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giovedì 26 novembre 2020

Stressata o ansiosa? Come capire la differenza e agire di conseguenza





Capire la differenza tra l'essere stressata o ansiosa è importante per affrontare questo stato d'animo e ritrovare vitalità!

Non c'è da meravigliarsi se siamo tutti costantemente sotto pressione e preoccupate, soprattutto in questo delicato periodo. Capire la differenza tra l'essere stressata e ansiosa e agire di conseguenza può aiutarti a superare vecchie paure e ad affrontare la vita con rinnovata energia. Non soccombere e prova a reagire. Sia lo stress quotidiano sia l'ansia sono sentimenti che tutti proviamo. La vita è come una giostra, fatta di alti e bassi, prove da affrontare e situazioni da gestire. Spesso frasi come "sono stressata" o "sono ansiosa" vengono usate indistintamente nelle nostre conversazioni, magari confidandoci con un'amica.

Differenze

Tendiamo a dare a entrambi i termini lo stesso significato. E, invece, ci sono differenze fondamentali trastress e ansia. Essere stressata non è come essere ansiosa: è importante che ne diventi consapevole per sapere come agire e gestirti al meglio. Nell'ansia predomina la paura, nello stress le preoccupazioni. Se pensi di non riuscire a farcela e uno dei due stati d'animo diventa così intenso da influire sulla qualità della tua esistenza è opportuno che ti rivolgi a un professionista. Ecco le principali differenze tra stress e ansia e come capire quando è il momento di chiedere un supporto esterno.

Stress e ansia

Lo stress è fisico e l'ansia è mentale. Pensa allo stress più come una manifestazione fisiologica di ciò che percepisci, come una minaccia esterna che ti schiaccia e opprime. Se hai una scadenza sul lavoro e non pensi di riuscire a rispettarla, anche impegnandoti 24 ore su 24, sei stressata. Senti la pressione, i tuoilivelli di cortisolo aumentano e il tuo corpo reagisce con un nodo allo stomaco, il battito cardiaco accelerato, il sudore freddo. Potresti persino sentire il bisogno di piangere. L'ansia, invece, riguarda più pensieri legati alla mente con sentimenti di preoccupazione, apprensione che ti confondono e annebbiano il cervello. L'ansia è la percezione che il mondo è troppo esigente e ti chiede sempre di più, portandoti a sopravvalutare una particolare minaccia e a sottovalutare la tua capacità di affrontarla.

Effetti e strategie

Sia l'ansia che lo stress hanno effetti simili e possono essere gestiti con le stesse strategie. Entrambi nascono dal troppo lavoro, dalla rottura di una relazione o da conflitti interpersonali e possono causare problemi cardiaci, asma, ipertensione, persino colesterolo alto. Condizioni di salute che possono peggiorare ancora di più se compare anche la mancanza di sonno. Quando la notte ti svegli di soprassalto e guardi il soffitto, girandoti nel letto presa dai pensieri negativi e facendo incubi. Una differenza tra lo stress e l’ansia è la loro proiezione nel tempo. L'ansia è spesso una risposta all'idea che qualcosa di brutto potrebbe accadere, quindi è più uno sguardo terrorizzato verso il futuro. Fortunatamente puoi gestire lo stress e calmare l'ansia. In che modo?

Non devi farti sopraffare. Quando hai la sensazione che la società e gli impegni quotidiani ti richiedono troppo, la prima reazione non deve essere di lavorare di più. È inutile. Più duramente spingi e più stress provi. Quindi la risposta è riconoscere che lo stress ha un impatto su di te. Fermati, prima che ti sfugga di mano.

Assicurati che le tue esigenze più elementari siano soddisfatte. Non aspettare di provare rabbia. Entra in contatto con la tua confort zone, amiche o amici più stretti, e racconta loro quello che ti sta divorando e ti lacera dentro. Ma soprattutto concediti e assicurati di far davvero spazio a un po’ di tempo libero per rilassarti e fare le cose che ti piacciono.

Meditare. Bastano pochi minuti ogni giorno. Scarica un'applicazione di meditazione o segui un corso di yoga, anche online. Prendere consapevolezza e contatto con il tuo corpo ti aiuterà ad essere più in sintonia con l'ambiente esterno e il modo in cui agisce su di te e le tue emozioni. Meditare e fare esercizi di yoga renderà più facile rilassarti, soprattutto se senti avvicinare lo stress.

Fai qualcosa che ti appaghi ogni giorno. Trova il tempo, durante la giornata, di fare qualcosa che ti piaccia, da una corsa mattutina a una bella risata con un amico davanti a un caffè, fino a un corso di pittura. Assicurati che succeda e pianificalo nella tua lista dei preferiti: è un ottimo modo per combattere la sensazione di essere stressata.

Respira profondamente. Sembra così facile, eppure spesso ci dimentichiamo di farlo. Imposta la sveglia sul tuo telefono, e per una volta ogni due ore, fai tre respiri lentie profondi. Segnali così al tuo cervello che non ci sono minacce.

Terapeuta

Quando ci si deve preoccupare? Quando stress e ansia che devono essere temporanei, diventano cronici e influiscono sulla tua capacità di vivere la tua vita. A quel punto potrebbe essere il momento di parlare con terapeuta che possa aiutarti. Lo stress positivo non è nocivo, ma quando si mantiene nel tempo può trasformarsi in ansia, e questa può causare anche attacchi di panico che limitano enormemente la tua vita.

Dal Sito: donnamoderna.com

venerdì 20 novembre 2020

Ipocondria: come combattere la paura delle malattie





Attualmente, nel linguaggio comune, il termine ipocondria risulta essere molto utilizzato per descrivere un disagio legato alla preoccupazione persistente ed eccessiva per il proprio stato di salute. Ma qual è il suo reale significato? E come si cura?

Richiedi di essere monitorato a distanza, invitando il tuo medico di fiducia a controllare i tuoi sintomi

Che cos'è l'ipocondria? Il significato del termine

L’origine etimologica di questa parola deriva dal greco ὑποχόνδρια e letteralmente significa sotto alla cartilagine del diaframma costale. Per gli antichi greci indicava infatti la parte addominale del corpo, le viscere, la sede dei sentimenti e delle passioni umane.

Ippocrate definiva l’ipocondria come un disordine dello stomaco e della mente senza distinzione tra la sfera corporea e quella psichica. Nella storia della medicina e della psichiatria, infatti, l’ipocondria non trova una classificazione univoca: per alcuni si tratta di un disturbo organico, per altri psichico. Emil Kraepelin, psichiatra e psicologo tedesco, verso la fine dell’800 suggerì una distinzione tra hypochondria cum materia, ovvero disturbo con sintomi reali ma esasperati, e hypochondria sine materia, disturbo senza alcuna base oggettiva.

Disturbo da sintomi somatici o da ansia di malattia?

Ad oggi in ambito psicologico, secondo la classificazione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V), si parla di Disturbo da sintomi somatici e Disturbo da ansia di malattia, a seconda che vi sia o meno la presenza di sintomi.

Come si riconoscono i sintomi del Disturbo da ansia di malattia a differenza del Disturbo da sintomi somatici? La differenza tra le due tipologie di disturbo è molto sottile.

Il Disturbo da ansia di malattia non proviene principalmente dal sintomo quanto dall’ansia derivante dal senso, dal significato o dalla causa attribuita ad esso.

Secondo il DSM-V, per parlare di Disturbo da ansia di malattia devono evidenziarsi i seguenti criteri:

preoccupazione di avere o di poter contrarre una grave malattia;

assenza di sintomi somatici o presenza di essi in forma lieve;

elevato livello di ansia riguardante la salute;

controllo ripetuto del proprio corpo cercando segni di malattia o evitamento di eventuali visite mediche.

La preoccupazione per la malattia è presente da almeno 6 mesi, ma la specifica patologia temuta può cambiare nel corso del tempo.

Il Disturbo da sintomi somatici proviene, invece, dal sintomo che genera disagio comportando alterazioni significative nel quotidiano con livelli molto elevati di preoccupazione riguardo la malattia.

I criteri diagnostici identificati dal DSM-V per definire la presenza del Disturbo da sintomi somatici sono:

uno o più sintomi somatici che generano disagio o portano ad alterazioni significative nella vita quotidiana;

pensieri, sentimenti o comportamenti eccessivi correlati a sintomi somatici o associati a preoccupazioni relative alla salute, come pensieri sproporzionati e persistenti circa la gravità del proprio stato, livello costantemente elevato di ansia con eccessivo dispendio di energia.

