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martedì 9 giugno 2020

Paura di morire: trasformala in voglia di vivere


Tutti noi abbiamo consapevolezza della nostra mortalità, sappiamo che l’orizzonte temporale dell’esistenza, nostra e di altri, è in ogni caso finito. Questo pensiero di solito balza in primo piano in occasione di eventi riguardanti la morte, reale o potenziale, di altre persone. In alcuni casi però la paura di morire può diventare un pensiero costante e sollecitare un stato cronico di ansia e terrore: la tanatofobia configurandosi come un vero e proprio disturbo psicologico per il quale è importante chiedere aiuto e intraprendere una psicoterapia.

 

La paura di morire: la caduta dell’ “età del’oro”

Molti miti antichi, cristiani e pagani, raccontano di un tempo primordiale, una lontanissima “età dell’oro”, in cui gli esseri umani sarebbero vissuti in totale armonia fra loro e con la Natura, senza fatiche, problemi né paura di morire… Questa immaginaria condizione di immortalità e felicità perduta si ritrova in molti racconti.

Nel mito greco di Pandoraraccontato nella Teogonia di Esiodo, Pandora è la prima donna mortale e dal momento in cui ella aprirà il vaso deriveranno tutte le afflizioni del genere umano. Anche il mito biblico di Adamo ed Eva raccontato nella Genesi è un altro esempio di racconto di caduta dell’essere umano: la cacciata dal giardino dell’Eden coincide con l’inizio della condizione mortale degli esseri umani. La nascita stessa dell’umanità viene dunque fatta risalire, in miti e racconti di ogni cultura, alla morte intesa come prospettiva finita all’esistenza dell’uomo: in funzione di questo, corpo e mente evolvono e cambiano, si configurano diverse età della vita e diverse sfide evolutive che la mente deve affrontare.

La paura di morire ci coglie solitamente in condizioni di grave pericolo per noi o per altri, ma solitamente viviamo accettando questa dimensione finita, ed evolutiva, della nostra esistenza e utilizzandola anche per ricercare uno scopo nella vita.

La tanatofobia, cioè la paura patologica della morte e del morire, configura invece un vero e proprio disturbo psicologico.

 

La paura di morire e le età della vita

I bambini non hanno le capacità emotive e cognitive per cogliere a pieno il significato della morte. Questa eventualità, specie nella prima infanzia, rimane qualcosa che può riguardare altri, ma non sé stessi. Durante l’età adolescenziale, lo sviluppo del pensiero astratto ma il permanere di una certa immaturità emotiva pone i ragazzi in ovvia difficoltà rispetto all’affrontare temi legati alla sofferenza, la malattia e la morte. 

Più che paura di morire riguardo a sé stessi, di solito si configura una impossibilità a tollerare le emozioni di angoscia legate ad aspetti luttuosi. Non dimentichiamo poi che l’adolescente è, per sua natura, in un assetto cognitivo in cui non ha la possibilità di valutare autonomamente le conseguenze/rischi delle azioni proprie e di altri in un’ottica adulta. Tende a vivere più in un eterno presente sopravvalutando spesso le proprie potenzialità (ne sono un esempio i gravi incidenti automobilistici che coinvolgono i giovanissimi o la scarsa attenzione e informazione riguardo ai rischi di una sessualità non protetta come spesso viene riportato dai sondaggi). 

E’ nell’età adulta che si configura una consapevolezza più matura della morte e del morire, ma è nella vecchiaia che la morte balza in primo piano come prospettiva non più così lontana con cui confrontarsi.

 Paura di morire o paura di vivere?

La paura di morire come specifico disturbo psicologico può insorgere nella persona a seguito di traumi o eventi particolarmente drammatici attinenti direttamente o indirettamente a questo tema. È un disturbo d’ansia che può avere a che fare con la paura di morire o la paura della morte di altri, paura di essere coinvolti in catastrofi, malattie come infarto o cancro ed associarsi ad alte sintomatologie ansiose come attacchi di panico, ipocondria e stati depressivi.

La paura di morire può riguardare anche un circoscritto e specifico momento della vita come avviene ad alcune donne durante la gravidanza; queste future madri possono manifestare una paura fobica di perdere il bambino o di morire di parto (associandosi a una fobia riguardo a tale evento).  

