Visualizzazione post con etichetta benessere. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta benessere. Mostra tutti i post

mercoledì 24 febbraio 2021

Spesso ansia e depressione viaggiano assieme. E così vengono confuse



Si tratta di due condizioni differenti ma che possono presentarsi anche insieme e che possono essere trattate contemporaneamente con la psicoterapia e i farmaci.

Spesso ansia e depressione viaggiano assieme, così talvolta vengono confuse anche da chi ne soffre. Nel linguaggio comune infatti i termini ansia e depressione sono facilmente usati per indicare in generale una condizione di malessere psicologico che interferisce con la vita quotidiana. Ma per gli psichiatri si tratta di due stati ben distinti, che tuttavia possono presentarsi in comorbidità, ossia essere presenti in una persona nello stesso momento. Ansia e depressione sono molto diffuse: circa il 30 per cento delle persone durante la vita avrà dei periodi segnati dall’ansia e quasi il 20 per cento sperimenterà periodi di depressione. Diversi studi indicano poi che circa il 70 per cento delle persone affette da depressione risponde anche ai criteri diagnostici di uno stato d’ansia e che quasi l’80 per cento di chi soffre di disturbi d’ansia avrà dei periodi di depressione lungo la sua esistenza.


La «scala» Coronavirus

Senza contare che l’arrivo della pandemia Covid-19 ha generato nuovi stati ansioso-depressivi, dovuti sia al timore di contrarre la malattia, sia alla riduzione del supporto sociale e dei rapporti affettivi, tanto che il Department of Psychology della Christopher Newport University ha messo a punto uno specifico test, il Coronavirus Anxiety Scale.

I dubbi

«Eppure manca una chiara definizione del trattamento ottimale per la comorbidità di ansia e depressione» dice Jan Spijker del Depression Expertise Center di Nijmegen, in Olanda, in una revisione clinica pubblicata con alcuni collaboratori sulla rivista JAMA Psychiatry. «Dovremmo trattare di due disturbi in maniera sequenziale, prima uno poi l’altro, oppure in parallelo, simultaneamente? Dovremmo iniziare un singolo trattamento integrato focalizzato su entrambi i disturbi o un trattamento transdiagnostico mirato ai meccanismi sottostanti presenti in entrambe le condizioni?»

Le alterazioni neurobiologiche

In effetti, ansia e depressione possono sia rappresentare una risposta unica agli stessi eventi di vita, sia essere collegate ad alterazioni neurobiologiche simili, come uno sbilanciamento del sistema limbico cerebrale. Questa caratteristica fa sì che, trattando l’una, indirettamente, si potrebbe dire, inevitabilmente, anche l’altra inizia a migliorare seguendo lo stesso passo, come è stato dimostrato da recenti revisioni sistematiche.

Duplice effetto

«È vero che trattando la depressione con la psicoterapia si vedono migliorare i sintomi dell’ansia e che trattando il disturbo d’ansia con la terapia cognitivo-comportamentale si vedono migliorare i sintomi della depressione» dice ancora Spijker. Oggi sono disponibili anche farmaci che consentono di prendere due piccioni con una fava. Alcuni antidepressivi svolgono infatti un’azione anti-ansia, come gli inibitori della ricaptazione della serotonina (Ssri) e gli inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina (Srni). Secondo gli autori dello studio su JAMA Psychiatry «la psicoterapia può decidere di focalizzarsi sul disturbo più grave dei due, piuttosto che su entrambi allo stesso tempo. I dati indicano che un trattamento focalizzato sul disturbo più grave genera quasi inevitabilmente un simultaneo miglioramento dell’altro».

Sintomi diversi

Ansia e depressione hanno ciascuna sintomi propri, ma esistono anche sintomi che sono comuni a entrambe le condizioni. L’ansia è caratterizzata da una preoccupazione eccessiva rispetto agli eventi della vita, risposte di spavento esagerate, tensione muscolare, iperattività del sistema nervoso autonomo, che comporta tra l’altro un’accelerazione del battito cardiaco e della frequenza del respiro. La depressione è invece caratterizzata da umore depresso e da una sensazione di mancanza di speranza per il futuro, dalla perdita dei propri interessi, riduzione dell’appetito, rallentamento motorio, senso di inutilità e di colpa, pensieri foschi.

Sintomi in comune

Alcuni altri sintomi sono invece comuni sia all’ansia sia alla depressione. Ad esempio, una sensazione di facile irritabilità, che porta a scontrarsi con le altre persone, associata a una agitazione interiore che fa sì che non si riesca a stare ben in nessun posto. Molto marcata può essere la difficoltà di concentrazione, per cui anche un’attività potenzialmente rilassante come la lettura non riesce a essere di aiuto. Molto frequenti infine sono la sensazione di fatica psicofisica e l’insonnia. Quest’ultima può avere caratteristiche diverse in chi è depresso, che tende soprattutto a svegliarsi molto presto la mattina, e in chi è ansioso, che invece ha soprattutto difficoltà di addormentamento e risvegli notturni.


Dal Sito: corriere.it

Spesso ansia e depressione viaggiano assieme. E così vengono confuse



Si tratta di due condizioni differenti ma che possono presentarsi anche insieme e che possono essere trattate contemporaneamente con la psicoterapia e i farmaci.

Spesso ansia e depressione viaggiano assieme, così talvolta vengono confuse anche da chi ne soffre. Nel linguaggio comune infatti i termini ansia e depressione sono facilmente usati per indicare in generale una condizione di malessere psicologico che interferisce con la vita quotidiana. Ma per gli psichiatri si tratta di due stati ben distinti, che tuttavia possono presentarsi in comorbidità, ossia essere presenti in una persona nello stesso momento. Ansia e depressione sono molto diffuse: circa il 30 per cento delle persone durante la vita avrà dei periodi segnati dall’ansia e quasi il 20 per cento sperimenterà periodi di depressione. Diversi studi indicano poi che circa il 70 per cento delle persone affette da depressione risponde anche ai criteri diagnostici di uno stato d’ansia e che quasi l’80 per cento di chi soffre di disturbi d’ansia avrà dei periodi di depressione lungo la sua esistenza.


La «scala» Coronavirus

Senza contare che l’arrivo della pandemia Covid-19 ha generato nuovi stati ansioso-depressivi, dovuti sia al timore di contrarre la malattia, sia alla riduzione del supporto sociale e dei rapporti affettivi, tanto che il Department of Psychology della Christopher Newport University ha messo a punto uno specifico test, il Coronavirus Anxiety Scale.

I dubbi

«Eppure manca una chiara definizione del trattamento ottimale per la comorbidità di ansia e depressione» dice Jan Spijker del Depression Expertise Center di Nijmegen, in Olanda, in una revisione clinica pubblicata con alcuni collaboratori sulla rivista JAMA Psychiatry. «Dovremmo trattare di due disturbi in maniera sequenziale, prima uno poi l’altro, oppure in parallelo, simultaneamente? Dovremmo iniziare un singolo trattamento integrato focalizzato su entrambi i disturbi o un trattamento transdiagnostico mirato ai meccanismi sottostanti presenti in entrambe le condizioni?»

Le alterazioni neurobiologiche

In effetti, ansia e depressione possono sia rappresentare una risposta unica agli stessi eventi di vita, sia essere collegate ad alterazioni neurobiologiche simili, come uno sbilanciamento del sistema limbico cerebrale. Questa caratteristica fa sì che, trattando l’una, indirettamente, si potrebbe dire, inevitabilmente, anche l’altra inizia a migliorare seguendo lo stesso passo, come è stato dimostrato da recenti revisioni sistematiche.

