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sabato 16 maggio 2020

I disturbi della derealizzazione e della depersonalizzazione



La mente umana rappresenta ancora oggi uno dei grandi misteri ancora da scoprire. Il cervello è uno degli organi più affascinanti e complessi: grazie a lui riusciamo a scrivere, leggere, parlare, ballare, correre e fare ogni altra azione che ci viene in mente. La cosa eccezionale è che riusciamo a fare tutto ciò utilizzando solo una piccolissima parte del suo potenziale.

Spesso capita pero, che il cervello sia leggermente “difettoso “. in questo caso molto importante è la figura dello psicologo. Disturbi mentali come la dissociazione, la depersonalizzazione e la derealizzazione possono essere affrontati solo grazie a dei professionisti che riusciranno a riportarci alla normalità.

Cos’è la dissociazione

La dissociazione è un termine che viene usato nella descrizione della disconnessione di determinati processi psichici rispetto a ogni altro sistema psicologico presente negli individui. A causa della dissociazione, si viene a creare una mancata connessione nella memoria, nel senso d’identità e nel pensiero di una persona.

Si tratta quindi di un processo in cui la mente non riesce  più a integrare determinate funzioni superiori. In psicologia indica la categoria di disturbi dissociati provocati da esperienze traumatiche che hanno interferito con l’integrazione di alcune funzioni psichiche. I processi dissociativi causano sintomi dissociativi che a loro volta possono provocare la presenza di un particolare quadro clinico noto come Disturbo Dissociativo.

Il disturbo della depersonalizzazione e della derealizzazione

Il termine depersonalizzazione descrive delle esperienze di distacco, di irrealtà o di avere la sensazione di essere un osservatore che si trova all’esterno del proprio copro, delle proprie sensazioni, dei propri sentimenti o dei propri pensieri.

La derealizzazione non è altro che un’esperienza di distacco o di irrealtà nei confronti di un ambiente.

I sintomi quindi sono caratterizzati dalla presenza di numerosi episodi di interruzione e disgregazione di sé stessi e del mondo che lo circonda. Tutto questo spesso causa preoccupazione e paura nelle persone che, con il passare del tempo, non riescono più ad avere il controllo della propria vita e iniziano a presentare livelli molto alti di ansia, problemi nell’ambito sociale, depressione che potrebbe sfociare in un abuso di sostanze nocive.

Sintomi della depersonalizzazione e della derealizzazione

I sintomi possono essere causati da forte stress, depressione, ansia oppure uso di sostanze di stupefacenti. Si tratta di sintomi che possono comparire sia in modo graduale che all’improvviso.

Sintomi della depersonalizzazione

Sensazione di distacco dal proprio corpo;

Non avere il controllo delle proprie azioni;

Avere l0impressione di essere uno zombie;

Avere emozioni e sensazioni fisiche intorpidite;

Avere la sensazione di non sentirsi più sé stessi.

Sintomi della derealizzazione

Distacco dall’ambiente esterno;

Sensazione di essere in un mondo irreali;

Sensazione di osservare il mondo da una bolla;

Sensazione che il tempo passi troppo in fretta;

Sensazione che luci e suoni siano più forti;

Sensazione che gli oggetti siano distorti, inusuali e sfocati.

Altri disturbi dissociativi

I disturbi dissociativi sono caratterizzati quindi da una discontinuità a rispetto della normale funzione della coscienza, dell’identità, della memoria,  di ciò che rappresenta il proprio corpo, della percezione e del proprio comportamento. Questi sintomi potrebbero far funzionare in malo modo diverse aree psicologiche.

Cosa comprendono i disturbi dissociativi

I disturbi dissociativi comprendono:

amnesia;

disturbo dissociativo d’identità;

disturbo da depersonalizzazione;

disturbo da derealizzazione.

Questo può presentarsi a seguito di un trauma molto importante e alcuni sintomi come quello della confusione o dell’imbarazzo, sono influenzato dall’esperienza del trauma stesso.

Dal Sito: tgyou24.it 

mercoledì 9 ottobre 2019

Disturbo di depersonalizzazione: chi sono davvero?