In tutti questi casi è opportuno che la persona si rivolga ad uno psicoterapeuta per esplorare i significati dell’insorgenza di tale fobia che, come ogni altro disturbo psicologico, denota un malessere, una paura, un blocco relativo non tanto al morire, quanto al vivere.

 

Mortalità e condizione umana

La morte, la caducità dell’esistenza è dopotutto ciò che ci rende umani, che ci mette in condizione di fare progetti, costruire giorno dopo giorno una crescita che non ci faccia rimanere uguali a noi stessi. Cesare Pavese nei Dialoghi con Leucò fa parlare Ulisse e Calipso, quest’ultima gli propone una vita immortale con lei sull’isola di Ogigia, una vita per sempre felice ma uguale a sé stessa che Ulisse per questo rifiuta:

“CALIPSO  Non vale la pena, Odisseo. Chi non si ferma adesso, non si ferma mai più. Quello che fai, lo farai sempre. Devi rompere una volta il destino, devi uscire di strada, e lasciarti affondare nel tempo…

ODISSEO   Non sono immortale.

CALIPSO   Lo sarai se mi ascolti. Che cos’è la vita eterna se non questo accettare l’istante che va ? L’ebbrezza, il piacere, la morte non hanno altro scopo. Cos’è stato finora il tuo errare inquieto ?

ODISSEO   Se lo sapessi avrei già smesso. Ma tu dimentichi qualcosa.

CALIPSO   Dimmi.

ODISSEO   Quello che cerco l’ho nel cuore, come te”. (C. Pavese, Dialoghi con Leucò, L’isola).

Dal Sito: crescita-personale.it
  

sabato 16 novembre 2019

Quando la paura di morire ci impedisce di vivere


La parola tanatofobia deriva dal greco thanatos che significa morte, e phobos che significa paura, letteralmente “paura della morte”. La tanatofobia, colpisce milioni di persone in tutto il mondo. In alcuni individui può generare ansia e/o pensieri ossessivi. Più precisamente, la tanatofobia è la paura della morte e/o della propria mortalità, mentre la paura delle persone che muoiono o delle cose morte è conosciuta come "necrofobia", che è un concetto leggermente diverso. La nostra esistenza è sempre adombrata dalla consapevolezza che cresceremo, giungeremo a maturazione finché, inevitabilmente, avvizziremo e moriremo.
Per alcuni la paura della morte si manifesta solo in modo indiretto, vuoi come un’inquietudine generalizzata o mascherata sotto le sembianze di un diverso sintomo psicologico; altri individui sperimentano un flusso esplicito e cosciente di angoscia nei confronti della morte; e per altri ancora la paura della morte si manifesta nell’esplosione di un terrore che impedisce qualsiasi felicità e realizzazione.

L’angoscia riguardo alla morte aumenta e diminuisce durante il ciclo vitale. I bambini fin da piccoli non possono fare a meno di notare il manifestarsi intermittente della mortalità che li circonda (foglie, insetti e animali domestici morti, nonni che scompaiono). Poi, dai sei anni fino alla pubertà la paura della morte solitamente rimane in secondo piano per erompere con tutta la sua forza durante l’adolescenza. Gli adolescenti spesso sono assillati dalla morte e alcuni di loro prendono in considerazione l’idea del suicidio. Molti giovani di quell’età possono rispondere all’angoscia di morte diventando maestri e dispensatori di morte nella vita virtuale, grazie ai videogiochi. Altri sfidano la morte con umorismo macabro e canzoni in cui viene schernita, o guardando film horror con gli amici. Altri adolescenti sfidano la morte affrontando rischi temerari. Con il passare degli anni le preoccupazioni adolescenziali nei confronti della morte vengono spinte da parte dai due compiti principali dell’esistenza di un giovane adulto: dedicarsi alla carriera e mettere su famiglia. Tre decadi più tardi, quando i figli si allontanano da casa e ci si avvicina alla pensione, si viene assaliti dalla crisi di mezza età e l’angoscia della morte erompe con tutta la sua forza.

