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lunedì 3 agosto 2020

Il Caldo africano deprime anche per la Psiche





La medicina è ormai certa che le forti ondate di caldo estivo inneschino gravi stati di ansia, depressione e attacchi di panico in molte persone, specie se anziani e soli.

Insomma caldo intenso e afa tendono a creare le condizioni ideali per scatenare un grave disagio psico-fisico proprio nella stagione nella quale la forte luce solare dovrebbe stimolare al massimo invece la produzione di serotonina, l’ormone del buon umore

I sintomi premonitori

Si palesano sotto forma di ansia , spesso accompagnata da  difficoltà di respirazione, sbandamento, stanchezza, capogiri, testa vuota.

A questa fase seguono  questi sintomi:  di controllo, sudorazione, affanno, fame d’aria, tachicardia fino a sconfinare in ripetutiti attacchi di panico e nella depressione. Depressione e attacchi di panico a loro volta si autoalimentano l’un  l’altro. 

Per di più una nottata insonne per colpa del caldo, acuisce ancor più tali sintomi.

 

La sindrome da precipizio e l’ansia anticipatoria da caldo

Tali disturbi psico-fisici sono molto comuni nelle persone - numerose nella popolazione anziana - che hanno una esagerata reazione di allarme in presenza di sensazione dii caldo e addirittura anche prima che l’ondata di caldo arrivi. Infatti queste persone consultano in maniera spasmodica le previsioni meteo, ossia divengono preda dell’ansia (ansia anticipatoria) già per timore che arrivi un evento di forte calura ovvero già prima che tale evento, preannunciato  dai Meteorologi, si verifichi.

 Insomma è la sgradevole situazione in cui viene a trovarsi  chi ha paura delle grandi altezze:  di fronte ad un precipizio, rischia di cadervi dentro, fatalmente attratto da ciò che più aborrisce. Persone con questa “vulnerabilità” hanno una spiccata tendenza ad essere assorbiti dai propri stati interni nel tentativo (infruttuoso) di controllare la eventuale presenza di sensazioni che possono far presagire un pericolo o una minaccia per la propria salute; questo continuo scannerizzare il proprio corpo ( body cheek) paradossalmente aumenta la probabilità di selezionare ( attenzione selettiva)  sensazioni che, con ogni probabilità, verranno interpretate come segnale di uno stato di minaccia, innescando, a circolo vizioso. 

 

Ecco allora qualche consiglio

  • consultate più siti meteo prima di “bere” la notizia.
  • fate “training mentale autogeno"! Ovvero adottate le tecniche suggerite dal noto metodo di convincere la vostra mente, passo dopo passo, che non c’è alcun pericolo in vista e che di caldo non si muore, se si prendono poche  semplici precauzioni ambientali;
  • distraete la vostra mente con altri interessi (TV, parole crociate, lettura di un bel libro) anziché cercare su GOOGLE “Caldo in arrivo”
  •  In casa, se aborrite l’aria condizionata, fate uso almeno di un ventilatore o, se siete costretti all'aperto sotto il sole, ricorrete all'efficace metodo della nonna (bagnarsi ogni tanto viso, testa, collo, braccia)

giovedì 30 luglio 2020

Mal di testa e psiche



Le crisi di Cefalea possono essere rappresentazioni dell’incapacità di contenere ed elaborare nella mente un’esperienza di vita troppo dolorosa


Il “Mal di testa” è uno fra i disturbi più comuni, la sua forma più diffusa non ha però in realtà cause organiche accertate.
Il dolore alla testa può manifestarsi con varie caratteristiche: può essere circoscritto ad una zona precisa oppure estendersi a tutto il capo, può essere continuo o intermittente, oppure sporadico.
I sintomi si manifestano in diverse forme e possiamo quindi distinguere tra le Cefalee essenziali quelle vasomotorie caratterizzate da crisi periodiche, disagio alla luce, irritabilità, nausea e capogiri; quelle muscolotensive, causate da contratture e irrigidimenti della fascia cervicale, definite anche psicogene; infine, le Cefalee da Nevralgia, derivanti dai nervi sensitivi del capo con particolare sensibilità soggettiva al dolore.

Il legame tra la mente e il corpo

La componente psicosomatica di un disturbo fisico è presente quando un dolore più profondo affettivoemotivo trova nel corpo la forma espressiva più diretta e visibile.
Anche nella Cefalea esiste una correlazione reciproca fra mente e corpo. Una persona che soffre di Cefalea sente, pensa e agisce secondo le direttive della testa, che rappresenta la “centralina di comando”.
Ogni evento significativo, soddisfacente o frustrante, ad esempio una conquista o, viceversa, un fallimento, può essere vissuto ad un livello cerebrale, “di testa” appunto, e venire assimilato in pensieri che rimuginano nella mente fino a trasformarsi a volte in vere e proprie ossessioni ricorrenti. Chi ne soffre lamenta di sentirsi “imprigionato da idee che pesano nella testa come macigni... La sensazione è di ossa che spingono fuori dal cranio, alle tempie, dietro la nuca, sugli occhi, una specie di casco che comprime da tutte le parti e produce la sensazione sgradevole della “testa che scoppia”.

La negazione del dolore

Quando un’esperienza di vita è troppo dolorosa e diventa insopportabile, non può essere pensata, cioè tenuta nella mente. Si realizza allora una sorta di delega al corpo, un passaggio di consegne dal mentale al somatico.
Anche ricorrendo a meccanismi inconsci di difesa per evitare il dolore, come ad esempio la negazione, la componente di sofferenza è rimossa da qualche altra parte, persino esiliata nel corpo, lasciando una mancanza di senso a quanto sta accadendo. La negazione del dolore non equivale alla sua risoluzione. Al contrario, negare è l’estremo inconsapevole tentativo di estraniarsi da qualcosa che si sente intollerabile dentro di sé, inaccettabile, come ben si comprende dal commento di questa giovane donna: “Non è vero che mi fa male il fatto che se ne sia andato via... non posso pensare di essere ancora coinvolta”.
Per il nostro equilibrio interno e di relazione con gli altri, ciò che sperimentiamo e valutiamo come insopportabile è indigeribile, quindi indigesto per la nostra testa. Le cose che non riusciamo a pensare non esistono, sono inammissibili, a volte diciamo che sono “assurde”, per dire che se la testa non può accoglierle con la funzione di un buon contenitore, non possono esserci contenuti al suo interno.

