giovedì 22 febbraio 2018

Disturbo Borderline di Personalità



Che cos’e’ il disturbo Borderline

Il disturbo borderline di personalità (DBP) è un disturbo di personalità caratterizzato da repentini cambiamenti di umore, instabilità dei comportamenti e delle relazioni con gli altri, marcata impulsività e difficoltà ad organizzare in modo coerente i propri pensieri. Questi elementi si rinforzano reciprocamente, generando notevole sofferenza e comportamenti problematici. Ne consegue che le persone con questo disturbo, pur essendo dotate di molte risorse personali e sociali, realizzano con difficoltà e a fatica i propri obiettivi.
Tra i disturbi di personalità, il disturbo borderline è quello che giunge più comunemente all’osservazione clinica. Colpisce il 2% della popolazione, più frequentemente il sesso femminile. L’esordio avviene in adolescenza o nella prima età adulta.
Come si manifesta

Tra le caratteristiche principali di chi presenta il disturbo borderline figura l’instabilità emotiva, che si manifesta con marcati e repentini cambiamenti dell’umore: queste persone possono oscillare rapidamente, ad esempio, tra la serenità e la forte tristezza, tra l’intensa rabbia e il senso di colpa. A volte emozioni contrastanti sono presenti contemporaneamente, tanto da creare caos nel soggetto e nelle persone a lui vicine.
Queste “tempeste emotive” si scatenano soprattutto in risposta ad eventi relazionali spiacevoli, come, ad esempio, un rifiuto, una critica o una semplice disattenzione da parte degli altri. La reazione emotiva di chi ha questo disturbo è molto più immediata, marcata e duratura rispetto a quella delle altre persone (vulnerabilità emotiva), per cui gestire le proprie emozioni diventa più difficile (disregolazione emotiva).
Nel tentativo di controllare i propri picchi emotivi, le persone con disturbo borderline di personalità ricorrono all’azione impulsivamente, agiscono senza riflettere. L’impulsività si può esprimere con esplosioni di rabbia, litigi violenti fino alla rissa, abuso di sostanze, abbuffate di cibo, gioco d’azzardo, promiscuità sessuale, spese sconsiderate. Possono anche manifestarsi, a volte anche in modo ricorrente, atti autolesivi (es. procurarsi dei tagli sul corpo con delle lamette o delle bruciature con dei mozziconi di sigaretta, ingerire dosi eccessive di psicofarmaci) o tentativi di suicidio.
Un’altra caratteristica importante di chi ha questo disturbo è la difficoltà a riflettere sulle proprie esperienze, sui propri stati d’animo e sui propri rapporti interpersonali in modo coerente e lineare. Le conversazioni di queste persone appaiono in genere ricche di episodi, scene e personaggi, ma prive di un filo conduttore evidente. In altri casi, invece, sembra che stiano raccontando “tutto ed il contrario di tutto”: il loro punto di vista su sé stessi o sulle altre persone risulta contraddittorio.
I soggetti con disturbo borderline presentano, inoltre, relazioni con gli altri tumultuose, intense e coinvolgenti, ma ancora una volta estremamente instabili e caotiche. Non hanno vie di mezzo, sono per il “tutto o nulla”, per cui oscillano rapidamente tra l’idealizzazione dell’altro e la sua svalutazione (es. possono dividere il genere umano in “totalmente buoni” e “totalmente cattivi”). I rapporti iniziano generalmente con l’idea che l’altro, il partner o un amico, sia perfetto, completamente e costantemente protettivo, affidabile, disponibile, buono. Ma è sufficiente un errore, una critica o una disattenzione, che l’altro venga catalogato repentinamente nel modo opposto: minaccioso, ingannevole, disonesto, malevolo. In molti casi le due immagini dell’altro, quella “buona” e quella “cattiva,” sono presenti contemporaneamente nella mente del soggetto borderline, generando ulteriore caos.
Tutte queste difficoltà incidono drammaticamente sulla stima di sé, per cui i soggetti con questo disturbo si percepiscono, contemporaneamente, sbagliati e fragili. Espressioni come “Non valgo niente!”, “Sono un bluff!”, “Sono inconsistente!”, “Sono orribile!” compaiono frequentemente nei loro pensieri. Trascorrono la maggior parte del tempo a cercare di correggere questi presunti difetti, trattandosi con severità e pretendendo da se stessi cambiamenti impossibili: è una battaglia già persa in partenza, che conferma la loro iniziale percezione di essere sbagliati.
In questo contesto, a volte l’altro è sentito come giudicante e come se fosse un nemico da cui difendersi. In questi momenti queste persone si sentono fragili, facilmente feribili ed esposte, senza possibilità di difesa e di aiuto, ad un mondo potenzialmente minaccioso e pericoloso. Soprattutto in situazioni di stress, questi soggetti possono presentare degli episodi di ideazione paranoide durante i quali pensano che gli altri abbiano intenzioni malevole e ostili verso di loro. In altri casi, invece, rispondono allo stress con delle crisi dissociative durante le quali perdono transitoriamente le capacità critiche ed il senso di sé. In questi casi, l’emozione dominante è la paura, a cui spesso si associa una sensazione di assoluta solitudine e di totale abbandono da parte degli altri.
A volte riescono a sottrarsi alle forti pressioni cui sono sottoposti distaccandosi da tutto e da tutti: entrano in uno stato di vuoto nel quale avvertono una penosa mancanza di scopi. Si tratta di una condizione pericolosa, in quanto in questi stati sono frequenti le tendenze all’azione, come le abbuffate di cibo, l’abuso di sostanze stupefacenti, gli atti autolesivi e i tentativi di suicidio.
Come capire se si soffre di disturbo borderline di personalità

