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giovedì 12 marzo 2020

Le emozioni negative: come gestirle?



Chi ha visto il noto film di animazione Inside Out ha trovato in esso una rappresentazione eccezionalmente accattivante e scientificamente corretta insieme di cosa possa voler dire gestire le emozioni negative e sviluppare un’intelligenza emotiva.

Eh già perché la vita di Riley, la giovane protagonista del film, non può essere fatta solo di gioia assoluta, non si può relegare la tristezza in un angolo perché non “contamini” con la sua influenza i ricordi e le vicende che accadono.

La pienezza di una vita affettivamente soddisfacente passa per un’inevitabile, e sana, “contaminazione” delle esperienze e dei ricordi che ci costruiamo di esse combinando tonalità affettive diverse, ricordi felici con altri più malinconici, aspetti soddisfacenti con altri più frustranti o deludenti delle nostre esperienze.

Sviluppare una competenza emotivasignifica saper attingere sapientemente alla tavolozza delle emozioni, essere in grado di cogliere le diverse sollecitazioni affettive dell’esperienza senza lasciarsi sopraffare da un unico stato emotivo nella sua forma assoluta e pervasiva.

 

Gestire le emozioni negative

Gestire le emozioni negative, in che modo? La domanda è senz’altro interessante ma, in una certa misura, ambigua. In che senso possiamo dire che esistono emozioni “negative”?

Come facciamo a discriminarle e ad etichettarle come tali? Si potrebbe rispondere che si tratta di una questione in fondo abbastanza semplice: potremmo considerare “negativi” tutti quegli stati affettivi che ci lasciano turbamento, un certo grado di afflizione o che comunque ci pongono nella condizione di sperimentare un vissuto a noi sgradito.

Potrebbero venirci alla mente alcuni esempi: la proverbiale tristezza citata poco prima, variazioni sullo stesso tema come scoramento, senso di abbandono o di solitudine, sentirsi inutili o impotenti; oppure rabbia, ansia, angoscia, l’elenco potrebbe dettagliarsi ulteriormente.

Tutti vissuti che sperimentiamo probabilmente con fatica e che, sebbene estremamente variegati fra loro, sembrano avere la caratteristica comune di essere vissuti con un certo grado di insofferenza, ci inducono a trovare un modo per liberarcene e cancellarle.

Ciò che più connota come “negative” certe emozioni è, dunque, l’urgenza che ne consegue di allontanarle dalla nostra esperienza.

Eliminare le emozioni negative?

Sicuri, tuttavia, che eliminare le emozioni negative corrisponderebbe ad un vantaggio per il nostro benessere psicologico? Dipende.

In una scena del film Inside Out assistiamo ad un episodio interessante: Bing Bong, l’amico immaginario di Riley – un buffo elefante rosa con una coda da procione frutto delle fantasie infantili della protagonista – piange sconsolato rendendosi conto di essere ormai soltanto un vecchio ricordo ai margini della sua mente e di non poter mai più riconquistare il centro delle sue fantasia ora che, con la preadolescenza, si affacciano nell’immaginario della bambina nuovi idoli.

Gioia, impersonando la carica assolutizzante di questa emozione, tenta senza successo di spronare Bing Bong a riconquistare l’ottimismo e il buonumore.

Sarà Tristezza, nelle fattezze di un’adorabile bimba blu goffa e paffuta, a riuscire a sintonizzarsi empaticamente con lo stato emotivo di Bing Bong e a fornirgli l’unico conforto di cui poteva aver bisogno: quello di sentirsi capito e accoltonella propria tristezza, nel senso di abbandono e di lutto che stava sperimentando.

Un lutto che è utile a Bing Bong attraversare: sarà soltanto dopo aver compreso che il suo tempo nella vita immaginaria di Riley è ormai finito che potrà decidere con consapevolezza di farsi da parte, permettendo così alle vicende di virare verso una possibile reintegrazione.

 

Tollerare la tristezza in noi stessi e negli altri

Bing Bong e la vicenda qui raccontata ci insegna qualcosa riguardo all’utilità che possono avere le emozioni negative nella nostra vita psicologica se riusciamo a tollerarle in noi stessi e a gestirle invece di cedere all’impulso di eliminarle.