Duplice effetto

«È vero che trattando la depressione con la psicoterapia si vedono migliorare i sintomi dell’ansia e che trattando il disturbo d’ansia con la terapia cognitivo-comportamentale si vedono migliorare i sintomi della depressione» dice ancora Spijker. Oggi sono disponibili anche farmaci che consentono di prendere due piccioni con una fava. Alcuni antidepressivi svolgono infatti un’azione anti-ansia, come gli inibitori della ricaptazione della serotonina (Ssri) e gli inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina (Srni). Secondo gli autori dello studio su JAMA Psychiatry «la psicoterapia può decidere di focalizzarsi sul disturbo più grave dei due, piuttosto che su entrambi allo stesso tempo. I dati indicano che un trattamento focalizzato sul disturbo più grave genera quasi inevitabilmente un simultaneo miglioramento dell’altro».

Sintomi diversi

Ansia e depressione hanno ciascuna sintomi propri, ma esistono anche sintomi che sono comuni a entrambe le condizioni. L’ansia è caratterizzata da una preoccupazione eccessiva rispetto agli eventi della vita, risposte di spavento esagerate, tensione muscolare, iperattività del sistema nervoso autonomo, che comporta tra l’altro un’accelerazione del battito cardiaco e della frequenza del respiro. La depressione è invece caratterizzata da umore depresso e da una sensazione di mancanza di speranza per il futuro, dalla perdita dei propri interessi, riduzione dell’appetito, rallentamento motorio, senso di inutilità e di colpa, pensieri foschi.

Sintomi in comune

Alcuni altri sintomi sono invece comuni sia all’ansia sia alla depressione. Ad esempio, una sensazione di facile irritabilità, che porta a scontrarsi con le altre persone, associata a una agitazione interiore che fa sì che non si riesca a stare ben in nessun posto. Molto marcata può essere la difficoltà di concentrazione, per cui anche un’attività potenzialmente rilassante come la lettura non riesce a essere di aiuto. Molto frequenti infine sono la sensazione di fatica psicofisica e l’insonnia. Quest’ultima può avere caratteristiche diverse in chi è depresso, che tende soprattutto a svegliarsi molto presto la mattina, e in chi è ansioso, che invece ha soprattutto difficoltà di addormentamento e risvegli notturni.


Dal Sito: corriere.it

Ansia: tra parole e numeri ci sono gli esseri umani.




Se sono 19 milioni gli italiani che soffrono di ansia, se ogni anno aumentano i soggetti colpiti, se si abbassa vertiginosamente l’età e aumenta  l’intensità dei sintomi, e se la maggior parte delle persone, ne soffrono in silenzio… dobbiamo ammettere che qualcosa è andato storto.

Dobbiamo rivedere qualcosa, o forse più di qualcosa.

Personalmente suggerisco di partire rivedendo e correggendo quell’assurda comunicazione cattedratica, occorre ripristinare l’immagine nemica ed offensiva che viene suggerita a chi ne soffre attraverso i messaggi di divulgazione, e urgentemente, dobbiamo rivedere il metodo spicciolo e sbrigativo della somministrazione delle cure.

 

Oggi l’ansia sembra più un argomento da dibattito specialistico, sembra più uno slogan pubblicitario ai fini commerciali, che non un impegno tra operatori della salute e soggetti ansiosi.

 

Numeri e definizioni, tolgono il volto a questi esseri umani, esseri che si nascondono perchè si sentono difettosi e sbagliati rispetto agli altri, nel campo delle infinite competizioni.

Chi soffre d’ansia, molto spesso si aiuta con i consigli del web, ove apprende dalle definizioni più scientifiche ai rimedi “fuffa” dei santoni.

Bisogna parlare facile per arrivare al cuore di chi vorrebbe chiedere aiuto, ma si vergogna!

Ci vogliono metodi pratici facili da attuare, percorsi che diano immediato sollievo, ma che puntino alla risoluzione del disturbo, o quantomeno a ridimensionarlo notevolmente.

Per diverso tempo, l’ansia è stata associata alla definizione “alterazione dello stato psichico-cognitivo-reattivo-comportamentale” ecco perchè chi ne soffre, non ne parla, si nasconde, ha paura di essere considerato mentalmente anomalo, difettoso nella cognizione e nelle reazioni. Sbagliato!

 

Abbiamo dovuto aspettare gli anni 90 e le grandi pacificazioni fra psicologia e umanesimo, per riportare l’ansia a puro campanello d’allarme, che ci mette in guardia dalle situazioni inadatte a noi.

Si, l’essere umano pensa sempre di essere sbagliato per qualcosa o qualcuno, o qualche ruolo, non pensa mai che altri, altre situazioni o persone possano essere inadatte a lui.

L’ansia è messaggera di una eccessiva disparità tra possibilità individuali e stile esistenziale.

negli anni abbiamo appreso che se viene combattuta, è una nemica molto cattiva, e che nel combattimento vince lei, vince e si porta via tutto: serenità, sorriso, rapporti umani, affetti…

Se invece viene accettata, compresa e utilizzata ai fini della propria crescita personale, può essere un grande strumento evolutivo.

 

Negli ultimi anni, meno di 10 purtroppo, l’approccio all’ansia, ed alle sue evoluzioni in crisi e attacchi di panico, è passato dalla nuda e cruda somministrazione di rimedi farmaceutici,

ai primi approcci olistici, naturali, non invasivi, alle più commerciali trovate del business.

Sto parlando delle discipline che meglio avvicinano l’ansioso, perchè vestite di comprensione, di attenzioni, di sostegno umano.

Sembra che la via convenzionale, abbia trattato l’ansioso come anomalo fino a ieri,

e che avendo assistito alla crescita virale del fenomeno espansivo,

oggi la stessa via convenzionale parla di ansia come una cosa quasi normale

“si e oggi come oggi tutti sono ansiosi”! “e troviamone uno che non soffre d’ansia, non ti suggestionare, e se proprio non ce la fai prendiamo qualcosina”!

“cerca di stare tranquillo, è stress”

Un pò in ogni caso, l’ansioso perde la sua individualità, anomalo in mezzo ai normali ieri, e anonimo in mezzo agli altri ansiosi oggi !

Abbiamo scoperto negli anni 2000 che lo sport aiutava molto i soggetti ansiosi di qualunque età, a ridimensionare gli episodi ansiosi, offrendo ai giovani l’opportunità di lavorare sul corpo, portare l’attenzione ai limiti del corpo, abbiamo scoperto poco dopo che attività alternative alla ginnastica, erano ancora più efficaci, dallo yoga alle arti marziali, la disciplina aveva un impatto positivo in termini di consapevolezza e cambiamento pratico individuale.

Abbiamo poi compreso come in tali approcci integrati, la respirazione e il controllo e l’espansione del respiro, fosse una “medicina invisibile” per spegnere le crisi quasi sul nascere. abbiamo imparato mille cose sulla relazione fra condensazioni psichiche e stati ansiosi, fino ad affinare le moderne tecniche di mindfulness, induzione immaginativa, auto e monoideismo.

Peccato che dove c’è sofferenza c’è sciacallaggio. E quindi sono proliferati i guru della guarigione, che hanno ridicolizzato e sminuito il lavoro di quelle figure che invece

stavano gettando linee guida importanti.

Bisogna denunciarlo prima o poi il fenomeno di chi si attacca alla debolezza degli ansiosi con il pendolino, o bisogna smascherare questi sciamani che curano le ansie con le piume di falco e qualche strano intruglio ai limiti della legalità ( per gli effetti psicotici che vorrebbero simulare alterazioni dello stato di coscienza). Prano guaritori che dell’energia conoscono solo quella per ricaricare lo smartphone che sono pronti a risucchiare il  problema in qualunque momento, con una mano libereranno dal male e con l’altra prenderanno 80 euro!

Poi i cristallomani, ops, quelli ci mettono i cristalli addosso, che promettono una cristalloterapia, abusando penalmente/ingannevolmente  del termine, per non parlare delle acque colorate e delle boccette dai mille colori, e a proposito di colori… le pennine luminose.

la lista sarebbe lunga ed io mi fermo qui,

perchè voglio riportare l’attenzione alle uniche scienze che possono cooperare davvero ovvero: scienza medica, scienze yogico-meditative (comparto delle vastissime scienze orientali) e scienze motorie.