Se i contenuti della testa fanno male

Le crisi di Mal di testa sembrano attacchi alla capacità del pensiero di sopportare vissuti di dolore.
Il quadro clinico descrive una sintomatologia organica che ha sede nella parte alta del corpo, la testa, ma la sua origine è nel mondo interno della persona che ne soffre, in quella parte più nascosta e intimamente riposta negli strati della coscienza più lontani dalla consapevolezza.
La Psicoanalisi cerca di tornare all’origine del dolore caratteristico della Cefalea ricollegandolo ai livelli più bassi, inconsci, che sottostanno alla realtà oggettiva dei sintomi.L’inconscio rappresenterebbe il contenitore primitivo dei contenuti grezzi dell’esperienza (sensazioni, fantasie, tracce di memoria) che, per essere assimilati in qualcosa che abbia senso, devono trasformarsi in contenuti mentali più elaborati (immagini, percezioni, pensieri).
La testa è il nostro apparato per pensare, la sua funzione è di accogliere e smaltire i significati della realtà che viviamo. Certi eventi significativi, come le perdite, i lutti, le separazioni, possono non essere sopportati dalla mente per la loro intensità e per il dolore che rappresentano. Se un’esperienza di dolore è solo vissuta ma non assimilata o “digerita”, può tradursi in un’esperienza psicosomatica. Analizziamone alcuni esempi.

Cefalee vasomotorie...

Di questo gruppo fanno parte le sindromi emicraniche come l’Emicrania classica cronica; gli episodi possono durare ore o giorni, alcuni spesso sono preceduti o accompagnati da sintomi sensoriali (aura) come formicolii a braccia e gambe, annebbiamento o perdita parziale della vista. Più localizzata da un solo lato della testa, l’Emicrania può manifestarsi anche con nausea, vomito ed estrema sensibilità alla luce e ai rumori.
In analogia ai sintomi fisici, anche le percezioni soggettive di chi ne soffre si riferiscono a un disturbo molto invalidante, soprattutto nella sfera delle relazioni interpersonali: il dolore alla testa è così acuto da spingere all’isolamento, fino alla rinuncia a godere della compagnia degli altri.

... e da tensione muscolare

Di solito a soffrirne di più sono le persone ansiose, che raccontano i sintomi in termini di “oppressione, una morsa che stringe la testa, un cerchio...”, suscettibili di miglioramenti in stati di rilassamento fisico e distensione mentale.

Le Nevralgie

In questi casi il dolore si presenta con attacchi violenti di breve durata, causati da una lesione irritativa dei nervi cranici; la più conosciuta è la Nevralgia del trigemino. Anche le reazioni soggettive al sintomo fisico sono come “infiammazioni sentite dentro di sé”, tutto è vissuto con rabbia in maniera insofferente.
Il dolore nella Cefalea è sempre ambivalente: rivela e maschera allo stesso tempo una domanda di ascolto, scopre e nasconde il desiderio e l’angoscia di capire, di conoscersi.

La Psicoterapia come cura

Spesso un Paziente che soffre di Cefalea si rivolge ad uno Psicoterapeuta dopo avere tentato altri tipi di intervento, soprattutto terapie mediche, senza significativi risultati.
Nell’anamnesi il Paziente racconta di come sta con un doppio registro narrativo, contemporaneamente corporeo e psichico, costretto a tenere insieme parti di sé solo in apparenza separate, ma che funzionano in realtà all’unisono.
Fin dagli inizi Freud aveva sviluppato un’originale teoria del dolore che implicava un legame stretto con la realtà organica e la biologia. Più tardi Bion, noto psicoanalista britannico, comprenderà che lo sviluppo di una mente capace di dare senso al proprio vissuto di dolore nasce dalla relazione con un’altra mente capace di nutrire di significati le esperienze di vita.
Come una buona madre deve pensare come pensa il suo bambino per aiutarlo a pensare su se stesso, così anche lo Psicoterapeuta con il suo Paziente che soffre di Cefalea deve saper prestare la propria testa, il proprio mondo mentale come contenitore che sappia assimilare i pensieri dolorosi slegati, spaventosi e indigeribili della mente del Paziente.
La funzione pensante dello Psicoterapeuta è il necessario nutrimento, come cibo per la mente, che permette gradualmente di distinguere i vari piani della sofferenza psicosomatica in gioco: la concretezza del corpo, l’origine della sofferenza e le difese adottate per non accettarla.
Se il Paziente non è in grado di pensare ed elaborare il proprio dolore, allora ha bisogno del supporto di una mente diversa dalla sua che lo aiuti a pensare e trovare il modo di trasformare il proprio vissuto di sofferenza, che lo accompagni nello sviluppo della capacità di sopportarlo in un processo di cura volto a recuperarne il senso, nella parola, nell’azione e nel corpo.




Dal Sito: elisirdisalute.it

giovedì 9 luglio 2020

Rabbia, disappunto, frustrazione? Non reprimerti: esprimi quello che senti


Le donne fanno più fatica perché vengono educate a reprimere i sentimenti negativi. Ma accettarli e comunicarli in modo civile ma inequivocabile dà energia, scarica l'ansia, fa trovare nuove soluzioni

Il fatto che molto spesso le donne facciano più fatica a riconoscere la rabbia e ad esprimerla potrebbe non essere solo una questione caratteriale. Reagire alla rabbia con le lacrime, il senso di colpa, l’insicurezza o l’ansia di controllo è un modo di esprimere questo sentimento in forme più accettabili, ma questo ci fa perdere di vista la sua funzione positiva.
Questione di educazione

Non è un mistero che durante l’infanzia bambini e bambine vengano cresciuti secondo gli schemi di comportamento ritenuti più appropriati rispetto al loro genere. Il diverso atteggiamento riservato a femminucce e maschietti incoraggia i secondi ad esprimere liberamente rabbia e aggressività, mentre alle prime viene insegnato che la loro rabbia è sgradevole, irrazionale e – suprema minaccia – rende più brutte. La rabbia femminile è storicamente associata alla follia e all’isteria, oppure a un’eccessiva rigidità che rende le donne arrabbiate meno simpatiche e meno attraenti delle donne che sanno affrontare ogni situazione con un sorriso. Così, per non essere considerate esagerate o ipersensibili, molte bambine imparano a deviare questo sentimento verso l’interno e a tenere strettamente sotto il controllo le loro espressioni e loro gestualità.

