“GUARDA LA PAURA IN FACCIA E QUESTA CESSERÀ DI TURBARTI” - SRI YUKTESWAR
È capitato a tutti, nella vita, di
provare ansia: prima di un esame, quando si affrontano momenti
importanti, come andare all’altare, al primo giorno di lavoro o di
scuola o durante un’importante riunione.
L'ansia si caratterizza per alcuni sintomi comuni:
sudorazione, accelerazione del battito cardiaco, respiro corto, tremolio
della voce e/o delle mani e delle gambe, giramenti di testa. Questi
sintomi sono un chiaro segnale del nostro corpo per dirci che c’è un
allarme, e che dobbiamo proteggerci. Sono sintomi che derivano
dall’evoluzione e servono per la continuazione della specie: se un
animale non si attivasse quando sente la paura non scapperebbe. Allo
stesso modo accade quando un essere umano prova ansia per qualcosa che
sta per accadere: il suo corpo si attiva come per “scappare”, ma questa
attivazione può essere a volte causa di un’ulteriore paura, la paura di
avere qualche malattia, o di stare per morire.
Molto spesso si sente parlare di attacchi di ansia e attacchi di
panico come sinonimi ma in realtà si tratta di due fenomeni diversi, sia
nella sintomatologia, sia nelle cause scatenanti.
L'attacco di panico si caratterizza per la sua intensità e brevità:
infatti esso ha un inizio improvviso e non dura più di una ventina di
minuti. I principali sintomi sono palpitazioni, dolori toracici,
sudorazione, sensazione di perdita di controllo, sensazione di asfissia,
paura di morire... Succede spesso che chi ha un attacco di panico vada
al pronto soccorso con la convinzione di avere un infarto, un ictus o
qualche patologia che possa mettere in pericolo la sua sopravvivenza.
Si tratta di pochi minuti, che però a volte possono cambiare
drasticamente la vita di chi viene colpito anche solo da un unico
attacco. Infatti una conseguenza peculiare dell’attacco di panico è la
paura della paura: succede spesso che dopo il primo episodio la persona
inizi a mettere in atto meccanismi di evitamento di determinati luoghi,
persone e situazioni per la paura che un altro attacco si presenti,
arrivando a soffrire di una vera e propria agorafobia (cioè la paura di
trovarsi in spazi aperti e affollati e non riuscire a scappare o
chiedere aiuto in caso di malore). Può capitare che per anni o
addirittura per sempre non si verifichino altri attacchi, ma questo non è
sufficiente a far sì che la persona si convinca ad uscire di casa.
Anzi, proprio questa assenza di ulteriori episodi può fungere da
conferma alla propria teoria secondo cui se si evita un determinato
posto o si sta chiusi in casa non succederà più, e quindi alimentare
ulteriormente la condotta di evitamento. Questo comportamento può
diventare molto invalidante per la persona che lo mette in atto e per le
persone ad essa vicine.
A differenza di un attacco d’ansia, che è generalmente associato a
particolari eventi ansiogeni per l’individuo, l’attacco di panico
solitamente è improvviso e chi ne è colpito non riesce quasi mai a
definirlo come tale, magari proprio perché avviene in un momento di
relativa tranquillità. Ma se si va più a fondo, si scopre che anche solo
un piccolo particolare di una situazione può averlo scatenato. Riuscire
a scoprire a cosa sono dovuti questi attacchi è spesso la chiave di
volta per prevenirli e far sì che non ricapitino.
Se gli attacchi di panico perdurano nel tempo allora di parla
di Disturbo di Panico. Sia che si sia trattato di un episodio singolo,
sia che siamo di fronte ad un vero proprio disturbo, è importante
chiedere aiuto agli specialisti per capire cosa è successo e darne un
senso. Dagli attacchi si guarisce grazie al lavoro combinato di
psichiatri, per la cura farmacologica quando necessaria, e di psicologi.
Esistono differenti tipi di terapie per trattare gli attacchi di
panico: tra queste, quelle cognitivo-comportamentali sono state valutate
come particolarmente efficaci. In questi casi l’intervento è su
molteplici fronti: un intervento psicoeducativo, volto a fornire alla
persona informazioni e chiarimenti rispetto alla patologia; tecniche
comportamentali di esposizione agli stimoli temuti; e tecniche cognitive
che lavorano sulle convinzioni, sugli atteggiamenti e sulle
aspettative. L’obiettivo principale di questa terapia, che unisce
l’intervento sul comportamento con quello sulle cognizioni, è quello di
modificare progressivamente la “lettura” di tali sensazioni per darne un
nuovo senso e significato e saperle affrontare quando si presentano.
Cuneocronaca.it
Dott.sse Giulia Mattalia e Debora Bessone
Facebook: “Lunettes studio di psicologia – Giulia Mattalia e Debora Bessone”
E-mail: lunettes.studiodipsicologia@gmail.com
Ecco la confessione dell'attrice a OK.