In sintesi, i soggetti affetti dal disturbo borderline di personalità presentano disregolazione emotiva ed affettiva con improvvisi attacchi di rabbia, ansie intense ed episodiche, sentimenti di vuoto, instabilità nella percezione di sé e degli altri e comportamenti impulsivi.
Alcuni di questi sintomi si possono ritrovare anche in altre patologie, per cui, per ricevere una diagnosi seria ed accurata, è necessario rivolgersi a persone qualificate.
E’ possibile, comunque, fare delle precisazioni che possono aiutare a distinguere questa categoria diagnostica da altre ad essa assimilabili.
Il disturbo borderline di personalità ha delle caratteristiche in comune con i disturbi dell’umore, in particolare con il disturbo bipolare. Entrambi i disturbi, infatti, presentano degli stati intensi di euforia e di depressione. Il disturbo borderline, tuttavia, è caratterizzato da una disregolazione emotiva pervasiva e da oscillazioni dell’umore dipendenti dal contesto, in particolare dalle relazioni interpersonali. Nel disturbo bipolare, invece, le oscillazioni dell’umore si presentano in modo ciclico ed indipendente dal contesto. Una corretta diagnosi è ulteriormente complicata dal fatto che circa il 50% dei pazienti borderline manifesta anche un disturbo dell’umore (depressione e disturbo bipolare).
Il disturbo borderline di personalità, inoltre, può essere confuso con il disturbo dissociativo dell’identità, con cui ha in comune un senso di confusione riguardo alla propria identità e le rapide fluttuazioni tra tipi completamente diversi di umore e comportamenti. Nel disturbo borderline, tuttavia, le alterazioni dell’identità non si aggregano in distinte personalità con diversi nomi, età, preferenze, ricordi e amnesie per eventi passati, come avviene nel disturbo dissociativo dell’identità.
Bisogna anche differenziare il disturbo borderline di personalità da altri disturbi di personalità con caratteristiche simili, in particolare il disturbo dipendente di personalità e il disturbo istrionico di personalità, con i quali ha in comune il timore dell’abbandono da parte delle persone significative, il senso di vuoto e l’idea di essere sbagliato. Un’ultima distinzione va fatta tra il disturbo borderline e la schizofrenia. I due disturbi hanno in comune alcuni sintomi psicotici, ma nel disturbo borderline questi risultano temporanei e dipendenti dallo stato del paziente o dal contesto. I soggetti borderline, infine, hanno un funzionamento personale e sociale maggiore rispetto alle persone affette da schizofrenia.
Cause