Controllarsi sì, ma senza reprimere

Un primo passo per imparare a vivere in maniera più serena la propria rabbia è smettere di ignorarla. Il che non vuol dire iniziare improvvisamente ad essere incivili, ma semplicemente ad accettare questo sentimento e a non considerarlo solo negativo. Imparare a comunicare la propria rabbia in modo che venga presa sul serio da chi ci circonda è possibile solo se ci si affida al suo lato costruttivo. La rabbia può motivare a uscire da situazioni svantaggiose, a darsi degli obiettivi e a elaborare strategie: dipende tutto da come scegliamo di utilizzarla. L’importante è non avere paura del risentimento che mostreranno gli altri quando smetteremo di essere concilianti e inizieremo a manifestare anche questa emozione.
La mindfulness della rabbia

Perché la rabbia sia sana, raccomanda Soraya Chemaly in La rabbia ti fa bella (Harper Collins Italia, 2019), bisognerebbe evitare di catastrofizzare e ruminare, due atteggiamenti che tendono a cristallizzare il sentimento in una rabbia corrosiva, che non porta da nessuna parte. Elaborare e accettare i propri sentimenti invece permette di sviluppare un distacco liberatorio che aiuta a trovare soluzioni. La rabbia può essere una fonte di informazioni e di energia, concetto ribadito anche dalla psicoanalista junghiana Clarissa Pinkola Estés in Donne che corrono coi lupi (Frassinelli): il ciclo della collera monta, cala, muore e si libera sotto forma di energia nuova, creativa, purché si accetti di trasformarla in altro e non ci si aggrappi come ad un mantra.
Distinguere fra le tre A

Un altro passo importante, secondo Chemaly, è riuscire a distinguere comportamenti simili tra loro, che hanno in comune la capacità di dire di no. Un conto è quindi essere arrabbiate, un altro essere assertive oppure aggressive. L’assertività è una qualità che dovremmo essere incoraggiate a coltivare molto più della compiacenza, non solo perché è una forma di comunicazione diretta molto efficace. Essere assertive, precisa l’autrice, permette di aumentare la resilienza emotiva e diminuisce il rischio di ansia e depressione, diventando un gesto di cura verso sé stesse. Quanto all’aggressività, non c’è ragione per non trovarle un posto nella gamma di comportamenti da attuare in base al contesto. Anche se è caratterizzata da una conflittualità più aperta e meno civile, in molti casi può essere modulata in maniera rispettosa ma inequivocabile.




Dal Sito:.silhouettedonna.it

venerdì 12 giugno 2020

Diversità: impara a considerarla una risorsa



Uno dei più grandi dilemmi della vita adulta è scoprire come vivere a stretto contatto con persone che non abbiamo scelto. Il detto per cui gli opposti si attraggono non è sempre accurato.

Le abitudini irritanti dei nostri coinquilini o le fissazioni dei nostri colleghi possono diventare un incubo, vuoi per incompatibilità caratteriale o perché proprio non le capiamo.

Se però siamo disposti a cedere un po’ di terreno potremmo rimanere sorpresi da quanto è più comodo mettere da parte le ostilità e imparare a tollerarsi.

Andare oltre lo specchio

La psicologia sociale può darci un indizio su come conciliare gli opposti. Uno studio del 2017, condotto da ricercatori dell’Università di Berkeley e dell’Università di Chicago, ha preso spunto proprio dalla tendenza a reagire alle divergenze di opinione svalutando il proprio interlocutore. Quando si tratta di giudicare qualcuno che ha credenze e comportamenti molto distanti dai nostri, entra in gioco un meccanismo che ci fa percepire l’altro come un po’ meno “umano”. Improvvisamente è come se fossimo davanti a un bambino o a un curioso animaletto, incapace per natura di giungere alle giuste conclusioni. Se fosse pienamente dotato di ragione, infatti, penserebbe e si comporterebbe come noi. Tuttavia, i ricercatori hanno scoperto che è meno facile deumanizzare l’altra persona quando si ascolta la sua voce. I segnali trasmessi dal suono e dall’intonazione ci ricordano che abbiamo davanti un nostro simile, dotato di emozioni e pensieri. Per questo è così facile litigare online, quando invece ci si confronta solo attraverso righe di testo.

Il dono della curiosità

La chiave per trovare il modo di avvicinarci al bizzarro mondo dell’altro, per quanto poco attraente ci sembri, è proprio concentrarci sul fatto che l’altra persona non è meno intelligente o meno profonda di noi solo perché è diversa. Mettendo per un attimo da parte le nostre convinzioni, possiamo fare appello alla nostra naturale curiosità per interessarci dell’altro con un approccio quasi scientifico. Non solo fare domande dimostra all’altro che stiamo almeno provando a capire il suo punto di vista, ma conoscere le sue priorità e i suoi valori è necessario per trovare un terreno comune.
Anziché lanciarci sulle questioni più spinose (ovvero quelle su cui ci si scontra spesso), meglio partire da argomenti neutri. Potremmo scoprire che abbiamo posizioni inconciliabili ma le stesse preferenze musicali, oppure di avere gusti diversi in fatto di hobby ma di essere cresciuti in famiglie molto simili.