“I miei pensieri non sembrano miei”, “Chi sono?”, “Quando mi guardo allo specchio, non mi riconosco”. Questo genere di pensieri si verificano con molta frequenza nelle persone affette dal disturbo di depersonalizzazione o che stanno attraversando dei momenti di grande ansia.

La ricerca della propria identità e del proprio posto nel mondo è una costante. Tutti ci saremo chiesti qualche volta chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando. È una cosa normale. Tuttavia, nel disturbo di depersonalizzazione si verifica con molta più frequenza e intensità.




Cos’è la depersonalizzazione?

Il disturbo di depersonalizzazione è caratterizzato da episodi persistenti o ricorrenti di depersonalizzazione, derealizzazione o entrambe. Ma cos’è la depersonalizzazione? Gli episodi di depersonalizzazione sono dei momenti in cui compare una sensazione di irrealtà, stranezza o un distacco da se stessi e dal mondo esterno in generale.

La persona affetta da depersonalizzazione può sentirsi indipendente da tutto il suo essere e da ciò che la caratterizza (per esempio, “non sono nessuno”, “non ho niente di me”). La persona può anche sentirsi soggettivamente separata da alcuni aspetti dell’Io. Questi possono includere i sentimenti (per esempio la bassa emotività: “so di avere dei sentimenti, ma non riesco a provarli”).

Sentirsi separati dall’Io include anche avvertire una separazione rispetto ai propri pensieri (per esempio, “mi sento la testa annebbiata”), a parti del corpo, a tutto il corpo o a delle sensazioni (per esempio il tatto, la propriocezione, la fame, la sete, la libido). È inoltre frequente che diminuisca il senso della realtà.

Imparare a vivere nel presente

Per esempio, la persona sperimenta una sensazione robotica, come di un automa, che ha scarso controllo dell’uso della parola e dei propri movimenti. L’esperienza della depersonalizzazione a volte può concretizzarsi in un Io scisso, con una parte da osservatore e l’altra da partecipante. Quando si verifica nella sua forma più estrema, è noto come “esperienza extracorporea“(dall’inglese out of body experience).

Il sintomo comune della depersonalizzazione è composto da diversi fattori. Questi fattori includono esperienze corporee anomale (per esempio l’irrealtà dell’Io e le alterazioni della percezione), intorpidimento fisico, emotivo e distorsioni del tempo con anomalie della memoria soggettiva.




Cos’è la derealizzazione?

Gli episodi di derealizzazione sono caratterizzati da una sensazione di irrealtà, distaccamento o mancata familiarità con il mondo. La persona può sentirsi come in un sogno o in una bolla, come se vi fosse un velo o una parete di vetro fra lei e il mondo che la circonda.

L’ambiente può essere visto come artefatto, privo di colore o vita. La derealizzazione di solito è accompagnata da distorsioni visive soggettive. Queste possono essere la sfocatura, l’acutezza visiva incrementata, il campo visivo ampliato o ridotto, la bidimensionalità o la piattezza, l’esagerazione della tridimensionalità. Possono verificarsi anche delle alterazioni in quanto a distanza o dimensioni degli oggetti (per esempio, macropsia o micropsia).

La macropsia consiste nel vedere gli oggetti più grandi rispetto alle dimensioni reali. La micropsia è il contrario, in altre parole vediamo gli oggetti più piccoli di quanto sono in realtà.

La derealizzazione può tradursi anche in distorsioni uditive, silenziando o accentuando le voci o i suoni. Per effettuare la diagnosi di questo disturbo, è richiesta la presenza di un malessere clinicamente significativo o di un deterioramento da un punto di vista sociale, lavorativo o altri settori importanti.

Occorre chiarire che, affinché si possa formulare una diagnosi di derealizzazione, le alterazioni citate non possono essere frutto dell’assunzione di medicinali e farmaci o di una malattia (come l’epilessia). Queste alterazioni non devono essere neanche un sintomi di schizofrenia, attacchi di panico, depressione maggiore, disturbo acuto da stress o disturbo da stress post-traumatico.

Ulteriori caratteristiche delle persone affette da disturbo di depersonalizzazione

Le persone con disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione possono avere delle difficoltà a descrivere i loro sintomi e possono arrivare a pensare di essere pazze o che lo stanno diventando. Un’altra esperienza frequente è il timore di avere un danno cerebrale irreversibile.

