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giovedì 4 febbraio 2021

Attacchi di panico: come intervenire e che aiuto dare





Gli attacchi di panico sono un disturbo sempre più comune tra le persone, anche quando non soffrono di particolari problemi di salute. Si tratta di una condizione di ansia o paura molto intensa che si manifesta senza un motivo preciso, spesso improvvisamente. L’intensità dell’attacco può essere tale da fare temere un attacco di cuore o un problema respiratorio.

Chi ha già sperimentato attacchi di panico, comunque, sa cosa succede durante un attacco, ne riconosce i sintomi e sa cosa deve fare. In ogni caso, anche una persona abituata a queste crisi può avere bisogno di aiuto. Soprattutto quando si trova in un luogo pubblico.

Cosa bisogna sapere sugli attacchi di panico e come si può intervenire per aiutare una persona durante un attacco? Gli esperti hanno stilato un elenco di situazioni tipiche e regole di comportamento.

L’attacco di panico è un breve ma intenso momento in cui si prova una forte ansia o paura che si manifesta all’improvviso, accompagnata da sintomi fisici ed emotivi. La reazione del corpo è simile a quella che si verifica di fronte a una grave minaccia, con la differenza che in caso di attacco di panico non esiste alcuna minaccia concreta né pericolo.

La sua origine, infatti, è senza motivo e spesso può essere la conseguenza di un lungo periodo di stress, di un trauma o di uno stato ansioso abituale che esplode in questo tipo di crisi.

Si dice che una persona soffre di disturbo di panico o disturbo da attacchi di panico quando è soggetta ad attacchi frequenti. In questi casi, la persona potrebbe cambiare abitudini o comportamenti per evitare quelle situazioni in cui potrebbe manifestarsi un attacco. Questo potrebbe condizionare pesantemente le sue relazioni sociali.

Chi soffre abitualmente di attacchi di panico sa riconoscere i sintomi e sa come comportarsi quando si manifestano. Chi ha un attacco di panico per la prima volta si sente come se stesse per morire. Lo può confondere con un attacco di cuore o un altro grave problema di salute. Una sensazione a dir poco spaventosa, ma che una volta che si è imparato a riconoscerla fa meno paura.

Se chi è abituato agli attacchi di panico sa riconoscerli e come comportarsi, tuttavia può trovarsi in grave difficoltà e avere bisogno di aiuto. Pertanto, è importante sapere quali sono i sintomi di un attacco, come riconoscerli e come comportarsi per aiutare chi sta avendo un attacco.

sintomi più comuni dell’attacco di panico:

• paura intensa

• disperazione

• sudorazione o brividi

• tremore

• tachicardia

• difficoltà a respirare

• senso di soffocamento

• iperventilazione

• dolore al petto

• mal di testa o vertigini

• nausea

La differenza tra attacco di panico e una tipica risposta a una paura è che nel caso di un attacco di panico non esiste una minaccia effettiva o un pericolo concreto. Il corpo segnala un percolo che tuttavia non è presente. Si tratta dunque di unarisposta eccessiva probabilmente a uno stato diffuso di ansia o stress.

Se dovesse capitare di trovarci in presenza di una persona che sta avendo un attacco di panico, ecco cosa bisogna fare e non fare per aiutarla.

Restare calmi e cosa dire

Di fonte a una persona che ha un attacco di panico, la prima cosa da fare è mantenere la calma. È molto difficile, ma è quello da fare se si vuole essere veramente di aiuto. In ogni caso, dobbiamo sapere che gli attacchi di panico non durano molto. Solitamente, la fase acuta dell’attacco dura dai 5 ai 10 minuti. Come spiegano gli esperti.

Chi sta avendo un attacco di panico, tuttavia, potrebbe non rendersi conto del tempo e vivere quel momento come infinito. Pertanto è importante che chi è vicino sita calmo, non si faccia prendere a sua volta dal panico (!), e cerchi di rassicurare la persona. Avere paura, in queste situazioni, è assolutamente normale ma è importante mantenere il sangue freddo.

Provate a parlare alla persona per rassicurarla. Cosa dirle:

• che non la lascerete

• che l’attacco non durerà a lungo

• che è al sicuro.

Chiedete anche come poter essere d’aiuto e cosa potete fare. Chi soffre abitualmente di attacchi di panico, infatti, conosce i sintomi e ha dei metodi per superarli. Pertanto, anche quando si presta aiuto è importante farlo nel modo giusto, senza interferire con quello che la persona sta facendo per calmarsi. Durante un attacco, quando chiedete alla persona come aiutarla, questa vi potrebbe rispondere in malo modo. È assolutamente normale in una situazione del genere, preparatevi a questa eventualità, senza prendervela.

Se la persona rifiuta il vostro aiuto e vuole restare da sola, allontanatevi ma rimanete comunque nelle vicinanze in caso di necessità. Ditele che può contare su di voi se ne avesse bisogno.

Attenzione, però, alle parole usate. Una persona calma, con una voce rassicurante è di aiuto ma insistere nel chiedere se va tutto bene o dire di continuo “non ti preoccupare” può avere l’effetto contrario e aumentare l’ansia della persona che sta avendo un attacco.

Cosa dire alla persona per aiutarla

• chiedetele se vuole andare da un ‘altra parte (uscire da una stanza, allontanarsi da un luogo pubblico),

• ricordatele di respirare,

• distraetela con una conversazione leggera, a meno che vi dica che non vuole parlare.

Come comportarsi e quando chiamare aiuto

Durante un attacco di panico è difficile capire subito di cosa si tratti. I sintomi della persona che ne è vittima possono far pensare sul momento a qualcosa di più grave. Se la persona è abituata a soffrire di questi attacchi, sarà lei a rassicurare i presenti che sta avendo un attacco di panico e non qualcosa di pericoloso per la sua salute. In ogni caso i sintomi possono causare un forte disagio e la persona può avere bisogno di aiuto. Anche semplicemente di qualcuno che le stia accanto.

Non sta a noi capire cosa sta succedendo, ma possiamo offrire la nostra empatia, riconoscere l’angoscia di chi sta avendo un attacco di panico e dare il nostro sostegno.

Per aiutare la persona a calmarsi e riprendere il controllo di sé possono essere di aiuto:

• il contatto fisico, come tenere la mano (se la persona è d’accordo),

• dare alla persona un oggetto da tenere in mano,

• incoraggiarla a muoversi,

• incoraggiarla a ripetere frasi tranquillizzanti come “è terribile ma non mi farà male”,

• parlarle lentamente e con calma di luoghi o attività familiari.

Stare accanto alla persona che sta avendo un attacco di panico è molto più importante di quanto possa sembrare, anche se non si fa niente.