Gestire la frustrazione

Le probabilità di essere opposti in tutto, come il giorno e la notte, sono molto scarse. Avere passioni o esperienze in comune però non significa iniziare a piacersi. È possibile che nonostante tutto non si avranno tanti argomenti di conversazione e che vivere o lavorare insieme sia sempre un po’ faticoso. Nei momenti in cui l’attrito tra le reciproche differenze è più forte, la tentazione di trascendere rimane. Ricordarsi di essere sempre civili e maturi è importante per mantenere il litigio entro proporzioni accettabili, anche a costo di essere un po’ insinceri. Chi proprio non ce la fa a mascherare le emozioni può trovare utile il consiglio del filosofo Alain de Botton, che incoraggia a coltivare la difficile arte della comprensione. Quando qualcuno dice o fa qualcosa di irritante è facile presumere che lo stia facendo apposta per darci fastidio, come del resto siamo pronti a immaginare che l’universo cospiri contro di noi quando rovesciamo del vino sui nostri jeans preferiti e magari ci si spezza pure un’unghia. Smontare questa teoria del complotto ci aiuta a guardare alle intenzioni degli altri in maniera obiettiva, minimizzando la suscettibilità.

Dal Sito: silhouettedonna.it

giovedì 4 luglio 2019

Stressati e irritabili per colpa del caldo




La psicologa, 'capacità di controllo ridotte'

Liti e discussioni sul tram, in strada, in ufficio e in mezzo al traffico si moltiplicano nei giorni del caldo africano. Anche la psiche è messa a dura prova dalla canicola. Umidità, afa e temperature bollenti stimolano stress e irritabilità. E se colonnina di mercurio schizza in alto all'improvviso, le conseguenze sono anche peggiori: si perde la capacità di controllo, si affronta la giornata con fatica, con il rischio di dare libero sfogo ad istinti aggressivi. "Questo caldo imprevisto può essere considerato un forte fattore di stress, capace di ridurre le nostre capacità di controllo rispetto agli stimoli ambientali negativi e, in alcune circostanze, può predisporre a comportamenti aggressivi ed impulsivi", spiega Eleonora Iacobelli, psicologa, vicepresidente Eurodap (Associazione europea per il disturbio da attacchi di panico) e responsabile trainer di Bioequilibrium.

"Il nostro cervello, infatti, in condizioni estreme potrebbe affaticarsi molto facilmente e, di conseguenza, predisporci con maggiore facilità a comportamenti impulsivi. Aumento di temperatura, tasso di umidità e ore di esposizione alla luce - prosegue l'esperta - mettono a dura prova l'equilibrio psicofisico di ognuno, che può esprimersi anche con azioni aggressive verso gli altri. Il forte caldo influenza anche altri aspetti importanti della nostra vita come il sonno, l'appetito e la concentrazione. Questo va a influire sulle nostre prestazione quotidiane tra cui il lavoro: in questo periodo si è maggiormente portati a conflitti e aumento della rabbia con colleghi e superiori".

"L'afa, a livello neurobiologico - precisa la psicologa - colpisce le cellule cerebrali alterando i livelli di minerali e tutte le sintomatologie a essa connesse possono sviluppare sensazioni di allarme e di pericolo che, se non gestite, portano a comportamenti di controllo ed evitamento che, nell'illusione di sentirci protetti, al contrario ci faranno sentire fragili e minacciati. E' questa sensazione - conclude Iacobelli - che può portare a fobie, paure e reazioni aggressive". Ecco allora alcuni consigli per salvaguardare il nostro stato mentale ed emotivo dalla canicola:

1) Cercare di fare un piano degli impegni giornalieri così da evitare di dover utilizzare energie inutili;

2) Non caricarsi di impegni oltre le proprie possibilità fisiche e mentali;

3) Fare attenzione alla disidratazione, in quanto ha effetti non solo sul fisico, ma anche sullo stato psicoemotivo;

4) Assicurarsi di dormire in un ambiente tranquillo, che permetta un riposo davvero ristoratore;

5) Evitare di assumere alimenti eccitanti (caffè, alcol).

Dal Sito: adnkronos.com


mercoledì 4 luglio 2018

Cara Ansia, ti scrivo. E ti leggo


Se l’ansia avesse il dono della parola, e potesse scrivere una lettera di presentazione, immagino che potrebbe suonare più o meno così:

Ciao, mi chiamo Ansia, e sono un’emozione. Sono nata e cresciuta nella mente un po’ più evoluta dell’uomo, la mia famiglia di origine è quella della Paura. Sono una dipendente dell’SNS (Sistema Nervoso Simpatico) e lavoro nel tuo corpo, tra i tuoi pensieri e le tue immagini. Il mio  è un mestiere molto variegato: posso farti accelerare il battito cardiaco, aumentare la sudorazione, posso tendere i tuoi muscoli, sollecitare il tuo stomaco e intestino… Di base lavoro come consulente e motivatrice: ti metto in guardia da ipotetici pericoli e, se collabori con me, posso migliorare le tue prestazioni e farti apprezzare i lati migliori dell’Adrenalina, il mio braccio destro. Nel tempo libero mi diverto a farti delle candid camera, tipo Scherzi a parte. Ti faccio spaventare, ma in realtà è tutta finzione, e spesso lo scopri per tempo!

…Lo so, altre volte ti faccio agitare moltissimo, e per questo inizi ad avere paura di me e a credere che gli scherzi che ti faccio siano la realtà. Inizi ad odiarmi, a temermi, o a vergognarti di me, a orchestrare pensieri e azioni per evitarmi. Queste tue strategie, però, funzionano come delle pompe di gonfiaggio e, se prima ero un palloncino, dopo divento una mongolfiera. E tu ti spaventi ancora di più, pur senza volerlo! Ma se ti rifiuti di conoscermi e di fare due chiacchiere con me, come posso mostrarti che in verità sono innocua, una ragazza della porta accanto, così, Ansia e sapone; che insieme possiamo fare anche cose buone, e che in fondo voglio solo il tuo bene?

