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giovedì 18 giugno 2020

Ansia e stress da lavoro


Nella nostra società, in cui tutto viene vissuto in modo frenetico e sempre di corsa, è molto facile incorrere nel tipico stress da lavoro, condizione dalla quale sembra impossibile sfuggire: le crescenti richieste di rapidità, produttività ed efficienza, unite alla precarietà generalizzata, rendono difficile affrontare le giornate con quella serenità che permette di vivere bene e rendere al meglio.

Ansia e stress da lavoro: come si declinano

Ci sono due forme tipiche di stress:

Eustress: consiste nell’attivazione fisiologica e psichica che permette di dare il meglio dal punto vista della concentrazione e dell’attenzione, sfruttando al massimo le risorse personali per raggiungere un obiettivo prefissato.

Distress: consiste in una forma di stress costante e prolungato, che comporta molta sofferenza a livello psicofisico e che si manifesta con sintomi quali ansia, insicurezza, paura e timore di perdere il controllo.

Sindrome da burnout: si tratta di un collasso energetico ed emotivo, che può essere devastante a livello personale e pericoloso per la salute, in quanto chi ne è colpito viene prosciugato dal carico di obblighi e impegni da svolgere. È un disturbo che si manifesta in occupazioni che implicano un forte coinvolgimento emotivo e, soprattutto, quando si riscontra difficoltà di adattamento ai cambiamenti, diventando più vulnerabili e negativi. Il burnout si manifesta con segnali importanti da non sottovalutare, a livello fisico, con l’insorgenza di disturbi della pelle, intestinali, inappetenza, insonnia e cefalea e a livello psichico con la comparsa di disinteresse e insoddisfazione, senso di impotenza e frustrazione, isolamento, ansia, attacchi di panico, depressione, chiusura e riduzione dell’efficienza del proprio lavoro.

Ansia e stress da lavoro: consigli e rimedi

Per combattere ansia e stress sul lavoro è utile mettere in pratica alcuni semplici accorgimenti:

Individuare le possibili cause. Travolti dai numerosi impegni e scadenze da rispettare, è possibile trovarsi sempre in affanno e con il timore di non concludere in tempo il compito assegnato: per questo è molto importante darsi delle priorità, stabilendo gli obiettivi da raggiungere e trovando il giusto ordine tra le attività da svolgere nell’arco della giornata.

Avere maggiore flessibilità. Per contrastare ansia e stress è consigliabile adottare un atteggiamento flessibile, imparando a riorganizzare in modo rapido il lavoro, qualora le richieste subiscano delle modifiche. Essere mentalmente rigidi non aiuta, ma genera solo stress e nervosismo.

Fare esercizio fisico e adottare una sana alimentazione. Nel tempo libero bisogna cercare di rilassarsi, sfruttando ogni occasione per dedicarsi alle attività preferite, per esempio praticando sport abbinato a tecniche di rilassamento come la meditazione o lo yoga. All’esercizio fisico è utile accostare una corretta alimentazione, prediligendo carboidrati complessi e ricchi di vitamine, per avere la giusta dose di energia per svolgere il proprio lavoro.

Dormire il giusto numero di ore.Secondo gli esperti un adulto dovrebbe dormire in media 7-8 ore per notte, soprattutto se bisogna affrontare giornate dense di impegni. Mantenere una certa routine, ridurre le fonti luminose e di disturbo, dimenticare i pensieri e le preoccupazioni sono gli ingredienti giusti per rilassarsi e riposare correttamente.

Dimostrare positività e consapevolezza delle proprie capacità. Quando ci si trova ad affrontare un compito particolarmente impegnativo non bisogna scoraggiarsi ma essere consapevoli delle proprie competenze e capacità: assumere un atteggiamento positivo e fiducioso, facendosi forza con le sfide difficili già superate, permette di mantenere alta l’autostima ed eseguire al meglio il lavoro.

Parlare con i colleghi. Condividere le proprie preoccupazioni e difficoltà con i colleghi con i quali c’è un rapporto di confidenza può essere di grande aiuto, in quanto permette di vedere le situazioni da un’altra prospettiva, sentendosi meno soli e individuando soluzioni alternative.