La letteratura è concorde nell’indicare come fattori di rischio del disturbo borderline di personalità due aspetti che interagirebbero tra loro potenziandosi reciprocamente:
un’infanzia trascorsa in un ambiente invalidante, cioè un contesto in cui il soggetto può essere stato esposto a svalutazione dei propri stati mentali (pensieri, emozioni e sensazioni fisiche), interazioni caotiche ed inappropriate, espressioni emotive intense, carenze di cure, maltrattamenti e abusi sessuali;
fattori genetico-temperamentali, che predisporrebbero il soggetto allo sviluppo della disregolazione emotiva.
Conseguenze

Tra le conseguenze principali di questo disturbo figurano l’instabilità nei rapporti interpersonali, lo scarso rendimento lavorativo nonostante le capacità del soggetto, l’abuso di alcool e di droghe e, in casi estremi, il ricorso ad atti autolesivi e suicidari.
Differenti tipi di trattamento

Il disturbo borderline di personalità è tra i disturbi più studiati. Il trattamento raccomandato dagli esperti per la cura di questo disturbo è la psicoterapia, eventualmente affiancata dalla farmacoterapia. Orientamenti terapeutici diversi hanno realizzato diversi tipi di terapie per la cura specifica del disturbo borderline. Attualmente risultano maggiormente efficaci i trattamenti che includono terapie diverse e intensive.
La terapia dialettico-comportamentale (DBT) di Marsha Linehan è un trattamento ad orientamento cognitivo-comportamentale integrato. Secondo la Linehan, la principale difficoltà di chi ha il disturbo borderline è quella di gestire le proprie intense emozioni (disregolazione emotiva). Obiettivi peculiari di questa terapia sono la riduzione dei comportamenti suicidari e dei comportamenti che interferiscono sia con la terapia, che con la qualità della vita del paziente. Questi obiettivi, unitamente alle modalità di cura e alle regole da rispettare, vengono definiti da terapeuta e paziente in uno speciale accordo (contratto terapeutico). Il trattamento della Linehan prevede due ore a settimana di terapia individuale e due o tre ore a settimana di incontri di gruppo (gruppi di skills training e di mindfulness). Negli incontri di gruppo vengono potenziate quelle abilità in cui il paziente risulta carente, in particolare la regolazione delle sue intense emozioni negative. Tale trattamento sembra essere particolarmente indicato per le persone che presentano atti autolesivi e suicidari.
La schema-focused therapy (SFT) di Jeffrey Young è un trattamento che integra l’approccio cognitivo-comportamentale con approcci basati sulle relazioni oggettuali e sulla Gestalt.
Secondo quest’approccio, nel paziente borderline sarebbero attivi degli schemi disadattavi precoci e delle strategie di padroneggiamento delle difficoltà che darebbero origine ad altri specifici schemi (es. Bambino abbandonato, Bambino arrabbiato e impulsivo, Genitore punitivo). Questo tipo di terapia mira, in particolare, al cambiamento degli schemi disfunzionali, alla regolazione emotiva e allo sviluppo di relazioni sane per il paziente.
La terapia centrata sul transfert (TFP) di Clarkin, Yeomans e Kernberg è una terapia di stampo psicoanalitico. Il suo obiettivo principale è quello di aiutare il paziente a riconoscere, a partire dalla relazione col terapeuta, le rappresentazioni di Sé e dell’altro non integrate (es. dire della stessa persona, a distanza di pochi minuti: “E’ la persona più buona della Terra!” e “E’proprio un infame!”) e a integrarle (es. “E’ una persona disponibile, anche se stavolta mi ha risposto male”). Il contratto tra terapeuta e paziente impegna quest’ultimo a ricorrere anche ad ulteriori risorse terapeutiche (es. terapia farmacologica, periodi di ricovero) nel caso in cui manifestasse comportamenti che minacciano la sua salute e il prosieguo della terapia. Questo trattamento è strutturato in due sedute di terapia individuale a settimana, per la durata di circa due anni.