Firmato:    Ansia


Bene, la nostra “amica” Ansia è stata abbastanza sincera. E’ una parente stretta della paura, ma con una sua caratteristica distintiva: mentre la paura è un’emozione primordiale che si attiva di fronte a pericoli reali immediati, l’ansia si innesca per quelle che sono percepite come minacce future ipotetiche. Si è inoltre “raffinata” di pari passo allo sviluppo della neocorteccia, la parte più evoluta del nostro cervello, quella che, tra le varie cose, ci consente di rappresentarci mentalmente la realtà, dunque anche di prefigurarla. La differenza tra paura e ansia è semplice: se subisco una rapina in strada sperimento paura, se invece esco di casa temendo di subire una rapina, sperimento ansia. L’evento-rapina ha un relativo margine di probabilità di accadimento, ma non si verifica realmente nel momento in cui vivo la preoccupazione, e potrebbe non verificarsi mai. Per questo l’ansia è spesso definita anche come “paura senza oggetto”. Tuttavia, essa è in grado di allarmarci e attivarci quanto la paura, dal punto di vista fisiologico (il cervello mobilita gli organi interni, i muscoli, il metabolismo, i sistemi sensoriali, come se l’organismo avesse davvero di fronte un pericolo, per dotarlo delle energie sufficienti ad attaccare o fuggire) e psichico.

L’ansia produce nella nostra mente delle vere e proprie candid camera, dei filmati in cui avvengono cose temibili, ma che in quel momento appartengono solo alla finzione. A volte ci rendiamo conto dell’ (auto)inganno, valutiamo che, per quanto lo scenario sia verosimile, non è necessariamente vero. Altre volte, invece, crediamo che quel filmato sia davvero una realtà che a breve avverrà, e questa è una nostra scelta di pensiero. Se si deve dare un esame e si teme la bocciatura, l’ansia ci mostra il filmato di una verosimile bocciatura. Da amica, viene a dirci che “potremmo bocciare”, come incentivo per affrontare al meglio un compito, ma non che “bocceremo sicuramente”, e che quindi qualsiasi impegno sarà vano.

Se “collaboriamo” con essa, preparandoci per superare l’esame, avremo trovato un’amica, poiché ci darà la giusta attivazione per la performance (come spiegato dalla “Legge di Yerkes-Dodson”: livelli intermedi di attivazione psicofisiologica determinano le prestazioni migliori, mentre un’attivazione troppo scarsa o eccessiva è di ostacolo). Se invece vedremo l’ansia come un ospite sgradito, portatore di cattive notizie o di uno stato indesiderabile, incontreremo un’altra serie di nemici che la “gonfieranno” e, dal palloncino che era, diventerà un’enorme mongolfiera. Due di questi nemici sono:

La paura o la vergogna per la propria ansia. E’ ancora diffuso un pregiudizio culturale circa la suddivisione ragione-emozione (che invece operano in concerto) e la “forza” della ragione Vs. la “debolezza” delle emozioni, soprattutto alcune. Ancor più in una società “performante” come la nostra attuale, richiedente elevate prestazioni, funzionalità, competitività, l’ansia può essere vista come un indice di disfunzione, di debolezza, di “perdente”; dunque, fonte di imbarazzo e vergogna, o timore di “non farcela”. In realtà si tratta di una fisiologica emozione con una precisa funzione adattiva, al pari delle altre emozioni, che non fa di noi né dei perdenti – anzi, può essere un prezioso stimolo per migliorarci – né dei deboli, bensì degli esseri umani.

Strategie protettive.Quelle che attiviamo per liberarci dell’ansia, di cui una molto diffusa, è l’evitamento. Ad esempio evitare di uscire di casa per paura di una rapina, o evitare gli esami per paura di bocciare. Se sul momento ci tranquillizzano, queste strategie hanno un effetto boomerang, tendono a far fuoriuscire l’ansia dai suoi naturali confini, a diminuire il senso di autoefficacia, ossia la percezione delle proprie capacità per affrontare efficacemente compiti o situazioni, e tolgono gradi di libertà e piacere alla nostra vita.

Leggere la “lettera di presentazione” dell’ansia, ovvero conoscerla per quello che è, come una ragazza della porta accanto nel condominio dei nostri stati d’animo, significa ridimensionare lo spazio che occupa e il potere che ha, leggere il vero messaggio che porta e lo scopo delle sue visite.Facendo un esercizio immaginativo, potremmo anzi avviare una corrispondenza con lei,chiederle di volta in volta perché è qua, come può aiutarci, come possiamo aiutarci ad affrontare qualcosa di prossimo che ci preoccupa. Imparando a ringraziarla per ciò che può lasciarci in termini di consapevolezza e funzionalità, e a congedarla nel modo più sereno quando è arrivata l’ora che torni al proprio appartamento.

Dott.ssa Serena Raspi
Psicologa

Dal Sito: leviedellapsiche.it

martedì 27 marzo 2018

Psiche: 6 casi in cui è meglio andare in terapia


Ci sono situazioni della vita in cui la scelta migliore è quella di andare in terapia per parlare ed affrontare ciò che ci tormenta.

La scelta di andare in terapia, benché negli anni sia divenuta una cosa sempre più semplice, per molte persone risulta ancora molto ostica. Alcuni la considerano una perdita di tempo, altri una sorta di sconfitta per non essere riusciti a risolvere da soli i propri problemi ed infine ci sono quelli che, ancorati alle credenze del passato, ritengono ancora che la terapia sia qualcosa da destinare solo a chi soffre di gravi disturbi mentali.
Posto che il cervello è un organo come tutti gli altri e che, di conseguenza, non c’è nulla da vergognarsi se nella vita arriva il momento in cui necessita di un aiuto, andare in terapia è una cosa che torna utile a tutti. Farlo consente infatti di mettersi in discussione, sfogarsi ed avere un parere esterno esposto in modo molto più chiaro di come potrebbe fare un amico. Insomma, andare in terapia è qualcosa che di certo non fa male a nessuno e che spesso può rivelarsi utile per uscire da periodi nei quali ci si sente bloccati o si necessita di parlare con qualcuno avendo la certezza di essere ascoltati e capiti senza alcun giudizio. Se, la scelta finale spetta sempre a noi, è bene ricordare che ci sono però delle situazioni particolari in cui rivolgersi ad un terapeuta non dovrebbe essere più un opzione ma una scelta obbligata e alla quale dare l’assoluta priorità.

