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lunedì 17 febbraio 2020

Le emozioni inespresse che fanno rimuginare


Cosa sono le emozioni?  Si tratta di una domanda che potrebbe richiedere una risposta complessa e articolata: la descrizione di cosa accade nel nostro cervello e nel nostro corpo quando le sperimentiamo, la descrizione dalla loro natura relazionale interpersonale, della loro valenza sociale e di rapporto con l’ambiente. Sarebbe tutto corretto e molto utile da sapere

Ma l’aspetto fondamentale delle emozioni riguarda il loro valore informativo e comunicativo: le emozioni ci informano e comunicano qualcosa di importante, ci spingono a fare qualcosa, ad agire nell’ambiente e nella relazione.

Rappresentano un modo primordiale e radicale di percepire il mondo – relazionale e non – intorno a noi, in termini di minaccia o di opportunità.

Opportunità di completezza e soddisfacimento di un bisogno, oppure minaccia di perdita di qualcosa che per noi è importante.

Le emozioni inespresse si trasformano in malesseri e ossessioni

Sta di fatto che non le possiamo eliminare – per fortuna – né negare. Ma spesso facciamo finta di non provarle, le nascondiamo, le mascheriamo da qualcosa di diverso, oppure – in alcuni casi – impariamo a “non sentirle”.

Come si fa? Si alza un muro di negazione, di distanza, di controllo ipertrofico attraverso la razionalizzazione, ci si distrae da esse. E’ il momento in cui il pensiero si vuole sostituire al sentire, il passato e il futuro si sostituiscono al presente.

Allora le emozioni scendono direttamente nel corpo senza passare per la conoscenza ossia senza poter essere ri-conosciute nel loro ruolo informativo, senza poter ricevere l’accoglienza della consapevolezza, diventando così direttamente sintomo somatico, triste e separato dal contesto che ci unisce al resto del mondo.

Divengono così una sorta di misteriosa manifestazione, incontrollabile ed enigmatica, di qualcosa di altro, non interpretabile e non conoscibile ma solo sperimentabile. Ecco allora che arrivano la tachicardia improvvisa e sintomi psicosomatici come i mal di testa, i problemi intestinali o gastrici, le tensioni muscolari irrisolvibili e dolorose, le dermatiti imbarazzanti, il sudore, il tremore, la testa vuota, che spaventano e preoccupano.

Ma quali sono le emozioni che non vogliamo sentire?  Di solito sono quelle dolorose, che ci provocano sensazioni spiacevoli e si legano a pensieri negativi: collera, disgusto, tristezza, paura, vergogna… Ma a volte sono anche le emozioni cosiddette “positive” – cioè piacevoli e indicative della presenza di una opportunità – a non voler essere davvero sentite, perché in qualche modo portano con loro la paura.

Non è infrequente infatti avere paura di sentire un sentimento profondo di gioia o di amore o sperimentarlo seguito subito da emozioni di paura e preoccupazione; ciò accade perché si teme di perdere quella condizione piacevole che rappresenta un arricchimento o l’ottenimento di una condizione desiderata. Ecco dunque che alla gioia segue la paura, alla soddisfazione segue l’ansia, all’amore seguono il dubbio e l’inquietudine.

La nostra cultura, iper-razionale ed iper-efficiente, ci ha insegnato a sopravvalutare il potere del pensiero e della logica razionale a discapito della potenza informativa delle emozioni, che chiedono semplicemente di essere ascoltate ed accolte, considerate e vissute per ciò che sono: messaggeri e guide.

Ecco allora che, invece di concederci di sentire il dolore, la paura o la tristezza, spostiamo i contenuti della coscienza dalla “pancia” alla “testa”, al livello mentale, nel tentativo di controllarli, annullarne l’effetto, prevedere le conseguenze di possibili eventi futuri (per loro natura spesso non prevedibili e non controllabili) e soprattutto con l’intento di non provare niente.

È naturale per ogni essere vivente rifuggire il dolore e ricercare il piacere ma, a volte, questa reazione automatica verso le nostre emozioni spiacevoli ci pone nella condizione di soffrire di più, più a lungo e in modo peggiore perché ci porta a mettere in atto condotte di negazione, razionalizzazione e controllo (pensiero ossessivo, worry e rimuginio), distrazione attraverso l’uso di sostanze esterne come cibo, alcol o droghe o comportamenti compulsivi che diventano dipendenze, come lo shopping compulsivo, il gioco, l’uso compulsivo del cellulare, le relazioni di dipendenza affettiva ecc..

Ci porta a prendere le distanze dal nostro sentire e dal nostro “cuore” fino al punto di non sapere più cosa davvero ci diverte, ci piace, ci realizza e ci rende felici.