Un sintomo comune è l’alterazione soggettiva del senso del tempo (per esempio, troppo veloce o troppo lento), così come una difficoltà soggettiva a ricordare vividamente i ricordi passati e a esserne padroni.

Sono frequenti anche i sintomi corporei più tenui, come saturazione, formicolio o sensazione di svenimento. La persona può mostrare una preoccupazione ossessiva nel tentativo di capire se esistono davvero o di controllarne le percezioni per determinare se siano o meno reali.

Non è raro riscontrare diversi gradi di ansia o depressione in chi è affetto da disturbo di depersonalizzazione. Un dato curioso è che queste persone tendono a reagire fisiologicamente in modo più intenso agli stimoli emotivi. Questi cambiamenti fisiologici si verificano in seguito all’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, del lobulo parietale inferiore e dei circuiti della corteccia prefrontale limbica.




Diagnosi del disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione?

Secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-V), la persona affetta da disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione deve rispettare i seguenti criteri diagnostici:

A. Presenza di esperienze persistenti o ricorrenti di depersonalizzazione, derealizzazione o entrambe:

Depersonalizzazione: Esperienze di irrealtà, distaccamento o essere un osservatore esterno rispetto ai propri pensieri, sentimenti, sensazioni, al proprio corpo o alle proprie azioni.

Derealizzazione: Esperienze di irrealtà o distaccamento rispetto all’ambiente (per esempio, le persone o gli oggetti vengono visti come irreali, come in un sogno: vaghi, privi di vita o visivamente distorti).

B. Durante le esperienze di depersonalizzazione o derealizzazione, le prove di realtà si mantengono intatte.

C. I sintomi provocano un malessere clinicamente significativo o un deterioramento da un punto di vista sociale, lavorativo o in altri settori importanti.

D. L’alterazione non può essere attribuita agli effetti fisiologici di una sostanza (per esempio farmaci e medicinali) o a un’altra patologia (per esempio l’epilessia).

E. L’alterazione non è dovuta a un altro disturbo mentale, como la schizofrenia, attacchi di panico, depressione maggiore, disturbo acuto da stress, disturbo da stress post-traumatico o un altro disturbo dissociativo.

Sviluppo e decorso del disturbo di depersonalizzazione

In media, il disturbo di depersonalizzazione comincia a manifestarsi intorno ai 16 anni, anche se può cominciare agli inizi o a metà dell’infanzia. Di fatto, la maggior parte delle persone ricorda di aver avuto sintomi già in questa fase.

Più del 20% dei casi compare dopo i 20 anni e solo il 5% dopo i 25. La comparsa nel quarto decennio di vita o più tardi è molto insolita. L’inizio può essere estremamente repentino oppure graduale. La durata degli episodi di depersonalizzazione/derealizzazione può variare ampiamente, da breve (ore o giorni) a prolungata (settimane, mesi o anni).

Data la rarità dell’inizio del disturbo dopo i 40 anni di età, in questi casi possono esservi delle patologie soggiacenti, come lesioni cerebrali, crisi epilettiche o apnea notturna.

Il decorso della malattia è spesso cronico. Mentre in alcune persone l’intensità dei sintomi può aumentare o diminuire considerevolmente, altre riferiscono un livello costante nell’intensità che, nei casi estremi, può essere ricorrente per anni o decenni. D’altra parte, l’aumento dell’intensità della sintomatologia può essere causato da stress, peggioramento dell’umore o ansia, nuove circostanze stimolanti o fattori fisici, come la luce o la mancanza di sonno.

Occorre dire che non tutte le persone che presentano alcuni di questi sintomi sviluppano tale disturbo. Se i sintomi citati sono presenti la maggior parte del tempo e interferiscono seriamente nella vostra vita quotidiana, può essere necessario che vi rivolgiate a uno psicologo affinché valuti il vostro problema.

martedì 27 marzo 2018

Disturbo di Depersonalizzazione


Disturbi dissociativi

I disturbi dissociativi sono caratterizzati da uno sconvolgimento e/o discontinuità nella normale integrazione di coscienza, memoria, identità, emozione, percezione, rappresentazione del corpo e comportamento. I sintomi dissociativi possono potenzialmente compromettere ogni area del funzionamento psicologico e sono vissuti come una intrusione nella consapevolezza e nel comportamento, con perdita di continuità nell’esperienza soggettiva (sintomi positivi) e/o impossibilità di accedere alle informazioni o controllare le funzioni mentali che normalmente sono facilmente suscettibili di accesso o controllo (sintomi negativi).