Da Buon Perito conoscendo quella parte legale della medicina naturale, che ai più sfugge,, cerco di confrontarmi con altre figure che a vario titolo cooperano nel campo delle cure non invasive, nel supporto umano ai malati a lungo termine e soprattutto

della delicatezza di taluni argomenti e delle necessità di taluni individui di trovare approccio umano,informazioni corrette, veritiere, e di tutelare l’utenza dagli imbroglioni.

Eravamo 4 amici in chat, con me

Flavio Lassandro, Massoterapista/Chinesiologo, laureato in scienze motorie (attivo in studio professionale Acquaviva delle fonti)

Alessandra Leone istruttrice di Hatha Yoga e Yoga posturale Promotrice di benessere fisico a contatto con la natura attiva su  Cerignola.

Luciana Pigeon insegnante di Hatha Yoga, anche in gravidanza e post parto, sensibile alla fusione dello Yoga in Ayurveda e operatrice del suono, soprattutto a contatto con la natura

attiva su Policoro.

Diventa difficile parlare serenamente di come affrontare questi temi, a causa delle infiltrazioni di Qualunquismo, che hanno distolto le persone che soffrono di un disagio, dalla via dei buoni risultati.

E dunque bisogna ricondurre l’ansioso ad una più oggettiva comprensione di sè, capacità limiti, inclinazioni. Tutti possono avvicinarsi alla comprensione del messaggio che la loro ansia vuol portare dal piano più recondito e profondo, alla luce, e manifestare quella parte debole che nessuno è pronto ad accogliere in se stesso.

Per fare questo lavoro ci vuole aiuto, ci vuole sostegno, e tanta competenza.

Da qui vogliamo ripartire, a sostegno dei soggetti che soffrono d’ansia panico,

vogliamo partire riportandoli al rispetto di sè attraverso una buona igiene emotiva,

alla consapevolezza psicocorporea che solo yoga-meditazione-respiro-postura

possono ristabilire, e alla comprensione dei movimenti interiori,

che fanno di noi degli esseri simili e diversi contemporaneamente.

 

Ricordate che solo una perfezione suprema poteva dare all’essere

tanto potere e tanta fragilità contemporaneamente,

e che l’ansia viene solo a dirvi con quali occhi vi state guardando.

E se non riuscite a vedervi… chiedete aiuto!

Con voi, con le vostre ansie, con i piccoli e grandi progressi,

con i colleghi e con qualche nemico, ci sono sempre!

 

L. Calabrese

Perito Esperto  Consulente Medicina non Convenzionale

 

 Dal Sito: passalaparola.net

martedì 9 febbraio 2021

Prima regola per la tua salute emotiva: allontanare le persone che non ti meritano



Per preservare la propria  salute emotiva esiste una regola ben precisa: distinguere chi ci merita e chi no. Capita spesso nelle relazioni di ogni genere e soprattutto nei rapporti di coppia, di correre dietro a chi non ci cerca.. a chi non apprezza la nostra presenza, il che innesca meccanismi di sofferenza e insicurezza al tempo stesso. In fondo non ha senso essere infelici per chi non si preoccupa di noi.

Regala la tua Assenza a chi non apprezza la tua Presenza

Non bisogna considerare amici ogni persona che incrociamo lungo il nostro cammino. Se non piacciamo a un collega o a qualcuno che non mostra interesse nei nostri confronti, potremmo sentirci delusi, ma chiediamoci se vale la pena tentare di costruire un legame e conquistare la sua simpatia. Non tutti meritano i nostri sforzi, soprattutto se abbiamo a che fare con persone molto complicate. Non perderemo niente se le evitiamo.

Non ha senso inseguire chi non ci cerca. Chi lo fa commette una grande ingiustizia emotiva contro se stesso. L’affetto si deve dimostrare in modo equilibrato! L’attenzione non si elemosina né si accettano briciole.  In una relazione equilibrata, non ci si sente esauriti emotivamente o mentalmente. Non ci si sente svuotati o stressati e sopraffatto dalla loro presenza. Quindi, se qualcuno o qualcuna ci succhia costantemente tutta l’energia e la felicità,  è arrivato il momento di prendere in considerazione l’idea di allontanare questa persona!

Strategie per affrontare le persone tossiche

Come possiamo difenderci dalle persone tossiche? Abbiamo armi a nostra disposizione per rispondere alla cattiveria gratuita di chi dice di volerci bene? Certo: coltivare l’amore di sè è già un buon antidoto.  Dobbiamo sforzarci, per esempio, di ricordarci quanto sia deleterio per il nostro benessere psicofisico frequentare la persona sbagliata. Ecco alcuni suggerimenti su come lasciarci alle spalle una persona tossica e ritrovare il rispetto per se stessi.

1. Concentrati nelle soluzioni
Le persone tossiche creano spesso una sensazione di soffocamento. Tuttavia, se ci concentriamo su queste emozioni e pensieri negativi, staremo peggio, ci sentiremo come in un labirinto senza uscita e aumenteranno la probabilità che perdiamo il controllo. Come risultato, lo stress aumenta. Pertanto, è meglio concentrarsi sulle soluzioni, su come risolvere questa particolare situazione e ridurre il livello di stress.

2. Stabilisci dei limiti
Le persone tossiche cercheranno di immergerci nei loro problemi. Non vogliono trovare realmente delle soluzioni, vogliono solo consumare il nostro tempo e scaricare il loro carico di negatività.

Pertanto, è importante imparare a distinguere tra le persone che hanno veramente bisogno d’aiuto, perché vogliono risolvere un problema, e quelle che vogliono solo lamentarsi e comportarsi come camion della spazzatura umano. In tal caso, stabiliamo dei limiti sani che ci consentano di mantenere la distanza.

3. Non aspettarti un cambiamento
Produrre un cambiamento non è una missione impossibile, ma è complicato e richiede un grande sforzo. Di solito, alle persone tossiche risulta difficile cambiare, perché tendono a opporre una grande resistenza. Quindi, non perdiamo tempo rimproverandoci, disapprovando le loro azioni o rimproverandogli ciò che dicono, perché in questo modo rischiamo solo di peggiorare ulteriormente la situazione. Bastano solo brevi e concisi suggerimenti, non serve pressarli eccessivamente.

4. Non discutere
Risparmiare energia è importante. Inoltre, spesso le discussioni riescono solo a farci sentire peggio. Pertanto, è essenziale non cadere nel gioco che ci propongono le persone tossiche per non venire risucchiati nella loro rete.

Se notiamo che il nostro partner non è in grado di gestire bene le sue emozioni o non è aperto a nuovi argomenti, impediamogli di iniziare una discussione. Se vogliamo mantenere il nostro equilibrio psicologico, è meglio che impariamo a scegliere quali battaglie combattere e quali evitare. Certo, talvolta, saremo tentati di rimanere e litigare, ma prendere le distanze è un atto di forza. Dobbiamo farci rispettare rifiutandoci di essere vittima delle prepotenze altrui.

5. Conosciti
Se conosciamo bene noi stessi e sappiamo qual è il nostro punto di non ritorno, il momento in cui perderemo la pazienza, potremo fermarci prima di raggiungere tal punto. Al contrario, lasciamo che la persona tossica avanzi senza stabilire una barriera e termineremo arrabbiati e frustrati. Manteniamo il controllo emotivo in ogni momento e se si percepisce di essere sul punto di perderlo, interrompiamo educatamente la conversazione. Facciamo presente al nostro interlocutore che non è il caso di continuare a parlare di questo argomento.

6. Supera la negatività
Le persone tossiche non tendono ad agire razionalmente, se lo facessero, non esibirebbero molti comportamenti negativi che violano i diritti degli altri. Infatti, a volte non è nemmeno la persona ad infastidirci, ma il semplice pensare al loro comportamento irrazionale, iniquo e anche egoista. Pertanto, la regola d’oro per affrontare con calma queste persone è quella di superare questa negatività iniziale. Reagiamo solo ai fatti, non seguiamo il filo dei loro pensieri caotici e non aspettiamoci che agiscano come noi.