Il trattamento basato sulla mentalizzazione di Bateman e Fonagy, di derivazione psicodinamica, è stato applicato finora solo su pazienti in strutture di semiricovero (day hospital). Secondo gli autori, la difficoltà principale di chi soffre di disturbo bordeline è quella di mentalizzazione, che consiste nella capacità di rappresentarsi gli stati mentali propri e altrui, di spiegarsi il comportamento e di prevederlo. Questa terapia, dunque, è volta all’incremento della capacità di mentalizzazione dei pazienti. Il trattamento consiste in tre ore a settimana sia di terapia individuale, che di terapia di gruppo analitica e in un’ora a settimana di terapia espressiva e psicodramma. A questi incontri vanno aggiunti quelli per il controllo della terapia farmacologia e quelli mensili con il gestore del caso.
Altre terapie per la cura del disturbo borderline, con prove di efficacia inferiori rispetto alle terapie già menzionate, sono la terapia cognitiva per i disturbi di personalità di Beck e Freeman e la terapia cognitivo-analitica di Ryle.
La terapia cognitiva per i disturbi di personalità (CTPD) di Beck e Freeman è un trattamento cognitivo-comportamentale che si focalizza sul riconoscimento e sulla messa in discussione delle credenze disfunzionali su di Sé, sugli altri e sul mondo. Queste credenze sarebbero generate da distorsioni della realtà (distorsioni cognitive) e costituirebbero gli schemi cognitivi (strutture cognitive di base che permettono di organizzare l’esperienza ed il comportamento). Nel trattamento del disturbo borderline di personalità, il paziente viene aiutato ad individuare e modificare, in particolare, una distorsione cognitiva (pensiero dicotomico) in base alla quale classifica le esperienze solo in due categorie che si escludono a vicenda (es. buono/cattivo). Questo tipo di trattamento dura circa un anno e prevede sedute a cadenza settimanale.
La terapia cognitivo-analitica di Ryle è un trattamento che integra l’orientamento cognitivo con quello psicoanalitico. Si basa sulla ricostruzione e sul padroneggiamento delle immagini di sé e dell’altro e delle loro transizioni. Questo protocollo risulta indicato per quei pazienti le cui difficoltà principali riguardano il disturbo dell’identità e delle relazioni, piuttosto che i disturbi del comportamento. Si tratta di un trattamento breve (24 sedute e 4 incontri di follow-up) e altamente strutturato.
La terapia farmacologica attualmente viene utilizzata come supporto alla psicoterapia, per il trattamento dei sintomi del paziente. La sintomatologia di questi pazienti può essere suddivisa in tre grandi aree. Nella prima e nella seconda area vengono incluse rispettivamente le difficoltà di regolazione delle proprie emozioni e dell’impulsività, sintomi che sembrano rispondere molto bene agli antidepressivi di nuova generazione. Nel caso di rabbia molto intensa o di comportamenti a rischio, si ricorre anche a basse dosi di neurolettici atipici. Quando il trattamento con gli antidepressivi risulta insufficiente, si possono utilizzare gli stabilizzatori dell’umore. Nella terza area sintomatologica sono incluse idee persecutorie, idee suicidarie e sintomi dissociativi, per i quali si usano bassi dosaggi di neurolettici, da aumentare se la risposta è insufficiente. Nei casi in cui l’incolumità del soggetto è gravemente a rischio, si può ricorrere ad un ricovero ospedaliero. A questo proposito vanno distinte due situazioni estreme: i tentativi reiterati di suicidio e l’ideazione suicidaria conseguente ad un evento negativo o ad una fase depressiva acuta. Nella prima situazione, generalmente si raccomanda il ricovero in centri specializzati, dove il soggetto riceve, per periodi anche di qualche mese, cure psicoterapeutiche specifiche per le condotte suicidarie. Nel secondo caso è indicato un ricovero generalmente breve in ospedale o in clinica psichiatrica finalizzato ad un adeguato e controllato trattamento psicofarmacologico.