Sin dall’alba dei tempi la morte ha avuto un ruolo centrale nelle dottrine religiose e nel pensiero filosofico. Secondo Epicuro, filosofo greco nato nel 341 a.C., c’era un solo obiettivo adeguato per la filosofia: alleviare la miseria umana causata dalla nostra onnipresente paura della morte. Secondo questo filosofo, il cui nome è legato alla corrente di pensiero dell’epicureismo, la visione spaventosa della morte interferiva con il godimento della vita e intaccava ogni forma di piacere. Fa parte del genio di Epicuro aver anticipato la visione contemporanea dell’inconscio: fu lui a evidenziare infatti che le preoccupazioni di morte non sono consapevoli per la maggior parte degli individui, ma devono essere dedotte da manifestazioni sotto mentite spoglie. Epicuro formulò una serie di argomentazioni per tentare di alleviare l’angoscia della morte. Ne propongo tre, a mio avviso preziose all’interno di un lavoro di psicoterapia. 
La prima argomentazione è quella della mortalità dell’anima. Secondo Epicuro l’anima è mortale e perisce assieme al corpo. Se siamo mortali e l’anima non ci sopravvive, allora non abbiamo nulla da temere, non avremo coscienza né rimpianti. 
Nella seconda argomentazione Epicuro ipotizza che la morte per noi non sia nulla, in quanto l’anima è mortale e si disperde con la morte. Quel che è disperso non percepisce, e qualsiasi cosa non percepita per noi è il nulla. In altre parole: dove sono io, non è la morte, dove è la morte non sono io. Epicuro affermava: perché temere la morte se noi non la possiamo mai percepire?

La terza argomentazione di Epicuro sostiene che la nostra condizione di non essere dopo la morte è la stessa nella quale ci trovavamo prima della nascita. Credo sia confortante pensare che le due condizioni del non essere, il tempo che precede la nostra nascita e quello che segue la nostra morte, siano identiche e che noi abbiamo tanta paura della seconda e così poca preoccupazione riguardo alla prima.

Il dover affrontare l’idea della morte non porta necessariamente alla disperazione e non priva la vita di qualsiasi scopo. Al contrario può essere una consapevolezza che conduce ad una vita più piena. Secondo Irvin D. Yalom, psichiatra e psicoterapeuta americano di fama mondiale, anche se la fisicità della morte ci distrugge, l’idea della morte ci salva. Secondo l’autore alcune esperienze, che lui chiama esperienze di risveglio, ci fanno sintonizzare con il semplice fatto che le cose sono, che noi siamo, con il “miracolo dell’essere” in sé. In questa modalità di pensiero non solo siamo più consapevoli dell’esistenza, della mortalità e delle altre caratteristiche immutabili della vita, ma anche più pronti a operare cambiamenti significativi. Molti resoconti di cambiamenti significativi e durevoli originati da un confronto diretto con la morte sono una prova a sostegno di questa opinione. Secondo Yalom i catalizzatori principali per un’esperienza di risveglio sono eventi pressanti dell’esistenza, come il dolore per la perdita di qualcuno che si ama, una malattia che mette a rischio la vita, la rottura di una relazione intima, alcune pietre miliari della nostra esistenza come un compleanno importante (cinquanta, sessanta, settant’anni), traumi dovuti a eventi tragici quali un incendio o una violenza o una rapina, oppure il figli che lasciano la casa, la perdita di un lavoro, l’andare in pensione.

Molto spesso chi ha paura di moriremanifesta i sintomi di ansia intensa al solo pensiero della morte. Paura intensa, tensione, tremolio, pianto, disperazione. Sono questi i sintomi più comuni per chi ha questo tipo di paura. Questo tipo di paura è molto più frequente nelle persone con ansia, depressione e ipocondria. Spesso questa forte paura ha alla base un significato più nascosto. Le cause sono da attribuire ad  un ricordo o un trauma che ha messo in discussione il proprio rapporto con la morte. Per esempio si può sviluppare in persone che hanno perso un genitore durante l’infanzia. 
Le paure più legate alla tanatologia in cui si manifesta eccessiva ansia sono: la paura di morire da un momento all’altro, la paura di morire di parto, la paura di morire di infarto, la paura di morire di notte, la paura di morire giovani o la paura di morire dopo un lutto.

Il trattamento più efficace per liberarsi della tanatofobia è senza ombra di dubbio la psicoterapia psicodinamica. La terapia psicologica, individuale o familiare, mira a comprendere le cause sottostanti la fobia e ad individuare i meccanismi di pensiero che innescano la reazione fobica e a sostituirli con schemi di pensiero e di comportamento più funzionali. Essa, inoltre, aiuta anche a capire come superare l'ansia ed affrontare la paura della morte.

 

G.Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta