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sabato 8 agosto 2020

La psicoterapia spiegata nel modo più semplice possibile


Premesse teoriche

Il modello psicoterapeutico adottato per organizzare le prassi d’intervento clinico per le varie problematiche umane di cui la psicoterapia si occupa ha un indirizzo teorico costruttivista ed interazionista che potremmo riassumere in tre punti fondamentali:

gli esseri umani agiscono nei confronti delle “cose” (oggetti fisici, esseri umani, istituzioni, idee…) in base al significato che attribuiscono ad esse;
il significato attribuito a tali oggetti nasce dall’interazione tra gli individui ed è quindi condiviso da questi (il significato è un prodotto sociale);
tali significati sono costruiti e ricostruiti attraverso un “processo interpretativo messo in atto da una persona nell’affrontare le cose in cui si imbatte.

Questo processo interpretativo è costruito da processi psicologici e “I processi psicologici sono canalizzati dall’anticipazione degli eventi”. L’attenzione è qui focalizzata sulla persona, intesa nel suo insieme come sistema complesso, nonché sulla natura processuale della sua vita psicologica. Ogni atto “interpretativo” avviene attraverso un sistema di costrutti personali. “Un costrutto, come la stessa radice semantica lascia intuire, è l’unità elementare di discriminazione attraverso la quale si attua il processo di costruzione. È una dimensione di senso, “un asse di riferimento, un criterio fondamentale di valutazione” che può essere “esplicitamente formulato o implicitamente agito, verbalmente espresso o totalmente inarticolato, intellettivamente ragionato o vegetativamente sentito ma che, in ogni caso, permette di riconoscere due cose come simili e, allo stesso tempo, differenti da una terza. I costrutti sono le chiavi di lettura che rendono il mondo intelligibile: se non disponessimo di tali criteri di discriminazione, il fluire degli eventi ci apparirebbe indifferenziato e di conseguenza privo di significato.
Per formare un costrutto sono necessari almeno tre elementi: due elementi devono essere percepiti come simili l’uno all’altro, il terzo come differente dagli altri due. I primi due formano quello che è inteso come polo di somiglianza del costrutto. Il terzo rappresenta il polo di contrasto del costrutto ed è dato dalla differenza nel confronto con agli altri due elementi.
L’uomo osserva il mondo attraverso lenti o schemi che egli stesso crea e che cerca di adattare alle diverse realtà. I costrutti sono dimensioni di significato, modalità per costruire la realtà, strade sulle quali percorriamo la nostra vita o i canali lungo i quali scegliamo di orientare la nostra esistenza.

Psicologia delle differenze

Le persone differiscono fra loro nel modo in cui costruiscono la realtà dei loro eventi. Le differenze tra le persone non dipendono (sol)tanto dall’avere esperito eventi diversi, ma dal modo con cui hanno costruito tali eventi. Il riferimento alla dimensione “interna” di interpretazione spiega come mai due persone sottoposte ai medesimi stimoli ambientali, (re)agiscano in modi del tutto differenti. Il sistema costruttivo di una persona varia a seconda di come, di volta in volta, essa costruisce la replica degli eventi medesimi, mentre i processi psicologici di una persona sono simili a quelli di un’altra persona, nella misura in cui la prima costruisce l’esperienza in modo simile alla seconda. In tal senso è possibile poter parlare di corrispondenze, ma mai di correlazione causa-effetto. Per la psicologia costruttivo-interazionista i medesimi contenuti (sintomi) possono avere processi di costruzione differente. Al contrario, processi dissimili (eziologia) possono avere contenuti (sintomi) abbastanza uguali.

Il problema è sempre la migliore soluzione

L’aspetto che più dovrebbe interessare l’occhio del clinico non è tanto l’inquadramento diagnostico del disagio riportato, quanto il saper cogliere le implicazioni collegate alla vita di quelle specifiche persone sia rispetto ai modi con cui tale disagio si esprime, sia rispetto alla remissione di quel “sintomo” manifestato. Per la psicologia interattivo-costuttivista il disturbo della persona non può essere separato dalla sua identità. Il modo in cui una persona si deprime, manifesta una disfunzione erettile o un vaginismo, accuserà uno stato d’ansia o un disturbo psicosomatico, sarà diverso da quello di un’altra: possono esserci degli aspetti in comune, come ad esempio i pensieri negativi, le preoccupazioni, ecc.., ma il contenuto dei pensieri sarà sempre particolare. La teoria costruttivo-interazionista definisce un disturbo psicologico come qualsiasi costruzione personale che venga usata ripetutamente nonostante una continua invalidazione. Una persona è in difficoltà quando il sistema di costrutti che usa la tradisce, quando non può dare un senso a ciò che le accade. E’ allora che può sviluppare quelli che sono noti come ‘sintomi’.
La psicoterapia dovrebbe far sentire alla persona che sta tornando a vivere”
“Scopo della psicoterapia costruttivista è quello di aiutare una persona a ri-costruire la propria vita senza che essa rimanga vittima del proprio passato” (George  Kelly)
“Proprio come lo studente ricercatore che non sa organizzare un progetto di ricerca in una domanda adeguata, il paziente spesso è così vicino al problema da non saper distinguere la foresta dagli alberi. La psicoterapia deve cominciare non fornendo risposte, ma generando domande migliori a mano a mano che vengono prese in considerazione costruzioni alternative. Il modo in cui il problema è formulato è di solito parte del problema stesso” (Trevor Butt)

Quale Diagnosi?

Il primo scopo di una misura psicologica, in situazione clinica, è cercare di vedere i sentieri lungo i quali la persona è libera di muoversi e il primo scopo di una diagnosi clinica è fare una mappa della direzione di movimento che è attualmente disponibile. (G.Kelly)
L’approccio costruttivista considera la persona come un sistema di conoscenze impegnato in una continua attività costruttiva della propria realtà. Nel suo continuo divenire, il sistema tende verso livelli di maggiore complessità e di ordine interno, cercando di mantenere un adattamento dinamico con l’ambiente (e con l’ambiente sociale in particolare) e di conservare il proprio senso di identità personale.
Partendo da tali presupposti, la cosiddetta “malattia” viene concettualizzata come un disturbo nel processo di elaborazione del sistema stesso e non come un’entità indipendente dal paziente, definibile secondo criteri esterni al sistema personale del soggetto. Si tratta, quindi, della scelta da parte del sistema di costrutti personali di non modificarsi in relazione alle modificazioni che percepisce nell’ambiente da esso definito al fine di mantenere un adattamento.
La cosiddetta “guarigione” è, invece, rappresentata dalla acquisita possibilità da parte del sistema di operare nuove elaborazioni. In sede di terapia è possibile individuare le caratteristiche strutturali del sistema responsabili dell’arresto del suo sviluppo e, attraverso opportune tecniche – scelte in base delle dimensioni diagnostiche ritenute implicate nel disturbo – favorire la modificazione di tali caratteristiche al fine di permettere al paziente la ripresa del movimento elaborativo.
“Nessuno abbandona alla leggera il suo attuale contatto con la realtà: è una scelta costellata di minacce e difficoltà. L’incoraggiamento di nuove costruzioni è un esercizio creativo che rappresenta chiaramente la forma più radicale che la psicoterapia può prendere” (Trevor Butt)
Le persone richiedono un aiuto terapeutico quando sentono di non poter affrontare la vita o uno specifico evento della loro vita.
Pertanto, nella relazione di consulenza clinica così intesa, la persona è l’esperta di se stessa, della sua storia; ha un’intima e profonda conoscenza del contenuto del problema. Il terapeuta, invece, è un esperto delle tecniche conversazionali utili a indagare e elaborare il materiale della persona, metterla in reazione con ciò che, fondamentalmente, è impegnata a fare: organizzare l’esperienza in un modo che le permetta di poter mantenere e giocare un ruolo nella relazione con il mondo”.