«Mani fredde. Naso ghiacciato. Una debolezza infinita. Il cuore a mille... E la paura di morire d'infarto. È iniziata così, circa nel 2004, la storia dei miei attacchi di panico. Ero sola, in albergo: mi sono stesa sul pavimento, con i piedi in alto. Niente da fare, la crisi non passava. Allora ho chiamato il portiere: "Sto malissimo, mi mandi un dottore". Mi tremavano le mani, non riuscivo a reggere la cornetta.
La crisi si è risolta in modo inaspettato. Il portiere ha ritelefonato: "Vuole un'ambulanza?". È stato come se mi risvegliassi: no, non stavo per morire. "Mi basta una camomilla". Quando ho visto il cameriere (un essere umano, sveglio a quell'ora di notte, simbolo della normalità, della vita che scorre tranquilla), mi sono ripresa.
Non avevo idea di cosa fosse un attacco di panico: una mia amica, un anno prima, mi aveva parlato di questo problema, ma io non ero riuscita a capire... Confesso di aver pensato che fosse un suo modo, sia pure inconscio, di attirare l'attenzione. Non potevo proprio immaginare, io così forte e sicura, di cadere in balia di una simile difficoltà. Dopo quella notte ho avuto altri attacchi. In albergo, ma più spesso in macchina. Quando percorro una strada a scorrimento veloce, magari con tanti tunnel, o senza corsia d'emergenza, inizio a pensare a cosa farei se mi arrivassero quei sintomi terribili. È un circolo vizioso, la paura favorisce la crisi...
E appena l'aereo decolla mi monta l'ansia
Mi sono sentita male mentre ero al volante e tante volte ho abbandonato l'autostrada a un'uscita che non era la mia, per trovare sollievo dalla sensazione di essere intrappolata. Ma che stress...

E dire che sono sempre stata una guidatrice provetta, una specie di Schumacher al femminile: correvo, e tanto. E invece mi ritrovo ad andare a 60 all'ora come una vecchietta, o a fare viaggi in treno o addirittura in pullman, pur di non mettermi al volante. E non parliamo dell'aereo: io, che volo fin da quando ero piccola, adesso all'idea di dover fare un viaggio di 10/12 ore vengo colta dall'ansia, dalla paura irragionevole che il cuore inizi a battermi al decollo, e di arrivare morta a destinazione. Un'esperienza terribile. Ma forse inevitabile: sono convinta che questi problemi siano un segnale della psiche, che ci avverte quando stiamo ignorando una parte di noi che chiede aiuto.
Faccio yoga, medito, respiro...
Ho trovato un medico meraviglioso, che mi ha proposto di provare strade alternative ai farmaci. Per me si è rivelata una scelta vincente. Ho fatto diversi colloqui, poi su suo consiglio ho intrapreso la via della meditazione, della respirazione, dello yoga. In America, quando avevo 22 anni, ho incontrato Yogananda, una guida spirituale per me. Ho ripreso quella strada, e nel 2005 ho fatto anche un ritiro di una settimana in un centro in Umbria, che mi ha fatto benissimo.
Non sono ancora giunta alla fine del percorso: gli attacchi di panico si sono diradati e mi fanno meno paura, ma ogni tanto arrivano ancora. E non so se ho colto fino in fondo il messaggio del disturbo. Ma qualche ipotesi inizio a farla.
Per esempio ho capito di essere cresciuta troppo in fretta. Ho avuto un'infanzia e un'adolescenza in fondo felici, ma con tanti cambiamenti forse destabilizzanti per l'età che avevo: una serie di traslochi, un trasferimento di un anno in America (avevo 12 anni), che ha comportato l'allontanamento prima dagli amici e da mio padre e poi, in un secondo momento, da mia madre. E c'era il rapporto altalenante tra i miei genitori, e mio padre spesso assente per lavoro...
Con le persone più care mi sento protetta
Problemi e solitudine non mi hanno mai fatto particolarmente paura e ho sempre contato soprattutto su di me. Ma ora sospetto che tanta precocità non mi abbia permesso di creare basi salde di sicurezza e forse mi ha portato a negare la mia parte più fragile e dipendente. L'ho capito anche notando che, se ho vicino una persona cara, come il mio fidanzato, mi sento più sicura, l'attacco non arriva.
Sono più cosciente del fatto di aver bisogno degli altri, e questo mi ha portato ad aprirmi di più, a dare maggiore valore ai rapporti: sono diventata più affettuosa e indulgente. Continuo a condurre una vita un po' randagia, sono sempre in giro per il mondo, e questo mi piace. Ma ho capito quanto sia fondamentale per me puntare sugli affetti di riferimento: per esempio ora sento più spesso gli amici della mia infanzia, passata in libertà in una campagna a nord di Roma. La meditazione mi ha aiutato tanto. Purtroppo non sono costante. Però poi mi ricordo che basta prendersi un quarto d'ora, chiudere gli occhi e respirare: arrivano meravigliose sensazioni di leggerezza e di chiarezza mentale. Divento più serena e ansia e panico si diradano. Fino a scomparire».
Violante Placido
(testo raccolto da Emma Chiaia nel luglio 2006 per OK La salute prima di tutto)
Ok Salute e Benessere