Dire »no» quando è necessario. In situazioni in cui ci si trova pieni di lavoro, molto stressati e non si è in grado di dare il proprio contributo a un progetto o a un’attività, è giusto saper dire di no. Non è il caso di sentirsi in colpa, perché saper riconoscere i propri limiti è un passo importante per la propria autostima e per avere rapporti corretti e sinceri con le altre persone.

Consultare il medico se lo si ritiene opportuno.  Se ansia e stress sul lavoro diventano ingestibili, compromettendo la propria qualità della vita, è giusto consultare il medico di fiducia, per ottenere un approccio terapeutico mirato.



Dal Sito: salute.ilgiornale.it

mercoledì 22 maggio 2019

Invalidità per attacchi di panico

Chi soffre di attacchi di panico può ottenere il riconoscimento della riduzione della capacità lavorativa, la legge 104 e può assentarsi per malattia?

Paura improvvisa che arriva senza un reale motivo, cuore che inizia a battere all’impazzata, difficoltà respiratorie, intorpidimento delle mani e dei piedi, nausea, capogiri, tremori, svenimenti…Sono solo alcuni dei sintomi più comuni degli attacchi di panico.

Ma che cos’è l’attacco di panico, una malattia? L’attacco di panico è un breve episodio di ansia intollerabile, che dura al massimo 20 minuti: si tratta dunque di un disturbo d’ansia. Questo disturbo è molto diffuso: si stima che colpisca, almeno una volta nella vita, circa una persona su 3.

Nello specifico, quando gli attacchi di panico sono ricorrenti (si manifestano a cadenza regolare per almeno un mese), si parla di “disturbo di panico”: nel disturbo di panico, gli attacchi sono frequenti ed influenzano l’intera esistenza della persona, dalle relazioni sociali alla carriera.

Si può allora ottenere l’invalidità per attacchi di panico? Le linee guida dell’Inps sugli accertamenti degli stati invalidanti citano innanzitutto gli attacchi di panico tra i sintomi moderati, nella scala per la valutazione globale del funzionamento psicologico, sociale e lavorativo, e tra le basi di valutazione dei disturbi d’ansia. Inoltre, ad alcune tipologie di disturbi di panico sono associate delle percentuali d’invalidità.

Chi soffre di disturbi di panico, poi, se questi sono causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa, può chiedere il riconoscimento dell’handicap, quindi dei benefici della legge 104.

Infine, se i disturbi di panico determinano una temporanea incapacità lavorativa, è possibile assentarsi per malattia, ed è anche possibile, per analisi e cure, chiedere dei permessi specifici.

Ma procediamo per ordine

Indice

1 Invalidità per attacchi di panico

2 Legge 104 per attacchi di panico

3 Domanda d’invalidità e Legge 104 per disturbi di panico

4 Posso assentarmi per malattia se ho attacchi di panico?

5 Posso assentarmi se il disturbo di panico richiede cure ricorrenti?

6 Posso assentarmi per le analisi sugli attacchi di panico?

Invalidità per attacchi di panico

Per quanto riguarda il riconoscimento dell’invalidità a causa degli attacchi di panico, cioè della riduzione della capacità lavorativa, questo è possibile se la patologia si presenta in forma cronica o grave, tale dunque da determinare una riduzione della capacità lavorativa.

Nelle tabelle Inps indicative delle percentuali d’invalidità, il disturbo di panico dà diritto a un riconoscimento d’invalidità del 15%, del 35% se associato all’agorafobia.

L’ agorafobia consiste nella paura degli spazi aperti e affollati, o nella paura di trovarsi in pubblico, ed è frequentemente accompagnata da attacchi di panico.

Gli attacchi di panico possono comunque essere sintomatici di altri disturbi d’ansia, ai quali a loro volta possono essere associate delle percentuali d’invalidità:

sindrome depressiva endoreattiva lieve: 10% d’invalidità;

sindrome depressiva endoreattiva media: 25% d’invalidità;

sindrome depressiva endoreattiva grave: dal 31% al 40% d’invalidità;

sindrome depressiva endogena lieve: 30% d’invalidità;

sindrome depressiva endogena media: dal 41% al 50% d’invalidità;

sindrome depressiva endogena grave: dal 71% all’80% d’invalidità;

nevrosi fobico ossessiva e/o ipocondriaca di media entità: dal 21% al 30% d’invalidità;

nevrosi fobico ossessiva lieve: 15% d’invalidità;

nevrosi fobico ossessiva grave: dal 41% al 50% d’invalidità;

nevrosi ansiosa: 15% d’invalidità;

psicosi ossessiva: dal 71% all’80%. d’invalidità.