7. Non giudicare
Non giudicare è difficile. Infatti, nel cammino della crescita personale è una delle abitudini più difficili da eliminare, ma quando riusciremo avremo delle grandi soddisfazioni.

Facciamo in modo di non giudicare la persona di fronte a noi, piuttosto, offriamo loro rispetto, comprensione e compassione. Ricordiamoci che dietro a questi comportamenti è probabile che si nascondano dei traumi infantili, delle paure e delle frustrazioni. Noi non siamo migliori o peggiori, solo diversi.

Una relazione di qualsiasi tipo, dovrebbe essere una condivisione di amore, un dare e avere, non un prendere e basta. Non elemosinate con chi non vi merita o non vi apprezza.. Non permettete che questo succeda, non sacrificate la vostra dignitá e la vostra felicitá solo per tenere qualcuno accanto a voi.

E PER CONCLUDERE…

Ripetiamo ogni giorno a noi stessi IO SONO LA PERSONA PIU’ IMPORTANTE DELLA MIA VITA!

A cura di Ana Maria Sepe

Dal Sito: psicoadvisor.com

sabato 23 gennaio 2021

Gli attacchi di panico in adulti e bambini: come riconoscerli ed evitarli



Gli attacchi di panico sono in aumento sia tra gli adulti che tra i bambini. Ma in cosa consistono? E come è possibile evitarli o prevenirli? Le risposte degli esperti.

Tra gli effetti a lungo termine del lockdown e della pandemia ci sono, purtroppo, i disturbi di ansia che sempre più spesso vengono diagnosticati sia tra gli adulti che tra i bambini.

La reclusione e la mancanza di interazione sociale in tutte le sue forme, dalla scuola all’attività sportiva alle uscite con i coetanei hanno destabilizzato moltissime persone.

E’ normale che un genitore si preoccupi per il proprio figlio, soprattutto se lo vede disorientato e sofferente.

Per parlare, però, di attacchi di panico c’è bisogno che ci sia una certa frequenza e non siano episodi isolati e poi vanno esclusi altri tipi di disturbi. Vediamo nello specifico in cosa consiste un attacco di panico.

Si parla di attacco di panico quando c’è un improvviso picco di terrore e di ansia, in assenza di un reale pericolo,che si protrae per la durata di almeno dieci minuti e che si associa anche ad altre manifestazioni.

Le manifestazioni che si associano al terrore riguardano sia la sfera psicologica che quella fisica. Tra queste menzioniamo

  • dolore a livello toracico
  • vertigini, tremori, tendenza all’instabilità o allo svenimento
  • paura dei sintomi e di morire
  • sensazioni di irrealtà, estraniamento o distacco dalla realtà
  • vampate di calore, sudorazione o brividi
  • nausea, vomito, mal di stomaco o diarrea
  • intorpidimento o sensazioni di formicolio
  • palpitazioni o tachicardie
  • respiro affannoso o sensazione asfissia e di soffocamento

In realtà per poter parlare di attacchi di panico, gli esperti spiegano che di questi sintomi psicofisici ne devono insorgere almeno 4.

Fino a qualche mese fa sembrava improbabile parlare di questo tipo di manifestazioni anche nei bambini o negli adolescenti che non attraversavano momenti particolarmente difficili, purtroppo sembrano ormai problemi che possono interessare tutti, a prescindere dall’età.

Nei giovanissimi, però, sono forse ancora più preoccupanti gli effetti. Gli attacchi di panico possono influire sul rendimento scolastico e sulle interazioni sociali, ma possono anche portare all’agorafobia (paura degli spazi aperti), alla reticenza ad uscire di casa e a svolgere attività quotidiane e ansia da separazionedai genitori.

Negli adolescenti possono portare a conseguenze ancora più drastiche come l’uso di sostanze stupefacenti e idealizzazione del suicidio e disturbi dell’umore.

Dunque, un problema da non sottovalutare. Inoltre, dagli studi finora condotti su questi disturbi associati alla pandemia e al lockdown, sembrerebbe che le famiglie dove i genitori stanno soffrendo di questo tipo di disturbi di ansia siano maggiormente a rischio perché i bambini e i ragazzi risentirebbero direttamente del problema dei genitori e delle loro preoccupazioni a livello economico e di salute.

Ciò che possono fare i genitori per aiutare i propri figli è innanzitutto cercare di fargli vivere una situazione familiare serena e di dargli la possibilità di esprimere le proprie emozioni senza reprimerle. Al momento dell’attacco, invece, l’unico modo per stargli vicino è quello di consolarlo e fargli sentire il proprio amore.

Bisogna comunque saper notare i segnali di allarme e rivolgersi prima al proprio pediatra, poi eventualmente a degli specialisti che sapranno dirvi di più.

Come si curano gli attacchi di panico

Gli attacchi di panico sembrano manifestarsi in condizioni di normalità. E’ vero, però, che alcuni eventi della vita possono risultare particolarmente stressanti e generare malessere psicologico e forme di somatizzazione, negli adulti come nei bambini, che risultano più inesperti ad affrontare le avversità e i cambiamenti della vita.

Tra i principali fattori di rischio degli attacchi di panico troviamo infatti

  • fonti di stress come un divorzio, un lutto, la nascita di un fratello o di una sorella, le ospedalizzazioni, le difficoltà scolastiche o di socialità
  • la presenza di disturbi di questo tipo in ambito familiare
  • una personalità più fragile e vulnerabile

L’approccio più utilizzato ed efficace per questo tipo di disturbo di ansia in medicina è quello cognitivo -comportamentale, come suggerito anche dai medici dell’ospedale Gaslini di Genova che hanno attivato un monitoraggio sulle famiglie e sui bambini dai 3 ai 18 anni. E’ nato infatti un ambulatorio dedicatoproprio alla prevenzione e al trattamento dei disturbi post traumatici. Proprio grazie ai risultati del monitoraggio si sta cercando di fare prevenzione su questo tipo di disturbi, per evitare che si associno ad altre patologie.

Vengono utilizzate anche delle cure farmacologiche, sulle quali però persistono delle perplessità. Tra queste antidepressivi e/o farmaci ansiolitici, che però agiscono sui sintomi e non sulle cause.

Gli altri disturbi nei bambini che possono creare confusione

Come abbiamo accennato, gli attacchi di panico devono essere diagnosticati da uno specialista perché i sintomi possono essere facilmente confusi con altri disturbi, soprattutto quando si manifestano di notte.

Di notte infatti molti bambini vanno incontro a risvegli più o meno bruschi, che però possono avere varie cause e definizioni:

  • gli incubi, cioè dei sogni in cui il bambino si sente minacciato
  • i terrori notturni e il sonnambulismo, in cui il bambino non si sveglia completamente e viene assalito da terrore o panico improvviso e inconsolabile, che però non viene ricordato al momento del risveglio
  • apnea ostruttiva del sonno, che ostruisce la respirazione durante la notte provocando risvegli, insonnia e sonnolenza

Per parlare di attacchi di panico notturni c’è bisogno innanzitutto di un risveglio completo, non legato a rumori improvvisi, e di una piena coscienza di ciò che sta accadendo. I sintomi poi sono quelli descritti per gli attacchi diurni, dalla tachicardia alla paura di morire.

Dal Sito: universomamma.it

martedì 5 gennaio 2021

L'attacco di panico fa paura? Un aiuto viene dal senso del ritmo




È una crisi d'ansia acuta transitoria, non comporta danni alla salute. Ma attenzione, perché potrebbe trasformarsi in disturbo di panico e condizionare la quotidianità. Prima di tutto, fare respiri con regolarità.

Quando si parla di attacco di panico, s'intende una crisi d’ansia acuta, che si manifesta all’improvviso con una sintomatologia fisica ed emotiva, spesso senza stimoli che giustifichino la comparsa dei sintomi. Provoca un malessere intenso, e, se gli attacchi si ripetono, la quotidianità di chi ne soffre può essere compromessa, rendendo difficili semplici attività che fino a quel momento non creavano problemi. Ma cos’è davvero un attacco di panico? Come si manifesta, e soprattutto, come si cura? L’argomento è stato approfondito su un articolo apparso su Humanitasalute, con il contributo di Daniela Caldirola, psichiatra, specialista in disturbi d’ansia e panico in Humanitas San Pio X e ricercatore presso Humanitas University. Articolo che riportiamo di seguito integralmente.