La ruminazione (il rimuginare) è la manifestazione di emozioni lasciata in sospeso per troppo tempo, che stazionano nella mente manifestando il sintomo (un pensiero costante, un fossilizzarsi e ristagnarsi).

Ci si lascia talmente stordire dalle mille distrazioni cui possiamo ricorrere per “non sentire”, che alla fine ci troviamo completamente distratti da noi stessi e incapaci di costruire quel legame salvifico di consapevolezza profonda e silenziosa con noi stessi, con il nostro spirito, la nostra anima, il nostro vero Sé (o come preferiamo chiamarlo), che rappresenta invece una fonte infinita di ricchezza, vitalità e creatività.

Questa distanza coatta devitalizza e lascia morire di sete la nostra psiche, privandola della fonte di vita e nutrimento principale che è quella che passa attraverso il fuoco delle emozioni e, attraverso di esse, si purifica, si rafforza, si arricchisce e prende forma diventando desiderio, consapevolezza, pienezza di senso, azione finalizzata a nutrire.

Nella pienezza e nel coraggio del sentire non esistono più il vuoto, la noia e l’assenza di motivazione, di indirizzo e di desiderio profondo. Nel sentire non c’è spazio per i pensieri inutili, per le preoccupazioni distruttive, per le finte soluzioni e per le illusioni pericolose.

Nel sentire c’è il presente, con la sua immensa ricchezza, nel sentire ci siamo noi, pienamente.

Torniamo a sentire senza paura; facciamolo gradualmente, pian piano nella nostra vita di tutti i giorni, imparando a riportare dolcemente la nostra attenzione su di noi in ogni istante, con curiosità, gentilezza, compassione e senza giudizio.

Torniamo a chiederci, come faremmo con un buon amico:

  • “come stai in questo momento?”
  • “cosa senti?”
  • “cosa stai provando?”
  • “perché ti senti così?”
  • “in quale parte del corpo provi certe sensazioni?”

Sono solo alcune semplici domande, in grado di ricondurci costantemente a quel “ricordo di sé” che rappresenta la strada maestra verso una vita più ricca di senso, coerente e semplice.

Il resto verrà pian piano, affiorando alla coscienza come un fiore di loto…e porterà con sé il prezioso dono della consapevolezza e della conoscenza. Ma soprattutto, ci insegnerà a fare a meno di tutte quelle strategie dannose e controproducenti che mettiamo in atto per NON SENTIRE e fare finta così, che vada sempre tutto bene, quando invece avremmo davvero bisogno di sentirle la nostra tristezza o la nostra rabbia, il nostro dolore, la nostra vergogna, la noia… e di chiederci dolcemente: “Dimmi: cosa posso fare per te? Come ti posso aiutare?”.


Dal Sito: psicoadvisor.com

sabato 29 giugno 2019

Meglio non pensarci, le trappole del rimuginio e della ruminazione



Vi è mai successo di restare imprigionati per ore, se non per giorni, in un vortice di pensieri negativi che avreste tanto voluto mettere a tacere? Sebbene sia un’esperienza piuttosto comune avere idee e pensieri spiacevoli, è anche vero che alcune persone riescono ad assumere una distanza critica da essi, lasciandoli andare dopo un po’. Altri, invece, nelle stesse condizioni, sviluppano un distress profondo, restando “incastrati” in una trappola che genera ansia, tristezza e sensazione di impotenza.

Nell’articolo di oggi parliamo di rimuginio e ruminazione, due processi mentali caratterizzati da ripetitività che possono causare serie ripercussioni sul benessere emotivo della persona.

La terapia metacognitiva

Adrian Wells, psicologo inglese, ha sviluppato un modello di trattamento dei disturbi d’ansia e della depressione che prende il nome di Terapia Metacognitiva (Metacognitive Therapy, MCT). Secondo questa teoria, la metacognizione, ovvero il modo in cui gestiamo, monitoriamo e utilizziamo i pensieri, sarebbe alla base della maggior parte dei disturbi psicologici. Non sarebbero tanto i pensieri a determinare i sintomi ansiosi o depressivi, ma il modo in cui reagiamo ad essi. Alcune persone rimarrebbero imprigionate nella sofferenza perché la loro metacognizione, di fronte a certi stimoli, metterebbe in atto un particolare tipo di risposta ricorsiva (la ruminazione, il rimuginio, il monitoraggio della minaccia etc) che non fa altro che rendere più intensa l’ansia e la depressione.