Comprendono:

il disturbo dissociativo di personalità;

l’amnesia dissociativa;

il disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione;

il disturbo dissociativo non specificato.

Si ipotizza che l’attaccamento disorganizzato costituisca l’esperienza primaria che determina la predisposizione alla dissociazione e quindi a modelli cognitivi multipli del sè, con una sensazione di minaccia costante al senso di continuità, unità ed identità della coscienza, che caratterizza in genere lo sviluppo della personalità.

Nel DSM-5 i disturbi dissociativi sono posti accanto ai disturbi da Trauma, il che riflette la stretta relazione tra queste classi diagnostiche. I disturbi dissociativi, infatti, sono frequentemente successivi a traumi e molti dei sintomi, tra l’imbarazzo e la confusione o il desiderio per nasconderli, sono influenzati dalla vicinanza al trauma.

Disturbo di Depersonalizzazione/Derealizzazione

 Che cos’è?

Le caratteristiche essenziali del disturbo depersonalizzazione/derealizzazione sono persistenti o ricorrenti episodi di depersonalizzazione, derealizzazione, o entrambi.

Il disturbo da Depersonalizzazione è definito come un’esperienza persistente o ricorrente di sentirsi distaccato o di sentirsi un osservatore esterno dei propri processi mentali o del proprio corpo (sentirsi come in un sogno). L’individuo può sentirsi distaccato da tutto il suo essere (“io sono nessuno”, “io non ho sé”); o può sentirsi staccato da aspetti di sé (ad esempio dai sentimenti “so di avere sentimenti, ma io non li sento”; dai pensieri “i miei pensieri non li sento come miei”; dal corpo o da parti di esso); o da sensazioni come il tatto, la fame, la sete, la libido. Può essere presente anche un ridotto senso di agency vissuta come una sensazione di robotica, come un automa privo di controllo dei propri movimenti. Il soggetto ha la sensazione di non essere nel pieno controllo delle proprie azioni, anche per quel che riguarda il parlare, e spesso l’esperienza di depersonalizzazione è accompagnata da considerevole ansia secondaria con il timore che queste esperienze possano significare che sono “matti” per cui hanno spesso difficoltà nel descrivere i sintomi.

Insieme alla depersonalizzazione può manifestarsi anche la Derealizzazione, ossia la sensazione che il mondo esterno sia strano o irreale. Il soggetto può percepire una alterazione strana e perturbante della misura o della forma degli oggetti, e le persone possono apparire non familiari o meccanizzate così da perdere il senso della realtà del mondo esterno. Può succedere di avere la sensazione che l’ambiente circostante sembri irreale: che il posto di lavoro non sia familiare o che gli amici o i parenti sembrino estranei. La Derealizzazione è spesso accompagnata da distorsioni visive soggettive come la sfocatura o il campo visivo ristretto o alterazione della distanza o delle dimensioni di oggetti (ad esempio macropsia o micropsia).

Le esperienze di depersonalizzazione o derealizzazione non si manifestano esclusivamente nel corso di un altro disturbo mentale, come schizofrenia, disturbo di panico, disturbo acuto da stress, oppure un altro disturbo dissociativo, e non sono dovute agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es. abuso di droga o di un medicinale), oppure a una condizione medica generale (epilessia del lobo temporale).

Altre manifestazioni frequentemente associate comprendono: sintomi d’ansia, sintomi depressivi, ruminazione ossessiva, preoccupazioni somatiche, e alterazione del senso del tempo. Depersonalizzazione e derealizzazione si annoverano molto frequentemente tra i sintomi degli attacchi di panico.

Come si manifesta?