La convinzione di essere sintomatici si protrae per più di 6 mesi con dolore predominante o persistente.

Quali sono i meccanismi psicologici legati all’ipocondria?

Chi soffre di ipocondria rivolge una costante attenzione alle proprie sensazioni corporee con lo scopo di identificare la malattia temuta. Le preoccupazioni riguardano le funzioni corporee come il controllo del battito cardiaco, le alterazioni fisiche di lieve entità come la presenza di una piccola ferita o sensazioni fisiche vaghe come percepire il cuore in affanno. È possibile che si manifesti una preoccupazione per un organo specifico o per una malattia.

Tendenzialmente l’ipocondria genera stati di angoscia ed ansia anche solo ascoltando qualcuno che si è ammalato o leggendo notizie legate alla salute.

Eventuali rassicurazioni successive a visite mediche o esami diagnostici specifici non diminuiscono lo stato di agitazione. Il dubbio insorge costantemente e spesso la persona tende a ricercare maggiori informazioni attraverso internet per avere delle prove che possano confermare le sue ipotesi.

Le relazioni sociali degli ipocondriaci sono spesso compromesse a causa della continua ricerca di confronti e pareri focalizzati sulle proprie condizioni fisiche. Lo stato di inquietudine può interferire anche con le prestazioni lavorative determinando una compromissione totale delle funzioni.

Quali sono le possibili cause dell'ipocondria?

Le ipotesi circa la natura di tale condizione sono molteplici. Sicuramente la predisposizione ad avere un’eccessiva preoccupazione per le malattie si può collegare alle esperienze pregresse della persona che ne soffre e dunque a storie negative e traumatiche legate alla salute di familiari e/conoscenti.

Anche la tendenza a mantenere il controllo pare sia connessa all’insorgenza di un quadro ipocondriaco.

Un aspetto particolarmente rilevante risiede nel rapporto con il proprio corpo percepito come fragile così come la propria identità.

La persona ipocondriaca tende ad avere un’immagine di sé caratterizzata da una debolezza non solo sul piano fisico, intesa come vulnerabilità alle malattie, ma anche come debolezza psicologica, difficoltà nel controllare e gestire le emozioni.

L’ipocondria si collega al timore ancestrale della morte e l’allontanamento delle fantasie avviene attraverso la messa in atto di comportamenti rassicuranti.

Segnali di stress, piccoli problemi gastrointestinali, palpitazioni, dolori muscolari, vengono interpretati negativamente generando un processo di autodiagnosi attraverso l’osservazione ossessiva dei sintomi riscontrati nel proprio organismo e visti come segnali di una grave malattia.

La mancanza di consapevolezza riguardo la natura psicologica del problema comporta infatti una continua ricerca di spiegazioni che non si riveleranno mai abbastanza rassicuranti. Anche dopo un’accurata valutazione medica che attesta l’assenza di una patologia, la preoccupazione permane.

Quanto incide il momento storico nell’insorgere di questa condizione?

L’attuale periodo correlato alla presenza del Coronavirus comporta l’insorgenza di molteplici fattori di stress psicologico:

la paura di essere contagiati;

la paura di perdere i propri cari e di sentirsi impotenti;

la paura di poter essere portatori del virus e dunque responsabili di infettare gli altri;

la paura di aver contratto il virus in presenza di sintomi influenzali simili a quelli del Covid-19;

la paura di contrarre il virus all’interno di strutture sanitarie;

il timore di essere esposti a lutti improvvisi.

L’attenzione in questo caso non è rivolta al sintomo in quanto tale, ma alle possibili conseguenze. L’ipotesi di contrarre il Coronavirus genera un’angoscia costante che determina l’osservazione di sintomi e segnali fisici preoccupanti legati al virus e la messa in atto di comportamenti ossessivi per esercitare un controllo sul proprio corpo, come ad esempio misurare continuamente la temperatura.

Il processo psicologico alla base di questo meccanismo è rappresentato dal dubbio costante di aver contratto il virus seguito poi dall’immaginazione di scenari tragici, catastrofici.

Le tentate soluzioni messe in atto comportano la continua ricerca di rassicurazioni attraverso strategie fallimentari che aumentano la messa in atto di comportamenti ipocondriaci quali visite specialistiche, confronti o ricerca di informazioni in rete (cybercondria), un circolo vizioso di osservazione, controllo ed amplificazione dei sintomi.

Tra i più preoccupanti effetti sembra esserci l’insorgenza della mesofobia ovvero la paura patologica ed irrazionale nei confronti di ciò che rappresenta una potenziale fonte di contaminazione, infezione e malattia.

La linea di demarcazione tra ciò che è sano e ciò che risulta patologico è davvero molto sottile ed esiste sia una percentuale di persone precedentemente compromesse a causa di un disturbo ossessivo compulsivo, che una percentuale di nuovi casi.

Inoltre pur volendo effettuare delle distinzioni, le autorità sanitarie in questo preciso momento storico tendono a comunicare quanto sia fondamentale rispettare le norme igieniche con scrupoloso rigore. Di conseguenza è nell’equilibrio e nella moderazione delle azioni da mettere in atto che si evidenzia una differenza rispetto all’insorgenza di una vera e propria ossessione.

La pandemia ha influito moltissimo sull’aumento di questo fenomeno innalzando la soglia di ansia e preoccupazione. La condizione psicologica vissuta è caratterizzata da una profonda sofferenza e spesso ne consegue il senso di alienazione ed isolamento.

Quali sono le strategie per combattere l’ipocondria?

Il trattamento dell’ipocondria richiede un equilibrio e un’integrazione di più interventi sia di tipo psicoterapico che farmacologico, ma l’aspetto più prezioso risiede nel coraggio di poter chiedere aiuto. I meccanismi alla base del processo patologico sono complessi e affidarsi ad un professionista è essenziale. 

La psicoterapia è certamente un’efficace forma di intervento, un percorso verso la consapevolezza e il cambiamento con l’obiettivo di individuare e rompere lo schema mentale alla base dell’ipocondria, evitando il rischio di comorbidità con altre diagnosi.

Grazie anche alle nuove tecnologie, seguire un percorso di psicoterapia per superare la paura delle malattie è diventato ancora più semplice e accessibile. Si parla sempre più spesso, infatti, di psicoterapia online: un servizio di telemedicina che, a differenza della terapia tradizionale, avviene virtualmente e dunque in totale sicurezza.

Dal Sito: paginemediche.it

martedì 17 novembre 2020

Farmaci, quando smettere all’improvviso è pericoloso



Tanto più è stato lungo il trattamento tanto è più delicato il percorso per sospenderlo. In particolare bisogna «disabituarsi» al cortisone e agli antidepressivi

Smettere? A volte è la parte più difficile di una terapia. E interrompere una cura male, o al momento sbagliato, è uno degli errori più comuni. Vale una prima regola fondamentale, come spiega il farmacologo Sif Gianni Sava: «Tanto più è stato lungo un trattamento, quanto più delicato è il percorso da seguire per sospenderlo. I farmaci, per funzionare, interferiscono con l’organismo e questo deve avere tempo per riadattarsi a stare senza, per “lavarne” via pian piano gli effetti».

I farmaci «più a rischio»

Per alcuni principi attivi la necessità di scalare le dosi per «disabituarsi» è nota: i cortisonici, per esempio, vanno abbandonati gradualmente perché influenzano la produzione naturale di ormoni da parte del surrene e uno stop troppo brusco potrebbe provocare insufficienza surrenalica. «Meno conosciuta, invece, è l’importanza di interrompere una terapia con benzodiazepine in maniera controllata: spesso lo si fa cambiando farmaco e passando a prodotti con un’emivita più lunga (che cioè restano in circolo per un tempo maggiore, consentendo un “diradamento” delle pillole e quindi un abbandono progressivo, ndr)», dice Sava.