In alcuni casi, tuttavia, i sintomi potrebbero essere più gravi di quelli di un semplice attacco di panico. Ecco allora quando bisogna chiamare aiuto:

• il dolore al petto è come una pressione che non smette e si sposta alle braccia o alle spalle

• i sintomi continuano oltre i 20 minuti e non migliorano ma peggiorano,

• le difficoltà respiratorie non migliorano

• la pressione al petto dura più di un minuto o due.

Cosa evitare durante gli attacchi di panico

È fondamentale rispettare la persona che sta avendo un attacco di panicoe le sue esigenze. Non forzatela a fare qualcosa che non sente di fare. Se non gradisce le frasi di rassicurazione o altre forme di incoraggiamento, lasciate perdere. Anche la sola vicinanza può essere lo stesso di aiuto.

Dopo un attacco di panico una persona può sentirsi sfinita e avere bisogno di riposo. Assecondatela e non forzatela a fare quello che non si sente. Potrebbero saltare i programmi o gli impegni che avevate preso insieme. Pazienza.

Molto importante è non minimizzarequello che la persona prova durante un attacco di panico. Non fate paragoni con altre situazioni meno gravi che possono far sentire a disagio la persona. Un normale stato di ansia o di stress che tutti sperimentiamo normalmente non è la stessa cosa di un attacco di panico. Durante un attacco una persona può sentirsi completamente persa e incapace di gestire quello che le sta accadendo. Offrire compassione e aiuto è quello che possiamo fare. Fate molta attenzione alle parole e ai gesti, per evitare ulteriore disagio a chi sta già soffrendo.

Le persone che soffrono di attacchi di panico sono consapevoli di quello che accade loro durante un attacco, semplicemente non sono in grado di gestire le reazioni del loro corpo e la loro emotività.

Sono assolutamente da evitare le seguenti frasi:

• “Rilassati, non c’è niente di cui avere paura”,

• “Stai male per questo?”,

• “Cosa c’è che non va?”

Con queste parole, poco rispettose e per nulla empatiche, peggiorerete soltanto la crisi.

Sono da evitare anche i consigli superficiali o non richiesti. In primo luogo perché potremmo non sapere bene come intervenire e in secondo luogo perché chi soffre abitualmente di attacchi di panico saprà già come comportarsi e seguire una terapia se è già in cura. Se invece siete voi stessi ad avere già avuto attacchi di panico, allora potrete provare a dare qualche suggerimento i base alla vostra esperienza. Rispettare la sensibilità della persona, comunque, rimane fondamentale.

Dal Sito: universomamma.it

martedì 5 gennaio 2021

L'attacco di panico fa paura? Un aiuto viene dal senso del ritmo




È una crisi d'ansia acuta transitoria, non comporta danni alla salute. Ma attenzione, perché potrebbe trasformarsi in disturbo di panico e condizionare la quotidianità. Prima di tutto, fare respiri con regolarità.

Quando si parla di attacco di panico, s'intende una crisi d’ansia acuta, che si manifesta all’improvviso con una sintomatologia fisica ed emotiva, spesso senza stimoli che giustifichino la comparsa dei sintomi. Provoca un malessere intenso, e, se gli attacchi si ripetono, la quotidianità di chi ne soffre può essere compromessa, rendendo difficili semplici attività che fino a quel momento non creavano problemi. Ma cos’è davvero un attacco di panico? Come si manifesta, e soprattutto, come si cura? L’argomento è stato approfondito su un articolo apparso su Humanitasalute, con il contributo di Daniela Caldirola, psichiatra, specialista in disturbi d’ansia e panico in Humanitas San Pio X e ricercatore presso Humanitas University. Articolo che riportiamo di seguito integralmente.



Una crisi d'ansia acuta, ma transitoria


Un attacco di panico, la paura di morire
L’attacco di panico è un fenomeno che si presenta in maniera improvvisa e inaspettata, senza una diretta causa scatenante: può avvenire dal parrucchiere, mentre si fa la spesa, in qualsiasi momento e luogo, senza alcun preavviso. È caratterizzato da numerosi sintomi fisici, spesso molto intensi, accompagnati dalla paura di morire, perdere il controllo o impazzire. I sintomi raggiungono il picco d’intensità nell’arco di alcuni minuti e poi si risolvono spontaneamente. In alcuni casi possono però essere più prolungati o lasciare strascichi di malessere nelle ore successive. Pur essendo un fenomeno innocuo e senza dirette conseguenze sulla salute fisica, la sintomatologia dell’attacco di panico può essere tanto acuta da indurre la persona che ne fa esperienza a pensare di essere sul punto di morire per una qualche grave causa medica.  

Soffocamento, tachicardia... I sintomi dell'attacco di panico


L’attacco di panico si presenta con svariati sintomi fisici, tra cui difficoltà respiratorie (sensazione di mancanza di fiato o soffocamento), che sono i sintomi più frequenti, palpitazioni/tachicardia, dolore o fastidio al petto, sudorazione, tremore, formicolii o sensazione di intorpidimento, nausea o disturbi addominali, sensazione di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento, brividi o vampate di calore. 

Possono comparire anche sensazione di irrealtà (derealizzazione) o di sentirsi distaccati da se stessi (depersonalizzazione). In genere durante un attacco di panico la persona prova un’intensa paura di morire o di perdere il controllo o impazzire. Il fatto che l’attacco di panico possa essere erroneamente confuso, specialmente se la persona non l’ha mai vissuto prima, con un una patologia medica acuta, come un infarto del miocardio, un’aritmia, una crisi respiratoria, un ictus cerebrale, aumenta ancor di più il senso di terrore e rischio incombente.

Tuttavia, sappiamo che un attacco di panico si dissolve con la stessa velocità con cui si manifesta: può durare pochi minuti, ma questo non significa che debba essere sottovalutato il suo impatto emotivo. Per chi ha un attacco di panico in corso, cinque-dieci minuti sono percepiti come un’eternità.

Il rischio che l'attacco diventi disturbo di panico
L’attacco di panico è un fenomeno comune e di per sé innocuo. Si calcola che fino al 30% della popolazione può sperimentare in modo sporadico almeno un attacco di panico nella vita. In molti casi essi rimangono degli episodi isolati senza conseguenze, mentre in circa il 3%-4% della popolazione si sviluppa il vero e proprio Disturbo di Panico.



Questo disturbo è più comune nelle donne che negli uomini, con un rapporto di circa 2:1, e in genere insorge in età giovane adulta (20-30 anni). È una condizione clinica in cui gli attacchi si ripetono e chi ne soffre vive nel continuo timore che l’attacco possa ritornare, o che possa portare gravi conseguenze. Inoltre le persone affette hanno spesso sintomi fisici nella vita di tutti i giorni, anche al di fuori dell’attacco di panico, quali fatica a respirare, tachicardia, senso di instabilità, con un senso generale “di non essere in piena forma fisica”. 