Gli individui con disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione possono avere difficoltà a descrivere i loro sintomi e possono pensare di essere “pazzi” o di “impazzire”. Altra esperienza comune è il timore di avere danni cerebrali irreversibili. Un sintomo comunemente associato è un alterato senso del tempo (sembra troppo veloce o troppo lento), nonché una difficoltà a ricordare in maniera vivida cose del passato. A livello somatico possono manifestarsi sintomi come: sensazione di avere la testa piena, formicolio, o vertigini. Sono comuni sintomi ansiosi e depressivi.

Gli individui possono presentare ruminazione o preoccupazione ossessiva (ad esempio, essere costantemente ossessionati da domande circa la loro esistenza, o dal controllare le loro percezioni).

L’età media di insorgenza del disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione è 16 anni, anche se può iniziare anche durante l’infanzia.

Gli episodi di depersonalizzazione/derealizzazione possono variare notevolmente in durata: da brevi (ore o giorni) a prolungati (settimane, mesi o anni).

 Come riconoscerlo?

Spesso l’esperienza di depersonalizzazione è accompagnata da attacchi di panico ed è seguita da sviluppo di comportamenti fobici di evitamento (agorafobia). A causa del temuto ripetersi della esperienza di depersonalizzazione (equiparata dai pazienti in genere a perdita di controllo e minaccia di impazzire) questi pazienti sviluppano ansia generalizzata e/o comportamenti di evitamento della solitudine e dei luoghi ove avevano sperimentato la depersonalizzazione. Spesso il paziente si presenta al clinico descrivendo il comportamento fobico e l’attacco di panico come i soli disturbi per cui chiede cura, e trascura del tutto di riferire sulla depersonalizzazione. In presenza di affermazioni, fatte da un paziente ansioso o spaventato, come “mi va via la testa”, “mi sento distaccato da me stesso”, “mi sento un automa”, “mi sembra di uscire da me stesso e di osservarmi dall’esterno”, il clinico si chiede se tale esperienza di minacciata perdita della continuità del senso di identità personale preceda o segua la crisi di ansia: non è raro accorgersi che la depersonalizzazione precede immediatamente e motiva l’allarme del paziente, piuttosto che essere la conseguenza di un attacco di panico. Essendo la depersonalizzazione in questi casi temporalmente antecedente anche se di pochi secondi all’ansia e al panico, la diagnosi di disturbo dissociativo da depersonalizzazione sembra più appropriata.

Cause

Vi è una chiara associazione tra il disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione e la presenza di traumi nell’infanzia, anche se non è così preminente come in altri disturbi dissociativi, come il disturbo dissociativo dell’identità. In particolare sono stati più frequentemente associati l’eccesso emozionale e la trascuratezza emotiva.

Altri fattori di stress possono includere: l’abuso fisico; l’essere stati testimoni di violenza domestica; essere cresciuti con un genitori affetto da malattia psichica; o la morte improvvisa o il suicidio di un familiare. I fattori più prossimi al manifestarsi del disturbo sono: grave stress (interpersonale, finanziario, occupazionale); depressione e ansia (in particolare attacchi di panico); uso di droghe illecite (allucinogeni, ketamine, MDMA).

 Conseguenze

I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa, o di altri settori importanti del funzionamento e possono essere rilevati dall’individuo stesso o osservati da altre persone (APA, 2013).

Trattamento

Il trattamento raccomandato per la cura dei Disturbi Dissociativi è la psicoterapia, con lo scopo principale di ricondurre il paziente verso un migliore funzionamento integrato. Il terapeuta promuove l’idea che tutte le identità alternative rappresentino tentativi di adattamento per far fronte o padroneggiare le difficoltà incontrate dal paziente, e agisce aiutando le identità a conoscersi l’una con l’altra, accettandosi come parti legittime del sé e negoziando per risolvere i loro conflitti.

Oltre alla psicoterapia individuale, i pazienti possono beneficiare d’interventi specifici come la terapia dialettico-comportamentale DBT (Linehan, 1993a, 1993b), la desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (EMDR; Shapiro, 2001), la psicoterapia sensomotoria (Ogden et al., 2006), le terapie di gruppo.

La terapia dialettico-comportamentale (DBT) di Marsha Linehan è un trattamento ad orientamento cognitivo-comportamentale integrato che prevede il potenziamento di quelle abilità in cui il paziente risulta carente, in particolare la regolazione delle sue intense emozioni negative, e sembra essere particolarmente indicato per le persone che presentano atti autolesivi e suicidari. Il fondamento del trattamento è aiutare i pazienti a ridurre al minimo i comportamenti che sono pericolosi per sé o per gli altri o che li rendono vulnerabili alle vittimizzazioni da parte di altri. Tali condotte includono: comportamenti suicidari e parasuicidari, abuso di sostanze e alcool, relazioni violente, disordini dell’alimentazione, violenza o aggressioni e comportamenti ad alto rischio.

La desensibilizzazione e il ricondizionamento dei movimenti oculari (Eye Movement Desensitization and reprocessing, EMDR) risulta molto utile nel modificare le distorsioni nella rappresentazione del sé, facilitando l’integrazione. L’EMDR permette al paziente di avvicinarsi al dolore in condizioni di sicurezza permettendo la temporanea disattivazione del sistema di attaccamento e la conseguente attivazione di un atteggiamento esplorativo.

La psicoterapia sensomotoria aiuta il paziente a recuperare la capacità di regolare quegli stati incontrollati del corpo che contribuiscono alla dissociazione.

In alcuni casi, per un tempo limitato, ad una terapia individuale si può affiancare la psicoterapia di gruppo al fine di aiutare il paziente a sviluppare competenze sul trauma, sulla dissociazione, assistere lo sviluppo di specifiche abilità (ad esempio, strategie di coping, abilità sociali, e la gestione dei sintomi), e permettere di capire che non è il solo ad avere a che fare con i sintomi dissociativi e le memorie traumatiche. I gruppi forniscono sostegno, la possibilità di focalizzarsi sullo sviluppo delle funzioni interpersonali e rinforzare gli obiettivi della terapia individuale. È fondamentale che questi gruppi siano a tempo limitato, ben strutturati e dichiaratamente focalizzati.

La farmacoterapia non rappresenta un trattamento di elezione in quanto non sono disponibili farmaci in grado di agire elettivamente sui sintomi dissociativi. Il ricorso alla terapia farmacologica è giustificato per ridurre la sintomatologia ansioso-depressiva, l’irritabilità, l’impulsività, l’insonnia, con il fine di raggiungere una stabilizzazione emotiva. Tra i più utilizzati: farmaci antidepressivi SSRI, più spesso utilizzati per trattare i sintomi depressivi e/o sintomi del disturbo post-traumatico da stress; gli ansiolitici utilizzati principalmente come approccio a breve termine per trattare l’ansia; i neurolettici o i farmaci antipsicotici, in particolare i nuovi antipsicotici atipici sono stati usati in dosi relativamente basse per trattare con successo l’iperattivazione, la disorganizzazione del pensiero, i sintomi intrusivi del PTSD, così come l’ansia cronica, l’insonnia e l’irritabilità.

Possono rendersi necessari ricoveri psichiatrici per aiutare i pazienti in periodi particolarmente difficili.

 Il trattamento cognitivo-comportamentale

La terapia cognitivo-comportamentale risulta il trattamento privilegiato per aiutare i pazienti ad esplorare e modificare il sistema di credenze disfunzionali basate sul trauma subito ed a padroneggiare le esperienze stressanti e i comportamenti impulsivi. Le tecniche cognitivo-comportamentali sono infatti particolarmente utili per il controllo di alcuni sintomi, quali: la gestione delle attivazioni ansiose e delle crisi di ira, la ristrutturazione dei pensieri negativi, il miglioramento della comunicazione interpersonale.

Obiettivo del trattamento è un funzionamento maggiormente integrato, attraverso il lavoro sui processi mentali dissociati. Nell’ottica della terapia cognitiva-evoluzionista, si concorda ormai nell’affermare che i disturbi correlati a traumi complessi, tra cui i disturbi dissociativi, sono trattati più appropriatamente in sequenze di fasi. La struttura più comune nel campo è costituita da tre fasi.