Una crisi d'ansia acuta, ma transitoria


Un attacco di panico, la paura di morire
L’attacco di panico è un fenomeno che si presenta in maniera improvvisa e inaspettata, senza una diretta causa scatenante: può avvenire dal parrucchiere, mentre si fa la spesa, in qualsiasi momento e luogo, senza alcun preavviso. È caratterizzato da numerosi sintomi fisici, spesso molto intensi, accompagnati dalla paura di morire, perdere il controllo o impazzire. I sintomi raggiungono il picco d’intensità nell’arco di alcuni minuti e poi si risolvono spontaneamente. In alcuni casi possono però essere più prolungati o lasciare strascichi di malessere nelle ore successive. Pur essendo un fenomeno innocuo e senza dirette conseguenze sulla salute fisica, la sintomatologia dell’attacco di panico può essere tanto acuta da indurre la persona che ne fa esperienza a pensare di essere sul punto di morire per una qualche grave causa medica.  

Soffocamento, tachicardia... I sintomi dell'attacco di panico


L’attacco di panico si presenta con svariati sintomi fisici, tra cui difficoltà respiratorie (sensazione di mancanza di fiato o soffocamento), che sono i sintomi più frequenti, palpitazioni/tachicardia, dolore o fastidio al petto, sudorazione, tremore, formicolii o sensazione di intorpidimento, nausea o disturbi addominali, sensazione di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento, brividi o vampate di calore. 

Possono comparire anche sensazione di irrealtà (derealizzazione) o di sentirsi distaccati da se stessi (depersonalizzazione). In genere durante un attacco di panico la persona prova un’intensa paura di morire o di perdere il controllo o impazzire. Il fatto che l’attacco di panico possa essere erroneamente confuso, specialmente se la persona non l’ha mai vissuto prima, con un una patologia medica acuta, come un infarto del miocardio, un’aritmia, una crisi respiratoria, un ictus cerebrale, aumenta ancor di più il senso di terrore e rischio incombente.

Tuttavia, sappiamo che un attacco di panico si dissolve con la stessa velocità con cui si manifesta: può durare pochi minuti, ma questo non significa che debba essere sottovalutato il suo impatto emotivo. Per chi ha un attacco di panico in corso, cinque-dieci minuti sono percepiti come un’eternità.

Il rischio che l'attacco diventi disturbo di panico
L’attacco di panico è un fenomeno comune e di per sé innocuo. Si calcola che fino al 30% della popolazione può sperimentare in modo sporadico almeno un attacco di panico nella vita. In molti casi essi rimangono degli episodi isolati senza conseguenze, mentre in circa il 3%-4% della popolazione si sviluppa il vero e proprio Disturbo di Panico.



Questo disturbo è più comune nelle donne che negli uomini, con un rapporto di circa 2:1, e in genere insorge in età giovane adulta (20-30 anni). È una condizione clinica in cui gli attacchi si ripetono e chi ne soffre vive nel continuo timore che l’attacco possa ritornare, o che possa portare gravi conseguenze. Inoltre le persone affette hanno spesso sintomi fisici nella vita di tutti i giorni, anche al di fuori dell’attacco di panico, quali fatica a respirare, tachicardia, senso di instabilità, con un senso generale “di non essere in piena forma fisica”. 

Per questi motivi, la persona tende a modificare il proprio comportamento, per esempio sottoponendosi a ripetuti controlli medici nel timore di avere una malattia medica, o spesso limitando la propria libertà di movimento. Infatti la paura che i sintomi si manifestino in luoghi pubblici, in situazioni sociali, in luoghi chiusi, o, all’opposto, in spazi aperti, come centri commerciali, mezzi di trasporto, luoghi di lavoro, ascensori, strade/piazze, induce a evitare quei luoghi o quelle situazioni: pianificare e organizzare attività si fa sempre più difficile, la qualità della vita comincia sempre più a ridursi, la vita sociale, professionale e personale ne risulta invalidata. Se questa condizione è pervasiva, avremo un’agorafobia.    

Per uscire da un attacco di panico, cercare di ristabilire un ritmo regolare
È importante ricordarsi che, per quanto l’attacco di panico sia estremamente sgradevole, è un fenomeno transitorio, che scompare spontaneamente, non è un’emergenza medica e non comporta rischi per la salute fisica. Tentare di tenerlo presente quando capita l’attacco può contribuire a spegnere il circolo vizioso della paura che poi amplifica l’attacco stesso. È chiaro però che l’attacco di panico sia una condizione di allarme per la persona, per cui scattano dei meccanismi automatici difensivi, come per esempio andare in iperventilazione, cioè tentare di aumentare l’apporto d’aria con una respirazione frequente e superficiale, in risposta alla sensazione di soffocamento e mancanza d’aria tipica del panico.



Questa reazione però non è utile e innesca la cosiddetta alcalosi respiratoria, cioè un insieme di reazioni fisiche capaci di produrre delle sensazioni spiacevoli quali tremori, formicolii, sensazione di sbandamento e tachicardia che a loro volta incrementano la paura e quindi l’iperventilazione stessa, con ulteriore potenziamento dell’attacco.

È importante bloccare la risposta del nostro organismo all’allarme. Per far ciò, subito dopo che è scattato l’attacco si può controllare la respirazione cercando di ristabilire un ritmo regolare (per esempio immaginando un metronomo o un pendolo).

Si può anche provare a respirare in un sacchetto di carta, manovra che permetterà di evitare l’alcalosi respiratoria e le sue conseguenze, anche in presenza di una respirazione frequente e superficiale, perché induce a respirare la nostra stessa aria e quindi evita un’eccessiva eliminazione di anidride carbonica.

L’utilizzo di ansiolitici benzodiazepinici all’inizio dell’attacco non è raccomandato poiché questi farmaci iniziano a funzionare non prima di 15-20 minuti, quando l’attacco nella maggioranza dei casi è già scomparso da solo. Si rischia di creare una dipendenza psicologica, associando l’assunzione del farmaco alla risoluzione dell’attacco, che invece si è risolto spontaneamente.  

Consultare eventualmente uno specialista
Se la persona ha attacchi ricorrenti e sviluppa il disturbo di panico, con o senza agorafobia, è consigliato effettuare un colloquio con uno specialista psichiatra per valutare l’opportunità di intraprendere un trattamento specifico per bloccare gli attacchi e recuperare una piena libertà e serenità di vita.

I trattamenti di prima scelta consigliati dalle linee guida internazionali comprendono terapie farmacologiche, basate soprattutto sull’uso degli Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina, e la terapia psicologica di tipo cognitivo-comportamentale, e offrono ottimi risultati.



In associazione a essi, è possibile migliorare la propria respirazione attraverso esercizi respiratorispecifici, utili soprattutto per le persone con sintomi respiratori durante o al di fuori dell’attacco di panico, così come possono essere intrapresi programmi personalizzati di attività fisica o di miglioramento della postura e dell’equilibrio, utili per le persone con sintomi di instabilità o sbandamento. 


L'attacco di panico fa paura? Un aiuto viene dal senso del ritmo




È una crisi d'ansia acuta transitoria, non comporta danni alla salute. Ma attenzione, perché potrebbe trasformarsi in disturbo di panico e condizionare la quotidianità. Prima di tutto, fare respiri con regolarità.