Legge 104 per attacchi di panico

Mentre l’invalidità è intesa come la riduzione della capacità lavorativa, il riconoscimento dell’handicap, che dà diritto ai benefici della Legge 104, spetta a chi ha una minorazione fisica, psichica o sensoriale tale da impedire o limitare notevolmente l’integrazionesociale, lavorativa, personale e familiare; in parole semplici, l’handicap esprime la condizione di svantaggio della persona.

Per valutare lo stato di handicap, si deve tener conto della difficoltà d’inserimento sociale dell’interessato, in base alla patologia o menomazione riscontrata. Nel caso in cui gli attacchi di panico risultino avere delle conseguenze talmente gravi da impedire una normale vita sociale, familiare e lavorativa, questi possono determinare il sorgere di un handicap.

Chi soffre di disturbi di panico può dunque ottenere il riconoscimento della Legge 104.

Domanda d’invalidità e Legge 104 per disturbi di panico

Per chiedere il riconoscimento dell’invalidità e dell’handicap per disturbi di bisogna innanzitutto richiedere al proprio medico curante, ), o ad un medico convenzionato col servizio sanitario nazionale, il certificato medico introduttivo (certificato SS3).

Bisogna poi inviare all’Inps la domanda d’invalidità: la procedura è unica, e vale anche per il riconoscimento dell’handicap. Per approfondire:  Guida alla domanda d’invalidità, Legge 104 e accompagno.

Posso assentarmi per malattia se ho attacchi di panico?

L’attacco di panico è un episodio, per quanto con gravi sintomi, che si esaurisce in breve tempo, nell’arco di 20 minuti.

Se ti viene un attacco di panico mentre sei al lavoro e ti lascia spossato, puoi comunque, avvertendo l’azienda del malore, assentarti per sottoporti a un controllo medico: sarà poi il medico curante a decidere se hai bisogno di giornate di riposo, e ad assegnarti quindi giornate di malattia, oppure se puoi tornare subito al lavoro.

Se soffri di disturbi frequenti di panico e attraversi una fase acuta, magari accompagnata da altri disturbi d’ansia, il medico può ugualmente assegnarti delle giornate di malattia.

Posso assentarmi se il disturbo di panico richiede cure ricorrenti?

Se il trattamento del disturbo di panico richiede cicli di cura ricorrenti, cioè terapie ambulatoriali alle quali devi sottoporti periodicamente, hai la possibilità di richiedere, anche in questo caso, assenze per malattia.

Il medico può certificare separatamente ogni ciclo di cura, oppure rilasciare un unico certificato, che attesti la necessità di terapie ricorrenti e le date in cui avverranno le prestazioni: in quest’ipotesi, il trattamento successivo è equiparato alla ricaduta della malattia. Terminate le cure, la struttura sanitaria deve rilasciare una dichiarazione che attesti l’esecuzione delle terapie, diversamente l’assenza non può essere indennizzata. Come la malattia.

I giorni che intercorrono tra una cura e la successiva non sono indennizzabili, se non risultano debitamente certificati come malattia.

Posso assentarmi per le analisi sugli attacchi di panico?

Se devi fare delle analisi per capire la natura e la causa degli attacchi di panico (accertamenti diagnostici), e questi sono breve durata, solitamente non sono indennizzabili come le assenze per malattia, a meno che non si tratti di controlli:

urgenti ed impossibili da effettuare al di fuori dell’orario di lavoro;

talmente invasivi da richiedere un periodo di convalescenza.