Nella prima fase la priorità è la sicurezza, la stabilizzazione ed il rafforzamento del paziente, in vista del lavoro di elaborazione del materiale traumatico e di gestione delle personalità problematiche. Gli obiettivi includono il mantenimento della sicurezza personale, il controllo dei sintomi, la modulazione degli affetti, la tolleranza dello stress, il miglioramento delle funzioni vitali basilari e lo sviluppo delle capacità relazionali. Si ricorre spesso alla psicoeducazione, consigliando al paziente letture specifiche, fornendo informazioni e spiegazioni con lo scopo di “normalizzare” la sua esperienza. La relazione terapeutica diventa il terreno di esperienze emozionali correttive del sistema di attaccamento e di esperienza di nuove forme collaborative e paritetiche di relazione interpersonale.

Nella seconda fase il paziente viene aiutato a elaborare gli episodi dolorosi del suo passato, e a sostenere il dolore per le perdite e le altre conseguenze negative del trauma. Il lavoro di questa fase è ricordare, tollerare, elaborare ed integrare gli intensi eventi passati pianificando strategie per mantenere il controllo sul materiale traumatico emergente. L’esplorazione e l’integrazione dei ricordi traumatici può essere definita come una forma di terapia di esposizione che permette al paziente di trasformare i ricordi traumatici al fine di integrare le personalità o ottenere una interazione tra esse. I processi della seconda fase permettono di comprendere che le esperienze traumatiche appartengono al passato, di capire il loro impatto sulla propria vita, di sviluppare una più completa e coerente storia personale e senso del sé. A tal fine vengono utilizzate: la ristrutturazione cognitiva delle esperienze traumatiche e il riconoscimento delle risposte di adattamento che il paziente ha avuto durante quelle esperienze con il fine di contrastare la colpa irrazionale e la vergogna.

Nella terza fase i pazienti iniziano a fare esperienza di un senso del sé stabile e solido e di nuove sensazioni su come relazionarsi con gli altri e con il mondo esterno. Acquistano un senso di coerenza della propria storia che risulta essere anche collegato con i problemi che devono affrontare nel presente, iniziano a distogliere l’attenzione dal loro passato traumatico, direzionando la propria energia sul vivere il presente e sviluppare prospettive future.

Dal Sito: terzocentro.it

martedì 27 febbraio 2018

Depersonalizzazione e Derealizzazione:conoscerle per non temerle


Come diagnosticare e curare questi angosciosi e conturbanti stati emozionali. 

I sintomi da depersonalizzazione (DP) e de realizzazione(DR) sono molto angosciosi e temporaneamente invalidanti: spesso trasmettono ansia, insicurezza e reazioni di rifiuto alle persone vicine. Questi stati emozionali consistono in senso di irrealtà e di distacco dalle proprie sensazioni (depersonalizzazione) o dalla propria percezione globale della realtà esterna (derealizzazione); essi possono presentarsi singolarmente o possono coesistere nella medesima persona e nella medesima esperienza patologica; vengono generalmente descritti con forte angoscia e partecipazione e si accompagnano frequentemente a sintomi somatici:tachicardia, polipnea, sudorazione. Possono In un primo momento essere confusi con sintomi psicotici,ma questi pazienti conservano le funzioni critiche, non manifestano né deliri né allucinazioni e descrivono con precisione le proprie sensazioni: viene pertanto mantenuto il senso di realtà, il che consente di escludere i vari disturbi di tipo psicotico.(1)
Ma come si possono inquadrare questi singolari,angosciosi,conturbanti, invalidanti disturbi?

Il DSMV raccoglie entro l’insieme dei Disturbi Dissociativi una serie di disturbi pichici caratterizzati da una mancata integrazione tra coscienza, pensieri, identità, memoria, rappresentazione corporea .
Il Disturbo da Depersonalizzazione/ Derealizzazione è un tipo di disturbo dissociativo ed è caratterizzato da esperienze di irrealtà, distacco, dal sentirsi come osservatori esterni rispetto ai propri pensieri, sentimenti, sensazioni, rispetto al proprio corpo od alle proprie azioni; oppure, in alternativa od in associazione, da esperienze di irrealtà e distacco rispetto all'ambiente circostante ( le persone o gli oggetti vengono percepiti come irreali, onirici, nebbiosi, inanimati)i. Durante le esperienze di depersonalizzazione o derealizzazione l'esame di realtà rimane integro; il disturbo non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza e non è espressione di un altro disturbo mentale.