Quali sono i casi in cui è consigliabile andare in terapia

Le situazioni in cui la terapia si rivela necessaria per aiutare a dirimere i fili troppo spesso ingarbugliati dei nostri pensieri sono tante e difficili da riassumere. Un dato problema, infatti, può essere vissuto sotto una luce diversa da persona a persona e a volte anche in base al periodo che si sta attraversando. Nonostante sia difficile fare una stima dei problemi più importanti o di come riconoscerli, oggi proveremo ad analizzare alcuni tra i contesti più “comuni” nei quali ci si può trovare coinvolti. Contesti che, se riconosciuti per tempo, possono essere risolti con molta più semplicità.

La depressione. Sentirsi in ansia o depressi è spesso una situazione temporanea che può capitare a chiunque si trovi ad attraversare un momento particolarmente difficile della propria vita. Quando la situazione diventa permanente e sembra non aver fine, portando chi la vive ad una qualità della vita  pessima, la terapia diventa però indispensabile. A volte basta qualche seduta per riuscire a risolvere la causa che ha spinto verso la depressione, in altri casi il tempo richiesto può essere maggiore. In ogni caso, un terapeuta che sappia ascoltare, capire ed indirizzare verso un modo di pensare più propositivo si rivela spesso un arma vincente della quale sarebbe stupido non usufruire. Senza contare che a volte la depressione può nascondere squilibri ormonali o altri problemi di tipo medico che è sempre meglio approfondire in modo da trovare la giusta soluzione.

Incapacità di affrontare un lutto o una perdita. Perdere qualcuno al quale si è voluto bene è spesso uno scoglio enorme che può portare alla depressione o ad un senso di non accettazione della realtà. Ciò può avvenire per la perdita di un proprio caro, di un animale domestico e a volte, anche di qualcuno ancora in vita. Si, perché a detta degli psicologi, il lutto si prova anche per la fine di una storia importante, per la fine di un’amicizia e per tutte le situazioni in cui avviene una perdita importante. In questi casi, avere qualcuno che sappia indicare la via per accettare ed elaborare il tutto si rivela indispensabile per poter tornare a prendere in mano la propria vita, recuperando il sorriso ed imparando a gestire i propri ricordi.

Incapacità di superare un evento traumatico. Proprio come avviene per il lutto, anche uno shock improvviso o un avvenimento traumatico possono causare grossi problemi, rendendo difficile il tornare a vivere la vita di tutti i giorni. Spesso la mente umana necessita infatti di una sorta di reset, di un punto dal quale ricominciare per riacquistare la normale routine di tutti i giorni. A volte, il tempo si rivela il miglior antidoto per problemi di questo tipo. Quando, però, l’ansia rimane e la vita sembra non scorrere più come prima, allora è il caso di chiedere aiuto. Parlare, rivivere al fianco di un esperto quanto accaduto potrà infatti dare un senso a tutto, permettendo alla mente di sbloccarsi dal momento di shock, elaborare il tutto ed andare avanti.

Dipendenza da sostanze, cibo o alcol. Qui, è proprio il caso di dirlo, spesso il non rivolgersi a qualcuno dipende purtroppo dall’incapacità di capire che si ha effettivamente un problema. Si inizia con una piccola dose e si va aumentando senza quasi farci caso. Si ha l’errata convinzione di potersi fermare quando se ne ha voglia e, per questi motivi, si tende a non capire la situazione nella quale ci si trova. Purtroppo però, una dipendenza resta tale fin quando non viene curata e per farlo è indispensabile rivolgersi ad un esperto, in grado di comprendere il perché questa si è innescata (perché c’è sempre un motivo) e come risolvere il problema, andando a lavorare su dei punti che spesso possono essere dolorosi. Se è vero che riconoscere una dipendenza è difficile è altresì vero che ci sono dei campanelli d’allarme in grado di aprire gli occhi. L’ansia o il nervosismo nel sentirsi dire che si ha una dipendenza da qualcosa, l’effettiva incapacità (nonostante si pensi il contrario) di fermarsi per più di due o tre giorni. Reazioni violente, psicosi e attacchi d’ira immotivati sono i sintomi di chi è già molto avanti con il problema. Attraverso un’attenta analisi è però possibile imparare a riconoscerlo ed è proprio questo il momento giusto per chiedere aiuto.

Soffrire di un Dca. Si tratta di disturbi legati all’alimentazione. I più conosciuti sono l’anoressia e la bulimia ma in mezzo c’è tutto un mondo di varianti che la gente tende a non vedere o che, più semplicemente, non conosce. Molto spesso, infatti, chi soffre di questi problemi appare esteriormente come gli altri. Certo, nelle fasi estreme il problema è spesso sotto gli occhi di tutti per via dell’eccessiva magrezza. Prima di arrivare a ciò, però, può volerci diverso tempo così come potrebbe non accadere mai. In ogni caso va preso in considerazione che qualsiasi ossessione o dipendenza dal cibo rappresenta in qualche modo un problema che prima viene affrontato e risolto e prima consente a chi ne soffre di tornare a vivere serenamente.

Attacchi di panico incontrollabili. Spesso iniziano come crisi d’ansia, magari in una situazione così stressante che essere ansiosi è considerata una cosa normale. Poi, però, proseguono e si ripresentano con maggior frequenza sfociando magari in veri e propri attacchi di panico. In quei momenti ci si sente soffocare, si pensa di poter morire da un momento all’altro ed anche la più piccola cosa appare come un problema insormontabile. Ci si sveglia in piena notte con il cuore a mille oppure ci si sente improvvisamente sul punto di svenire proprio quando si è tra la gente e non si sa come chiedere aiuto o come risolvere il problema. Queste situazioni che, per chi le vive, sono più gravi di quanto si possa pensare, andrebbero sempre discusse con un terapeuta. Spesso, infatti, gli attacchi di panico possono sorgere per un problema che non si riesce ad affrontare e che, alle volte, non si sa neppure di avere. In questi casi solo un terapeuta può aiutare a trovare la giusta chiave di lettura, insegnando al contempo anche alcuni metodi di rilassamento che consentano di riappropriarsi pian piano della propria vita.