Cambiamento

La teoria dei costrutti personali guarda al cambiamento come al modo di interpretare le cose, non come al comportamento: “l’attenzione è sulla filosofia generale della persona piuttosto che sul condizionamento di specifici comportamenti” . Il cambiamento è possibile solo nella misura in cui la persona percepisce come significativo il movimento che sta realizzando nella sua vita.
Nella sua esposizione dei progetti psicoterapeutici, Kelly descrive otto livelli di cambiamento, distinguendoli l’uno dall’altro sulla base del diverso e sempre maggiore grado di creatività ed elaborazione del sistema.
1. Il primo livello di cambiamento è quello per contrasto. Tale cambiamento è piuttosto superficiale, poiché la dimensione di significato rimane la medesima, semplicemente il sé si sposta da un polo all’altro di uno stesso costrutto. Esso è spesso improvviso, ma poco duraturo, poiché la persona può andare incontro ad invalidazioni non anticipate. Il cambiamento per contrasto è abbastanza semplice da realizzare, tuttavia è importante prestare attenzione alle implicazioni, spesso complesse, che esso può avere per altri aspetti della visione del mondo generale della persona.
2. Il secondo livello di cambiamento consiste nella scelta di un altro costrutto, già presente all’interno del repertorio di costruzioni a disposizione della persona. Anche se lo spostamento può apparire superficiale e leggero, tuttavia esso può implicare un cambiamento più vasto all’interno del sistema di costrutti: la persona, per esempio, può raggiungere una miglior capacità di discriminazione ed un maggior potere predittivo.
3. Il terzo livello di cambiamento ha a che vedere con l’aumento del livello di consapevolezza cognitiva: alcuni costrutti non verbali, pre-verbali o verbali poco definiti diventano via via più espliciti e la persona comprende maggiormente il perché di alcuni suoi comportamenti ed è in grado di spiegarli anche attraverso le parole
4. Il quarto livello di cambiamento concerne la verifica della coerenza interna del sistema di costrutti personali: gli apparenti contrasti vengono risolti, i dilemmi vengono superordinati, le incoerenze vengono riconosciute e ad esse viene attribuito un significato. Ciò che accade è che l’organizzazione gerarchica del sistema viene ristrutturata, riuscendo ad individuare un costrutto superordinato che possa risultare comprensivo rispetto alla contraddizione prima esistente.
5. Il quinto livello di cambiamento riguarda la verifica della validità predittiva dei costrutti, il che per la persona implica divenire un buon osservatore e raccogliere prove per validare o invalidare le proprie convinzioni. Tale atteggiamento di apertura nei confronti della rielaborazione ha a che fare con la proposizionalità della persona stessa e ne migliora la capacità di anticipazione, riducendo inoltre la sua ansia.
6. Il sesto livello di cambiamento consiste nell’aumento o nella riduzione del campo di pertinenza di un costrutto, il quale viene applicato in modo più esteso per comprendere un maggior numero di eventi o, viceversa, viene reso obsoleto attraverso una costrizione a pochi eventi. Tale cambiamento ha spesso a che fare con i ruoli che le persone rivestono nella loro vita (es. figlio, padre).
7. Il settimo livello di cambiamento riguarda la rotazione degli assi di riferimento di un costrutto. Questo implica che il significato del costrutto in oggetto viene modificato, come anche le sue relazioni con il resto del sistema. Ciò comporta un cambiamento piuttosto profondo all’interno del sistema di costrutti della persona ed un grande atteggiamento creativo: gli elementi appartenenti al campo di pertinenza di un certo costrutto possono passare da un suo polo al polo opposto.
8. L’ottavo e ultimo livello di cambiamento descritto da Kelly concerne la creazione di nuovi costrutti. Questa è la massima espressione di creatività: attraverso tale processo la persona acquisisce nuovi significati. Le vecchie dimensioni non vengono solo sostituite da nuove costruzioni, ma vengono anche abbandonate, sospese. Grazie a questo tipo di cambiamento, la persona vede il mondo da una prospettiva completamente nuova e ciò le fornisce dei vantaggi prima inesistenti.


Dal Sito:interattivamente.org

martedì 14 luglio 2020

Estate che ansia! Come mai i sintomi si intensificano durante l'estate?


Con l’arrivo dell’estate, le giornate cominciano ad essere più calde e soleggiate, le possibilità di uscire e stare fuori casa diventano più frequenti e, questo, solitamente, comporta un maggiore benessere.

D’altra parte, per tante persone, questo momento dell’anno coincide anche con l’inizio e l’intensificarsi di diversi sintomi d’ansia che durante l’anno sembrano restare più “sotto-pelle”, causando così, durante questo periodo, un maggior senso di disagio e un limite della percezione della propria libertà di movimento (minor senso di autonomia).

Infatti, durante questo periodo, il maggior numero di chiamate che ricevo come psicologo sono inerenti a tematiche di tipo ansioso.

Ma perché d’estate si avverte più ansia?

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo anzitutto comprendere come funzionano, o meglio come “avvertiamo” le nostre emozioni.
Le emozioni non sono solamente stati mentali che avvengono nel nostro cervello ma corrispondono più che altro, ad un modo di sentire che ci coinvolge interamente, con tutto il nostro corpo.

Cosa significa? 