Per questi motivi, la persona tende a modificare il proprio comportamento, per esempio sottoponendosi a ripetuti controlli medici nel timore di avere una malattia medica, o spesso limitando la propria libertà di movimento. Infatti la paura che i sintomi si manifestino in luoghi pubblici, in situazioni sociali, in luoghi chiusi, o, all’opposto, in spazi aperti, come centri commerciali, mezzi di trasporto, luoghi di lavoro, ascensori, strade/piazze, induce a evitare quei luoghi o quelle situazioni: pianificare e organizzare attività si fa sempre più difficile, la qualità della vita comincia sempre più a ridursi, la vita sociale, professionale e personale ne risulta invalidata. Se questa condizione è pervasiva, avremo un’agorafobia.    

Per uscire da un attacco di panico, cercare di ristabilire un ritmo regolare
È importante ricordarsi che, per quanto l’attacco di panico sia estremamente sgradevole, è un fenomeno transitorio, che scompare spontaneamente, non è un’emergenza medica e non comporta rischi per la salute fisica. Tentare di tenerlo presente quando capita l’attacco può contribuire a spegnere il circolo vizioso della paura che poi amplifica l’attacco stesso. È chiaro però che l’attacco di panico sia una condizione di allarme per la persona, per cui scattano dei meccanismi automatici difensivi, come per esempio andare in iperventilazione, cioè tentare di aumentare l’apporto d’aria con una respirazione frequente e superficiale, in risposta alla sensazione di soffocamento e mancanza d’aria tipica del panico.



Questa reazione però non è utile e innesca la cosiddetta alcalosi respiratoria, cioè un insieme di reazioni fisiche capaci di produrre delle sensazioni spiacevoli quali tremori, formicolii, sensazione di sbandamento e tachicardia che a loro volta incrementano la paura e quindi l’iperventilazione stessa, con ulteriore potenziamento dell’attacco.

È importante bloccare la risposta del nostro organismo all’allarme. Per far ciò, subito dopo che è scattato l’attacco si può controllare la respirazione cercando di ristabilire un ritmo regolare (per esempio immaginando un metronomo o un pendolo).

Si può anche provare a respirare in un sacchetto di carta, manovra che permetterà di evitare l’alcalosi respiratoria e le sue conseguenze, anche in presenza di una respirazione frequente e superficiale, perché induce a respirare la nostra stessa aria e quindi evita un’eccessiva eliminazione di anidride carbonica.

L’utilizzo di ansiolitici benzodiazepinici all’inizio dell’attacco non è raccomandato poiché questi farmaci iniziano a funzionare non prima di 15-20 minuti, quando l’attacco nella maggioranza dei casi è già scomparso da solo. Si rischia di creare una dipendenza psicologica, associando l’assunzione del farmaco alla risoluzione dell’attacco, che invece si è risolto spontaneamente.  

Consultare eventualmente uno specialista
Se la persona ha attacchi ricorrenti e sviluppa il disturbo di panico, con o senza agorafobia, è consigliato effettuare un colloquio con uno specialista psichiatra per valutare l’opportunità di intraprendere un trattamento specifico per bloccare gli attacchi e recuperare una piena libertà e serenità di vita.

I trattamenti di prima scelta consigliati dalle linee guida internazionali comprendono terapie farmacologiche, basate soprattutto sull’uso degli Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina, e la terapia psicologica di tipo cognitivo-comportamentale, e offrono ottimi risultati.



In associazione a essi, è possibile migliorare la propria respirazione attraverso esercizi respiratorispecifici, utili soprattutto per le persone con sintomi respiratori durante o al di fuori dell’attacco di panico, così come possono essere intrapresi programmi personalizzati di attività fisica o di miglioramento della postura e dell’equilibrio, utili per le persone con sintomi di instabilità o sbandamento. 


L'attacco di panico fa paura? Un aiuto viene dal senso del ritmo




È una crisi d'ansia acuta transitoria, non comporta danni alla salute. Ma attenzione, perché potrebbe trasformarsi in disturbo di panico e condizionare la quotidianità. Prima di tutto, fare respiri con regolarità.

Quando si parla di attacco di panico, s'intende una crisi d’ansia acuta, che si manifesta all’improvviso con una sintomatologia fisica ed emotiva, spesso senza stimoli che giustifichino la comparsa dei sintomi. Provoca un malessere intenso, e, se gli attacchi si ripetono, la quotidianità di chi ne soffre può essere compromessa, rendendo difficili semplici attività che fino a quel momento non creavano problemi. Ma cos’è davvero un attacco di panico? Come si manifesta, e soprattutto, come si cura? L’argomento è stato approfondito su un articolo apparso su Humanitasalute, con il contributo di Daniela Caldirola, psichiatra, specialista in disturbi d’ansia e panico in Humanitas San Pio X e ricercatore presso Humanitas University. Articolo che riportiamo di seguito integralmente.



Una crisi d'ansia acuta, ma transitoria


Un attacco di panico, la paura di morire
L’attacco di panico è un fenomeno che si presenta in maniera improvvisa e inaspettata, senza una diretta causa scatenante: può avvenire dal parrucchiere, mentre si fa la spesa, in qualsiasi momento e luogo, senza alcun preavviso. È caratterizzato da numerosi sintomi fisici, spesso molto intensi, accompagnati dalla paura di morire, perdere il controllo o impazzire. I sintomi raggiungono il picco d’intensità nell’arco di alcuni minuti e poi si risolvono spontaneamente. In alcuni casi possono però essere più prolungati o lasciare strascichi di malessere nelle ore successive. Pur essendo un fenomeno innocuo e senza dirette conseguenze sulla salute fisica, la sintomatologia dell’attacco di panico può essere tanto acuta da indurre la persona che ne fa esperienza a pensare di essere sul punto di morire per una qualche grave causa medica.  

Soffocamento, tachicardia... I sintomi dell'attacco di panico


L’attacco di panico si presenta con svariati sintomi fisici, tra cui difficoltà respiratorie (sensazione di mancanza di fiato o soffocamento), che sono i sintomi più frequenti, palpitazioni/tachicardia, dolore o fastidio al petto, sudorazione, tremore, formicolii o sensazione di intorpidimento, nausea o disturbi addominali, sensazione di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento, brividi o vampate di calore. 

Possono comparire anche sensazione di irrealtà (derealizzazione) o di sentirsi distaccati da se stessi (depersonalizzazione). In genere durante un attacco di panico la persona prova un’intensa paura di morire o di perdere il controllo o impazzire. Il fatto che l’attacco di panico possa essere erroneamente confuso, specialmente se la persona non l’ha mai vissuto prima, con un una patologia medica acuta, come un infarto del miocardio, un’aritmia, una crisi respiratoria, un ictus cerebrale, aumenta ancor di più il senso di terrore e rischio incombente.