Sintomi da astinenza

L’interruzione repentina può dare infatti sintomi di astinenza come insonnia spesso associata a incubi, forte ansia fino agli attacchi di panico, tensione muscolare: una specie di “rimbalzo”, con la comparsa proprio dei sintomi per cui di solito si assumono questi farmaci. Togliere all’improvviso l’effetto inibitorio delle benzodiazepine sul cervello, a cui ci si era abituati in mesi di terapia, porta infatti a un incremento dell’eccitabilità del sistema nervoso, come se venisse a mancare un freno: poi con il tempo si torna all’equilibrio, grazie alla ripresa del funzionamento dei recettori su cui agiscono questi ansiolitici, ma i sintomi di uno stop repentino possono essere molto sgradevoli. I farmaci attivi sul sistema nervoso centrale peraltro sono quelli per cui la sospensione della terapia deve essere condotta con maggiore attenzione, sotto la guida del medico: un recente studio di Mireille Rizkalla del Department of Clinical Integration della Midwestern University di Chicago, per esempio, ha segnalato che molti pazienti possono andare incontro a una sorta di sindrome da interruzione degli antidepressivi con disturbi come insonnia, mal di testa, alterazioni sensoriali e dell’equilibrio, sintomi simil-influenzali. Per evitarli è opportuno gestire l’abbandono della terapia col medico, magari associando la riduzione progressiva dei dosaggi a una fase di maggior supporto non farmacologico con la psicoterapia.

Comunicare con il medico

«Le interruzioni brusche, soprattutto nelle patologie psichiatriche, possono portare a recidive e vanno evitate», osserva il farmacologo dell’università di Catania Filippo Drago. «In generale poi ogni sospensione di cura va concordata col medico, che deve comprendere i motivi per cui il paziente vorrebbe interrompere: sta ancora male perché la terapia non è corretta? Oppure sta bene e quindi non vede motivo per continuare? A seconda dei casi, può essere opportuno cambiare farmaco o aumentare la consapevolezza del paziente sulla necessità di proseguire il trattamento anche se non si hanno più disagi evidenti. L’alleanza col medico è sempre indispensabile per evitare errori terapeutici di ogni tipo».


Dal Sito: corriere.it

Farmaci, quando smettere all’improvviso è pericoloso



Tanto più è stato lungo il trattamento tanto è più delicato il percorso per sospenderlo. In particolare bisogna «disabituarsi» al cortisone e agli antidepressivi

Smettere? A volte è la parte più difficile di una terapia. E interrompere una cura male, o al momento sbagliato, è uno degli errori più comuni. Vale una prima regola fondamentale, come spiega il farmacologo Sif Gianni Sava: «Tanto più è stato lungo un trattamento, quanto più delicato è il percorso da seguire per sospenderlo. I farmaci, per funzionare, interferiscono con l’organismo e questo deve avere tempo per riadattarsi a stare senza, per “lavarne” via pian piano gli effetti».

I farmaci «più a rischio»

Per alcuni principi attivi la necessità di scalare le dosi per «disabituarsi» è nota: i cortisonici, per esempio, vanno abbandonati gradualmente perché influenzano la produzione naturale di ormoni da parte del surrene e uno stop troppo brusco potrebbe provocare insufficienza surrenalica. «Meno conosciuta, invece, è l’importanza di interrompere una terapia con benzodiazepine in maniera controllata: spesso lo si fa cambiando farmaco e passando a prodotti con un’emivita più lunga (che cioè restano in circolo per un tempo maggiore, consentendo un “diradamento” delle pillole e quindi un abbandono progressivo, ndr)», dice Sava.

Sintomi da astinenza

L’interruzione repentina può dare infatti sintomi di astinenza come insonnia spesso associata a incubi, forte ansia fino agli attacchi di panico, tensione muscolare: una specie di “rimbalzo”, con la comparsa proprio dei sintomi per cui di solito si assumono questi farmaci. Togliere all’improvviso l’effetto inibitorio delle benzodiazepine sul cervello, a cui ci si era abituati in mesi di terapia, porta infatti a un incremento dell’eccitabilità del sistema nervoso, come se venisse a mancare un freno: poi con il tempo si torna all’equilibrio, grazie alla ripresa del funzionamento dei recettori su cui agiscono questi ansiolitici, ma i sintomi di uno stop repentino possono essere molto sgradevoli. I farmaci attivi sul sistema nervoso centrale peraltro sono quelli per cui la sospensione della terapia deve essere condotta con maggiore attenzione, sotto la guida del medico: un recente studio di Mireille Rizkalla del Department of Clinical Integration della Midwestern University di Chicago, per esempio, ha segnalato che molti pazienti possono andare incontro a una sorta di sindrome da interruzione degli antidepressivi con disturbi come insonnia, mal di testa, alterazioni sensoriali e dell’equilibrio, sintomi simil-influenzali. Per evitarli è opportuno gestire l’abbandono della terapia col medico, magari associando la riduzione progressiva dei dosaggi a una fase di maggior supporto non farmacologico con la psicoterapia.

Comunicare con il medico

«Le interruzioni brusche, soprattutto nelle patologie psichiatriche, possono portare a recidive e vanno evitate», osserva il farmacologo dell’università di Catania Filippo Drago. «In generale poi ogni sospensione di cura va concordata col medico, che deve comprendere i motivi per cui il paziente vorrebbe interrompere: sta ancora male perché la terapia non è corretta? Oppure sta bene e quindi non vede motivo per continuare? A seconda dei casi, può essere opportuno cambiare farmaco o aumentare la consapevolezza del paziente sulla necessità di proseguire il trattamento anche se non si hanno più disagi evidenti. L’alleanza col medico è sempre indispensabile per evitare errori terapeutici di ogni tipo».


Dal Sito: corriere.it

venerdì 13 novembre 2020

Sospesi



Eh già, la sensazione è proprio quella di essere sospesi…

Alcuni la chiamano ansia da limbo, altri ansia da sospensione ma la sostanza non cambia.
Ci manca l’idea del futuro.
Siamo tutti in attesa, con la percezione del limite di non poter contare sulla nostra attitudine più allenata: progettare il futuro.

Siamo di fronte ad una nuova tipologia di stress che da acuto sta diventando cronico e per il quale è stata anche coniata una definizione ad hoc: stress da pandemia.
Uno “…stress individuale comunitario non convenzionale, sospeso, subacuto, persistente di una situazione stressante perdurante e perturbante…”(Biondi & Iannitelli,2020).
Quindi una condizione del tutto nuova se messa in relazione a quanto già conosciuto e definito nella pratica clinica.

Dicevo siamo sospesi tra l’emergenza passata e la prospettiva di un nuovo lockdown.
E la sensazione di smarrimento ci pervade: siamo in presenza di qualcosa che mentre colpisce il presente sentiamo che sta dissestando il nostro futuro.

Ma se non possiamo cambiare gli eventi, possiamo decidere come reagire.
Vulnerabilità non vuol dire impotenza e meno che mai passività!

Lo strumento adattativo per eccellenza è la mente.
Dobbiamo contare su questa preziosa alleata. È lei che orienta i nostri pensieri.
E i nostri pensieri possono essere tossici, di scarsa qualità, negativi per il nostro benessere mentale. Sono tossici quando insinuano dubbi, aspettative negative, futuro catastrofico.
La linfa ai pensieri tossici arriva dalla cosiddetta infodemia e cioè un surplus di informazioni contraddittorie, angoscianti, che vengono rimbalzate da una trasmissione all’altra per tutta la giornata, la stessa brutta notizia che ripetuta all’infinito diventa un insieme di brutte notizie e, nel replicarsi, diventa estremamente contagiosa.

L’antidoto a tutto questo? Invertire la produzione da pensieri tossici a quelli utili, di ottima qualità e per questo salutari per il nostro benessere.
Sono quelli che ci orientano al realismo, alla coerenza, alla flessibilità; gli elementi della resilienza essenziali per gestire questo insidioso stress da pandemia.

Realismo, coerenza e flessibilità devono diventare il nostro navigatore.
Il realismo ci aiuta ad ritrovare la strada nella giungla delle contraddizioni che caratterizzano le informazioni distribuite dai media.
La coerenza ci aiuta a comprendere la situazione ed usare le risorse personali.
Comprendere la situazione ci aiuta a mettere in campo strategie costruttive utili a fronteggiarla.
La flessibilità infine favorisce l’adattamento alle regole restrittive ed alle limitazioni che esse impongono.

“se comprendo cosa accade posso affrontarla, 
se posso affrontarla mi sento in grado di gestire le difficoltà”.