Il rimuginio

Il rimuginio, chiamato anche worry, è una forma di pensiero di tipo astratto che possiede caratteristiche di ricorsività e intrusività. Generalmente nel rimuginio il contenuto del pensiero riguarda eventi futuri che possono realizzarsi e il cui esito è incerto o comunque immaginato come negativo. Spesso assume la forma “e se…?” (“e se venissi bocciato all’esame?”, “e se la mia ragazza mi lasciasse?”, “e se restassi senza soldi?”). Il worry è associato all’ansia, non è vissuto come esperienza piacevole (anzi, questi pensieri vengono vissuti come intrusivi e si cerca di scacciarli) e spesso diventa così intenso da lasciare la persona esausta.  In un primissimo istante questa modalità di pensiero ripetitivo si rivela utile: pensare e ripensare ad un problema ci dà un senso di controllo e ci illudiamo che così troveremo più soluzioni. Ma dopo poco il rimuginio si rivela per ciò che è: una strategia non funzionale, che prosciuga le nostre energie e quasi mai  ci permette di risolvere i problemi. Pensare tutto il giorno alle difficoltà economiche difficilmente farà aumentare il nostro conto in banca!

La ruminazione

La ruminazione è una forma di pensiero ripetitivo e persistente, in cui l’attenzione è focalizzata sul proprio passato, sulle perdite subite e sulla propria sofferenza. Diversamente dal rimuginio, la ruminazione è tra i fattori che causano, mantengono e aggravano la depressione. Questi pensieri spesso assumono la forma “perché…?” (“perché mi ha lasciato?”, “perché è successo a me?”). La ruminazione causa una focalizzazione su aspetti negativi della realtà che peggiora il tono dell’umore e riduce la fiducia nel futuro. Non potendo dare risposte certe a tutti questi “perché”, determina incertezza e mantiene un senso di precarietà e minaccia, tale per cui l’ansia e la depressione, invece di ridursi, aumentano. La persona si illude che, pensando e ripensando al passato, avrà una visione più chiara di ciò che è avvenuto e potrà in questo modo evitare che gli errori si ripetano o che le cose vadano male di nuovo. Una particolare forma di ruminazione è quella rabbiosa, legata ad un evento passato in cui la persona ritiene di aver subito un torto. La ruminazione rabbiosa amplifica i sentimenti di rabbia e si traduce in un desiderio di vendetta. Come è avvenuto con il rimuginio, anche la ruminazione inizialmente dona un senso di padronanza e controllo. Tutto questo dura poco: a lungo andare, ci si sente sempre più tristi, paralizzati, impotenti. A questo punto, ogni iniziativa per tirarsi fuori da una situazione dolorosa diventa più difficile.

L’aiuto della Mindfulness

Ruminazione e rimuginio consumano preziose risorse attentive, riducono la capacità di prendere decisione e bloccano l’iniziativa all’azione finalizzata. A volte esse vengono utilizzate in modo talmente automatico e massivo da dare una sensazione di perdita di controllo e impotenza. Per contrastare gli effetti deleteri di queste modalità ripetitive di pensiero, si è rivelato molto utile l’utilizzo di protocolli basati sulla Mindfulness. Questo approccio, che utilizza alcune tecniche ispirate alla meditazione vipassana, aiutano ad assumere una distanza critica dai propri pensieri, dalla quale poterli osservare senza giudicarli o reagire ad essi. Col tempo e la pratica sarà sempre più facile vedere i pensieri come prodotti dell’attività mentale, che possono essere lasciati fluire liberamente.

Articolo della dottoressa Tiziana Di Scala 
Dal Sito: 

martedì 5 novembre 2013

Il rimuginio.


Il rimuginio          

Preoccuparsi è del tutto normale! Capita a tutti di avere pensieri e dubbi e spesso pensarci un po’ su è utile per trovare una soluzione o comprendere meglio il nocciolo della questione.

Capita anche, però, che questi ragionamenti durino intere ore, se non addirittura giornate e che non apportino nessun beneficio, anzi: peggiorano il nostro umore e finiscono col farci sentire ancor più angosciati.

Spesso usiamo e sentiamo frasi del tipo “ci ho rimuginato per ore” oppure “è sempre lì a rimuginare”. Vediamo di comprendere cos’è davvero il rimuginio e che ruolo gioca nei disturbi d’ansia.

1. Cos’è?

Rimuginiamo quando ci preoccupiamo per un tempo prolungato, immaginando situazioni e scenari negativi che potrebbero capitare (soprattutto in condizioni di incertezza) senza elaborare concretamente strategie per fronteggiare il pericolo.

Il rimuginio è orientato al futuro, a differenza della ruminazione che è rivolta al passato.