Quando si parla di attacco di panico, s'intende una crisi d’ansia acuta, che si manifesta all’improvviso con una sintomatologia fisica ed emotiva, spesso senza stimoli che giustifichino la comparsa dei sintomi. Provoca un malessere intenso, e, se gli attacchi si ripetono, la quotidianità di chi ne soffre può essere compromessa, rendendo difficili semplici attività che fino a quel momento non creavano problemi. Ma cos’è davvero un attacco di panico? Come si manifesta, e soprattutto, come si cura? L’argomento è stato approfondito su un articolo apparso su Humanitasalute, con il contributo di Daniela Caldirola, psichiatra, specialista in disturbi d’ansia e panico in Humanitas San Pio X e ricercatore presso Humanitas University. Articolo che riportiamo di seguito integralmente.



Una crisi d'ansia acuta, ma transitoria


Un attacco di panico, la paura di morire
L’attacco di panico è un fenomeno che si presenta in maniera improvvisa e inaspettata, senza una diretta causa scatenante: può avvenire dal parrucchiere, mentre si fa la spesa, in qualsiasi momento e luogo, senza alcun preavviso. È caratterizzato da numerosi sintomi fisici, spesso molto intensi, accompagnati dalla paura di morire, perdere il controllo o impazzire. I sintomi raggiungono il picco d’intensità nell’arco di alcuni minuti e poi si risolvono spontaneamente. In alcuni casi possono però essere più prolungati o lasciare strascichi di malessere nelle ore successive. Pur essendo un fenomeno innocuo e senza dirette conseguenze sulla salute fisica, la sintomatologia dell’attacco di panico può essere tanto acuta da indurre la persona che ne fa esperienza a pensare di essere sul punto di morire per una qualche grave causa medica.  

Soffocamento, tachicardia... I sintomi dell'attacco di panico


L’attacco di panico si presenta con svariati sintomi fisici, tra cui difficoltà respiratorie (sensazione di mancanza di fiato o soffocamento), che sono i sintomi più frequenti, palpitazioni/tachicardia, dolore o fastidio al petto, sudorazione, tremore, formicolii o sensazione di intorpidimento, nausea o disturbi addominali, sensazione di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento, brividi o vampate di calore. 

Possono comparire anche sensazione di irrealtà (derealizzazione) o di sentirsi distaccati da se stessi (depersonalizzazione). In genere durante un attacco di panico la persona prova un’intensa paura di morire o di perdere il controllo o impazzire. Il fatto che l’attacco di panico possa essere erroneamente confuso, specialmente se la persona non l’ha mai vissuto prima, con un una patologia medica acuta, come un infarto del miocardio, un’aritmia, una crisi respiratoria, un ictus cerebrale, aumenta ancor di più il senso di terrore e rischio incombente.

Tuttavia, sappiamo che un attacco di panico si dissolve con la stessa velocità con cui si manifesta: può durare pochi minuti, ma questo non significa che debba essere sottovalutato il suo impatto emotivo. Per chi ha un attacco di panico in corso, cinque-dieci minuti sono percepiti come un’eternità.

Il rischio che l'attacco diventi disturbo di panico
L’attacco di panico è un fenomeno comune e di per sé innocuo. Si calcola che fino al 30% della popolazione può sperimentare in modo sporadico almeno un attacco di panico nella vita. In molti casi essi rimangono degli episodi isolati senza conseguenze, mentre in circa il 3%-4% della popolazione si sviluppa il vero e proprio Disturbo di Panico.



Questo disturbo è più comune nelle donne che negli uomini, con un rapporto di circa 2:1, e in genere insorge in età giovane adulta (20-30 anni). È una condizione clinica in cui gli attacchi si ripetono e chi ne soffre vive nel continuo timore che l’attacco possa ritornare, o che possa portare gravi conseguenze. Inoltre le persone affette hanno spesso sintomi fisici nella vita di tutti i giorni, anche al di fuori dell’attacco di panico, quali fatica a respirare, tachicardia, senso di instabilità, con un senso generale “di non essere in piena forma fisica”. 

Per questi motivi, la persona tende a modificare il proprio comportamento, per esempio sottoponendosi a ripetuti controlli medici nel timore di avere una malattia medica, o spesso limitando la propria libertà di movimento. Infatti la paura che i sintomi si manifestino in luoghi pubblici, in situazioni sociali, in luoghi chiusi, o, all’opposto, in spazi aperti, come centri commerciali, mezzi di trasporto, luoghi di lavoro, ascensori, strade/piazze, induce a evitare quei luoghi o quelle situazioni: pianificare e organizzare attività si fa sempre più difficile, la qualità della vita comincia sempre più a ridursi, la vita sociale, professionale e personale ne risulta invalidata. Se questa condizione è pervasiva, avremo un’agorafobia.    

Per uscire da un attacco di panico, cercare di ristabilire un ritmo regolare
È importante ricordarsi che, per quanto l’attacco di panico sia estremamente sgradevole, è un fenomeno transitorio, che scompare spontaneamente, non è un’emergenza medica e non comporta rischi per la salute fisica. Tentare di tenerlo presente quando capita l’attacco può contribuire a spegnere il circolo vizioso della paura che poi amplifica l’attacco stesso. È chiaro però che l’attacco di panico sia una condizione di allarme per la persona, per cui scattano dei meccanismi automatici difensivi, come per esempio andare in iperventilazione, cioè tentare di aumentare l’apporto d’aria con una respirazione frequente e superficiale, in risposta alla sensazione di soffocamento e mancanza d’aria tipica del panico.



Questa reazione però non è utile e innesca la cosiddetta alcalosi respiratoria, cioè un insieme di reazioni fisiche capaci di produrre delle sensazioni spiacevoli quali tremori, formicolii, sensazione di sbandamento e tachicardia che a loro volta incrementano la paura e quindi l’iperventilazione stessa, con ulteriore potenziamento dell’attacco.

È importante bloccare la risposta del nostro organismo all’allarme. Per far ciò, subito dopo che è scattato l’attacco si può controllare la respirazione cercando di ristabilire un ritmo regolare (per esempio immaginando un metronomo o un pendolo).

Si può anche provare a respirare in un sacchetto di carta, manovra che permetterà di evitare l’alcalosi respiratoria e le sue conseguenze, anche in presenza di una respirazione frequente e superficiale, perché induce a respirare la nostra stessa aria e quindi evita un’eccessiva eliminazione di anidride carbonica.

L’utilizzo di ansiolitici benzodiazepinici all’inizio dell’attacco non è raccomandato poiché questi farmaci iniziano a funzionare non prima di 15-20 minuti, quando l’attacco nella maggioranza dei casi è già scomparso da solo. Si rischia di creare una dipendenza psicologica, associando l’assunzione del farmaco alla risoluzione dell’attacco, che invece si è risolto spontaneamente.  

Consultare eventualmente uno specialista
Se la persona ha attacchi ricorrenti e sviluppa il disturbo di panico, con o senza agorafobia, è consigliato effettuare un colloquio con uno specialista psichiatra per valutare l’opportunità di intraprendere un trattamento specifico per bloccare gli attacchi e recuperare una piena libertà e serenità di vita.

I trattamenti di prima scelta consigliati dalle linee guida internazionali comprendono terapie farmacologiche, basate soprattutto sull’uso degli Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina, e la terapia psicologica di tipo cognitivo-comportamentale, e offrono ottimi risultati.



In associazione a essi, è possibile migliorare la propria respirazione attraverso esercizi respiratorispecifici, utili soprattutto per le persone con sintomi respiratori durante o al di fuori dell’attacco di panico, così come possono essere intrapresi programmi personalizzati di attività fisica o di miglioramento della postura e dell’equilibrio, utili per le persone con sintomi di instabilità o sbandamento. 


Ansia: quando il cuore sta per “scoppiare”



Quando il livello di ansia diventa incontrollabile, il cervello interpreta che c'è un rischio dalquale fuggire così attiva una reazione. Solo chi ha sperimentato in prima persona gli attacchid'ansia può comprendere cosa si prova nel corso del verificarsi di un simile episodio. Gli attacchi di panico (detti anche crisi di panico) sono episodi diimprovvisa ed intensa paura o di una rapida escalation dell'ansia normalmente presente. Sono accompagnati da sintomi somatici e cognitivi. Ad esempio palpitazioni, sudorazione improvvisa, tremore, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea, vertigini, paura di morire o di impazzire, brividi o vampate di calore. Questo momento critico può colpire non solo chi soffre del disturbo in modo cronico ma anche chi non ne soffre. A tutti gli effetti si tratta di un disturbo classificato nel manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM-V). Chi soffre di attacchi di ansia può viverli sia sporadicamente sia periodicamente.