I pensieri utili da coltivare sono quindi legati alla consapevolezza di:
saper riconoscere cosa è verosimile e cosa non lo è,
riuscire a sottrarsi all’infodemia
poter influenzare la situazione, adottando comportamenti responsabili,
potersi impegnare ad affrontare la quotidianità,
confidare nelle proprie risorse e resistere.

È importante vivere il presente, un giorno alla volta, prendendone il meglio. Provate ad aprire la finestra, uscire sul balcone oppure fare due passi ma utilizzando i cinque sensi: guardate, ascoltate, annusate l’aria, provate a sentire il peso del corpo sui vostri passi, toccate l’aria che vi circonda tenendo le mani aperte mentre camminate… Sperimentate questo semplice esercizio  per rimanere nel presente, alleggerire e ricaricare la mente di energia.

Per fronteggiare lo stress da pandemia, è necessario creare sane routine giornaliere di self care e potenziando le nostre abitudini quotidiane.
Avere cura di se vuol dire: mangia sano, muoviti più che puoi, cura il tuo aspetto esteriore, riposati, dedica il tempo che si è liberato da altri impegni a tutto ciò che hai rimandato, che non hai mai avuto il tempo di fare.

Fai quella telefonata, che rimandi da tanto tempo, ad amici e parenti.
La socialità è parte essenziale di noi e una chiacchierata, anche se a distanza, rappresenta quella condivisione emotiva, quel conforto sociale così importante per la regolazione emotiva dello stress.

Ma se tutto questo non dovesse bastare, ricordatevi sempre della psicologia.
Chiedere aiuto esprime coraggio e realismo, consapevolezza che i limiti, se affrontati adeguatamente, diventano i nostri margini di miglioramento, mai debolezza.

 

Dal Sito: nuoto.com

giovedì 5 novembre 2020

Perché l'ansia sembra sempre più forte di notte




"Quando sei a letto, alle tre di notte, non hai altre distrazioni. E i tuoi pensieri diventano molto più rumorosi."

Sono le 11 di sera e ti stai mettendo a letto. Va tutto bene. Lasci accesa una luce fioca in un angolo della stanza e ti arrotoli tra le coperte. Poi, all'improvviso, sono le 3 di notte e sei sveglio di nuovo.

È il caso di cominciare a mettere insieme i documenti per la dichiarazione dei redditi, pensi, o poi finisce che ti arrestano per evasione. Che situazione di merda che sarebbe. Farsi arrestare. Però in fondo hai quasi 27 anni—magari darebbe una scossa alla tua vita. Cazzo, quasi 27… cosa hai fatto finora? E stai davvero simpatico ai tuoi amici, o fanno solo finta? Devi chiamare il padrone di casa e dirgli di quella chiazza di muffa. È un buon momento per controllare l'oroscopo?

Nonostante questa catena di pensieri sia in qualche modo riconoscibile per molti, gli studi sul perché l'ansia possa diventare così acuta di notte non sono molti (la maggior parte delle ricerche in questo campo si concentra su come l'ansia provochi disturbi del sonno e viceversa, anziché sul perché molti di noi si fissino solo di notte su cose che durante il giorno non sembrano altrettanto spaventose). Ma sappiamo che ogni anno in Europa una persona su quattro ha a che fare con problemi di salute mentale come l'ansia. E per molti di noi, quell'ansia si manifesta grande il doppio dopo il tramonto, quando non c'è distrazione a salvarci.

Kat ha 32 anni e vive a Londra. Dice che durante il giorno si sente il più delle volte bene—"persino rilassata"—ma appena si mette a letto per dormire, tutta l'ansia risale in superficie come immondizia che torna a galla dal fondo di un lago. "Finisco per farmi intere discussioni in testa," mi racconta per telefono. "Ed è come un turbine emotivo—alla fine mi sento arrabbiata. Ho persino pianto per cose come se fossero successe davvero, come se mi fossi lasciata con qualcuno o come se un collega al lavoro mi avesse trattata male. Poi mi addormento e quando mi sveglio il giorno dopo non riesco neanche a ricordarmi perché ero così arrabbiata."

Kat non è l'unica. Gabriel, che ha 27 anni, dice che l'ansia è sempre stata più acuta tra mezzanotte e le 5 del mattino. "Sono da sempre una persona ansiosa con una mente iperattiva, ma durante il giorno ci sono più distrazioni. Anche se la senti, puoi gestirla in modo fisico e mentale," mi racconta. "Quando ti svegli di notte e sei in preda all'ansia, è una sensazione astratta e isolata. Ti svegli in uno stato di confusione. E ti manda ancora di più nel panico, quasi, perché non riesci a contestualizzarla come fai di giorno; non riesci a ricollegarne l'origine e ti prende di sorpresa."

Gabriel ha provato diverse soluzioni per gestire l'ansia notturna nel corso degli anni, alcune più efficaci di altri. "All'inizio ho provato con l'erba, perché mi stende—ma poi se mi sveglio sono in confusione e l'ansia è come intensificata. Insomma, l'erba è comunque un'arma a doppio taglio," ha spiegato. "Ma una cosa che mi ha davvero aiutato, in generale, è andare in terapia. Avere la possibilità di discutere effettivamente del problema e ricostruirne l'origine è stato molto utile. Penso anche che avere una routine e usare il mio corpo durante il giorno, tipo andando in palestra, mi aiuti a stancarmi davvero prima di andare a dormire."

Stando a Emma Carrington di Rethink Mental Illness, l'ansia acuta di notte è uno dei problemi più frequenti con cui i suoi clienti si presentano da lei.

"È molto comune," dice. "Penso che abbia perfettamente senso che l'ansia peggiori di notte. Durante il giorno siamo in genere presi da mille cose, che sia il lavoro, gli amici o la famiglia. I nostri pensieri non sono in prima fila nella nostra testa. Invece, quando a nel letto alle tre di notte, non hai altre distrazioni. E i tuoi pensieri diventano molto più rumorosi."

Chris O'Sullivan, della Mental Health Foundation, ritiene che ci siano diverse ragioni, in realtà. "Ci sono quattro 'fattori' che si presentano spesso," mi racconta. "Uno è la tendenza a riflettere sulla giornata e rimuginare su cose successe. Poi c'è il sonno in sé, e le difficoltà che alcune persone hanno nell'addormentarsi. C'è la solitudine, l'isolamento e il silenzio della notte—è molto meno facile che mandi un messaggio a un amico dopo una certa ora, per esempio. E, infine, c'è la preoccupazione per il futuro, e per cosa succederà. Il giorno è pieno di distrazioni e di azioni per tenere a bada i pensieri—ma la sera, quando ti fermi, improvvisamente si ricrea lo spazio per far riaffiorare le preoccupazioni."

O'Sullivan ha anche sottolineato che diversi tipi di ansia possono manifestarsi in modi diversi. "Il sonno e gli stati alterati di coscienza possono essere una ragione di ansia particolare per chi ha subito esperienze traumatiche," spiega. "Molte persone si portano dietro un trauma e al momento di andare a dormire, o quando sono al buio, può scatenarsi una reazione. I sintomi del disturbo da stress post-traumatico (o PTSD) e di traumi complessi, dovuti magari ad abusi sessuali subiti nell'infanzia, possono spingerti a non voler mai andare a dormire. Se hai incubi e flashback e ti svegli per questo motivo, cercare di tornare a dormire può essere un problema."

Quindi, come fermiamo i pensieri ansiosi quando siamo soli nel nostro letto? Come nel caso dell'ansia diurna, non c'è una sola risposta. L'unica è provare diversi metodi. "Una via è essere più consapevoli di quelle ansie durante il giorno e gestirle man mano che si presentano," dice Carrington. "Anche prepararsi per andare a dormire è importante. Meglio non fare esercizio fisico o mangiare subito prima di andare a letto. Un bagno caldo, invece, può aiutare a rilassarsi. Cercare di ridurre caffeina e alcol anche. Via il telefono, mentre la stanza va tenuta ben ventilata."

Ma se immergersi in una vasca calda con una manciata di sali alla lavanda fosse la cura definitiva dell'ansia, lo faremmo già tutti. Se queste tecniche di contenimento non aiutano, "è sempre una buona idea andare dal medico," dice Carrington. "Il medico di base può indirizzarti verso terapeuti specifici—chi pratica terapia cognitivo-comportamentale, per esempio, può essere di grande aiuto."