Attenzione: è uno dei fattori di mantenimento dei disturbi d’ansia, poiché mantiene alto e costante il livello di attivazione fisica e mentale anche in assenza di uno stimolo ansiogeno reale.


2. Ma allora perché rimuginiamo?

Il rimuginio è la strategia che usiamo per gestire pensieri intrusivi del tipo “e se domani mi licenziano?”.

I vantaggi (apparenti) del rimuginio:
  • Il rimuginio ci da l’impressione che scannerizzando gli eventi negativi che potrebbero capitare riusciremo ad evitarli
  •  Ci da anche l’impressione che ragionando e riflettendo su di essi saremo maggiormente in grado di gestirli qualora si verificassero
Gli svantaggi del rimuginio:
  • Rischiamo di sprecare tutte le nostre energie fisiche e mentali determinando così un peggioramento delle nostre performance
  • Finiamo col pensare che esso sia incontrollabile (e noi un po’ deboli)
  • Ci spaventiamo, credendo sia pericoloso e in grado di condurci all’esaurimento fisico e mentale

3. Qualche piccolo suggerimento.


Cosa fare:

• Definire il problema in termini pratici e concreti
“C’è una situazione da risolvere oppure mi sto preoccupando per un pensiero, per qualcosa che mi è venuto in mente?”

• Pensare a una o più soluzioni

• Ce ne sono? Se si, metterle subito in pratica

• Se non c’è nessuna soluzione non allarmarsi ma riflettere proprio su questo: sul fatto che a quel problema non c’è soluzione! Quindi perché continuare a ragionare?!

• Accettare un minimo grado di incertezza e imprevedibilità, che tanto nella vita è ineliminabile, malgrado i nostri sforzi.
“Sarà quel che sarà, tanto purtroppo io non posso farci niente”

• Concentrarsi su ciò che si stava facendo, sul “qui ed ora” e ripetersi anche mille volte se necessario “A che mi serve pensarci ora se tanto non c’è soluzione?”

Cosa non fare:

• Riflettere e ragionare per ore su problemi che non sono risolvibili. Le soluzioni, quando ci sono, vengono in mente dopo pochi minuti

• Pensare di avere poteri magici con cui poter prevedere ciò che accadrà in futuro

• Pensare di avere poteri magici con cui poter evitare che situazioni negative si verifichino in futuro

• Bocciare soluzioni in quanto imperfette: la certezza e la prevedibilità al 100% non esistono!

• Ritenere che preoccupandosi e riflettendo per ore si troverà la soluzione o ci si calmerà….è proprio il contrario!

• Ritenere che sia nostro dovere preoccuparci fino allo sfinimento. Dove sta scritto?!


4. In sintesi.

È molto importante distinguere i fatti reali dalle emozioni e dai pensieri.

Per es. al pensiero “il capo potrebbe licenziarmi” non è detto che corrisponda un evento reale negativo. Vuol dire solo che sto avendo quel pensiero, come tanti altri nel corso della giornata.

I pensieri sono solo e semplicemente immagini della mente. Non vuol dire che hanno il potere di influenzare gli eventi né, quindi, è obbligatorio dargli un seguito arrovellandocisi per ore.

Possiamo imparare a prendere consapevolezza dei nostri pensieri e a guardarli per quello che sono, con distacco; e a non dargli seguito.

Quando questo si rivela particolarmente arduo non facciamoci scoraggiare; in questi casi è meglio affidarsi con fiducia ad un professionista con cui ci sentiamo a nostro agio e che possa diventare un supporto esperto nel percorso verso il benessere.

Dott.ssa Cristiana Aprile
Psicologa
Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale in formazione


(Non si tratta nè di un articolo scientifico ne di un'elaborazione esaustiva sull'argomento; bensì solo di una riflessione con qualche piccolo suggerimento pratico che parte dall'esperienza clinica con i pazienti.)

Bibliografia:


“Accertare l’ansia: Assessment cognitivo comportamentale dei disturbi d’ansia” Incerti Alessia, Scarinci Antonio - 2008 – Erikson

“Il benessere della mente con la terapia cognitivo comportamentale per negati” Willson Rob, Branch Rhena – 2009 – Oscar Mondadori

“La relazione terapeutica in terapia cognitivo comportamentale” Gilbert P.; Leahy R. L. - 2009 - Eclipsi

“Psicoterapia cognitiva dell'ansia. Rimuginio, controllo ed evitamento” Sassaroli Sandra, Lorenzini Roberto, Ruggiero Giovanni Maria – 2006 - Raffaello Cortina Editore

“Terapia metacognitiva dei disturbi d'ansia e della depressione” Wells Adrian - 2012 - Eclipsi