Quali sono i sintomi dell'ansia?Diversi fattori possono scatenare un attacco di ansia. Come ad esempio: una situazione stressante, un evento dal grande impatto emotivo, unepisodio traumatico o anche le feste Natalizie. Dai racconti di chi hasperimentato un simile episodio, emerge che si ha la sensazione che si stia permorire. Si fa riferimento alla sensazione di: cuore che sta per scoppiare. Mail quadro dei sintomi fisici ed emotivi risulta alquanto variegato. Si deveprecisare che si tratta di una forma di crisi, perché in linea di massima l'ansia è una sensazione che ha un’utilitàper gli uomini. Di fatto è un campanello di allarme che segnala unaminaccia.

Quando l'ansia diventa un problema? Quindi un livello di ansia equilibrato spinge ad essere piùefficaci nella quotidianità. Invece il problema sorge quando il livello diansia diventa incontrollabile. In tal caso il cervello interpreta che c’è unrischio dal quale fuggire il prima possibile. Così, attiva una reazione di tipo organico con rilascio di adrenalina nel sangue, accelerazione del cuore, aumentodella pressione sanguigna. Allo stesso tempo la mente invia pensieri negativiche peggiorano la crisi in atto. Perciò, la persona si trova ad affrontare un attacco di ansia. Spesso può risultare più allarmante se chi ne è testimone nonsa cosa sta succedendo e non sa come comportarsi. La sintomatologia degli attacchi di ansia

Diversi fattori e situazioni personali possono innescare gli attacchi di ansia. Ad esempio alcune persone hanno paura di volare, altrepossono soffrire di paure come l'agorafobia o l’aracnofobia. Talvolta unattacco di ansia può nascere in una situazione di grande impatto emotivo. Secondo uno studio condotto all'Università di Seoul, il disturbo psicologico avolte rivela un'origine genetica. Per quanto riguarda il quadro dei sintomi sideve distinguere tra due piani di manifestazioni. Infatti si evidenzianosintomi emotivi quali: nervosismo, tensione, difficoltà di concentrazione, sentimentinegativi, sensazioni di apprensione, paura incontrollabile, pensierifatalistici.

Le caratteristiche del disturbo di panico La caratteristica essenziale del disturbo da attacchi dipanico è la presenza di attacchi ricorrenti e inaspettati. Questi sono seguitida almeno 1 mese di preoccupazione persistente di avere un altro attacco dipanico. La persona si preoccupa delle possibili implicazioni o conseguenzedegli attacchi d'ansia e cambia il proprio comportamento in conseguenza degliattacchi. Principalmente evita le situazioni in cui teme che essi possanoverificarsi. Il primo attacco di panico è generalmente inaspettato, cioè simanifesta “a ciel sereno”, per cui il soggetto si spaventa enormemente e, spesso,ricorre al pronto soccorso. Poi possono diventare più prevedibili. Mentre tra i sintomifisici si individuano di solito: vertigini, sudorazione, tremori e tic, tensionemuscolare, mal di testa, iperventilazione, minzione frequente, mal di stomaco, stanchezzae debolezza, frequenza cardiaca accelerata, aumento della pressione sanguigna difficoltàa respirare e sensazione di un attacco di cuore. Gli attacchi di ansia possono essere collegati alla depressione se si palesano difrequente. Di fatto l'ansia e la depressione derivano dal comune senso diincapacità di controllo. In genere l'ansia e la depressione sono due disturbidiversi. A volte però uno stato ansioso può essere un sintomo depressivo.

Come affrontare un attacco di ansiaNon è semplice superare questa crisi. Per affrontare gliattacchi di ansia è necessario affrontare i sintomi emotivi e razionalizzare lapaura ed il senso di minaccia. Quindi per soccorrere una persona che ha unattacco d'ansia si deve per prima cosa fare appello alla calma. Poi si può aiutarlo a respirare magari slacciando i vestiti che lo opprimono. Inoltre è bene portarlo in un posto all'aperto per farlo respirare meglio. Nel caso poidi iperventilazione si deve farlo respirare attraverso un sacchetto. Inmancanza di questo mezzo lo si può motivare a respirare come se stessesoffiando su una candela. In più è d'aiuto il sostegno delle parole. Quindioltre a ripetergli ‘tutto va bene’ si deve usare un tono pacato. È importanteregolare la respirazione per riportare la calma. Se i sintomi non si risolvonoin breve tempo ed il polso resta accelerato meglio chiamare un’ambulanza. Soprattutto se la persona soffre di: malattia cardiaca, diabete, obesità.

Cura del disturbo dipanico: Psicoterapia per gli attacchi di panico. Nella cura degli attacchi di panico con o senza agorafobia edei disturbi d'ansia in generale, la forma di psicoterapia che la ricercascientifica ha dimostrato essere più efficace è quella“cognitivo-comportamentale“. Si tratta di una psicoterapia relativamente breve, a cadenza solitamente settimanale, in cui il paziente svolge un ruolo attivo nella soluzione del proprio problema. Insieme al terapeuta, si concentra sull'apprendimento di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali alla cura degli attacchi di panico. Ciò nell'intento di spezzare i circoli viziosi del disturbo. Per panico e agorafobia, una cura a base di terapia cognitivo comportamentale è altamente raccomandabile e di prima scelta.Sostanzialmente è controindicato affidarsi ai farmaci o ad altre forme dipsicoterapia senza intraprendere questa forma di trattamento. L'intera comunitàscientifica ha infatti dimostrato essere la più efficace per la cura deldisturbo di panico. 


Dal Sito: ragusanews.com

sabato 19 dicembre 2020

Il dilemma della coperta corta, quando dobbiamo scegliere tra due opzioni negative





Probabilmente ti è successo in più di un’occasione. Hai freddo, quindi tiri la coperta per coprirti la testa, ma così facendo i piedi restano scoperti. Presto senti di nuovo freddo, quindi torni ad aggiustare la coperta, ma coprendoti i piedi, esponi la testa. È frustrante.

Il dilemma della coperta corta è una teoria intuitiva secondo cui è impossibile coprire contemporaneamente testa e piedi perché la coperta non è abbastanza lunga. Pertanto, siamo costretti a scegliere tra due possibilità, ma nessuna delle due ci soddisfa pienamente.

Il problema inizia quando applichiamo quel tipo di ragionamento ai conflitti più complessi della vita e presumiamo – o ci fanno credere – che abbiamo solo due opzioni e che dobbiamo decidere tra queste, anche se sono pessime o insoddisfacenti.

Una condanna permanente all’insoddisfazione e alla frustrazione

Nei dilemmi della coperta corta le due possibilità che abbiamo sono imposte; cioè, di solito derivano da limitazioni esterne. Il mondo ci pone degli ostacoli e ci presenta due soluzioni insoddisfacenti. Nessuna delle alternative è il risultato di una profonda riflessione, ma piuttosto di una limitazione. Pertanto, qualunque sia la soluzione che scegliamo, diventerà fonte di frustrazione.

Poiché nessuna delle due opzioni soddisfa davvero il bisogno di fondo, è comprensibile che la frustrazione continui a crescere. Limitarci a scegliere l’opzione meno negativa non ci lascia un buon sapore in bocca. Piuttosto, ci farà guardare continuamente indietro per riconsiderare i nostri passi.

Per questo motivo, molti problemi della coperta corta tendono a generare dubbi e rimpianti. Ci chiediamo cosa sarebbe successo se avessimo scelto l’altra possibilità. Saremmo stati altrettanto infelici? Quando questi dubbi si estendono agli aspetti importanti della nostra vita, è difficile che ci sentiamo soddisfatti e in pace con le nostre decisioni.