Dal Sito: vice.com


venerdì 23 ottobre 2020

Ansia Notturna: sintomi, cause e i rimedi per superarla






L’Ansia Notturna è una forma d’ansia che si manifesta nel momento peggiore, cioè quando il cervello avrebbe bisogno di riposo: per questo è importante superarla.

A soffrire di ansia notturna sono sia le persone che conducono una vita stressante e ansiosa durante il giorno, sia coloro che durante il giorno sembrano avere tutto sotto controllo.

Il motivo è che nel momento in cui è particolarmente stanco ed entra in modalità “riposo”, quindi tipicamente di notte, il cervello abbandona progressivamente il pensiero razionale “si lascia andare” verso il terreno inesplorato (o semi inesplorato) dell’inconscio.

È questo il motivo principale per cui le preoccupazioni che riusciamo a tenere a bada di giorno possono prendere il sopravvento di notte e manifestarsi attraverso sintomi fisici ed emotivi tipici dell’ansia. 

Imparare a gestire e superare l’ansia notturna e l’insonnia che necessariamente l’accompagna è fondamentale per riconquistare il benessere psicologico e soprattutto per riuscire a ricaricare le energie in vista di una nuova giornata.

Ansia notturna: come si manifesta?



Quando l’ansia comincia a impossessarsi del nostro cervello inevitabilmente il nostro organismo reagisce mettendo in atto delle strategie che la natura ha messo a punto da millenni per prepararci a reagire al pericolo.

Questo significa che la pressione sanguigna aumenta, si presentano tachicardia e palpitazioni. A seguito di una più veloce circolazione del sangue nel nostro corpo la temperatura corporea aumenta e, dal momento che i muscoli si contraggono (teoricamente per darci la possibilità di fuggire dal pericolo e metterci in salvo), aumenterà la sudorazione.

L’ansia prende molto spesso allo stomaco: non è affatto inusuale che gli attacchi d’ansia notturna si manifestino anche con nausee e bruciori di stomaco.

A rendere ancor più difficile da gestire un quadro già complesso può arrivare anche la nicturia. Si tratta del disturbo che colpisce coloro che durante la notte vanno ad urinare in continuazione perché sentono continuamente lo stimolo di farlo.

Quali sono le cause dell’ansia notturna?


Come in ogni occasione in cui si parla d’ansia, non è affatto facile definire in maniera concisa quali siano le cause dell’ansia notturna, per il semplice motivo che possono essere estremamente differenti a seconda della persona e del momento della vita che sta attraversando.

In linea generale l’ansia notturna è determinata da condizioni di profondo stress durante il giorno e dalla sensazione di non riuscire a gestire i propri impegni o determinate situazioni.

Durante la notte le preoccupazioni e le insicurezze che durante il giorno sono state “sfogate” attraverso l’azione non possono più essere gestite nella maniera usuale e, per questo motivo, generano episodi d’ansia.

Per quanto possa sembrare scontato, il modo migliore per risolvere l’ansia notturna è agire sulle cause che la generano.

Naturalmente non è possibile risolvere con uno schiocco di dita tutti i problemi che ci attanagliano durante il giorno, ma molto spesso cambiare prospettiva e concedersi del tempo per capire cosa non va e come si può migliorare la propria condizione può rivelarsi un vero toccasana.

Nel cominciare questo percorso è necessario tenere ben presente che riconquistare il sonno è assolutamente necessario per il proprio benessere psicologico e per non innescare un circolo vizioso in cui la mancanza prolungata di sonno e i livelli d’ansia raggiunti durante il giorno si auto alimentano peggiorando sempre di più la situazione.

Rimedi e strategie per vincere l’ansia notturna


Sarebbe molto semplice elencare una serie di erbe officinali come la camomilla e la valeriana oppure rimedi farmaceutici come la melatonina per conciliare il sonno, ma si tratterebbe di rimedi insufficienti e di breve effetto.

Prima di cominciare ad assumere rimedi naturali o farmacologici sarebbe bene tentare di riconquistare la serenità provando a modificare i comportamenti che mettiamo in atto prima di andare a dormire o l’ambiente in cui dormiamo.

Una camera ordinata e accogliente: il disordine genera ansia, così come gli spazi ingombri di mille cose. La camera dove si dorme dovrebbe essere realizzata in tutto e per tutto “su misura” della persona che dovrà utilizzarla, circondandola delle cose che ama e che trasmettono sicurezza

Un letto comodo: acquistare un nuovo cuscino o un nuovo set di lenzuola, mettere coperte più leggere ma tenere a portata di mano un plaid di emergenza nel caso si dovesse sentire freddo, aumenterà il comfort del riposo e le probabilità di addormentarsi

Una luce accesa: il buio, esattamente come accadeva quando eravamo bambini, porta con sé suggestioni paurose e può generare un senso di soffocamento difficile da gestire. Dormire con una abat-jour accesa o con una lampada da notte potrebbe essere una buona strategia per tenere al loro posto i “mostri” che ci impediscono di dormire serenamente

Niente televisione o smartphone: la luce blu emessa dagli schermi dei device ostacola pesantemente il sonno. Sarebbe molto meglio spegnerli un po’ di tempo prima di andare a dormire e di certo non utilizzarli mentre si è a letto

Attività rilassanti: dedicare qualche minuto alle proprie attività preferite, lasciando letteralmente da parte le preoccupazioni per un po’ ci metterà nel giusto stato d’animo per iniziare una buona notte di sonno senza ansie. Si potrebbe voler fare un bagno rilassante o una piccola routine di bellezza, si  potrebbero leggere poche pagine di un libroo si potrebbe ascoltare della musica: basta che sia un’attività che ci rende felici e che ci appaghi

Sport e attività fisica: fare sport nelle ore serali non è sempre possibile, ma di certo ci permette di scaricare la tensione accumulata durante la giornata. Anche fare l’amore, ovviamente, rientra nelle attività fisiche perfetta da svolgere prima di addormentarsi!

Essere gentili verso se stessi: uno dei maggiori problemi delle persone che soffrono di ansia notturna è di essere troppo severi nel valutare quello che si è fatto durante il giorno appena trascorso. Imparare a farsi bastare quello che si è fatto, se nel farlo ci si è messo tutto l’impegno possibile, è un grande passo avanti verso l’autostima e la pace interiore. Il perfezionismo a tutti i costi spesso può diventare una vera e propria patologia.

Dal Sito: chedonna.it 

venerdì 2 ottobre 2020

Paura dei luoghi chiusi, quando è patologica diventa claustrofobia

Paura dei luoghi chiusi, quando è patologica diventa claustrofobia

Senso di soffocamento e paura di rimanere schiacciati sono un disturbo patologico che si può curare, ecco come

Sentirsi soffocare in ascensore, o in attesa tra la gente, in una stanza chiusa o in un luogo senza finestre. La claustrofobia è un disturbo molto diffuso e chi ne soffre riporta appunto la paura eccessiva e irrazionale di trovarsi in spazi stretti e chiusi come tunnel o ascensori. Quando si verificano simili situazioni, il soggetto cercherà in ogni modo di uscire all’aperto per ritrovare il senso di libertà e la possibilità di tornare a respirare l’aria. Come riporta il dottor Giuseppe Iannone, nel 75% dei casi i sintomi di claustrofobia non sono gravi e solamente una piccola percentuale di soggetti richiede un trattamento; i casi molto gravi interessano infatti solamente il 2-5% della popolazione. L’esordio della claustrofobia tende a essere precoce spesso infatti si manifesta in età preadolescenziale, prima dei 14 anni.

Chi soffre di questo disturbo ha molte paure correlate ad esso: il timore che il soffitto e il pavimento si chiudano, schiacciando le persone che si trovano nella stanza, il timore che il rifornimento d’aria si esaurisca e si muoia per soffocamento, la paura di svenire per via della mancanza di aria e luce. Trovarsi in ambienti come teatri e cinema, senza finestre, con le uscite lontane e senza la possibilità di muoversi agilmente per una eventuale fuga, risolta un vero incubo per il claustrofobico, che rinuncerà a frequentare questo genere di luoghi. Tra gli eventi più indesiderabili per questi soggetti c’è il doversi sottoporre ad una risonanza magnetica, esame che prevede di trovarsi all’interno di un tubo molto stretto e totalmente chiuso. Tra le difficoltà più frequenti per i claustrofobici c’è quella di entrare in ascensore, mezzo che viene costantemente evitato. Per non parlare della metropolitana: un luogo oscuro, sotterraneo, affollato e pieno di odori sgradevoli: assolutamente da evitare per chi soffre questo di disturbo patologico. Il claustrofobico cerca di controllare l’ansia trovando delle giustificazioni apparentemente logiche che spieghino il motivo di una scelta che altri considerano un po’ strana o inusuale, oltre ad attuare le tipiche strategie di evitamento o fuga, come nel caso di chi soffre di vertigini o di agorafobia.

I sintomi della claustrofobia

Ecco secondo la classificazione di State of Mind quali sono i sintomi per diagnosticare un disturbo claustrofobico:

  • Sudorazione
  • Respirazione rapida o iperventilazione
  • Nausea e vomito
  • Battito cardiaco accelerato, tachicardia
  • Svenimento
  • Tremore e brividi
  • Vertigini
  • Intorpidimento e formicolio.

La claustrofobia va distinta dall’agorafobia, tipica di chi soffre o ha sofferto di attacchi di panico, che non si limita alla paura degli spazi chiusi, ma riguarda tutte le situazioni, anche all’aperto, da cui non vi sia una via di fuga facilmente accessibile (es. un ponte, una lunga coda o l’autostrada). Il disagio provato da claustrofobico è limitato al senso di costrizione, mentre quello dell’agorafobico è legato alla lontananza da una via di fuga e di un punto di sicurezza.

Curare la claustrofobia è abbastanza semplice, come tutte le fobie, e prevede un percorso di terapia cognitivo comportamentale, incentrato a intervenire sui sintomi per produrre un cambiamento e una soluzione dei problemi, piuttosto che ad analizzarne le presunte cause remote.


Dal Sito: today.it 

sabato 26 settembre 2020

Non puoi vivere il presente guardando al passato



Quando una fase della nostra vita finisce: che siano porte, cicli, pagine di vita, dobbiamo accettarlo. Rifiutare l’evidenza delle cose significa privarci della gioia, della possibilità di essere felici. Occorre .guarda avanti, perché è lì che stiamo andando.

Non si può vivere il presente guardando al passato con rimpianto né vivere il nostro tempo chiedendoci continuamente: “Perché ?”

I legami possono finire e i sentimenti cambiare, allora dobbiamo imparare a lasciar andare. Le esperienze negative servono a non farci commettere gli stessi errori ma tenerle a mente per essere maturi ad affrontare nuovi incontri che ci porteranno ad una felicità più autentica che guarirà le nostre ferite emotive. Non serve essere tristi ricordando il tempo perduto e le ore sprecate, perché non le recupereremo più.

Il tempo è uno dei nostri beni più preziosi, perché. Il tempo è vita!

Ricordare il passato è normale, ma provare nostalgia di un certo barlume di bene vissuto è sbagliato, perché ci impedisce di vivere il presente e di godere appieno tutto ciò che di bello e di buono abbiamo.

Vivere nel passato ci condanna all’infelicità perché ci isola dagli altri facendoci vivere in un buio profondo, mentre la vita è luce, calore, armonia, pace, relazione… è libertà, perciò è necessario essere pronti a dare il benvenuto a tutto ciò che arriverà…

Se qualcuno o qualcosa non ci rende felici; non ci aiuta a crescere; non ci offre sicurezza né pace; non ci arricchisce come esseri umani; non ci sostiene; non rispetta i nostri sogni… liberiamoci!!!

Se ci trattiene per i suoi fini; se ci fa soffrire… … lasciamo andare!!!.

Certamente è di gran lunga un vantaggio liberarsi e lasciare andare, che vivere con ciò che oggi non si ha più.


Dal Sito: aprilamente.info 

mercoledì 16 settembre 2020

Per risolvere un problema non devi concentrarti su di esso

Opporre resistenza a tutto quello che ti si presenta durante la giornata e che non ti piace, non è la scelta giusta. Infatti quando hai un problema, concentrarti esclusivamente su di esso non ti permetterà di risolverlo

Del resto, se vuoi portare cambiamenti nella tua vita non ti resta che accettare la realtà di base che stai vivendo: una volta che avrai accettato il tuo presente potrai riuscire a costruire il tuo futuro in modo diverso. Se invece opponi resistenza a tutto quello che ti capita, stai sprecando la tua energia e la tua concentrazione su qualcosa che non vuoi

È come se ti mettessi a sfidare le leggi che regolano il nostro universo: se continui a pensare a una situazione che non ti piace stai anche continuando a donarle energia. E sarà proprio questa energia a dare forza a quella situazione. 

Può sembrare paradossale, ma anche tu dai spesso troppa importanza e attenzione a delle situazioni che non vorresti vivere ed è proprio questa concentrazione a renderle reali e tangibili nella tua esistenza.  

Carl Gustav Jung scrisse “Quello a cui opponi resistenza persiste” ed è proprio quello che succede. Per eliminare un problema non ti basta concentrarti su di esso affinché si risolva. Dovresti cercare di concentrarti sulla soluzione. Facciamo qualche esempio.

Se detesti la guerra, come spero che sia e come sicuramente dovrebbe essere, partecipare a dei comizi contro la guerra non aiuterà a farla cessare. Perché in questo caso staresti mettendo le tue energie in iniziative contro qualcosa. È molto più proficuo riporre tutte le tue attenzioni in eventi e manifestazioni a favore di qualcos’altro. Nel caso della guerra l’opposto è la pace: partecipa a iniziative a favore della pace.

Può sembrare che non ci sia molta differenza tra una cosa e l’altra, ma il problema è dove poni la tua attenzione: ponendola sulla soluzione emanerai energie positive che rafforzeranno l’alternativa pacifica alla guerra. 

Allo stesso modo, si possono fare tantissimi esempi: anziché essere contro l’esclusione, sii a favore dell’inclusione, anziché essere contro le abitudini malsane sii a favore di quelle sane. Questa teoria vale sia per le situazioni che per le persone. Il manager di Elvis Presley diceva che la pubblicità va bene sempre, buona o cattiva che sia. In fin dei fatti aveva ragione: Elvis nelle prime esibizioni ricevette numerose critiche a causa dei suoi movimenti considerati fuori luogo, eppure divenne la persona più conosciuta del mondo. 

Ecco che quindi anche i “cattivi” della storia e del nostro tempo, se ricevono troppe attenzioni diventano più potenti, a prescindere dalla fama che hanno. 

Infine oltre alle persone, il medesimo discorso può essere fatto anche per le emozioni e le sensazioni. Infatti, quando ti succede qualcosa di spiacevole nella vita potresti concentrarti sull’idea che il dolore passi alla svelta, ma è sbagliato. Anziché concentrarti sulla fine tristezza o sulla fine sofferenza, metti tutte le tue energie pensando alla felicità e al piacere, solo in questo modo riuscirai a migliorare la tua situazione emotiva

Quindi quando qualcosa nella tua vita, che sia una situazione, una persona o un’emozione, non ti è gradevole e ti sembra un problema, dovresti darle poco peso focalizzandoti su quello che vorresti essere

È importante che tu riesca a cambiare il tuo modello di pensiero, altrimenti rimarrai intrappolato sempre più spesso in dinamiche e circoli viziosi che non ti porteranno da nessuna parte. Se riuscirai a cambiare il tuo modello mentale riuscirai anche a essere padrone totale della tua realtà: sarai tu a decidere il tuo destino e il tuo futuro. 


Dal Sito: aprilamente.info 

Il coraggio di vivere senza una maschera


La nostra società è fatta di maschereche tendono a uniformarci in un unico pensiero: dire quello che realmente pensi è difficile e richiede coraggio, inoltre correrai sempre il rischio di essere considerata deviante. Il nostro sistema ci porta a considerare un pregio, ovvero esprimere sempre il nostro pensiero, come un difetto da contenere. 

Alla fine, il nostro mondo è fatto di persone che indossano maschere: una per ogni occasione. Si tratta di una società che anche noi abbiamo contribuito a creare, è fatta di apparenza e relazioni superficiali

In questo ambiente dire quello che pensi viene spesso etichettato come inopportuno, specialmente se non è quello che pensa il tuo interlocutore. 

Ecco perché anche tu a volte sei costretta a indossare una maschera: così eviterai di ferire il tuo interlocutore oppure di apparire strana e non conforme. In realtà, si tratta di un’usanza che deriva dalla nostra educazione e da quella di chi ci ha preceduto. È la paura di risultare inadeguati, di essere derisi oppure, peggio ancora, emarginati. Per questi motivi spesso scegliamo di non esprimere il nostro pensiero e indossare una maschera per sentirci inclusi.

Le maschere e le opinioni

Dire quello che pensi ti richiederà sempre molto coraggio e facendolo correrai anche il rischio di rimanere sola o di non essere capita. Eppure, alla lunga continuare a reprimere le proprie opinioni non porta nulla di buono. Non è detto che le tue opinioni debbano essere così tanto in contrasto con quelle altrui: probabilmente sei una persona con grandi doti umane ma, anche per te, esprimerti a piacimento potrebbe essere rischioso, a prescindere da quello che pensa il tuo interlocutore. Si tratta di convenienza e nulla più. 

Non esprimere il tuo pensiero potrebbe essere controproducentenel lungo periodo. Non dire quello che pensi potrebbe portarti lontano da te stessa fino a farti coincidere con una delle personalità che ha interpretato. 

Ovviamente non vuol dire che perderai per sempre il tuo animo o il tuo Sé, tuttalpiù questo scomparirà dalla vista altrui, nascondendosi sotto una personalità di facciata. In questo modo finirai per esprimerti solo con frasi di circostanza o essere sempre gentile e a modo con tutti, anche con chi non se lo merita. 

Inoltre, vivere la vita con addosso una maschera costituisce un incredibile spreco di energia: tutte le occasioni in cui dobbiamo sforzarci di essere diversi da quello che siamo comportano fatica. Ecco perché dovresti preferire la vita senza maschera scegliendo di avere il coraggio di essere quello che sei: troverai tantissimi benefici sia sul piano emotivo che su quello fisico. 

La vita senza maschera

Scegliendo di esprimere le tue opinioni, sicuramente non sarai simpatica a tutti ma almeno non consumerai energie utili alla tua crescita personale e non sarai schiava delle aspettative di chi ti sta intorno

Con il tempo anche le tue paure e il tuo timore di non piacere passeranno: con il tempo il centro del tuo Universo sarai tu e avrai imparato a ignorare quello che gli altri vogliono da te

Avere il coraggio di dire quello che pensi fa parte della tua natura di essere umano. Prova a considerare i bambini: sono politicamente scorretti, spesso fuori luogo e la loro sincerità sfocia spesso nella scortesia, eppure sono l’emblema della natura umana. 

In fin dei fatti, una bella bugia non è mai preferibile ha una scomoda verità. Quindi non ti preoccupare, cerca di smettere d’indossare maschere per fare contente le persone che hai attorno o per non essere emarginata: la capacità di dire quello che pensi verrà apprezzataanche dagli altri. 


Dal Sito: aprilamente.info 

Ansia alla guida: capire per reagire



Proviamo a pensare a una giornata lavorativa tipo: che cosa può andare storto? No, non è un esercizio che vuole imporre di vedere il bicchiere mezzo vuoto. È un esercizio, semmai, che ci vuole far riflettere su alcune situazioni quotidiane che ci possono “allertare” a livello fisiologico e mentale. Tra queste situazioni possiamo includere il temere di non arrivare in tempo al carico/scarico a causa del traffico oppure di non trovare un’area di servizio in cui fermarsi (perché magari già piena) quando ormai i tempi di guida non permettono di rimanere al volante per mettersi alla ricerca di un’altra. Ma le cose vanno storto anche quando uno stipendio arriva in ritardo o quando il lavoro, a causa della concorrenza al ribasso (a volte anche sleale) impone tempi sempre più serrati. Ma per un padroncino le cose vanno storto anche quando un lavoro rischia di saltare o anche soltanto di slittare, andando però a stravolgere il piano dei tempi di lavoro. Sono esempi e voi ne avrete sicuramente tanti altri.

Benissimo. A questo punto provate a pensare che cosa succede alla vostra testa e al vostro corpo quando vi trovate in situazioni simili a quelle che abbiamo elencato: probabilmente potreste percepire una certa tensione, tachicardia, sintomi fisici (per esempio, una stretta allo stomaco o alla gola, dolore o fastidio al petto), mal di testa, fatica a respirare, forte preoccupazione, palpitazioni, aumento della sudorazione, ecc. Ebbene, tutte queste sensazioni prendono il nome di «ansia».

Ma che cos’è l’ansia?

È un’emozione intensa, caratterizzata da sensazioni sia fisiche (come tachicardia, palpitazioni), sia mentali (preoccupazione, paura di perdere il controllo, ecc), sia comportamentali (per esempio, comportamenti finalizzati a evitare la situazione ansiogena), responsabili di una tensione diffusa.

L’ansia è sempre un problema?

No, l’ansia può essere fisiologica – quindi normale – oppure patologica: è fisiologica quando si prova in relazione a una situazione complessa, difficile, inusuale, che solitamente è nota o conosciuta dalla persona, che funge da stimolo attivante. In questo caso, sia la tensione fisiologica che quella psicologica sono utili perché attivano una serie di risorse mentali e fisiche per far fronte al meglio alla circostanza. L’ansia ha, quindi, un ruolo adattivo.

Facciamo un esempio: si può provare uno stato più o meno intenso di ansia quando si percorre un tragitto nuovo e non si conosce la strada o quando state guidando e all’improvviso viene giù un acquazzone fortissimo, con un fastidioso vento a raffiche. In questo caso, l’ansia è funzionale a focalizzare la nostra attenzione e concentrazione sul nuovo tragitto o sulla strada, permettendo di mantenere uno stato di allerta prolungato (tant’è che, una volta raggiunto l’obiettivo, si percepirà una sensazione di rilassamento diffuso chiamato volgarmente “crollo di tensione”).
Si parla, invece, di ansia patologicaquando si manifesta come uno stato d’incertezza costante, eccessiva e persistente, che dura almeno sei mesi e si presenta più volte al giorno e più volte nell’arco della settimana, e che è rivolto a situazioni più generiche (come per esempio, guidare in generale, in qualsiasi tipo di condizione atmosferica o di strada). Questo stato di tensione è fortemente invalidante per il funzionamento della persona, in quanto limita la sua capacità di adattamento: l’intensità è tale da provocare delle sensazioni spiacevoli in maniera pressoché costante, delle forti preoccupazioni per il futuro, dei comportamenti di evitamento per tutta una serie di situazioni che vengono considerate pericolose (per esempio, smettere di percorrere alcuni tratti di autostrada, tangenziale ecc). Inoltre, può essere accompagnato da una necessità di controllo sull’ambiente circostante, attraverso la messa in atto di rituali rigidi (come, per esempio, prima di mettersi alla guida, controllare ossessivamente e più e più volte gli specchietti o altri dettagli).

C’è distinzione tra ansia e paura?

Sì, sono due emozioni differenti. La paura è legata a un pericolo immediato. Per esempio, se mentre stiamo guidando notiamo che una vettura davanti a noi sta sbandando nella corsia opposta, proveremo un sentimento di paura che possa verificarsi un incidente imminente. Questa sensazione di paura causata da un evento che sta accadendo “qui e ora” è fondamentale per mettere in atto una serie comportamenti volti a evitarlo.
L’ansia, invece, è una preoccupazione per un evento che potrebbe accadere in futuro. Per esempio, un pensiero che si potrebbe attivare è: «Non mi metto preventivamente alla guida perché ho paura che possa succedermi un incidente». L’ansia, quindi, si basa su una previsione che qualcosa possa realmente verificarsi, non sull’immediatezza dell’accaduto (che invece caratterizza la paura).

Come faccio a capire se sto soffrendo d’ansia patologica?

Secondo il DSM 5 (il manuale diagnostico di riferimento), nel caso in cui l’ansia si presentasse in modo patologico, si devono manifestare una serie di sintomi invalidanti e pervasivi, cioè che interferiscono fortemente con la vita quotidiana, ostacolandola e limitandola. Devono, inoltre, presentarsi diverse volte al giorno per almeno sei mesi. Il criterio temporale è molto importante per determinare la gravità della sintomatologia, in quanto dei momenti di maggiore stress sono normali e provare delle sensazioni di tensione e disagio è del tutto ordinario. Tuttavia, se la situazione dovesse protrarsi a lungo (appunto, per almeno 6 mesi), è il caso di valutare la possibilità di un aiuto specialistico.