Per intenderci, quando ci sentiamo allegri per un dato evento o una certa circostanza, ci sentiamo anche attivi ed energici, ci sentiamo più aperti verso l’ambiente (e questo succede anche se decidiamo di restare a casa a guardare un film).
L’ansia invece, con i suoi correlati fisiologici, produce un senso di allarme e di attesa, e questo generalmente provoca una maggiore “anticipazione” rispetto agli eventi quotidiani, che tradotto significa avvertire in anticipo e con angoscia quello che ci attende o ci apprestiamo a fare, con pensieri quali: “se entro nel locale mi sentirò male!” “andrà tutto bene domani al mare?”  “E se mi veniise qualcosa mentre siamo al ristorante?” “Come faccio con le vacanze?” e così via..).
In pratica, si è immersi e a volte invischiati, in una sorta di film mentale in cui si anticipano gli eventi da affrontare.
Quello che comunque è importante comprendere, è che a seconda dello stato emotivo che ci appartiene in certo momento (buonumore, tristezza, timore, ansia), corrisponde anche un senso di sentirsi nei confronti del mondo, di se stessi e degli altri

  • Gioia⇒maggiore spinta verso il mondo e gli altri.
  • Tristezza⇐minore spinta verso il mondo e gli altri (ma anche una certa apertura verso se stessi).
  • Ansia↔maggiore spinta all’anticipazione degli eventi e (contemporaneamente) minore senso della propria capacità di autonomia.

Questo avviene perchè la mente e il corpo sono un tutt’uno e tra i due non c’è separazione ma comunione, intreccio.
Adesso possiamo meglio comprendere come mai d’estate aumentano i sintomi d’ansia, e per farlo ci serviremo di un esempio di vita quotidiana.

I sintomi d’ansia estivi

Avete presente quella sensazione di vuoto d’aria che si crea nello stomaco nel momento in cui la macchina sulla quale viaggiate attraversa un cavalcavia ad una certa velocità? (la sensazione è simile a quella che si avverte sulle giostre, per intenderci).
Ora, ad alcune persone, questa sensazione procura piacevolezza (come per quei bambini che si divertono nell’essere lanciati in aria), altre persone, invece,  al momento del passaggio dell’auto sul dosso potrebbero esserne infastidite, avvertendo un leggero giramento di testa, una vertigine o anche una sensazione di allarme generalizzato.
Lo stesso potrebbe avvenire quando si otturano le orecchie su un treno in movimento o come vedremo tra poco, proprio durante certe giornate di caldo.

Come mai accade questo?

Abbiamo detto poc’anzi che mente e corpo sono un tutt’uno.
Tutti noi sappiamo infatti che le emozioni possono influenzare il nostro corpo ( ad esempio uno stress prolungato può provocare un mal di stomaco, gastrite etc.) ma quello che molti non sanno è che, nella direzione opposta, i segnali provenienti dal nostro corpo possono influenzarci emotivamente (ad esempio l’aumento del battito cardiaco può aumentare l’ansia)
Cioè, alcuni segnali provenienti dal nostro corpo potrebbero in determinate circostanze generare un vissuto di ansia e, col primo caldo dell’estate, sono diversi i segnali provenienti dal corpo che possono influenzarci emotivamente e generare ansia.

Quali sono i segnali principali che generano ansia?

I segnali principali provenienti dal corpo che causano ansia durante questo periodo sono:

  • il caldo e la sudorazione
  • l’afa e i cambiamenti del battito cardiaco;
  • la luce e la maggiore attivazione fisiologica  (specialmente quella solare)
  • altri segnali non specificati.

A questo punto, potremmo giustamente chiederci:

come mai questo non avviene ogni volta?
cioè, perchè un giorno si avverte una forte ansia durante una bella giornata di caldo mentre in altri giorni e situazioni simili non si avverte lo stesso disagio?
Se è il caldo ad essere responsabile della nostra ansia, perchè quando siamo al mare potremmo sentirci rilassati e per nulla ansiosi?

Per due motivi fondamentali:

Il primo motivo sta nel fatto che questo è soltanto uno dei meccanismi responsabili di una certa quota di ansia vissuta durante questo periodo dell’anno, ma esso da solo non può certamente includere tutte le diverse ragioni alla base dei vissuti d’ansia legati a questo periodo:
ragioni e motivazioni che necessitano, per ciascuno, un ascolto individuale e non certamente una lettura oggettiva quasi fosse il tagliando dell’auto. 

In secondo luogo, proprio perchè non siamo delle macchine, ciascuno di noi non risponde agli eventi e alle situazioni in maniera sempre identica. Infatti non ci arrabbiamo, soffriamo, gioiamo e amiamo sempre allo stesso modo ma tutto dipende dai contesti, dalle persone e dai momenti di vita nei quali siamo immersi.

In sostanza?

Quando diciamo che i primi segnali di caldo dell’estate sono generalmente portatori di una maggiore ansia, dobbiamo tenere presente che non è certamente il solo caldo in sè l’artefice degli stati ansiosi di cui si fa esperienza.
Questi, come abbiamo detto, sono generalmente responsabili di un acuirsi di una condizione che è sotto-pelle, sotto-traccia durante il resto dell’anno.
Infatti, proprio perchè si parla di un acuirsi, ciò significa che è molto difficile che l’ansia venga sperimentata unicamente durante questo periodo, mentre, è molto più probabile che essa sia presente anche durante il resto dell’anno, anche se in estate  può presentarsi con maggiore intensità.

Come si spiega?

Il perchè ciò accada dipende non solo dai fattori summenzionati (caldo, afa, etc..) ma anche da una certa inclinazione da parte di molti ad accogliere i segnali proveninti dal corpo con un senso di maggiore allarme ( molte volte in maniera del tutto inconsapevole). E dato che durante questo periodo dell’anno i segnali provenienti dal corpo sono più intensi, ecco che questo periodo diventa particolarmente delicato e disagevole.

Conclusioni

Abbiamo brevemente illustrato uno dei meccanismi responsabili della maggiore sensazione di ansia avvertita con l’inizio e durante il periodo estivo. Abbiamo detto che le sensazioni provenienti dal corpo, maggiormente stimolato durante questa stagione dell’anno, potrebbero concorrere ad un senso di ansia più forte.
Non si tratta di un singolo meccanismo in azione ma solitamente della combinazione di più canali.
Tuttavia,  va subito precisato, che chi è solitamente incline a certi vissuti d’ansia e di sofferenza non dovrebbe per questo considerarli come un fatto scontato e inevitabile della propia esistenza.
Ciò che ci contraddistingue come esseri umani non è la staticità e l’inflessibilità ma al contrario la nostra naturale predisposizione al cambiamento, specie da uno stato di malessere e di disagio.
Noi esseri umani non siamo nè tavoli, nè case, nè macchine, non siamo oggetti, ma individui in carne ed ossa, e in quanto tali aperti al divenire, al cambiamento della nostra storia di vita.
Per questo è fondamentale rompere il meccanismo del sintomo ansioso e comprenderne i significati, perchè ciò vorrebbe dire non solo gestire la sofferenza e il disagio, ma aprirsi a se stessi,  al mondo e agli altri nella propria irripetibile unicità, con la propria identità più autentica.