Attingere alla nostra personale tristezza, alle nostre emozioni negative, è ciò che ci consente di empatizzare con quelle altrui e di costruire legami affettivi anche condividendo esperienze difficili.

Vivere le emozioni tristi, depressive e luttuose che un’esperienza può suscitarci – anche la nostra vita è costellata fisiologicamente di abbandoni come avviene nella preadolescenza di Riley – può rivelarsi un’occasione per crescere, fare spazio per accogliere nuove potenzialità di espressione della nostra personalità e comprendere quali scelte meglio si accordano con la persona che siamo diventati.

 

Rivestire le emozioni di parole

Cosa fa la differenza fra l’essere sovrastati dall’irruenza distruttiva di un’emozione travolgente e il poterla gestire al servizio del nostro benessere psicologico? Una capacità fondamentale è quella di riconoscere l’emozione come tale, poterle dare un nome e renderla comunicabile a noi stessi e agli altri…

Scriveva Henry Roth “se riesci a tradurre in parole ciò che senti, ti appartiene”.

domenica 6 maggio 2018

Le emozioni negative come chiave del nostro benessere



Sentirsi tristi o arrabbiati è essenziale per il nostro benessere psicologico. La cultura del sorriso per anni ci ha costretto a negarle. Ma psicologi ed esperti invece ne evidenziano la positività

La scienza oggi dimostra le conseguenze adattive degli stati d’animo negativi. Ci fa capire che sentirsi tristi o arrabbiati è essenziale per il nostro benessere psicologico. Ad esempio è stato visto che la tristezza aiuta la memoria, incrementa la motivazione, smuove empatia e che la nostalgia aiuta a dare continuità al nostro percorso, un senso a ciò che abbiamo vissuto, che la rabbia svolge funzioni di difesa, se gestita. Ma soprattutto è emersa l’importanza di esprimere e riconoscere l’intera gamma delle emozioni. Accettarle. Accoglierle. Non esserne spaventati, non rifuggirle, non cercare di ricacciarle. Facendo della vulnerabilità la chiave della nostra autenticità e delle avversità, occasioni di rinascita.


NON EVITARE LE EMOZIONI NEGATIVE
Gli studi dicono che il tentativo di sopprimere pensieri e sentimenti negativi è controproducente. Perché provare a bypassare le emozioni dolorose aggirandole con sorrisi e pensiero positivo è come tagliare parte di ciò che siamo. Non saper stare in sintonia con la complessità, e il disordine se vogliamo, della nostra vita profonda.
Il senso delle emozioni è aiutarci a comprendere gli eventi, valutare le nostre esperienze per poi adattarsi e crescere. Quindi attraversarle ed elaborarle. I sentimenti “cattivi”, che vorremmo scrollarci di dosso come sabbia, hanno valore di sopravvivenza. Ci segnalano problemi di relazione, di rapporto con se stessi. Il dolore non è mai insignificante perché parla di noi, dice che qualcosa va rivisto, ripensato, che ci ha fatto male, che dobbiamo interessarci a quello che sta accadendo, cambiare qualcosa. Innesca strategie adattive. Ci porta ad evolverci, come i Pokemon - i pupazzetti di un noto cartone animato - a stadi avanzati di noi. I nostri stati affettivi si modulano sulla base di cosa ci accade, della nostra vita interiore. Momenti di buio, sconforto, lacrime sono risposte adattive importanti, aiutano a reagire e a ristrutturarci sulla base delle nuove esigenze. Sciogliersi e lasciarsi piegare dal dolore nelle situazioni più traumatiche è necessario per ritrovarsi. Rifiuti, frustrazioni, delusioni, perdite sono in ognuno di noi, inutile fingere di stare sempre bene per forza. Il nostro benessere è un processo che si assesta attraverso stati d’animo complessi. 