Tuttavia, sappiamo che un attacco di panico si dissolve con la stessa velocità con cui si manifesta: può durare pochi minuti, ma questo non significa che debba essere sottovalutato il suo impatto emotivo. Per chi ha un attacco di panico in corso, cinque-dieci minuti sono percepiti come un’eternità.

Il rischio che l'attacco diventi disturbo di panico
L’attacco di panico è un fenomeno comune e di per sé innocuo. Si calcola che fino al 30% della popolazione può sperimentare in modo sporadico almeno un attacco di panico nella vita. In molti casi essi rimangono degli episodi isolati senza conseguenze, mentre in circa il 3%-4% della popolazione si sviluppa il vero e proprio Disturbo di Panico.



Questo disturbo è più comune nelle donne che negli uomini, con un rapporto di circa 2:1, e in genere insorge in età giovane adulta (20-30 anni). È una condizione clinica in cui gli attacchi si ripetono e chi ne soffre vive nel continuo timore che l’attacco possa ritornare, o che possa portare gravi conseguenze. Inoltre le persone affette hanno spesso sintomi fisici nella vita di tutti i giorni, anche al di fuori dell’attacco di panico, quali fatica a respirare, tachicardia, senso di instabilità, con un senso generale “di non essere in piena forma fisica”. 

Per questi motivi, la persona tende a modificare il proprio comportamento, per esempio sottoponendosi a ripetuti controlli medici nel timore di avere una malattia medica, o spesso limitando la propria libertà di movimento. Infatti la paura che i sintomi si manifestino in luoghi pubblici, in situazioni sociali, in luoghi chiusi, o, all’opposto, in spazi aperti, come centri commerciali, mezzi di trasporto, luoghi di lavoro, ascensori, strade/piazze, induce a evitare quei luoghi o quelle situazioni: pianificare e organizzare attività si fa sempre più difficile, la qualità della vita comincia sempre più a ridursi, la vita sociale, professionale e personale ne risulta invalidata. Se questa condizione è pervasiva, avremo un’agorafobia.    

Per uscire da un attacco di panico, cercare di ristabilire un ritmo regolare
È importante ricordarsi che, per quanto l’attacco di panico sia estremamente sgradevole, è un fenomeno transitorio, che scompare spontaneamente, non è un’emergenza medica e non comporta rischi per la salute fisica. Tentare di tenerlo presente quando capita l’attacco può contribuire a spegnere il circolo vizioso della paura che poi amplifica l’attacco stesso. È chiaro però che l’attacco di panico sia una condizione di allarme per la persona, per cui scattano dei meccanismi automatici difensivi, come per esempio andare in iperventilazione, cioè tentare di aumentare l’apporto d’aria con una respirazione frequente e superficiale, in risposta alla sensazione di soffocamento e mancanza d’aria tipica del panico.



Questa reazione però non è utile e innesca la cosiddetta alcalosi respiratoria, cioè un insieme di reazioni fisiche capaci di produrre delle sensazioni spiacevoli quali tremori, formicolii, sensazione di sbandamento e tachicardia che a loro volta incrementano la paura e quindi l’iperventilazione stessa, con ulteriore potenziamento dell’attacco.

È importante bloccare la risposta del nostro organismo all’allarme. Per far ciò, subito dopo che è scattato l’attacco si può controllare la respirazione cercando di ristabilire un ritmo regolare (per esempio immaginando un metronomo o un pendolo).

Si può anche provare a respirare in un sacchetto di carta, manovra che permetterà di evitare l’alcalosi respiratoria e le sue conseguenze, anche in presenza di una respirazione frequente e superficiale, perché induce a respirare la nostra stessa aria e quindi evita un’eccessiva eliminazione di anidride carbonica.

L’utilizzo di ansiolitici benzodiazepinici all’inizio dell’attacco non è raccomandato poiché questi farmaci iniziano a funzionare non prima di 15-20 minuti, quando l’attacco nella maggioranza dei casi è già scomparso da solo. Si rischia di creare una dipendenza psicologica, associando l’assunzione del farmaco alla risoluzione dell’attacco, che invece si è risolto spontaneamente.  

Consultare eventualmente uno specialista
Se la persona ha attacchi ricorrenti e sviluppa il disturbo di panico, con o senza agorafobia, è consigliato effettuare un colloquio con uno specialista psichiatra per valutare l’opportunità di intraprendere un trattamento specifico per bloccare gli attacchi e recuperare una piena libertà e serenità di vita.

I trattamenti di prima scelta consigliati dalle linee guida internazionali comprendono terapie farmacologiche, basate soprattutto sull’uso degli Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina, e la terapia psicologica di tipo cognitivo-comportamentale, e offrono ottimi risultati.



In associazione a essi, è possibile migliorare la propria respirazione attraverso esercizi respiratorispecifici, utili soprattutto per le persone con sintomi respiratori durante o al di fuori dell’attacco di panico, così come possono essere intrapresi programmi personalizzati di attività fisica o di miglioramento della postura e dell’equilibrio, utili per le persone con sintomi di instabilità o sbandamento. 


sabato 19 dicembre 2020

Dolore emotivo: Ciò che non ti uccide ti rende più forte 




“Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati”disse Ernest Hemingway. Sfortunatamente, ci sono persone che non si riprendono mai dai colpi che la vita dà loro, non sono in grado di permettere che le loro ferite guariscano, e queste terminano condizionando sia il loro presente che il loro futuro.

Il dolore emotivo può diventare molto più resistente e intenso del dolore fisico. Purtroppo, ci hanno educato a evitare il dolore, invece che affrontarlo e usarlo come trampolino di lancio per la crescita. Pertanto, non è strano che quando affrontiamo situazioni che ci causano sofferenza, attiviamo delle strategie che ci fanno sentire ancora peggio e ritardano la guarigione emotiva.

10 modi dannosi di affrontare il dolore emotivo

Il dolore emotivo genera di solito risposte diverse. Se non abbiamo sviluppato le nostre risorse psicologiche di coping, è probabile che agiremo automaticamente, ripetendo comportamenti che abbiamo imparato dai nostri genitori o da chi abbiamo vicino. In questi casi, è molto facile cadere in un ciclo di negatività in cui non troviamo l’uscita.

1. Fuga. Si traduce nel tentativo di allontanarsi con ogni mezzo dall’evento doloroso, dalla situazione che ci sta causando sofferenza. Ma dal momento che il dolore emotivo ha una grande componente soggettiva, non c’è posto al mondo in cui possiamo scappare da noi stessi, quindi questa strategia di evitamento di solito non è molto efficace.