Dott. Diego Chiariello
Psicologo-psicoterapeuta


Dal Sito: pdicologo-pagani.it

giovedì 4 giugno 2020

Psicologo o Psicoterapeuta, Psichiatra o Neurologo, Counselor o Coach




Un bel giorno della nostra vita, può capitare che tutti gli sforzi fatti fino a quel momento per “stare bene”, non reggano più il peso di un disagio che si fa strada sempre più prepotentemente dentro di noi.

A volte si tratta di una reazione a qualcosa che è accaduto senza che noi potessimo farci niente, facendoci sentire impotentiarrabbiati e tristi, come la perdita di una persona cara, una malattia, l’abbandono della persona amata, un licenziamento…

Altre volte, sentiamo solo che abbiamo perso la “voglia di vivere” e l’entusiasmo per le piccole cose, sostituiti da un senso di noia e di frustrazione.

Sentiamo, allora, la necessità di rivolgerci a qualcuno che abbia le giuste competenze per poterci dare una mano a superare questo malessere e a ritrovare la serenità perduta.

Ma qual è la persona giusta per noi?

Esistono molte figure di aiuto in ambito psicologico e di vita in generale e non sempre è chiara la distinzione tra una e l’altra.

Vediamole insieme una per una per capire meglio a chi rivolgersi per risolvere i propri disagi.



Chi è lo psicologo?

E’ una persona che utilizza le sue competenze professionali per accompagnarti nell’esplorazione e comprensione di te stesso e/o dei tuoi eventuali dubbi, difficoltà, disagi e preoccupazioni.

Lo psicologo non può prescrivere farmaci, ma può aiutarti attraverso colloqui di sostegno, consulenze, tecniche di rilassamento, ecc.

Il percorso di studi dello psicologo consiste in:

  • laurea in psicologia;
  • tirocinio pratico post laurea di almeno 1 anno;
  • superamento dell’esame di stato per l’abilitazione alla professione;
  • iscrizione all’albo professionale degli psicologi sezione A (nella sezione B si può iscrivere chi ha conseguito la laurea junior dopo 3 anni di studi, ma non può dirsi psicologo né esercitare la professione di psicologo).

Senza aver svolto tutte queste tappe non ci si può definire “psicologi” e per la legge è un “esercizio abusivo della professione”.

Chi è lo psicoterapeuta?

Lo psicoterapeuta è uno psicologo o un medico che si è specializzato in psicoterapia dopo essersi diplomato presso una scuola, riconosciuta dallo Stato, della durata di almeno 4 anni (più un tot. di ore di tirocinio pratico professionalizzante).

L’intervento dello psicoterapeuta è più profondo di quello dello psicologo e può durare molto più a lungo proprio perché va a lavorare su dinamiche più “antiche” ed utilizza tecniche specifiche.

Anche lo psicoterapeuta (ad esclusione dei medici specializzati in psicoterapia) non può somministrare farmaci.

Non tutte le psicoterapie sono uguali: esistono metodi, anche molto diversi tra loro, che hanno alla base tecniche specifiche che si riferiscono ad un particolare modello di riferimento.

Il percorso di studi dello psicoterapeuta consiste in:

  •  laurea in psicologia o medicina e chirurgia;
  • tirocinio pratico post laurea di almeno 1 anno;
  • superamento dell’esame di stato per l’abilitazione alla professione;
  • iscrizione all’albo professionale degli psicologi con aggiunta alla sezione degli psicoterapeuti;
  • tirocinio professionalizzante contestuale al corso di specializzazione;
  • diploma di specializzazione presso una scuola di psicoterapia di almeno 4 anni riconosciuta dallo Stato.

Senza aver svolto tutte queste tappe non ci si può definire “psicoterapeuti” e per la legge è un “esercizio abusivo della professione”.

Chi è lo psichiatra?

Lo psichiatra si occupa delle malattie mentali e, in quanto medico, può intervenire farmacologicamente sui disturbi psichici ponendo maggiore attenzione al sintomo e alla sua risoluzione.

A seconda dell’approccio che segue, lo psichiatra, può anche intervenire a livello psicologico o lavorare con altri professionisti della salute mentale.

Il percorso per diventare psichiatra consiste nel superare le seguenti tappe:

  •  laurea in medicina e chirurgia;
  •  tirocinio pratico post-laurea;
  • superamento dell’esame di stato per l’abilitazione alla professione;
  •  iscrizione all’albo professionale dei medici chirurghi;
  • specializzazione in psichiatria;
  • tirocinio professionalizzante.

Solitamente si rivolge allo psichiatra chi:

  • ha bisogno di un supporto farmacologico per superare un momento particolarmente difficile (meglio se contestualmente a una psicoterapia);
  • soffre di gravi disturbi mentali (psicosi, schizofrenia, disturbo bipolare, ecc);
  • soffre di disturbi mentali che richiedono una terapia farmacologica.

Chi è il neurologo?

Il neurologo è un medico specializzato in neurologia e si occupa delle patologia legate al Sistema Nervoso Centrale, al Sistema Nervoso Autonomo e al Sistema periferico somatico.

Fino agli anni ’70, la figura del neurologo e quella dello psichiatra, erano unite sotto il termine di “neuropsichiatra” ma, anche in seguito alla riforma inspirata da Franco Basaglia, vennero distinte in due specializzazioni con oggetti di studio differenti: “Neurologia” e “Psichiatria”.

Il percorso per diventare neurologo consiste nel superare le seguenti tappe:

  • laurea in medicina e chirurgia;
  • tirocinio pratico post-laurea;
  • superamento dell’esame di stato per l’abilitazione alla professione;
  • iscrizione all’albo professionale dei medici chirurghi;
  • specializzazione in neurologia;
  • tirocinio professionalizzante.

Si rivolge al neurologo chi soffre di patologie come le seguenti:

  • morbo di Parkinson;
  • morbo di Alzheimer;
  • sclerosi multipla;
  • ictus;
  • cefalee;
  • epilessia;
  • malattie neuromuscolari;
  • tumori e malattie cerebrovascolari;
  • paralisi;
  • distonie;
  • lesioni o malformazioni del sistema nervoso in genere.

Chi è il counselor?

Il counselor svolge attività di “counseling” che viene così definito da AssoCounseling: «[…] un intervento informativo, esplicativo e di supporto finalizzato non tanto a trovare soluzioni, ma a far sì che il cliente mobiliti le proprie risorse per convivere meno dolorosamente con la propria situazione di vita reale nel quotidiano».

Il TAR del Lazio, con la sentenza 13020/2015, ha disposto la cancellazione di Assocounselling dall’elenco delle attività non regolamentate di cui alla L. 4/2013 e afferma che i counselor non hanno alcuna competenza per gestire il disagio psichico che attiene alla sfera della salute.

La suddetta sentenza dispone che il disagio psichico, anche fuori da contesti clinici, rientra nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo e che la gradazione del disagio psichico, dunque, presuppone una competenza diagnostica non riconosciuta ai counselors.

coaching2

Chi è il coach?

Il coach svolge attività di “coaching” ai propri clienti che vengono chiamati “cochee”.

Wikipedia definisce il coaching come “una strategia di formazione che, partendo dall’esperienza di ciascuno, si propone di operare un cambiamento, una trasformazione che possa migliorare e amplificare le proprie potenzialità per raggiungere obiettivi personali, di team e manageriali.

Nel coaching, il presupposto è che ogni persona possieda delle potenzialità latenti che il coach tirerà fuori insegnando al cliente come utilizzarle per raggiungere i propri obiettivi.

A differenza del counselor, che è più una figura legata all’ascolto, il coach è più un allenatore sul campo della vita che offre al cliente gli strumenti che gli permetteranno di rafforzare la propria efficacia e la propria prestazione.

Il coaching non può essere utilizzato come terapia sostitutiva in caso di patologie psichiche particolari o legate a disturbi della personalità.

Attualmente, in Italia, il titolo di “coach” non ha valore legale e non vi sono albi professionali a cui iscriversi.

 


Dott.ssa Sarah Pederboni


Dal Sito: psicologiabenessere.it

venerdì 30 agosto 2019

Quali scuse ci inventiamo per non andare dallo psicologo?


“Non ho bisogno di andare dallo psicologo, perché non sono matto”. Quante volte abbiamo sentito questa frase in una conversazione tra amici, tra una coppia, in una discussione tra più persone o in una trasmissione televisiva?Eppure è un’affermazione molto sbagliata!

Se andiamo da un avvocato per risolvere delle questioni legali o dal medico quando abbiamo la tosse, perché non andare dallo psicologo quando non sappiamo gestire certe situazioni, quando ci sentiamo stressati o quando abbiamo dei problemi familiari?

Non tutto si riduce a un’alienazione mentale. La psicologia oggigiorno può trattare e migliorare tutti i campi e i contesti della persona. Tuttavia, sebbene stia acquisendo un valore sempre più positivo, la scelta di consultare uno psicologo è ancora accompagnata da numerosi pregiudizi. Le persone inventano innumerevoli scuse per non andare dallo psicologo, ma quali sono le più usate?

Scuse più comuni per non andare dallo psicologo

“Mi piacerebbe, ma non ho tempo”

Per la salute c’è sempre tempo. E se non lo troviamo, significa che lo stiamo usando per altre cose che probabilmente non sono così importanti. Coltivare il tempo per la mente e il corpo è molto utile per mantenere il buon umore e migliorare il rendimento negli impegni da affrontare ogni giorno.

Per questo motivo, risulta molto vantaggioso organizzarsi. A maggior ragione se abbiamo anche dei bambini. Se siamo abituati ad andare a fare la spesa due volte a settimana, possiamo andare al supermercato solo uno dei due giorni e dedicare l’altro a noi stessi. Tale tempo “risparmiato” possiamo utilizzarlo, per esempio, per andare dallo psicologo, fare sport, rilassarci con un bagno caldo, leggere, passeggiare…

“Non voglio raccontare le mie cose intime a un estraneo”

Se raccontate i vostri problemi di coppia a un’ amica, sapete che vi darà un consiglio da un punto di vista soggettivo. Ma un amico non è uno psicologo, uno psicologo dal canto suo non è nemmeno un consulente. Sebbene la cerchia sociale di una persona sia utile per proteggerla da certi disturbi, a volte sfogarsi non è sufficiente.

È la relazione che si mantiene tra il paziente e lo psicologo a rendere il processo oggettivo e professionale. Il terapeuta non giudica né censura e mantiene una riservatezza assoluta riguardo a ciò che viene raccontato dal paziente. Ma l’aspetto più importante è che offre delle soluzioni.

“Non sto così male da dover andare dallo psicologo”

E meno male! Nessuno può sopportare un malessere costante per l’intera giornata,anche quando attraversiamo un periodo particolarmente difficile. Tuttavia, se un malessere non si manifesta, non vuol dire che non esiste, bensì si nasconde finché qualcosa non lo fa “svegliare”.

Per caso andiamo dal dottore solo quando avvertiamo dolori articolari talmente forti da non poterci alzare dal letto? Non sarà meglio sapere che abbiamo la fibromalgia il prima possibile e poter ricorrere a un rimedio, invece di usare delle scuse per non andare dallo psicologo? Se, ad esempio, non siamo capaci di controllare l’ansia dobbiamo imparare a farlo. In tal senso, meglio prima che dopo.

“Il tempo cura tutto”

L’avanzare del tempo allevia una reazione inizialmente impulsiva. Vale a dire, ci permette di osservare le difficoltà da diverse prospettive e/o occultare il dolore. Tuttavia, purtroppo il passare degli anni non ha proprietà terapeutiche.

Molte volte invece di calmarci, dilata il nostro problema. Un problema che avremmo potuto risolvere in pochi mesi ci mortifica per anni, perché non siamo stati capaci di trovare una soluzione in tempo e l’abbiamo nascosto sotto il tappeto.

“Non ho soldi per pagare uno psicologo”

È evidente che non disponiamo tutti delle stesse risorse economiche, ma ciascuno di noi indirizza i propri mezzi verso le cose che contano di più. Molte volte, spendiamo più di 1.000 euro per un telefono, ma quando si tratta di salute, di solito non siamo così ben disposti a spendere.

Se invece il problema economico risulta essere più grave, oggi esistono alcune fondazioni o ONG che offrono un supporto psicologico gratuito. La consulenza on-line, inoltre, è uno strumento economico sia per il paziente che per il professionista.

“Non voglio prendere pillole”

Il lavoro che fa lo psicologo non prevede la prescrizione di medicinale. Il suo lavoro è essenzialmente terapeutico. È lo psichiatra che si impegna a regolarizzare a livello farmacologico i pazienti, attraverso l’ingestione di certe pillole come gli psicofarmaci.

Tuttavia, l’assunzione di certi medicinali non deve essere motivo di stigmatizzazione,perché talvolta sono fondamentali per il trattamento e migliorano diversi disturbi. Se una delle nostre ghiandole non funziona adeguatamente, è necessario riequilibrarla altrimenti può alterare vari aspetti della nostra vita: le nostre emozioni, il nostro appetito, il sonno o il desiderio sessuale.

“La gente non cambia”

Se noi psicologi credessimo questo, la nostra professione smetterebbe di esistere: crederemmo che le persone non siano capaci di imparare né di evolvere. Ma la realtà è ben lontana da tutto ciò. Si può cambiare con l’impegno e la costanza. L’unico ostacolo che ci impedisce di continuare a migliorarci è quello che imponiamo a noi stessi.

Quando ciò che vogliamo modificare riguarda un tratto fondamentale della nostra personalità, come per esempio l’introversione, il cambiamento è più complesso, in quanto risulta essere più radicato nella vita della persona, ma non è impossibile.

“Un mio amico l’ha provato e non gli è servito”

Ciascuno di noi vive le proprie esperienze e ha i suoi punti di vista, idee, abitudini e sensazioni. E proprio come ci dicevano spesso le mamme e le nonne: molte volte i paragoni sono detestabili. Un’idea basata sulle brutte esperienze altrui non è una verità, ma un pregiudizio.

D’altro canto, come in tutte le professioni, non tutti gli psicologi sono bravi o hanno come priorità il bene del paziente. Questo non vuol dire che la maggior parte dei professionisti siano incompetenti.

Che cosa si nasconde dietro le scuse per non andare dallo psicologo?

Tutte queste scuse per non andare dallo psicologo celano un certo grado di vergogna e paura. Si prova vergogna, in quanto ancora oggi esistono molti pregiudizi riguardo alla decisione di consultare uno psicologo, gli altri penseranno che siamo strani. Vi sono anche la paura di stare male e soffrire.

Le persone non vogliono esporsi a livello emotivo. Abbiamo paura di rivivere le cose che ci hanno fatto soffrire tanto. Ma a volte non ci rendiamo conto che quel dolore dal quale stiamo cercando di fuggire è lo stesso che proviamo tutti i giorni quando vogliamo azzittirlo.

Non vi è mai successo di sentirvi meglio, più sollevati,  anche solo dopo aver pronunciato ad alta voce quello che vi faceva stare male? Immaginati come vi potrete sentire meglio neutralizzando ciò che vi ha paralizzato per tanti anni. Avverrà quando direte al vostro psicologo: perché non sono venuto prima!

 Dal sito: focus-psicologia.it 

lunedì 10 giugno 2019

Chi va dallo psicologo non è matto, è una persona in grado di amare se stessa

Come psicoterapeuta, mi capita spesso di incontrare in studio persone dotate di salute mentale, ma sofferenti, a causa della patologia sociale in cui viviamo immersi. Mi sono resa conto che, dagli adolescenti agli adulti, dietro a tante richieste di aiuto si cela spesso una struttura di personalità dotata di sensibilità, creatività, empatia e intuizione, oltre che a grande senso critico e introspettivo.


Ma nello specifico, oggi volevo soffermare l'attenzione su quei luoghi comuni errati alla base del timore dello psicologo. Mi ė capitato di sentire dire "basta la famiglia ad aiutare chi è in crisi" oppure “faccio da solo/a” o ancora "mica sono matto, dallo psicologo ci va solo chi sta male davvero", oppure ancora "Perchè devo andare dallo psicologo? Posso farcela da solo con le mie forze!".

Questi sono pregiudizi infondati e cerco di spiegare il perché: la famiglia non sempre può essere di aiuto, poiché spesso i peggiori contrasti si celano in casa. Ė vero che ci di può aiutare da soli, ma avere qualcuno che oggettivamente legge i problemi e non trova un soluzione, ma aiuta il paziente a trovare la giusta chiave per risolverli. Andare dallo psicologo significa darsi l’opportunità di comprendere e sciogliere un sintomo, un malessere interiore, per dare la possibilità di liberarci da quel disagio profondo che non consente di vivere serenamente la propria vita.

L’obiettivo di ogni terapia è di aiutare la persona a rendersi capace di gestire e orientare la propria vita secondo le proprie scelte, in piena autonomia e libertà. La sofferenza emotiva è meno accettata dalle persone rispetto a quella fisica: se i problemi sono fisici, infatti, è più facile poter chiedere aiuto, ma quando si tratta di emozioni tutto si complica.

Vissuta come elemento negativo della nostra esistenza, alla sofferenza psicologica vengono associati termini come fragilità, debolezza, dipendenza; per questo motivo diventa così difficile chiedere aiuto quando si tratta di stare male emotivamente, perché ci si convince che così ci si possa rendere ridicoli. In realtà, chiedere aiuto per uscire da una sofferenza psicologica è l’atto più coraggioso che si possa fare; ostinarsi a non chiedere aiuto, convincendosi di dovercela fare da soli ad ogni costo, può risultare controproducente e rischia di aggravare il disagio psicologico, piuttosto che risolverlo davvero.

Lo psicoterapeuta è formato a non giudicare secondo principi morali, ma cercare di capire e dare voce alle emozioni aggrovigliate. Spesso noto che i pazienti esprimono sollievo già solo nell’essere accolti ed ascoltati in silenzio da un'altra persona. Il terapeuta non impartisce lezioni di vita, ma si fa strumento della psicoterapia per rendersi utile al paziente. E’ attraverso la relazione con il terapeuta, infatti, che il paziente conosce e diventa pienamente consapevole di se stesso, trovando nuovi modi alternativi e più funzionali alla risoluzione del disagio che l’ha condotto dallo specialista.

Chi va dallo psicologo dunque dimostra a se stesso e agli altri di essere una persona che si permette di desiderare la felicità e il benessere, superando i momenti di fragilità e difficoltà. Chi intraprende un percorso psicologico sa chiedere aiuto per i problemi emotivi e affettivi, decidendo di volersi prendere cura di se comprendendo di non riuscire a farcela da solo. Penso sia importante sottolineare che chi va dallo psicologo coraggiosamente accetta la possibilità e il rischio di conoscersi profondamente e autenticamente nelle proprie risorse e nei propri limiti.

D.ssa Ernestina Fiore Psicologa Psicoterapeuta

Dal Sito: targatocn.it 

venerdì 22 marzo 2019

Psicologo, psicoterapeuta, psichiatra: in caso di disagio a chi mi devo rivolgere?

Uno stato di disagio e il disagio di quale professionista scegliere

Stiamo vivendo un disagio che da tempo ci attanaglia e compromette la qualità della nostra vita tenendoci bloccati e facendoci soffrire? Ansia, depressione, attacchi di panico, perdita di memoria, comportamenti bizzarri… Non sottovalutiamo certi vissuti… né quelli che viviamo in prima persona, né quelli delle persone care che ci stanno attorno.

Per prenderci cura in modo corretto di noi stessi è importante, innanzitutto, essere consapevoli che qualcosa nella nostra vita non va. Questo non significa essere pazzi o deboli, significa semplicemente essere coscienti che ci troviamo in un momento di disagio, di difficoltà e chiedere aiuto, il giusto aiuto, è la soluzione migliore per uscire da una situazione che ci vede intrappolati in schemi e modalità comportamentali poco efficaci, anzi, deleteri…

Capire quali sono le figure professionali, che più di tutte, si occupano del benessere della salute mentale e ci possono accompagnare a migliorare una situazione che oramai ci sta stretta e che ci fa soffrire, può essere davvero di grande aiuto.

Psicologo, Psicoterapeuta e Psichiatra sono le professioni che in primis si occupano di salute mentale, a diversi livelli, e proprio per questo hanno competenze e modalità d’intervento diverse.

Al riguardo vi è parecchia confusione, ma vediamo di fare chiarezza!

Chi è lo Psicologo?

Lo Psicologo è colui che si è laureato in psicologia, in uno dei suoi diversi indirizzi: età evolutiva, clinica, di comunità, neuropsicologia, ecc… e dopo l’esame di Stato ed aver conseguito l’abilitazione, si è iscritto all’Albo professionale, ovvero all’Ordine degli Psicologi della propria regione. Questo è molto importante, in quanto consente a ciascun cittadino di verificare se il professionista al quale si sta rivolgendo è proprio chi dice di essere! La professionalità e la tutela della persona prima di tutto!

Lo Psicologo attua interventi sia a carattere individuale, sia di gruppo, sia attraverso interventi di sensibilizzazione della comunità. Si occupa di benessere e di prevenzione del disagio. Può lavorare nell’ambito dell’infanzia e dell’adolescenza (disturbi dell’apprendimento, motivazione e metodo di studio, educazione sessuale, …), a sostegno della genitorialità, in strutture quali comunità per tossicodipendenti o disabili e nelle residenze per anziani (solo per citarne alcuni).

Chi è lo Psicoterapeuta?

Lo Psicoterapeuta è lo Psicologo o il Medico, iscritto al relativo Albo, che ha conseguito una specifica formazione professionale in psicoterapia. Questa è successiva alla laurea e si realizza con un percorso post universitario della durata di quattro anni. Lo Psicoterapeuta svolge attività di prevenzione, sostegno, diagnosi, cura e riabilitazione, in modo a volte più mirato di uno psicologo, proprio alla luce del percorso formativo svolto. E’ lo specialista che si occupa di psicoterapia: attraverso strumenti clinici e la relazione terapeutica, è in grado di accompagnare la persona verso un processo di cambiamento volto al raggiungimento di un migliore stato di equilibrio e alla riscoperta del sé.

La psicoterapia è un viaggio che ci consente di raggiungere l’autonomia: consapevolezza, spontaneità, intimità. Migliora la nostra qualità di vita, dandoci la possibilità di decidere il nostro destino.

Ci aiuta ad acquisire nuovi strumenti per dare il giusto significato all’esperienza e risolvere in modo efficace, attivo e propositivo i problemi. Inoltre rappresenta una garanzia per il nostro benessere futuro: permette di creare un circolo virtuoso di pensieri-emozioni-comportamenti per mantenere una buona qualità di vita.

Lo Psicologo-Psicoterapeuta non può prescrivere farmaci, ma se lo ritiene opportuno, si avvale di uno Psichiatra di fiducia che possa seguire il cliente nella parte farmacologica.

Chi è lo Psichiatra?

Lo Psichiatra è colui che si è laureato in medicina e che si è poi specializzato in psichiatria. Lo Psichiatra studia gli aspetti organici della psiche e dei disturbi mentali. Pone attenzione soprattutto ai sintomi e su di essi interviene principalmente da un punto di vista farmacologico.

Il sostegno attraverso il farmaco, in alcune condizioni di disagio psichico, è molto importante. Proprio per questo è fondamentale rivolgersi ad un esperto che possa dare le giuste indicazioni. E’ opportuno diffidare da consigli di amici o finti esperti che non siano Psichiatri! Potrebbe essere più dannoso che benefico…

Accanto al supporto farmacologico, spesse volte, è però importante affiancare anche un percorso psicoterapeutico… attenuare il sintomo è sì di grande aiuto, ma fare un passo oltre e capire da dove viene quel sintomo può essere il punto di svolta per migliorare la nostra vita.

Altra precisazione importante è che lo Psichiatra si occupa principalmente di persone adulte. Per i disagi relativi l’ambito dell’infanzia e dell’adolescenza è opportuno rivolgersi al Neuropsichiatra Infantile.

Dal Sito: vicenzapiu.com

sabato 20 gennaio 2018

Andare dallo psicologo o da uno psicoterapeuta? Perché dovrei farlo?





Nella vita tutti quanti possiamo avere momenti in cui ci sentiamo inadeguati, indifesi, angosciati o ci comportiamo in un modo che neanche noi capiamo e che troviamo preoccupante. Andare dallo psicologo  o da uno psicoterapeuta è però una decisione spesso presa con riluttanza, quasi con vergogna, anche se cercare un aiuto psicologico non è poi tanto diverso dal rivolgersi a una persona competente per questioni come un guasto alla macchina o la ristrutturazione di un appartamento.

Capire che la macchina ha bisogno del meccanico è a volte abbastanza semplice: se la macchina non mette in moto, fa rumori inaspettati o non ha un’andatura fluida, è automatico pensare che serva un meccanico. Ma come capire che è opportuno chiedere una consulenza a uno psicologo o a uno psicoterapeuta? Quali sono i problemi che dovrebbero spingere ad andare dallo psicologo?

Perché andare dallo psicologo o da uno psicoterapeuta?

In termini generali, l’aiuto di uno psicologo va cercato quando si attraversa un periodo di sofferenza psicologica che col tempo non passa o forse peggiora tanto da creare delle limitazioni, dei veri blocchi, nella vita di ogni giorno, sul lavoro, con i familiari o gli amici.

È opportuno andare dallo psicologo quando:

il vostro malessere interferisce con le cose che dovreste fare, ad esempio fate fatica a concentrarvi e sul lavoro commettete errori che prima non facevate;

i problemi non si sono risolti anche se avete chiesto aiuto a familiari e amici;

consultare il medico o altri specialisti non ha cambiato nulla;

vi sentite particolarmente preoccupati o molto tristi;

avete dei comportamenti, delle reazioni o dei pensieri che non riuscite a controllare e che neanche voi vi spiegate;

evitate situazioni che prima non vi creavano alcun disagio, ad esempio prendere un aereo o cenare fuori casa;

vi sentite tesi e avete spesso difficoltà a dormire, tachicardia e capogiri;

per stare meglio ricorrete all’alcool o ad altre droghe;

state così male da pensare al suicidio.

Alcune persone decidono di andare dallo psicologo o da uno psicoterapeuta perché si sentono troppo spesso o da troppo tempo depresse o ansiose o perché sono sempre arrabbiate. Altre hanno bisogno di un sostegno per affrontare una malattia cronica che li ha ormai svuotati d’energia. Altre ancora sono in difficoltà a causa di una separazione, un divorzio o un lutto. O non possono fare a meno di picchiare chi amano o, diversamente, non riescono ad allontanarsi da chi le maltratta e le umilia giorno dopo giorno. O ancora hanno tanta di quella paura, imbarazzo e vergogna di essere criticate dagli altri o di non essere all’altezza che se ne stanno a casa da sole.

In tutti questi casi andare dallo psicologo e chiedere una consulenza può permettere di fare il punto della situazione, di mettervi un po’ di ordine.

A volte anche pochi incontri riescono a essere d’aiuto, mentre altre situazioni richiedono un percorso di psicoterapia.

Rispetto all’andare dallo psicologo, film e telefilm offrono purtroppo descrizioni macchiettistiche, per cui lo psicologo-psicoterapeuta risolve i problemi quasi per magia in un quarto d’ora oppure costringe il paziente a una decina d’anni di trattamento.

La verità sta nel mezzo e, se da un lato è impossibile che un unico incontro sia risolutivo, dall’altro non è affatto necessario che una psicoterapia sia senza fine: in media, una psicoterapia dura più di un anno ma non è infinita.

Il punto è che ci vuole tempo per capire il problema che causa tanta sofferenza e compromette la qualità della vita, per individuarne il significato e per cambiare il modo di reagire alle situazioni  e gestire tensioni, infelicità e insicurezze.

Ci vuole tempo perché, sebbene sia un professionista adeguatamente formato che utilizza metodi e tecniche che la ricerca scientifica ha dimostrato efficaci, lo psicoterapeuta non possiede nessuna verità che, rivelata al paziente, possa miracolosamente guarirlo. Il punto è che non ci sono verità buone per tutti quanti, non ci sono scorciatoie.

Mettere a frutto le risorse che si possiedono, trovare nuovi equilibri per soddisfare i propri bisogni, insomma stare meglio è un obiettivo che si raggiunge in due. È un obiettivo che poggia cioè tanto sulla competenza dello psicoterapeuta quanto sulla personalità di chi si rivolge allo psicoterapeuta, le sue modalità di elaborazione, la sua motivazione al cambiamento, ad abbandonare modi di pensare, di fare esperienza e di comportarsi che non sono adeguati.

Rispetto a tutto ciò, lo psicoterapeuta aiuta il paziente ad aiutarsi. È come un giardiniere che ripulisce il terreno dalle erbacce e fornisce acqua, luce e nutrimento alla pianta: se la pianta cresce, dipenderà dalle cure fornite e dal modo in cui la pianta reagisce.

E qui finisce l’analogia con l’andare dal meccanico proposta all’inizio, perché lo psicoterapeuta, a differenza del meccanico, non opera semplicemente individuando il guasto e riparando il motore. La psicoterapia non è solo applicazione di una tecnica, ma è anche e soprattutto relazione empatica tra esseri umani.

Rosalia Giammetta

Dal Sito: www.quipsicologia.it

martedì 7 novembre 2017

Psicoterapia: 5 luoghi comuni da sfatare



Andare in psicoterapia è ancora oggi una scelta circondata da tanti luoghi comuni che possono purtroppo allontanare da un percorso di questo tipo e lasciare una persona in balia della sua sofferenza psichica.

1. In psicoterapia ci vanno i pazzi.

Bisognerebbe innanzitutto capire cosa si intenda per pazzia ma questo comporterebbe una riflessione un po’ troppo ampia. Più modestamente, può essere utile ricordare che uno studio di qualche anno fa, il progetto europeo ESEMeD, ha stimato che almeno un italiano su cinque soffre, nel corso della sua vita, di un qualche disturbo mentale. Più di otto milioni e mezzo di persone. Sono pazze?

Forse è più conveniente pensare che, nella vita, può capitare a tutti di stare male, di soffrire di depressione o ansia o, mettendo da parte etichette diagnostiche, di essere litigiosi col partner o coi figli a un punto tale che la vita diviene impossibile.

Probabilmente sarebbe invece più utile chiedere aiuto e decidere di affrontare un cambiamento. Fare una psicoterapia significa voler stare meglio. È una scelta di salute che permette di conoscersi meglio, mettere a fuoco le proprie risorse, affrontare in modo più adeguato le proprie tensioni, l’infelicità, l’insicurezza. Ed è un percorso che le ricerche hanno dimostrato essere efficace.

2. Parlare con un amico è la stessa cosa che parlare con uno psicoterapeuta.

La differenza c’è e gli amici non possono essere considerati come sostituti di un terapeuta, sebbene il loro sostegno sia di fondamentale importanza nella vita di ciascuno di noi. Uno psicoterapeuta mette al servizio del paziente le sue competenze per aiutarlo a considerare i suoi pensieri e le sue emozioni da altri punti di vista e a costruire nuovi modi di gestire situazioni problematiche e dolorose.

Uno psicoterapeuta non è semplicemente un professionista che ascolta in modo empatico. È anche un professionista che ha alle spalle anni di formazione e che impiega metodi e tecniche che poggiano su basi scientifiche.

3. Lo psicoterapeuta ti dice cosa fare.

Uno psicoterapeuta non dà consigli né fornisce soluzioni. È una guida che facilita l’esplorazione di se stessi e la scoperta e l’utilizzo delle proprie risorse. Ogni psicoterapeuta fa questo seguendo un suo metodo; ogni persona seguendo i propri tempi e i propri talenti. Come nel proverbio cinese Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.

4. Se uno prende i farmaci, è inutile che faccia una psicoterapia.

I farmaci intervengono esclusivamente sui sintomi e non risolvono il problema di fondo. I farmaci di per sé non costruiscono nuovi modi di essere. Possono però essere un importante supporto parallelo a una psicoterapia: ad esempio, possono placare un’ansia troppo forte mentre contemporaneamente, nelle sedute di psicoterapia, si cerca di capirne il senso e di individuare strategie per gestirla meglio.

5. È meglio uno psicoterapeuta uomo o uno psicoterapeuta donna?

È uguale. La ricerca scientifica non ha indicato alcun legame tra efficacia di una psicoterapia e sesso dello psicoterapeuta. Ciò non toglie che vi possano essere delle preferenze personali e che, ad esempio, una donna abusata dal padre si senta più a suo agio nel parlare con uno psicoterapeuta donna.


Dal Sito: www.quipsicologia.it