LE EMOZIONI NEGATIVE SONO FONTE DI BENESSERE
Quando ci sentiamo sconvolti, agitati, depressi c’è bisogno di riconoscere questi stati invece di schiacciarli dentro di noi. Ciò che cerchiamo di allontanare dalla nostra coscienza non sparisce nel nulla ma diventa una grande presenza, un’ombra che acquista potere, prende altre vie e, a volte, diventa malattia. Che arriva nei nostri sogni, come indicano alcuni studi, con una specie di effetto rimbalzo. Più evitiamo sentimenti e pensieri negativi, in effetti, più diamo loro potere. Ricerche recenti stanno scoprendo che questi stati d’animo sono funzionali al nostro benessere. Secondo un nuovo studio tedesco, pubblicato sulla rivista Emotion, la relazione tra frequenza di umore basso ed esiti dannosi in termini di salute fisica e mentale cambia sulla base degli atteggiamenti che le persone hanno nei confronti delle emozioni negative. I soggetti che rifiutano, che non accettano questi stati d’animo, ne pagano le conseguenze più alte in termini di salute e benessere. 


LA CULTURA DEL SORRISO
Il nostro corredo emozionale è ampio, si muove dalla gioia all’angoscia, e questo ha un significato. La cultura del sorriso, del pensiero positivo a tutti i costi, della felicità che ha imperversato negli ultimi decenni, ha tolto profondità alla vita psichica e spessore ai nostri stati d’animo. Inducendo a farci perdere contatto con parti di noi, sfuggendole o banalizzandole. Facendoci credere che la sofferenza vada solo curata, anestetizzata e annullata. Indagini recenti mostrano invece che le esperienze traumatiche smuovono, nella maggioranza dei casi, una crescita psicologica positiva. Dopo un trauma, per quanto devastante, possiamo migliorare la nostra vita, e vivere esperienze di miglioramento che certe volte si rivelano intense come relazioni più profonde, senso di forza interiore, individuazione di nuove possibilità per la propria esistenza.
Si parla a tal proposito di crescita post-traumatica. Secondo gli psicologi statunitensi Richard Tedeschi e Lawrence Calhoun, dell’università del North Carolina, il trauma smuove un progresso personale quando riesce a sfidare le convinzioni, le credenze consolidate nel tempo. Abbiamo bisogno di scuotere e smantellare la nostra visione del mondo, la nostra stessa identità, per ricostruirci in modo nuovo. Più vacilliamo, più lasciamo andare le idee e ripartiamo da zero, meglio possiamo riorganizzarci per inseguire altre opportunità, aprire nuove vie.

 EVADERE DALLA BANALITA'
Dopo perdite importanti, eventi avversi, accadimenti “sismici” - dal punto di vista psicologico -possiamo elaborare ciò che è successo, e arrivare, proprio attraverso lo sconforto, a vederci come non lo abbiamo mai fatto, a formulare domande alle quali non siamo mai arrivati. Lo smarrimento ci costringe a riesaminare il modo di pensare, di dare peso alle cose, può farci evadere dalla banalità degli stessi pensieri. La sofferenza permette di costruire nuovi obiettivi, schemi, significati. Di essere creativi. Soprattutto può offrire l’occasione di ricostruire noi stessi in modo più autentico, più fedele al nostro Io e al suo percorso di vita. Che è unico.

di Brunella Gasperini
Dal Sito: d.repubblica.it

mercoledì 18 aprile 2018

Quando la paura della morte non ci lascia vivere



Tutti sappiamo bene che un giorno moriremo. Tuttavia, pensare alla fine della nostra vita può scatenare un sentimento di vero terrore per molte persone. Spesso, le persone che si ritrovano accanto a qualcuno che sta per morire iniziano a sentirsi ansiose e a provare un profondo dolore. D’altra parte, la morte e la paura che suscita sono per molti il principale motivo per cui le religioni sono sopravvissute nel corso della storia.

A volte si tratta di una realtà talmente dura che molte persone preferiscono allontanarsene. Ma questo ha qualcosa a che vedere con il fatto di sentire che anche la nostra fine è vicina? In altre parole, con la paura che proviamo al pensiero che arriverà quel giorno anche per noi oppure quando vediamo in qualcuno in fin di vita un riflesso della nostra morte? Il fatto è che la morte ci ricorda che siamo vulnerabili e finiti, rivela al nostro Io, così come lo conosciamo, indipendentemente dal fatto che possa cambiare o meno, che prima o poi sparirà.

Tuttavia, alcune persone ingigantiscono questo sentimento al punto di sviluppare una vera e propria fobia verso la morte, di diventare completamente intolleranti con tutto quello che ha a che fare con il mondo della morte, quindi la paura si trasforma in panico irrazionale.