Ovviamente, queste sono solo alcune delle situazioni nelle quali rivolgersi ad un terapeuta potrebbe rendere la vita sicuramente migliore. Altre possono essere fobie immotivate, varie forme di autolesionismo, problemi in famiglia o con il proprio partner, mancanza di comunicazione con i figli, eccessiva mancanza di autostima, eccessiva timidezza, insonnia continua, eccessiva mancanza di autostima che non si riesce ad acquistare in nessun modo, paura di affrontare il domani, etc…
Una lista davvero infinita ed il cui comune denominatore è una qualità della vita che peggiora di giorno in giorno, rendendo sempre più impossibile anche la sola idea di riuscire ad essere nuovamente felici. È bene ricordare, quindi, che cercare un parere esterno anche alla prima avvisaglia di un problema come quelli elencati in questo articolo è solo segno di maturità e di carattere. Requisiti indispensabili se si desidera affrontare e superare al meglio ogni possibile futura calamità che la vita può porre sul nostro cammino.

Dal Sito: chedonna.it

mercoledì 7 marzo 2018

Cuore e Psiche – Ansia e paura



Quando si vuole studiare il benessere di una persona è importante tenere in considerazione tutti gli elementi che agiscono negativamente sul suo sviluppo e sulla sua realizzazione. Questo significa che, una volta conosciuti gli aspetti che peggiorano una condizione, ci si può soffermare sulle risorse e qualità grazie a cui poter fronteggiare gli eventi difficili.

Tra le manifestazioni emotive che limitano la persona vi sono senza alcun dubbio quelle legate all’ansia. Una volta riconosciuta è possibile realizzare un intervento per la salvaguardia della persona, anche se è un percorso lungo che richiede una conoscenza approfondita di quale sia il volto dell’ansia. Innanzitutto, si deve capire che si tratta di una manifestazione che influisce in malo modo sulla vita socio-emotiva della persona. Come una sorta di ostacolo in grado di rallentare ogni prestazione. Inoltre, si può riscontrare per periodi a breve o lungo termine.
Un altro aspetto di cui si deve essere consapevoli è che l’ansia va nettamente distinta da altri stati come la paura. Questi due termini assumono accezioni ed evidenze psicofisiche diverse. Infatti, la paura si riferisce a uno stato di allerta provato dall’individuo in situazioni che potrebbero risultare un pericolo per la sua vita. Si verifica quando si avverte una perdita di controllo nel corso dell’attività che si sta svolgendo. I danni che tale situazione potrebbe provocare infatti vengono limitati dai vissuti di paura, grazie a cui si mettono in atto una serie di tutele difensive. La paura genera palpitazioni, cefalee e una frequenza respiratoria alterata; tutti segnali di protezione con cui il corpo cerca di inibire la messa in atto di attività a rischio. È infatti grazie alla paura che i bambini, i giovani ragazzi e gli adulti non si cimentano in attività che potrebbero mettere in repentaglio la loro vita. La paura spinge un bambino a non saltare da altezze eccessive allo stesso modo in cui evita che gli adulti guidino a velocità che potrebbero provocare incidenti. Non provare paura o timore può essere esso stesso un sintomo di compromissione mentale, ben più grave alle volte delle conseguenze che porta l’ansia. Cosa farebbero le persone senza la ‘vocina interiore’ che le indirizza verso attività a difesa della loro vita? Come potrebbero vivere senza la consapevolezza di ciò che fa male? Non ci sarebbe amor proprio, non ci sarebbe l’autostima e, ancor peggio, non ci sarebbe vita.
Tuttavia, quando questi stati interni di apprensione diventano troppo forti, la paura lascia il posto a manifestazioni nocive che inibiscono la pienezza della vita. Queste si riferiscono invece all’ansia, la quale rappresenta un limite piuttosto che un supporto costruttivo per la persona. L’ansia, come scritto in precedenza, denota uno stato disfunzionale con conseguenze fisiche disturbanti quali palpitazioni, tremori, nausea e dolori al petto. Questi sintomi manifestano lo stato di apprensione che si prova nell’anticipazione di un certo problema. Ogni difficoltà sembra divenire insuperabile, e il pensiero negativo diviene un chiodo fisso che la persona non riesce ad accantonare. L’esistenza umana contiene istanti meravigliosi e semplici che, in alcuni casi, si oscurano e lasciano spazio a credenze negative che sembrano non permetterci di essere felici. L’ansia diminuisce la spensieratezza del quotidiano ed evidenza l’impossibilità di vivere appieno. Una volta entrati in un circuito simile è difficile vivere gli impegni, le scadenze e i propri doveri con la tranquillità di chi sa di poter sbagliare senza generare catastrofi.

L’ansia e la paura sono due vissuti emotivi che hanno origine all’interno dell’amigdala nel sistema limbico del nostro cervello. L’amigdala, insieme ad altre sedi cerebrali, fa parte della struttura chiamata “il circuito della paura”. È al suo interno che nascono le manifestazioni sane che attivano la persona mentre è in uno stato di emergenza (i timori). Allo stesso modo, influisce sulla messa in atto di manifestazioni psico-emotive eccessive ed alterate (le paure).
Gli episodi di ansia possono provocare disturbi clinici indicati dal DSM 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) quali il disturbo d’ansia da separazione, l’agorafobia o il disturbo d’ansia generalizzata.

Tutte queste ripercussioni psicofisiche mettono in evidenza una vita non realizzata a pieno. L’esistenza infatti diviene reduce di pensieri che superano l’effettiva difficoltà della situazione, e che proprio per questo andrebbero ridimensionati. Ogni giorno viviamo in un mondo che noi aiutiamo a colorare, ma che mai conosciamo del tutto . Sta a noi decidere quando cimentarci in ciò che desideriamo e quando darci la possibilità di sbagliare, uscendo magari con i colori fuori dai bordi.