Se, per gli attacchi di panico, hai necessità di visite, cure o trattamenti, e la tua situazione non rientra nelle ipotesi indennizzabili per malattia, devi comunque sapere che hai la possibilità, a seconda del contratto collettivo applicato, di richiedere:

specifici permessi retribuiti, se previsti dal contratto collettivo applicato, nazionale, territoriale o aziendale, o se sussistono specifici accordi individuali col datore di lavoro;

permessi retribuiti scomputati dai permessi ed i riposi retribuiti spettanti da contratto (rol, banca ore, etc.);

permessi non retribuiti.

Dal sito: laleggepertutti.it

venerdì 29 marzo 2019

Come combattere l'ansia sul lavoro


Salire sul ring con l'ansia non è mai facile, visto che è una lotta che bisogna fare quotidianamente, in particolare sul lavoro. Ma metterla a tappeto è possibile: i consigli dell'esperta

Facciamo un gioco di immaginazione: un giorno vi svegliate, andate in ufficio, ci arrivate già in affanno per via dei mezzi sempre affollati e in ritardo. Posate la ventiquattrore e aprite la mail aziendale: 120 mail. Dalle 19, quando avete spento, alle 9: 120 mail. Prima di aprirle, vi concedete un caffè alla macchinetta e quattro chiacchiere con i colleghi. Tornate dopo dieci minuti alla scrivania: le mail sono diventate già 143. Com'è possibile? Cominciate a evadere la posta e vi arriva la prima chiamata del capo, che vuole quel report di produzione consegnato prima di mezzogiorno. Avevate cominciato a guardarlo ieri pomeriggio, ma non a lavorarci seriamente: come farete? Rispondete alle mail più importanti, le altre le guarderete: prima il report. Iniziate a metterci la testa, ma il telefono continua a squillare: prima è il collega che vuole un parere sulla partita della sera precedente, poi è quel cliente che ha bisogno di spostare l'appuntamento. Sono già le 11.30 e non siete nemmeno a metà del lavoro. Guardate l'orologio, il capo è uscito. Avete tempo. Rinunciate alla pausa pranzo, pur di consegnare il lavoro. Tra l'altro, nel pomeriggio vi aspetta una riunione di reparto. La tensione cresce: cosa vorranno? Provate a lavorare, ma siete preoccupati, i pensieri vi affollano la mente, concentrarsi è impossibile. Avete anche saltato la pausa pranzo, quindi siete senza energie. Provate a ingurgitare qualcosa, ma avete lo stomaco chiuso. E così fino a sera. Quando tornate a casa, siete agitati: chissà se il report andava bene, chissà di quali tagli stavano parlando alla riunione e se vi riguardano. La notte non chiudete occhio, la mattina siete uno straccio. E così via, riparte un nuovo giorno.

Altro che immaginazione, questa è realtà. E ha un nome: ansia. Uno stato psicofisico logorante, caratterizzato da persistenti preoccupazioni o paure, che in Italia colpisce più di 6 milioni di persone, quasi 1 italiano su 5, soprattutto in ambito lavorativo (dati La Stampa.it, ndr).

Episodi come quello descritto poc'anzi non sono così rari sul lavoro e lo stress si moltiplica se si parla di mansioni di responsabilità, in cui una persona ha sotto di sé uno o più dipendenti. «In generale, sul lavoro, l'ansia si scatena a causa di molti fattori – spiega Marina Osnaghi, prima Master Certified Coach in Italia - Paura di perdere il posto, ambiguità nei ruoli e nella comunicazione, problematiche relazionali con il proprio superiore o i colleghi, disorganizzazione di alcune strutture che dovrebbero facilitare lo svolgimento delle attività, conflitti valoriali quando si lavora in un contesto in cui non ci si sente più rispecchiati e molti altri ancora». La conseguenza più evidente a livello psicofisico dell'ansia è la stanchezza: una sorta di logorio continuo che ‘consuma’ le energie vitali e ci si ritrova senza forze spesso senza una causa apparente.

Ma attenzione a non confondere l'ansia con il panico: «L’ansia di solito è persistente e ripetuta nel tempo, frutto di preoccupazioni e senso di incertezza, che può portare ad aggressività e nervosismo cronici – spiega Osnaghi - Quando si tratta di panico, invece, si intende una reazione localizzata nel tempo, immediata, a seguito di uno stimolo o di un pericolo reale o presunto, irrazionale, che di solito si spegne con l'esaurirsi dello stimolo che lo ha provocato».