Una delle fonti che creano confusione è il fatto che la paura della morte, in qualche modo, ci tiene costantemente in allerta ed evita che ci esponiamo a situazioni di pericolo. Tuttavia, quando questa paura si fa estrema e si trasforma in fobia, può essere davvero invalidante. Ecco perché si parla di paradosso, infatti la paura della morte al tempo stesso ci impedisce di vivere.

La paura della morte può sollevare altre paure, come la paura del dolore, del buio, delle cose sconosciute, della sofferenza, del nulla… Sentimenti che l’immaginazione, le tradizioni, le leggende hanno trasmesso di padre in figlio e che finiscono per tormentarci, impedendoci di vivere appieno la nostra vita.

D’altra parte, la morte di una persona cara, oltre a ricordarci che siamo esseri fragili, si accompagna a sentimenti di perdita che minano le nostre difese cognitive e ci rendono più vulnerabili ai pensieri negativi ossessivi.

Per quanto riguarda l’origine di questa paura, molti esperti ritengono che dipenda dal fatto che ci hanno insegnato ad averla. Come? Uno dei modi in cui impariamo ha a che vedere con l’imitazione di quello che fanno gli altri. Ad esempio, se vediamo qualcuno togliere in fretta la mano da un determinato luogo, allora pensiamo subito che ci sia qualche forma di pericolo e ce ne ricorderemo, quindi non allungheremo mai la mano. In genere, se vediamo qualcuno aver paura di qualcosa e non abbiamo molte informazioni a riguardo, allora automaticamente pensiamo che ci sia qualcosa di cui aver paura.

Quando la paura non è ancora diventata fobia e semplicemente si tratta di una forma di reazione, non invalidante e che non ci condiziona in alcun modo, alcune strategie per tenerla sotto controllo sono:

– Accettare l’idea. La morte esiste e questo non si può cambiare. Cambia quello che fate fino a quel momento.

– Credere fermamente in qualcosa. Indipendentemente che sia vero o meno, la fede ha spesso un grande potere nel mutare i sentimenti.

– Puntare l’attenzione su qualcos’altro. Non permettete alla vostra coscienza di dedicarsi a questa paura o a questo pensiero. Potete farlo mentalmente, ad esempio pianificando quello che farete il giorno successivo, oppure per quanto riguarda il comportamento, ad esempio chiamando vostro marito o moglie per chiedergli/le come sta andando la giornata.

Se questo pensiero comincia a generare in voi un grande malessere, i pensieri si fanno sempre più ricorrenti e la paura condiziona la vostra vita, allora è il caso di consultare uno specialista. In questo senso, i ricercatori Mercedes Borda Mas, M.ª Ángeles Pérez San Gregorio e M.ª Luisa Avargues Navarro, dell’Università di Siviglia, hanno pubblicato un interessante studio sull’argomento in cui vengono descritte l’applicazione e la valutazione di un trattamento cognitivo-comportamentale in cui sono state utilizzate tecniche di controllo dell’attivazione, tecniche dell’esposizione (esposizione immaginaria e dal vero e inondazione immaginaria), così come tecniche di ristrutturazione cognitiva.

Dal Sito: lamentemeravigliosa.it 

giovedì 25 maggio 2017

HELP: ANSIA ED ATTACCHI DI PANICO Conoscere le emozioni "negative" per superarle e crescere


“…ed improvvisamente ho sentito che mi mancava l’aria. Non riuscivo a respirare. Avevo un peso sul petto. Un macigno… il cuore batteva fortissimo era troppo forte, mi faceva tanta paura. Ho pensato “adesso muoio”…
“…ho avuto paura, tanta paura, mi girava la testa, ero confusa tanto confusa…mi girava la testa, mi sembrava che tutto fosse strano. Stavo per svenire, sudavo caldo e poi freddo… “impazzisco”, una paura terribile. Non voglio ripensarci”
Così alcuni descrivono il proprio stato durante un attacco di panico e la sensazione di non riuscire a spiegare la portata della propria paura. La sensazione è che improvvisamente tutto possa cambiare e possano accadere eventi terribili: infarto, morte, perdita di controllo impazzendo.
E’ così che immobilizzati dalla paura chiamano aiuto e vengono portati al Pronto Soccorso. Seguono analisi, prescrizione di calmanti ed ansiolitici e dimissioni con diagnosi di Attacchi di Panico.
Inizia il tormento: il mostro si è palesato … “nessuno comprende la mia preoccupazione..” le persone si sentono sminuite e non comprese. La possibilità di rivivere questo terribile stato li induce ad evitare ogni situazione in cui si potrebbe riverificare. Guidare, attraversare piazze, ritrovarsi in luoghi chiusi, uscire da solo. Iniziano i controlli sul proprio corpo: sotto la lente di ingrandimento del nostro pensiero finiscono tutte le sensazioni corporee che abbiamo provato durante l’Attacco di Panico: il battito cardiaco, i giramenti di testa, la pesantezza delle braccia, il senso di nausea, il tremore e altri.