Spesso questi pazienti nella descrizione dei sintomi usano la espressione “come se…”: “mi sento come se il corpo non fosse più il mio come se io fossi un automa…, sento che la mia testa è confusa mi sembra di impazzire..., mi sembra che il mondo esterno non sia più lo stesso, come se fosse una copia del mondo reale…”(1) 
Questi stati patologici sono abbastanza frequenti della popolazione generale ; in una indagine USA su 1000 persone sane il 25% circa degli intervistati riferì di avere provato simili stati d'animo nell'anno precedente.(2) Talora i sintomi di depersonalizzazione e derealizzazione si ripresentano per mesi o per anni e si “strutturano” in tratti caratteriali costituendo così il Disturbo da Depersonalizzazione(DP) e Derealizzazione(DR) . Ricerche epidemiologiche effettuate in UK, Germania ed USA hanno riscontrato che questo disturbo cronico interessa circa il 1% della popolazione(3,4) ed il 5% dei pazienti psichiatrici seguiti nel territorio(5). Sintomi di DP e DR possono presentarsi transitoriamente nel corso di periodi di stress o di crisi psicosociali, ma più spesso interessano persone con problemi psichici o malattie neurologiche che costituiscono fattori di rischio per la cronicizzazione(6).

Diagnosi 

La diagnosi non è difficile se ascoltiamo il paziente con empatia(7) accogliendo e comprendendo la sua angoscia. È importante anzitutto valutare il suo senso di realtà ed escludere spunti deliranti ed allucinazioni per distinguere la depersonalizzazione e derealizzazione dai disturbi psicotici: in caso di difficoltà la Cambridge Depersonalisation Scale è uno strumento utile e preciso per arrivare ad una corretta diagnosi(7)
Il secondo passo sarà quello di valutare se i sintomi siano secondari a malattie internistiche ( es.disordini ormonali) malattie neurologiche (epilessia, deficit neuropsichici, neoplasie) malattie psichiatriche (es. ansia,attacchi di panico, disturbo post traumatico da stress) ed infine ad uso di sostanze (es.cannabis, ecstasy ecc): in tutti questi casi va trattata la condizione primaria. Se i disturbi da derealizzazione e depersonalizzazione non sono secondari ad altre affezioni e si presentano per settimane o mesi possiamo fare diagnosi di Disturbo da Derealizzazione Depersonalizzazione.

Terapia 

I sintomi da DP-DR secondari ad altre affezioni vengono trattati curando anzitutto la malattia di base. Gli stati transitori di DP-DR sono abbastanza frequenti in condizioni di stress e tendono a risolversi spontaneamente trattando l'ansia, accogliendo il paziente e comprendendo la sua profonda angoscia.
In questi casi una valutazione ed un eventuale trattamento psichiatrico del paziente e talora della sua famiglia potrà evitare recidive e cronicizzazioni. I disturbi cronici da DP DR sono invece di pertinenza specialistica: gli psicofarmaci hanno solo azione sintomatica e non aiutano il paziente a guarire. L'unica terapia che si sia dimostrata efficace è la Terapia Cognitivo-Comportamentale ( Cognitive-Behavior Therapy-CBT)(9) somministrata da terapeuti esperti e per adeguati periodi di tempo. Nei paesi più avanzati del nostro le associazioni dei pazienti svolgono un ruolo essenziale nel trattamento di questi disturbi.

Conclusioni 

I disturbi da depersonalizzazione e derealizzazione sono angosciosi e spesso invalidanti. 
Le persone che ne sono affette in genere manifestano notevole sofferenza e mettono in difficoltà anche i medici che ne devono gestire le angosce mantenendo la lucidità necessaria ad una corretta diagnosi e ad una adeguata terapia. 
Dal punto di vista diagnostico è molto importante diagnosticarli precocemente e distinguere questi disturbi dalle psicosi; dal punto di vista terapeutico è molto importante l'atteggiamento accogliente e comprensivo del medico mentre i farmaci hanno spesso un ruolo sintomatico. Nella maggioranza dei casi tali disturbi si risolvono nell'arco di settimane o mesi. Talora tuttavia essi si protraggono nel tempo e si strutturano in tratti caratteriali rendendo necessaria una terapia cognitivo-comportamentale condotta da terapeuti esperti per lunghi periodi di tempo.

Riccardo De Gobbi

Dal Sito: www.pillole.org