Il pensiero intrappolato nel circolo vizioso della dualità

Una delle principali trappole che ci tendono i dilemmi della coperta corta è rinchiudere il nostro pensiero in uno schema  in cui ci sono solo due soluzioni. Diventano un limite che ci impedisce di contemplare qualsiasi soluzione che vada oltre gli stretti limiti stabiliti.

Infatti, esporre i dilemmi della coperta corta è una strategia di manipolazione sociale abbastanza comune. È normale che ci vengano date solo due soluzioni tra cui scegliere. Destra o sinistra? Salute o economia? Sviluppo o minore contaminazione?

Il problema è che consumiamo così tante risorse cognitive per valutare i pro ei contro delle due soluzioni predeterminate che dimentichiamo di guardare oltre per trovare un percorso alternativo. Forse l’alternativa che troveremmo non sarebbe ideale, ma almeno potrebbe essere più pratica o soddisfacente delle due possibilità iniziali.

Altre volte siamo noi che creiamo e cadiamo in questo falso dilemma. A volte siamo così presi dal problema o accecati dalle emozioni che non siamo in grado di vedere oltre le possibilità evidenti. Questi tipi di situazioni possono indurci a considerare false dicotomie. Potremmo pensare, ad esempio, che possiamo solo decidere tra mantenere una relazione insoddisfacente o lasciarci e restare soli per sempre.

Quando le emozioni prendono il sopravvento, non pensiamo chiaramente e tendiamo a cercare soluzioni estreme e opposte. In pratica, i dilemmi della coperta corta rinchiudono il nostro pensiero in una scatola molto piccola. Alimentano un modo di pensare dicotomico in termini di buono o cattivo, nero o bianco, positivo o negativo. Ciechi di fronte ad altre possibilità, non siamo in grado di esplorare soluzioni alternative, quindi scegliamo di seguire il copione che altri hanno scritto per noi o che ci siamo imposti.

Rompere gli schemi

“A volte siamo eccessivamente disposti a credere che il presente sia l’unico stato di cose possibile”,scriveva Marcel Proust. Per sfuggire all’effetto della coperta corta, dobbiamo smettere di pensare che ci siano solo due soluzioni.

Invece è molto più costruttivo dirci che, finora, abbiamo visto solo le due soluzioni più ovvie o le due alternative che qualcuno ci ha proposto, ma ciò non significa che non ci siano altre strade da esplorare.

Per risolvere il problema della coperta corta dobbiamo cambiare il nostro approccio. Forse non siamo in grado di allungare la coperta, ma possiamo assumere una posizione fetale per coprirci meglio. Possiamo anche usare una seconda coperta. Oppure indossare dei calzini più spessi.

La chiave è essere consapevoli che il nostro problema può essere la lunghezza della coperta, ma il bisogno da soddisfare è proteggerci dal freddo. Cambiando l’obiettivo su cui concentrarci, usciamo dalla dicotomia apparentemente insormontabile per trovare una soluzione più soddisfacente al vero bisogno di fondo.

A volte dobbiamo solo guardare oltre il problema o conflitto. Quando ci concentriamo sul bisogno, senza risposte predeterminate – o superandole – possiamo scoprire una gamma più ampia di soluzioni che possono essere più soddisfacenti e appropriate alle nostre circostanze.


Dal Sito: angolopsicologia.com 

lunedì 14 dicembre 2020

Crescita personale: cos'è e a cosa serve?




Parlare di crescita personale vuol dire riferirsi a delle competenze specifiche quali la capacità di gestire le emozioni, la resilienza, l’empatia, l’adattabilità, la creatività.

Queste competenze vengono anche chiamate in gergo competenze trasversali o Soft Skills e sono utili non solo nella vita privata ma anche nella professione: la ricerca ha infatti dimostrato ampiamente che le conoscenze tecniche di settore e l’intelligenza personale costituiscono solo una parte delle qualità utili ad affermarsi nel proprio campo professionale. Vediamo allora che cosa intendiamo quando usiamo l’espressione gestire le emozioni. Per gestire qualcosa dobbiamo affinare una serie di abilità che possiamo allenare e migliorare nel tempo. Queste abilità dunque sono competenze che possono essere apprese da tutti, potenziate con l’esperienza nel corso della propria esistenza.

Gestire le emozioni vuol dire dunque: riconoscerle (dargli un nome), assumersene la responsabilità (cogliere le informazioni che contengono su noi stessi quando le esprimiamo) e legarle ai propri bisogni (utilizzarle per raggiungere i propri obiettivi nella vita). Imparare a gestirle in questo modo accresce il benessere perché permette di comprendere quello che ci accade intorno e di avere il potere di cambiare quegli aspetti che non portano nutrimento alla nostra vita. Inoltre poter dare un senso alle emozioni spiacevoli ci fornisce il vantaggio di non esserne travolti trovando la nostra personale modalità per affrontarle e farci qualcosa. Gestire le emozioni ci informa sul nostro modo di essere, sul nostro modo di guardare il mondo e sulla nostra modalità di rapportarci agli altri. Tutto questo aumenta la nostra crescita personale perché ci fornisce gli strumenti per guidare le nostre relazioni e per imparare a chiedere in maniera competente senza rischiare di ferire l’altro o di imbatterci cronicamente in situazioni che generano rifiuto e allontanamento da parte dell’altro.

Ragionare in quest’ottica significa da un lato sfruttare al meglio gli effettigenerati dall’espressione delle nostre emozioni nei diversi contesti e dall’altro imparare da questi feedback qualcosa in più su come è fatto l’altro e su quale sia il modo migliore di avvicinarsi a lui. Chiedere qualcosa all’altro utilizzando il potenziale insito nell’espressione competente delle emozioni lo dispone a darci quello che vorremmo e a comprendere il nostro punto di vista. In questo senso l’abilità di mettersi nei panni dell’altro che chiamiamo empatia smette di essere un concetto e diventa una concreta possibilità di costruire relazioni in cui c’è uno spazio reale per le persone che ne fanno parte.

Altra abilità importante è quella della resilienza che consiste nell’affrontare le avversità della vita attraversandole per uscirne trasformati traendo vantaggio da quello che ci accade. Essere resilienti non significa dunque essere intoccabili e invulnerabili alle emozioni, ma al contrario vuol dire avere la tenacia di viverle a pieno lasciandosi toccare da quello che hanno da dirci. Ogni emozione che sentiamo nel corpo comunica alla nostra mente e alla nostra anima cosa sarebbe più salutare per noi fare in quel determinato momento, imparare a farci caso e ad esserne consapevoli è uno strumento fondamentale per accrescere la resilienza.

Collegata alla resilienza è l’adattabilità che consiste nell’entrare in contatto con le situazioni della vita stando radicati nel qui e ora, un po’ come l’acqua che non essendo rigida nel suo essere, prende la forma del contenitore in cui la versiamo. L’utilità dell’adattabilità è presto detta: la vita stessa ci presenta situazioni dalle forme più diverse e affrontarle in base alla forma che assumono di volta in volta piuttosto che nella stessa rigida maniera porta benessere perché permette di utilizzare le proprie energie in modo mirato, senza disperderle trattenendo ciò che dobbiamo lasciar andare.

La creatività a questo proposito è l’abilità con cui possiamo trovare strade alternative al raggiungimento dei nostri obiettivi e dei nostri sogni. Quando un sogno non si realizza o ci blocchiamo sulla realizzazione di questo sogno con tutte le nostre forze perdendo di vista tutta una serie di altre possibilità, allora utilizzare la creatività e l’immaginazione può fare la differenza tra una vita piena di rancore e frustrazione e una vita in cui accanto alla porta principale dei sogni ci sono tante porticine cariche di altri desideri. Nel secondo caso la vita è più soddisfacente perché nel frattempo che un sogno non si realizza ci dedichiamo a un altro desiderio e dedicandoci a questo possiamo accumulare altra energia vitale che continuerà a muoverci nella direzione di progettare la nostra esistenza, anziché fermarla alla prima sconfitta.


Dal Sito: psicologionline.net