Iniziano anche i comportamenti protettivi che permettono di non ritrovarsi mai faccia a faccia con questo mostro: medicine sempre a portata di mano, evitamento di luoghi e situazioni che spaventano, presenza di persone o oggetti protettivi.
Possono comprendere che ciò che non riescono più a fare possa non giustificare l’entità della propria paura, ma non riescono a non tutelarsi dalla possibilità di ritrovarsi nuovamente di fronte a questo “mostro”.

Ed adesso vediamo un po’ più da vicino questo “mostro” la cui definizione già ci fa entrare in un circolo vizioso di paura. La definizione “Attacco di panico” è di per sé una definizione spaventosa: in sé contiene tre elementi: l’ attacco 1) è improvviso, imprevedibile 2) è incontrollabile 3)avrà delle conseguenze spaventose. Qualcosa che potrebbe capitarmi senza poterlo prevedere in nessun modo, senza avere il minimo potere di fare nulla nulla e che sicuramente avrà delle conseguenze terribili.
Ora pensiamoci bene… chi di noi non sarebbe terrorizzato a questa idea? Chi non cercherebbe di fare di tutto per tutelarsi? Chi di noi, pensando che qualcosa con queste caratteristiche grava sulle nostre giornate, non sarebbe sempre in uno stato di allerta?

Ma vediamo meglio...

L’attacco di panico è realmente improvviso? Quando iniziamo a lavorare con chi vive attacchi di panico ci accorgiamo insieme che nulla è realmente improvviso, ma che invece è inserito nella vita dei nostri pazienti in momenti di stress abbastanza importanti. I pazienti imparano a comprendere che le emozioni che provano sono frutto non tanto degli eventi, quanto di ciò che pensano degli eventi stessi. Le persone vivono situazioni di preoccupazione ansia, ma spesso, la velocità che ci imponiamo non ci permette di fermarci su pensieri e preoccupazioni che continuano a farci vivere e sentire quanto il nostro corpo ci segnala. Il Paziente comprende che c’è un prima e che può capire cosa genera e il funzionamento di questo “prima”. E niente sembra essere più così improvviso.
L’attacco di panico è davvero incontrollabile? Non posso davvero fare nulla? Una volta che si impara a conoscere cosa sia l’ansia, come funziona, quali sono gli effetti sul nostro corpo e come tali effetti aumentano, come in un circolo vizioso, la nostra paura fino al panico, le persone iniziano a sentirsi più capaci e padroni della situazione. Possono farci qualcosa. Il processo ritorna sotto le proprie competenze. Acquisendo così una maggior sicurezza.
L’ansia provata ci porterà conseguenze terribili? In terapia si apprende e si sperimenta 1) che l’ansia è un’emozione importantissima, senza la quale potremmo essere decisamente in pericolo 2)Che è utile fino ad un certo livello dopodiché ha effetti non funzionali 3) che l’ansia può essere anche molto spiacevole, che le sensazioni fisiche provate in questa emozione possono essere molto fastidiose, ma che possono non farci più ulteriore paura, che possiamo quindi gestirle ed attraversarle e che niente “è più forte di noi”.
La terapia per gli attacchi di panico è un bel percorso nella conoscenza di noi stessi, e nella conoscenza del funzionamento delle emozioni, ma soprattutto ci fa sentire più forti perché ci permette di riappropriarci di capacità e competenze che pensavamo di non possedere.

Allora... buon viaggio!

A cura della Dott.ssa Psicologa-Psicoterapeuta Sabrina Capitoni

Dal Sito: www.oksiena.it