I sintomi possono riguardare tre aree principalmente:
sintomi fisici: tachicardia, sudorazione intensa, palpitazioni, dispnea (cioè fatica a respirare o sensazione di soffocamento), iperventilazione, tremori o brividi, vampate di calore, nausea o problemi intestinali, dolore al petto, vertigini, formicolii diffusi, alterazioni del sonno (fatica ad addormentarsi, risvegli frequenti) e dell’appetito (aumento o diminuzione della fame);
sintomi psicologici: preoccupazione costante per il futuro o preoccupazioni generalizzate per diversi aspetti della vita quotidiana, senso di depersonalizzazione (cioè di sentirsi distaccati da se stessi, percepire che la vita sia vissuta “dal di fuori”, da qualcun altro) e derealizzazione (cioè sensazione di irrealtà, che quello che si sta vivendo non sia reale), irrequietezza, irritabilità, impazienza, disturbi della memoria, disturbi attentivi.
sintomi comportamentali:evitamento di situazioni che posso essere oggetto delle preoccupazioni, messa in atto di rituali per avere una percezione di controllo sulla situazione.
Inoltre, i disturbi d’ansia sono diversi e possono riguardare molteplici aree della vita: disturbo d’ansia generalizzato (caratterizzato da una preoccupazione costante su diversi aspetti secondari della vita quotidiana), agorafobia (cioè paura degli spazi aperti), disturbo d’ansia da separazione (cioè paura di venire separati da un affetto significativo), ipocondria (cioè paura di contrarre una malattia), disturbo di panico(cioè soffrire di ripetuti attacchi di panico), fobie specifiche (cioè fobie legate ad animali, contaminazione, microbi, ecc), fobia sociale (cioè legata al relazionarsi con altre persone) e, infine, disturbo d’ansia indotto da sostanze (per esempio, medicine che si assumono regolarmente o sostanze psicoattive) e disturbo d’ansia causato da altre situazioni mediche (cioè da altre patologie).

In conclusione, una panoramica su questi disturbi d’ansia ci permette di capire che le situazioni potenzialmente attivanti sono molteplici. Nell’arco della nostra vita ci possono essere dei momenti di maggiore tensione che ci espongono a una difficoltà nell’affrontare la quotidianità. Nel caso in cui si individuino dei sintomi ansiosi, è importante muoversi tempestivamente: prima si interviene sul problema, prima si può trovare la soluzione.

Dal Sito: uominietrasporti.it

mercoledì 2 settembre 2020

Perché diciamo "sto bene" quando non è così?






“Sto bene”.

Lo diciamo continuamente. È una frase breve. Piacevole. Confermativa. Ci permette di passare al punto successivo della conversazione senza soffermarci troppo a lungo su noi stessi. Senza mettere il dito nella piaga.

Il problema è che spesso non è vero. Il problema è fingere che tutto vada bene, quando tutto va male.

Fingere che vada tutto bene, una regola sociale implicita

Quando diciamo che stiamo bene o che va tutto bene, ma non è così, stiamo negando le nostre emozioni e le esperienze. A volte lo diciamo senza pensarci troppo, perché è una regola sociale implicita, una regola che ci obbliga a fingere un atteggiamento positivo.

Diciamo che stiamo bene perché è una regola sociale che abbiamo imparato fin dall’infanzia, perché partiamo dal presupposto che quando l’altro ci chiede come stiamo questa in realtà è una domanda di cortesia, quindi recitiamo secondo un “copione automatico” che governa molte delle nostre relazioni sociali .

In altri casi facciamo finta che va tutto bene per evitare conflitti. A volte esprimere i nostri veri sentimenti o opinioni, specialmente se non lo facciamo in modo assertivo, può far arrabbiare qualcuno o addirittura provocare una discussione.

In fondo, tutti vogliamo che le nostre interazioni sociali siano il più fluide possibile, non vogliamo diventare una “persona difficile” o scaricare un peso su altri con le nostre preoccupazioni e problemi, quindi preferiamo nascondere che non stiamo bene e manteniamo la conversazione all’interno dei canali convenzionali.

Altre volte fingiamo di stare bene semplicemente perché ci sentiamo a disagio nel riconoscere che stiamo male, perché non siamo abituati a esprimere liberamente i nostri stati interni. Se tutti dicono di stare bene, ci sentiamo una pecora nera affermando che stiamo male.

Fingere di non avere problemi o conflitti è una facciata. È un’immagine che desideriamo proiettare al resto del mondo perché vogliamo che pensino che tutto ci sta andando bene. Vogliamo evitare l’imbarazzo o il giudizio. Può anche essere uno scudo per evitare di mostrare la nostra vulnerabilità al mondo.

Le persone che sono cresciute in un ambiente in cui è stato insegnato loro che le emozioni e i problemi sono cose intime e non dovrebbero essere condivisi, hanno maggiori probabilità di reprimerli. È un atteggiamento comune anche in chi è cresciuto in famiglie in cui la rabbia o la tristezza non trovano posto.

La necessità di convincersi che va tutto bene

A volte la riluttanza a riconoscere che non stiamo bene, anche con le persone più vicine, può derivare dal desiderio di convincerci che tutto va davvero bene. A volte neghiamo i nostri sentimenti e i problemi perché sono troppo grandi, non sappiamo come gestirli e cerchiamo di ignorarli, nella segreta speranza che spariscano come per magia.

Se riconosciamo i nostri problemi davanti agli altri, ci obblighiamo ad affrontarli e riconosciamo di non essere felici e che le nostre vite non sono perfette come vorremmo o che abbiamo bisogno d’aiuto. In quel contesto, la negazione è comprensibile. Anche se non è la soluzione a lungo termine perché più ignoriamo i problemi, più questi cresceranno.

Infatti, uno studio condotto presso l’Università dell’Arizona ha rivelato che le persone che fingono di stare bene con i loro colleghi finiscono per sentirsi emotivamente svuotate e meno autentiche nelle loro relazioni.

In altri casi, quel “sto bene” non risponde alla negazione ma al tentativo di proteggerci da sentimenti dolorosi. A volte, quando il problema è molto grande, preferiamo parlarne il meno possibile per evitare il disagio psicologico che ci genera l’attivazione di quella situazione. Di solito accade, ad esempio, quando perdiamo una persona cara, soprattutto durante i primi giorni. In quei casi, la negazione è un meccanismo di difesa che usiamo per proteggerci fino a quando non siamo pronti ad affrontare la perdita o il problema.

Riconoscere che non stiamo bene

Se per anni abbiamo negato e nascosto i nostri sentimenti e problemi, non è facile iniziare ora a scrutare nel disordine che c’è sotto la superficie. Tuttavia, fingere di essere felici e che tutto stia andando bene non ha molto senso perché finisce per generare un enorme drenaggio emotivo.

Gli psicologi della Michigan State University, ad esempio, hanno scoperto che quanti più sorrisi fingiamo, peggiore sarà il nostro umore alla fine della giornata ed è più probabile che sia caratterizzato da irritabilità, rabbia e tristezza.

A volte dobbiamo solo darci il permesso di non sorridere quando non ne abbiamo voglia. Non cercare di accontentare tutti. Non fare pressione su di noi per apparire perfetti. Autorizzarci a non stare bene sempre. Ed esprimerlo. Chiedere aiuto, se ne abbiamo bisogno. In realtà, ci sono molte più persone disposte a darci una mano di quanto possiamo immaginare.

Quando siamo più autentici possiamo creare relazioni più solide e soddisfacenti, connetterci davvero.

Ma per questo dobbiamo riconoscere che non stiamo bene, che stiamo lottando, feriti, spaventati o arrabbiati. Non si tratta di trasformare gli altri nella riserva dei nostri dolori e lanciare loro un rosario di lamentele, si tratta di esprimere i nostri sentimenti in modo onesto.

Il dato curioso è che questo cambiamento genera di solito un effetto valanga. Quando mostriamo la nostra vulnerabilità, anche gli altri si sentono liberi e sono più propensi a parlare delle loro paure e dei loro problemi. In realtà, non siamo gli unici a dire che va tutto bene quando non è così. È un’abitudine. Ma questa abitudine può essere interrotta quando iniziamo a pensare e ad agire in modo diverso. Quando convalidiamo i nostri sentimenti e bisogni. Questo ci toglierà un grande fardello dalle spalle e, con il tempo, saremo in grado di affrontare molto meglio i nostri problemi.