2. Repressione. È un meccanismo di difesa che attiviamo quando crediamo di non essere in grado di affrontare il dolore emotivo. Consiste nel cercare di dimenticare gli eventi, in modo tale che non causino sofferenza. Il problema, ancora una volta, è che non possiamo semplicemente dimenticare perché quei contenuti rimarranno attivi, dal momento che non li abbiamo elaborati come parte della nostra narrativa di vita.

3. Negazione. Abbiamo scelto di ignorare la sofferenza, agendo come se non esistesse. Ogni volta che sentiamo una fitta di dolore diciamo a noi stessi che non sta succedendo nulla, che tutto sta andando bene. Ovviamente, negare la realtà non la farà scomparire.

4. Proiezione. In questo caso il dolore emotivo viene proiettato sugli altri. Quando mettiamo in azione questo meccanismo ci diciamo che noi stiamo bene, che sono gli altri a soffrire. Crediamo che non riconoscendo la sofferenza, questa scomparirà come per magia.

5. Regressione. Quando il dolore emotivo è molto forte, a volte ci rifugiamo in periodi precedenti della nostra vita, in cui ci sentiamo molto più a nostro agio e al sicuro. La nostalgia, e il bisogno di guardare indietro per sentirsi bene, indicano spesso che stiamo vivendo un presente che non ci piace. Tuttavia, per superare qualsiasi tipo di dolore emotivo è essenziale guardare avanti, non rimanere bloccati nel passato.

6. Isolamento. Più profonda è la ferita, più privato è il dolore. A volte non troviamo un modo per esprimere quella sofferenza, così finiamo per isolarci, viverlo in privato e permettergli di consumarci. Il problema è che l’isolamento genera solitudine e la solitudine innesca la depressione, introducendoci in un circolo vizioso che alimenta la sofferenza.

7. Razionalizzazione. Se crediamo di essere una persona profondamente razionale, che non può essere influenzata dalle emozioni, rifiuteremo il dolore emotivo e cercheremo delle cause razionali che possano confortarci. Il problema è che spesso questo processo porta all’autocolpevolizzazione, che genera problemi ancor maggiori a livello emotivo.

8. Spostamento. In questo caso cercheremo di trovare un colpevole fuori di noi, a cui possiamo attribuire la responsabilità del nostro dolore. Ma la verità è che la ricerca del capro espiatorio ci impedisce di assumere la nostra parte di responsabilità e imparare dall’esperienza. Pertanto, quel dolore sarà stato inutile.

9. Sostituzione. In questo caso, la strategia che scegliamo per affrontare il dolore emotivo è sostituire i pensieri che ci feriscono con altri, per evitare la sofferenza. All’inizio, non ci sarebbe nulla di sbagliato in questo, il problema si presenta quando la sostituzione dei pensieri viene fatta con l’obiettivo di negare l’evento o quando usiamo affermazioni ingenue come “stai molto bene, non succede assolutamente nulla”.

10. Ripetizione. È una delle peggiori strategie che possiamo usare per affrontare il dolore emotivo perché consiste nel ripassare, più e più volte, l’accaduto. La nostra mente si trasforma in un cinema in cui proiettiamo continuamente i fatti, cercando di ricostruire anche il più piccolo dettaglio nel tentativo di trovare consolazione o una spiegazione. Ovviamente, questa strategia non fa che alimentare il problema.

3 passi per superare il dolore emotivo

1. Il dolore non è tuo amico, ma neppure il tuo nemico

Il dolore è dentro di noi, non possiamo sfuggirgli, anche se è vero che in alcuni casi è conveniente allontanarsi dalla fonte che lo causa. Ma è sempre necessario fare un profondo lavoro interiore.

Negare il dolore non è il modo migliore per affrontare la sofferenza. Il dolore emotivo è un sintomo, il segno che qualcosa non va e dobbiamo “ripararlo”. Pertanto, il primo passo per superarlo è accettarne l’esistenza e imparare a conviverci finché poco a poco scomparirà.

Quando soffriamo un’esperienza traumatica le tracce dolorose rimangono impresse nel nostro cervello. I neuroscienziati dell’Università di Harvard chiesero a delle persone che avevano subito un trauma di ascoltare una descrizione dell’accaduto, nel frattempo veniva scannerizzato il loro cervello. Scoprirono così che quando le persone non erano in grado di voltare pagina, si attivavano soprattutto l’amigdala, il nucleo della paura e la corteccia visiva, il che significa che stavano rivivendo questi eventi in modo particolarmente intenso.

Al contrario, nelle persone che erano riuscite a superare il trauma, si attivò l’area di Broca, responsabile del linguaggio. Ciò significa che queste persone trasformarono l’evento doloroso in un’esperienza narrativa che incorporarono nella loro storia di vita, così da riuscire ad alleggerirlo, almeno in parte, del suo impatto emotivo.

All’inizio, l’idea è quella di prendere atto del dolore, come potremmo prendere atto del resto delle cose che ci circondano, ma cercando di non drammatizzare ancora di più. Per esempio: “provo dolore, ne sono consapevole ed è una risposta normale che svanirà con il passare dei giorni”. Certo, non si tratta di accettare solo quel dolore, ma anche tutti i sentimenti che porta con sé, dalla rabbia alla frustrazione.

2. Accettazione radicale: a mali estremi, rimedi estremi

Lo psicologo William James scrisse: “accettare ciò che è accaduto è il primo passo per superare le conseguenze di qualsiasi disgrazia”. Se continuiamo a rimuginare sull’accaduto, non potremo mai voltare pagina.

Tara Brach ci propone di praticare l’accettazione radicale, che consiste in “riconoscere chiaramente ciò che proviamo nel presente così da poter affrontare quell’esperienza con compassione”. Questo significa accettare tutto ciò che ci accade nella vita senza opporre resistenza. Non significa rassegnarsi, ma assumere che certe cose sono successe e non possiamo cambiarle, invece di emettere continuamente giudizi di valore che ci immergono in un ciclo di negatività, come ad esempio: “non doveva andare cos씓non è giusto” o “perché proprio a me?”

Quando accettiamo un evento, per quanto doloroso, riusciamo a capire che questo evento fa parte del passato e che ciò che condiziona il nostro presente sono i pensieri e le emozioni che stiamo alimentando. Certo, non è facile, l’accettazione non arriva in un colpo solo, è un processo che richiede un arduo lavoro psicologico.

Mentre accetti che l’accaduto appartiene al passato, il tuo cervello lo elaborerà finché non riuscirai a “sconnetterlo” dal tuo presente. Quando accetti che non puoi cambiare quello che è successo, il cervello smetterà di cercare soluzioni, il che significa che smetterai di rimuginare e rivivere l’esperienza dolorosa nella tua mente.

3. Ricomporre i pezzi rotti che il dolore lascia dietro di sé

L’avversità colpisce tutti, siamo noi che dobbiamo imparare non solo a sopravvivere, ma anche ad uscire rafforzati dall’esperienza. Essere dei sopravvissuti che trascinano con sé il dolore emotivo può diventare un vero incubo.