Soprattutto sul lavoro, questo persistente logorio può sfociare anche nella sindrome da burnout, ovvero una condizione di inadeguatezza nel rispondere in modo soddisfacente allo stress, che può portare all'esaurimento emotivo e creativo, all'inefficienza e all'indifferenza nei confronti delle conseguenze che le azioni professionali possono comportare. Uno stato quasi di apatia che può condurre anche a disturbi del sonno, problemi cognitivi e tratti nevrotici. Nel concreto, quindi, se per esempio davanti a scadenze o consegne impellenti ci prende un attacco d'ansia, uscirne si può? E come? «Innanzitutto, bisogna respirareprofondamente e lentamente, per allentare la tensione. Mentre respirate, appoggiate una mano aperta sulla fronte e un’altra aperta nell’incavo della nuca, appena sopra il collo, nella classica postura destressante.

Poi cercate di capire che attitudine mentale naturale avete: tendete ad anticipare molto o vi piace ‘arrivare lunghi’? A seconda di questo, ‘aggiustate’ i tempi di preparazione, potenziando organizzazione e metodo di lavoro. Debolezza organizzativa e metodologica, infatti, aprono la porta a imprecisioni che stimolano l’ansia rendendo incerto il buon esito delle attività. Infine, se lavorate in gruppo, a ogni inizio di attività, chiarite bene presupposti e accordi. L'ambiguità di ruoli e responsabilità aumenta il rischio di insuccesso e stimola ovviamente l'ansia».

Se invece si è a capo di un teame si hanno molte responsabilità, come si può gestire al meglio la propria squadra, senza farsi cogliere dall'ansia? «Bisogna imparare a rafforzare il proprio metodo di lavoro nel trasferimento degli obiettivi e nel monitoraggio delle attività. Riunioni ben preparate favoriscono il processo di ingaggio del team, mentre una buona impostazione chiarisce la direzione e le modalità di lavoro, abbassando i rischi di fraintendimento e di incomprensione che sempre rallentano le attività. Più nello specifico, per ottenere collaborazione in modo diplomatico ed efficace, dimostrate segni evidenti di ascolto dell’interlocutore, domandando per capire il punto di vista altrui, cercando di trovare punti di contatto fra le diverse idee e comunicando senza contrapposizioni: invece di ‘sì, ma’ si tratta di dire ‘tu pensi questo e io aggiungo il mio pensiero’».

Combattere l'ansia, o meglio prevenirla, quindi è possibile, basta divenirne consapevoli. «Se non ci sono patologie gravi a provocarla, si può agire, curando molto l’organizzazione praticadella vita sia professionale che privata: questo significa occuparsi per tempo delle cose importanti, cercare accordi chiari, ‘mettere in ordine’ cose e relazioni, avere cura del proprio benessere e del proprio valore. Per trasformarla in un'opportunità, basta applicare quello che io definisco il metodo MTDG (mi tolgo dai guai!)». In cosa consiste? Semplice: in primis, non farsi paralizzare dall'ansia, ma cercare di individuare qual è la cosa/situazione/avvenimento che la origina. Poi, andare alla ricerca di una soluzione pratica. Come? «Raccontate la situazione a un paio di amici fidati, poi chiedete loro di farvi due domande che reputano importanti e di darvi un consiglio a prescindere dal racconto e dalle risposte. Senza discuterne, andate a casa e dormiteci sopra. Il mattino dopo decidete cosa fare, scegliete ciò che vi rende più soddisfatti: di solito è quella giusta!

Ma ricordate sempre: la soluzione non è una ciambella che viene subito ben cotta. Il risultato quando si tratta di ansia è incrementale e non sempre dall'effetto immediato. Spesso bisogna doverla cambiare, perfezionare. Quindi verificate come va, cosa funziona e che effetto sta avendo sulla vostra vita, poi aggiustate il tiro dove serve. E attenzione: dovete riconoscere i passi avanti fatti, anche se piccoli. Se non vi gratificate, perché non avete ancora raggiunto completamente il risultato, lo allontanate ancora di più». Della serie: guarire dall'ansia sul lavoro è esso stesso un lavoro.

Dal Sito: gqitalia.it