martedì 7 novembre 2017

Claustrofobia: quando manca il respiro

Claustrofobia : quando manca il respiro


Sudorazione, affanno, battito cardiaco accelerato, offuscamento della vista, capogiri, sensazione di cadere o essere in trappola, nausea, vomito, tremore, vertigine, formicolio. Questi alcuni sintomi degli attacchi di panico di cui nucleo centrale è la sensazione di pericolo (sovrastima del pericolo) e il proprio sé come estremamente vulnerabile (sottostima della capacità individuali di fronteggiamento)

In particolare la claustrofobia si presenta nel momento in cui ci troviamo in uno spazio chiuso o affollato, ed è associata all’evitamento di oggetti o situazioni che creano senso di oppressione e sensazione di mancanza di libertà di movimento. La paura di soffocare, la sensazione di sentirsi in trappola ed in pericolo, l’impossibilità di muoversi possono invalidare il quotidiano, come i tunnel, i treni, la metropolitana, gli ascensori, le stanze piccole, i negozi, le maschere. Eviteremo di frequentare questi ambienti, ma di fatto aumenteremo la paura dello stesso stimolo, poiché se nell’immediato possiamo sentirci sollevati, alla prossima occasione l’ansia salirà maggiormente. Oltre l’evitamento, la claustrofobia coinvolge il controllo costante ad esempio all’interno di un veicolo, preferiremmo sederci accanto a una porta e viaggiare solo quando c’è poco traffico; nei luoghi pubblici staremo vicino alla porta evitando i bagni affollati. In generale, la claustrofobia è associata ad altre fobie situazionali come il buio, l’altezza, volare in aereo, in cui la percezione di pericolo e del sé indifeso restano alte.

Probabilmente la figura di attaccamento ansiogena, controllante e invadente ci ha scoraggiati verso un comportamento esplorativo dandoci un immagine del mondo pericoloso e ingannevole, e del nostro sé negativa, poco pronta all’adattamento, e al superamento di un ostacolo. Il dilemma che si crea nell’età adulta è rinunciare alla sicurezza della compagnia in modo da essere liberi (e da soli di fronte ai pericoli) o rinunciare alla libertà di esplorazione in cambio di una protezione che rassicura (ma che può anche soffocare). Potremo aderire a un’immagine di sè apparentemente sicura e autonoma (non mi fido del mondo e degli altri - claustrofobia) o imbarcarci in rapporti affettivi stretti dai quali dipendere (agorafobia – paura spazi aperti). Nel primo caso sentiamo pericolose le situazioni che interpretiamo come perdita di libertà, soffocamento e i legami affettivi sono a basso coinvolgimento.

Con questi ingredienti potremo sentirci poco sereni nella routine o con gli amici, dovendo rinunciare a molte cose, o incontrare difficoltà relazionale, specie nella vita di coppia o con un figlio. Un intervento cognitivo comportamentale può essere la via per ritornare a respirare serenamente e non sentirsi in uno stato di perenne sofferenza emotiva e limitazioni quotidiane.

di Rita Verardi- psicologa e psicoterapeuta

Nessun commento:

Posta un commento