Ci sono persone che hanno la capacità innata di ricomporre i pezzi rotti, sono persone resilienti che dispongono di risorse straordinarie per il recupero emotivo. Altri devono sviluppare quelle abilità. Secondo lo psicologo Guy Winch, “la perdita e il trauma possono fare a pezzi la nostra vita, devastare le nostre relazioni e sovvertire la nostra stessa identità”, ma è necessario ricomporre quei pezzi.

In realtà, le esperienze traumatiche che lasciano dietro di sé una grande sofferenza sono così dolorose, tra le altre ragioni, perché fanno a pezzi le nostre convinzioni rispetto al mondo, facendoci notare che non è un posto così sicuro come pensavamo. Questa scoperta può essere piuttosto destabilizzante, perché non si tratta solo di riprendersi dal colpo subito, ma ci rende consapevoli che la vita può infliggerci colpi ancor più dolorosi.

Per curare la ferita abbiamo bisogno di tempo e di un profondo lavoro introspettivo. Infatti, molto spesso non si tratta di rimettere i pezzi rotti al loro posto, come faremmo con un vaso rotto, ma trovare nuovi modi di far combaciare quei pezzi. Questo significa che potresti trovare un nuovo significato della vita, capire in che modo questa esperienza ti ha reso più forte o addirittura sentirti incoraggiato a intraprendere nuovi progetti. Se usi il dolore come un’opportunità per crescere, invece di vederlo solo come una fastidiosa pietra sul tuo cammino, non sarà stato invano.


Dal Sito: angolopsicologia.com 


lunedì 14 dicembre 2020

Crescita personale: cos'è e a cosa serve?




Parlare di crescita personale vuol dire riferirsi a delle competenze specifiche quali la capacità di gestire le emozioni, la resilienza, l’empatia, l’adattabilità, la creatività.

Queste competenze vengono anche chiamate in gergo competenze trasversali o Soft Skills e sono utili non solo nella vita privata ma anche nella professione: la ricerca ha infatti dimostrato ampiamente che le conoscenze tecniche di settore e l’intelligenza personale costituiscono solo una parte delle qualità utili ad affermarsi nel proprio campo professionale. Vediamo allora che cosa intendiamo quando usiamo l’espressione gestire le emozioni. Per gestire qualcosa dobbiamo affinare una serie di abilità che possiamo allenare e migliorare nel tempo. Queste abilità dunque sono competenze che possono essere apprese da tutti, potenziate con l’esperienza nel corso della propria esistenza.

Gestire le emozioni vuol dire dunque: riconoscerle (dargli un nome), assumersene la responsabilità (cogliere le informazioni che contengono su noi stessi quando le esprimiamo) e legarle ai propri bisogni (utilizzarle per raggiungere i propri obiettivi nella vita). Imparare a gestirle in questo modo accresce il benessere perché permette di comprendere quello che ci accade intorno e di avere il potere di cambiare quegli aspetti che non portano nutrimento alla nostra vita. Inoltre poter dare un senso alle emozioni spiacevoli ci fornisce il vantaggio di non esserne travolti trovando la nostra personale modalità per affrontarle e farci qualcosa. Gestire le emozioni ci informa sul nostro modo di essere, sul nostro modo di guardare il mondo e sulla nostra modalità di rapportarci agli altri. Tutto questo aumenta la nostra crescita personale perché ci fornisce gli strumenti per guidare le nostre relazioni e per imparare a chiedere in maniera competente senza rischiare di ferire l’altro o di imbatterci cronicamente in situazioni che generano rifiuto e allontanamento da parte dell’altro.

Ragionare in quest’ottica significa da un lato sfruttare al meglio gli effettigenerati dall’espressione delle nostre emozioni nei diversi contesti e dall’altro imparare da questi feedback qualcosa in più su come è fatto l’altro e su quale sia il modo migliore di avvicinarsi a lui. Chiedere qualcosa all’altro utilizzando il potenziale insito nell’espressione competente delle emozioni lo dispone a darci quello che vorremmo e a comprendere il nostro punto di vista. In questo senso l’abilità di mettersi nei panni dell’altro che chiamiamo empatia smette di essere un concetto e diventa una concreta possibilità di costruire relazioni in cui c’è uno spazio reale per le persone che ne fanno parte.

Altra abilità importante è quella della resilienza che consiste nell’affrontare le avversità della vita attraversandole per uscirne trasformati traendo vantaggio da quello che ci accade. Essere resilienti non significa dunque essere intoccabili e invulnerabili alle emozioni, ma al contrario vuol dire avere la tenacia di viverle a pieno lasciandosi toccare da quello che hanno da dirci. Ogni emozione che sentiamo nel corpo comunica alla nostra mente e alla nostra anima cosa sarebbe più salutare per noi fare in quel determinato momento, imparare a farci caso e ad esserne consapevoli è uno strumento fondamentale per accrescere la resilienza.

Collegata alla resilienza è l’adattabilità che consiste nell’entrare in contatto con le situazioni della vita stando radicati nel qui e ora, un po’ come l’acqua che non essendo rigida nel suo essere, prende la forma del contenitore in cui la versiamo. L’utilità dell’adattabilità è presto detta: la vita stessa ci presenta situazioni dalle forme più diverse e affrontarle in base alla forma che assumono di volta in volta piuttosto che nella stessa rigida maniera porta benessere perché permette di utilizzare le proprie energie in modo mirato, senza disperderle trattenendo ciò che dobbiamo lasciar andare.

La creatività a questo proposito è l’abilità con cui possiamo trovare strade alternative al raggiungimento dei nostri obiettivi e dei nostri sogni. Quando un sogno non si realizza o ci blocchiamo sulla realizzazione di questo sogno con tutte le nostre forze perdendo di vista tutta una serie di altre possibilità, allora utilizzare la creatività e l’immaginazione può fare la differenza tra una vita piena di rancore e frustrazione e una vita in cui accanto alla porta principale dei sogni ci sono tante porticine cariche di altri desideri. Nel secondo caso la vita è più soddisfacente perché nel frattempo che un sogno non si realizza ci dedichiamo a un altro desiderio e dedicandoci a questo possiamo accumulare altra energia vitale che continuerà a muoverci nella direzione di progettare la nostra esistenza, anziché fermarla alla prima sconfitta.


Dal Sito: psicologionline.net

Ansia: i suggerimenti facili per tenerla a bada




Ansia: i suggerimenti facili per tenerla a bada

È un malessere che colpisce con maggior frequenza le donne: si può controllare ma non va sottovalutato.


