – medicina “Gola”, e quello di Laura Chiatti che dice del prezzo dell’amore
(che dovrebbe magari compensare il suo, nostro, stare male), dell’amore per un
figlio: “Solo un figlio ti porterà quell’amore che ti stacca la pelle”. Il prezzo da pagare
è però altissimo (e soprattutto, credo, anzi, ne sono certa) incongruo, ingiusto.
Quell’amore che ti stacca la pelle vorrebbe, vuole infatti “… che tu passi totalmente
in secondo piano”. Laura ha appena detto “mi curo con la bioenergetica e con la
psicoterapia. E’ sbagliato pensare di potercela fare senza farsi aiutare, un errore in
cui noi donne cadiamo spesso”.
Penso ci cadano anche molti uomini. Sì è un errore pensare di farcela da sole e da
soli. Chiedere aiuto non è abbandonare la lotta che ognuna e ognuno di noi combatte
per conquistare la luce nella propria vita. Ma occorre anche trovare una “canzonemedicina”, da cantare e da offrire, o magari qualcos’altro che faccia fare la
Anch’io ho dovuto farci i conti per molti anni con gli attacchi di panico, e quando
“loro” non c’erano, io stavo in ascolto attenta, per la paura che arrivassero, magari
quando stavo facendo lezione ai miei studenti di Ca’ Foscari. Anch’io mi sono fatta
aiutare. Però ad un certo punto mi sono fatta la domanda di Concetta, che
ho letto sulla pagina Facebook: “Buongiorno volevo farvi una domanda ma tutti quanti
voi avete capito la causa scatenante? Io dopo 22 anni ancora no”
Io allora ancora no. Così interruppi la psicoterapia e cercai un’altra strada. Una
sera mi rifugiai nella mia stanza, il luogo protetto dove mi sentivo tranquilla, chiusi la
porta, accarezzai per pochi minuti il mio violino, poi presi un quaderno nero, di quelli
antichi, con le pagine dal bordo rosso cupo, una penna, mi sedetti sul letto e
cominciai a scrivere. Poche righe ogni sera, sempre alla stessa ora, sempre nella
mia stanza, sempre seduta sul letto, dopo aver accarezzato per due minuti il violino
muto.
Scrissi per un anno intero, senza saltare mai un giorno; no, non ci furono vacanze
quell’anno, non potevo, non volevo staccarmi dal mio rito serale. Prima di riprendere
a scrivere, rileggevo, sempre tutto da capo. Qualcosa o forse qualcuno, cominciò a
muoversi piano, in sordina, discretamente e in silenzio, dentro la mia mente e la mia
anima, qualcuno o qualcosa che non conoscevo e che nello stesso tempo mi era
noto, ne scorgevo pochi tratti, troppo pochi perché lo potessi o la potessi riconoscere.
Una rimembranza che suonava una nota lontana lontana, appena udibile; se mi ci
concentravo troppo fuggiva, e dovevo aspettare la sera seguente.
Dopo un anno il mio racconto era finito. Non lo decisi io, me lo impose “lui”. Così
non potei fare altro che rileggerlo e leggerlo. Nemmeno una parola da cambiare.
Perfetto. Finito.
E quasi in silenzio, da lontano, come la nota di violino che ascoltavo di dentro, poco
poco alla volta il racconto portò la luce. Compresi con smarrimento e dolore, e la
trasformazione ebbe inizio.
Raccontare è ancora la mia canzone medicina, anche se ora io non ne ho più
bisogno per sfuggire al buco nero. Ora ne conosco la serratura segreta che apre alla
metamorfosi.
Laura
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