Dal Sito: ecovicentino.it

lunedì 15 dicembre 2014

Violante Placido: attacchi di panico, il terrore di morire

«La prima volta è successo in albergo», racconta Violante Placido, Fata Turchina nel nuovo Pinocchio televisivo . «Mani fredde, battito cardiaco impazzito, una debolezza infinita. E io che penso: "Oddio, ho un infarto...". Avevo già sentito parlare di attacchi di panico e confesso di aver pensato che fossero solo un modo inconscio per attirare l'attenzione degli altri. Invece sono un disturbo vero. Io mi sto curando e piano piano spero di uscirne...».
Ecco la confessione dell'attrice a OK.

«Mani fredde. Naso ghiacciato. Una debolezza infinita. Il cuore a mille... E la paura di morire d'infarto. È iniziata così, circa nel 2004, la storia dei miei attacchi di panico. Ero sola, in albergo: mi sono stesa sul pavimento, con i piedi in alto. Niente da fare, la crisi non passava. Allora ho chiamato il portiere: "Sto malissimo, mi mandi un dottore". Mi tremavano le mani, non riuscivo a reggere la cornetta.
La crisi si è risolta in modo inaspettato. Il portiere ha ritelefonato: "Vuole un'ambulanza?". È stato come se mi risvegliassi: no, non stavo per morire. "Mi basta una camomilla". Quando ho visto il cameriere (un essere umano, sveglio a quell'ora di notte, simbolo della normalità, della vita che scorre tranquilla), mi sono ripresa.
Non avevo idea di cosa fosse un attacco di panico: una mia amica, un anno prima, mi aveva parlato di questo problema, ma io non ero riuscita a capire... Confesso di aver pensato che fosse un suo modo, sia pure inconscio, di attirare l'attenzione. Non potevo proprio immaginare, io così forte e sicura, di cadere in balia di una simile difficoltà. Dopo quella notte ho avuto altri attacchi. In albergo, ma più spesso in macchina. Quando percorro una strada a scorrimento veloce, magari con tanti tunnel, o senza corsia d'emergenza, inizio a pensare a cosa farei se mi arrivassero quei sintomi terribili. È un circolo vizioso, la paura favorisce la crisi...

E appena l'aereo decolla mi monta l'ansia
Mi sono sentita male mentre ero al volante e tante volte ho abbandonato l'autostrada a un'uscita che non era la mia, per trovare sollievo dalla sensazione di essere intrappolata. Ma che stress...
E dire che sono sempre stata una guidatrice provetta, una specie di Schumacher al femminile: correvo, e tanto. E invece mi ritrovo ad andare a 60 all'ora come una vecchietta, o a fare viaggi in treno o addirittura in pullman, pur di non mettermi al volante. E non parliamo dell'aereo: io, che volo fin da quando ero piccola, adesso all'idea di dover fare un viaggio di 10/12 ore vengo colta dall'ansia, dalla paura irragionevole che il cuore inizi a battermi al decollo, e di arrivare morta a destinazione. Un'esperienza terribile. Ma forse inevitabile: sono convinta che questi problemi siano un segnale della psiche, che ci avverte quando stiamo ignorando una parte di noi che chiede aiuto.

Faccio yoga, medito, respiro...
Ho trovato un medico meraviglioso, che mi ha proposto di provare strade alternative ai farmaci. Per me si è rivelata una scelta vincente. Ho fatto diversi colloqui, poi su suo consiglio ho intrapreso la via della meditazione, della respirazione, dello yoga. In America, quando avevo 22 anni, ho incontrato Yogananda, una guida spirituale per me. Ho ripreso quella strada, e nel 2005 ho fatto anche un ritiro di una settimana in un centro in Umbria, che mi ha fatto benissimo.

Non sono ancora giunta alla fine del percorso: gli attacchi di panico si sono diradati e mi fanno meno paura, ma ogni tanto arrivano ancora. E non so se ho colto fino in fondo il messaggio del disturbo. Ma qualche ipotesi inizio a farla.
Per esempio ho capito di essere cresciuta troppo in fretta. Ho avuto un'infanzia e un'adolescenza in fondo felici, ma con tanti cambiamenti forse destabilizzanti per l'età che avevo: una serie di traslochi, un trasferimento di un anno in America (avevo 12 anni), che ha comportato l'allontanamento prima dagli amici e da mio padre e poi, in un secondo momento, da mia madre. E c'era il rapporto altalenante tra i miei genitori, e mio padre spesso assente per lavoro...

Con le persone più care mi sento protetta
Problemi e solitudine non mi hanno mai fatto particolarmente paura e ho sempre contato soprattutto su di me. Ma ora sospetto che tanta precocità non mi abbia permesso di creare basi salde di sicurezza e forse mi ha portato a negare la mia parte più fragile e dipendente. L'ho capito anche notando che, se ho vicino una persona cara, come il mio fidanzato, mi sento più sicura, l'attacco non arriva.
Sono più cosciente del fatto di aver bisogno degli altri, e questo mi ha portato ad aprirmi di più, a dare maggiore valore ai rapporti: sono diventata più affettuosa e indulgente. Continuo a condurre una vita un po' randagia, sono sempre in giro per il mondo, e questo mi piace. Ma ho capito quanto sia fondamentale per me puntare sugli affetti di riferimento: per esempio ora sento più spesso gli amici della mia infanzia, passata in libertà in una campagna a nord di Roma. La meditazione mi ha aiutato tanto. Purtroppo non sono costante. Però poi mi ricordo che basta prendersi un quarto d'ora, chiudere gli occhi e respirare: arrivano meravigliose sensazioni di leggerezza e di chiarezza mentale. Divento più serena e ansia e panico si diradano. Fino a scomparire».
Violante Placido 

(testo raccolto da Emma Chiaia nel luglio 2006 per OK La salute prima di tutto)

Ok Salute e Benessere