Ci sentiamo sempre con il fiato sospeso, l’ambiente che ci circonda appare potenzialmente minaccioso, siamo sempre vigili e preoccupati,anche se non sappiamo con precisione che cosa sia a intimorirci: tutto questo è l’ansia, uno stato emotivo di disagio e di paura suscitato da qualcosa che percepiamo come pericoloso per noi e per i nostri cari e davanti al quale non siamo certi di poterci difendere in modo efficace. Anche se di per sé l’ansia non è uno stimolo negativo, perché spinge alla prudenza e a comportamenti responsabili, può trasformarsi in una tensione continua, logorante e un serio ostacolo alla nostra quotidianità. In questi casi è indispensabile chiedere aiuto. 

FOTOGRAFIA DELL’ANSIA – Il termine ansia viene dal latino anxia, derivante a sua volta dal verbo angere che significa stringere, soffocare. La parola stessa, dunque, descrive lo stato d’animo che vuole indicare: l’ansia è un timore interiore che costringe e toglie il fiato. Di per sé non è un fenomeno anormale, ma è semplicemente è la sensazione di allerta psicologica e fisica che proviamo in presenza di uno stimolo minaccioso: questa condizione vigile e attiva ci mantiene in guardia e ci rende pronti a mettere in atto misure efficaci per proteggerci e preservare la nostra incolumità. Quando però lo stato di tensione non si interrompe mai o diventa eccessivo, può disturbare in maniera più o meno importante le nostre azioni quotidiane e occorre fare qualcosa.

 

I SINTOMI - I sintomi dell’ansia possono essere vari e diversi: di solito coinvolgono sia la sfera cognitiva che quella fisica. Di solito il soggetto in preda all’ansia prova unsenso crescente di allarme e di pericolo, nutre pensieri negativi e pessimisti, oppure sperimenti una sensazione di vuoto mentale. Le reazioni più comuni sono il tentativo di esplorare l’ambiente alla ricerca di spiegazioni, rassicurazioni e, soprattutto, vie di fuga. A questo si accompagnano alcuni sintomi fisici, tra cui l’aumento della sudorazione, il batticuore, il respiro che diventa superficiale e affannoso, la nausea, i disturbi addominali e, nei casi più acuti, il dolore al torace e la difficoltà a respirare. 

 

COME COMPORTARSI – Se abbiamo provato con frequenza uno o più di questi sintomi, o se abbiamo sperimentato un episodio acuto, è opportuno cercare l’aiuto di uno specialista: l’ansia può essere di diversi tipi e richiedere un trattamento specifico: è quindi di pertinenza di un medico preparato. Se invece ci troviamo a dover gestire sintomi blandi o se siamo alle prese con un semplice senso di timore che ogni tanto ci assale e ci infastidisce, possiamo provare a mettere in atto qualche regola di auto-aiuto che ci aiuti   a stare meglio e, soprattutto, a non sentirci a disagio davanti ad altre persone.  

 

-    Impariamo a respirare – Dato che uno dei primi sintomi dell’ansia è proprio il fiato corto, impariamo a gestire lo stress sul filo del respiro. Esistono particolari tecniche, anche mutuate dallo yoga, per mantenere sotto controllo le emozioni sgradevoli proprio tramite la respirazione profonda e diaframmatica: alternando in modo regolare inspirazioni ed espirazioni profonde si possono controllare anche le tensioni muscolari eccessive e recuperare uno stato di benessere e di autocontrollo. 
-    Accettazione – Può sembrare strano a dirsi, ma l’ansia non va combattuta: va invece accettata e persino assecondata, entro certi limiti. Occorre esserne consapevoli e accoglierla come faremmo con un limite fisico o un’imperfezione. Diamo il giusto peso ai nostri bisogni e a quello che ci rende felici: proponiamoci obiettivi ragionevoli e cerchiamo di raggiungerli passo dopo passo anche se sappiamo che il timore ad un certo punto ci assalirà. Quando avremo trovato un modo per arrivare comunque al nostro obiettivo, a quel punto anche l’ansia scomparirà. 
-    Controllo, ma non troppo – Un ansioso di solito fa di tutto per tenere sotto controllo tutti gli aspetti di una situazione. Cerchiamo di non eccedere con questa smania: avere il dominio di ogni aspetto della vita è impossibile, anche se entro una certa misura, di sicuro è alla nostra portata. Pianifichiamo allora le situazioni e prevediamone i possibili punti critici, ma restiamo consapevoli che qualcosa può comunque andare storto: ripetiamo a noi stessi che anche in questo caso di certo saremo in grado di affrontare la situazione e di cavarcela con onore.
-    Non concediamo spazio al pessimismo: la legge di Murphy è purtroppo una tagliola sempre in agguato, ma se vediamo tutto nero, le cose hanno maggiori probabilità di andare storte. Meglio essere ottimisti e sbagliarsi che essere pessimisti e avere ragione. Concentriamoci dunque sul presente, senza lasciarci intimorire dal futuro. 
-    Situazioni ansiogene: la cautela è d’obbligo – Se conosciamo le situazioni che ci creano particolare apprensione, affrontiamole con coraggio ma sempre con cautela e in modo graduale, senza pretendere troppo da noi stessi. Ad esempio, se parlare in pubblico ci terrorizza, facciamo qualche prova davanti allo specchio o con un registratore; potremo passare poi a un piccolo auditorio con qualche amico e conoscente e poi, se siamo riusciti a prendere coraggio, affrontare la presentazione importante della quale il capo ci ha incaricati. Con un po’ di esperienza, e di fiducia in noi stessi, probabilmente l’ansia svanirà. 


Dal Sito: tgcom24.mediaset.it


mercoledì 9 dicembre 2020

Il dono del dolore: quando cadere ti rende più forte


“Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.”
— Khalil Gibran

Il dolore è uno dei nostri più grandi maestri, ci accompagna in ogni fase della nostra vita; peccato che intorno a lui, abbiamo costruito un mito negativo che ci impedisce di capire quali doni e lezioni ci porta. Se ci pensi bene, la nostra vita comincia nel dolore, basta pensare al parto. Da lì, la nostra vita sarà costellata da grandi e piccole sofferenze, tra le quali le più insidiose saranno quelle che rimarranno invisibili agli occhi.

Si potrebbe vivere una vita priva di dolore? Forse, ma si rischierebbe di passare accanto al genere di esperienze che ci fanno crescereveramente.

Le lezioni della sofferenza: quando il dolore insegna

Quando avevo circa 4 anni, ero particolarmente attratta dal fuoco e non servivano a nulla le ammonizionidi mia madre che tentava a tutti i costi di allontanarmi da lui. Io volevo afferrare quella piccola meraviglia luminosa, volevo toccarla. Un giorno, mia madre fece qualcosa di discutibile che mi avrebbe comunque risparmiato nel futuro dei grossi guai: mi lasciò scottarmi il dito. Provai un dolore tale che me lo ricordo ancora oggi! Da quel giorno, sono rimasta molto attenta al fuoco. Mi sono ferita  ma ho anche imparato qualcosa di importante: bisogna stare attenti a ciò che crea dolore. È così che il dolore ci insegna a diventare prudenti e responsabili: quando sai che qualcosa ha il potere di ferirti e sai cosa significa soffrire,provi di evitarlo anche agli altri.