Il trattamento cognitivo-comportamentale

Nell’ambito della terapia cognitiva sono stati realizzati diversi programmi di trattamento per i disturbi di personalità.
Presso il Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva è stato messo a punto un modello di trattamento denominato metacognitivo-interpersonale per diversi disturbi di personalità, tra cui quello borderline. Il trattamento è strutturato essenzialmente in una psicoterapia individuale, in genere a cadenza settimanale. Obiettivi finali della terapia sono la riduzione della sofferenza e il miglioramento della qualità di vita del paziente, in accordo con le sue esigenze e priorità e tenendo conto delle sue difficoltà.
Il processo terapeutico comprende i seguenti passaggi, applicati con flessibilità:
la creazione, fin dalle prime sedute, di una buona alleanza tra paziente e terapeuta, realizzata evitando il coinvolgimento in dinamiche relazionali patologiche (cicli interpersonali disfunzionali) e ricorrendo ad un accordo sugli obiettivi del lavoro. Dal momento che chi ha il disturbo borderline di personalità è capace di instaurare, nonostante le sue difficoltà, relazioni intense e significative, il terapeuta lo aiuta ad utilizzare questa sua risorsa per creare, a partire proprio dalla relazione terapeutica, rapporti nei quali possa sperimentare un senso di accettazione di sé, di aiuto e di protezione;
l’intervento diretto sulle disfunzioni metacognitive tipiche di questo disturbo. Il terapeuta aiuta il paziente a focalizzare la sua attenzione sulle sue difficoltà metacognitive: ne spiega la natura, le caratteristiche e le strategie per affrontarle; lo incoraggia, inoltre, ad osservare il problema al di fuori della seduta e ad applicare le strategie individuate in seduta;
l’intervento diretto sugli stati mentali problematici, che comprende l’identificazione degli stati d’animo problematici del paziente durante la seduta, la ricostruzione dei fattori di rischio per la comparsa delle crisi ed i compiti di auto-osservazione degli stati d’animo fuori della seduta;
l’aiuto per ricordare i contenuti delle sedute. Questo intervento risulta necessario in quanto i pazienti borderline possono manifestare degli stati dissociativi e non ricordare ciò che avviene in seduta. Una tecnica semplice per aiutarli a rievocare i contenuti della terapia è il ricorso a promemoria compilati insieme al terapeuta.
Nelle situazioni in cui è a rischio l’incolumità stessa del soggetto (es. stati suicidari, atti automutilanti, abuso di sostanze, guida pericolosa), la sola terapia individuale può non essere sufficiente e viene applicato un trattamento integrato, in cui la terapia individuale metacognitivo-interpersonale è affiancata da incontri con i familiari e/o incontri di gruppo (gruppi di skills training e di mindfulness) e/o dalla farmacoterapia. Questo tipo di trattamento prevede che le varie figure professionali lavorino in équipe.
Le funzioni degli interventi aggiuntivi sono molteplici. Incontrare i familiari, ad esempio, per spiegare loro cosa succede al loro congiunto e come funziona la terapia, può creare un contesto tranquillizzante attorno al paziente ed avere un effetto benefico sulla sintomatologia. Questo intervento rappresenta, inoltre, una preziosa risorsa nella gestione delle emergenze. Gli incontri di gruppo, invece, possono aiutare il soggetto a rinforzare la comprensione del disturbo, riconoscere e gestire i momenti di crisi, potenziare le abilità interpersonali, ridurre il caos nei rapporti con gli altri e incrementare l’accettazione degli stati di sofferenza.

Dal Sito: www.terzocentro.it

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