“Un’ora breve di dolore c’impressiona lungamente; un giorno sereno passa e non lascia traccia.”
— Luigi Pirandello

Il dono dietro ciò che fa male

Il dolore ha la particolarità di fissarsi bene nella nostra memoria, ricordandoci quando l’abbiamo provato e cosa lo ha provocato e questo costituisce un dono davvero prezioso per la nostra evoluzione.

L’intero percorso dell’essere umano, le sue ricerche, i suoi progressi tecnologici sono in qualche modo legati alla sofferenza: dal fuoco per tenere distanti i predatori alle case per proteggersi dalle intemperie, allo sviluppo della medicina per curare i malanni alle religioni per provare di capirne il senso, il dolore è un tema onnipresente nelle nostre esistenze; è quindi inutile demonizzarlo perché ci serve per crescere, per evolvere, per migliorare e portarci uno scalino più su, a condizione di riuscire a superarlo.

“Si tratta di una verità spaventosa: il dolore può renderci più profondi, può conferire un maggiore splendore ai nostri colori e una risonanza più ricca alle nostre parole. Questo avviene se non ci distrugge, se non annienta l’ottimismo e lo spirito, la capacità di avere visioni e il rispetto per le cose semplici e indispensabili.”
— Anne Rice

Per superarlo, devi imparare le sue lezioni

Il dolore è utile quando è di passaggio, altrimenti rischia di farci impazzire; ecco perché bisogna fare in modo che rimanga un maestro a tempo determinato e riuscire a superarlo. Per farlo ed evitare che lo stesso tipo di sofferenza si ripresenti, bisogna imparare bene le sue lezioni.

I suoi insegnamenti si focalizzano sul farci scoprire chi siamo dentro di noi. Portandoci nelle nostre profondità, ci mette in contatto con i nostri lati d’ombra, con il nostro buio interiore, per riemergere poi più consapevoli e maturi.

“Il dolore è il gran maestro degli uomini. Sotto il suo soffio si sviluppano le anime.”
— Marie von Ebner-Eschenbach

1. Impara a lasciare andare

Spesso ci aggrappiamo alla causa del nostro malessere e non riusciamo a lasciarla andare, che sia un evento del passato, una convinzione o una persona. In questo caso, la prima cosa che dobbiamo fare è accettare che ciò che ci fa soffrire deve essere rilasciato. Accettare che alcune cose hanno una fine e non possono essere trattenute all’infinito ci aiuterà ad andare avanti per la nostra strada e permetterà finalmente alle nostre ferite di cicatrizzarsi, rendendoci più forti e consapevoli dei nostri limiti.

Staccarsi da ciò che ci fa male ha anche un grande vantaggio: ci riporta a ciò che conta davvero nella nostra vita, all’essenziale. Possiamo approfittare dei momenti bui e difficile per tagliare i legami tossiciabbandonare una strada che non sentivamo nostra, lasciar andare alcune convinzioni limitanti, in poche parole, per ritrovare quel nocciolo interiore dove siamo nudi di fronte al mondo, spogli da fronzoli ma meravigliosamente autentici. 100% noi stessi.

“Un dolore ti insegna a viaggiare a marcia indietro. Da grande a piccolo. Da ricco a povero. Dal superfluo all’essenziale.”
— Fabrizio Caramagna

2. Non identificarti con ciò che ti lasci alle spalle


Sopratutto quando conviviamo per molto tempo con le nostre ferite, tendiamo a pensare che sono parte di noi e ci identifichiamo con esse. Occorrerà perciò evitare che il dolore si cronicizzi, col rischio di farci pure il callo e di anestetizzarsi emotivamente ‒ occhio al rischio di depressione! ‒; per fare ciò bisognerà affrontarlo, riconoscerlo e tagliare il cordone, capire che non siamo il nostro dolore.

Decidendo di separarci dal dolore e lasciandolo andare abbandoniamo anche un’idea che ci eravamo fatti di noi e di un futuro che non vivremo mai, e questo può spaventare; ma chiudendo quella porta fatta di sofferenza e decidendo di andare avanti, ci apriamo a nuove possibilità dove siamo noi, e non le nostre ferite, a decidere cosa fare della nostra vita.

3. Riscopri chi sei

Capita che ci risulti difficile riuscire a capire chi siamo senza la sofferenza, perché spesso ci abituiamo alla sua presenza e ci dimentichiamo di chi eravamo senza di lei. Chi siamo? Questa è la domanda principale da farci quando il dolore interiore bussa alla nostra porta. Quali sono le nostre passioni, cosa ci dà piacere, quali sono le nostre aspirazioni nella vita, quali sono i nostri talenti?

Il dolore serve a spogliarti di tutto ciò che non è tuo: sensi di colpa, vergogna, giudizi, maschere, illusioni.Con il dolore non puoi fingere, torni ad essere solo/a te stesso/a, con le tue paure, con la tua ombra.

Quando avrai toccato il cuore del dolore, quando sarai sommerso/a nella tua oscurità, capirai chi sei. Ti riconoscerai al di là dei pensieri illusoridei sogni infranti che gli altri hanno fatto pesare sulle tue spalle, dei legami che possono graffiare il tuo cuore ma non possono attaccare il nocciolo del tuo essere. Il dolore è la guida che ti porta dentro di te per farti incontrare la persona più importante della tua vita, e quella persona sei tu.

“Il dolore non è una sconfitta, le lacrime non sono una resa, ma solo il segnale di una trasformazione che sta avvenendo in te. Qualcosa che non serviva più alla tua crescita ti ha abbandonato, e qualcos’altro che ti accompagnerà nel tuo cammino sta invece nascendo. Questo ci insegna la vita. Ogni nuova nascita è preceduta da un grande dolore. Solo chi rifiuta la vita e ogni forma di crescita interiore rende sterile e infruttuoso il potere rigenerante del dolore.”
— Manuele Dalcesti

 

Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e shamanic storyteller
www.risorsedellanima.it


Dal Sito: eticamente.net 


lunedì 7 dicembre 2020

Crisi d'ansia: scopri come riconoscerla e come gestirla






Hai mai avuto la sensazione che stavi per morire o che il tuo cuore stesse per esplodere? Questo è esattamente come si sentono coloro che hanno avuto attacchi di ansia. Scopri come identificarli in modo da poterli fermare.

Molte persone, durante il picco di stress o momenti emotivi difficili, presentano o hanno sofferto di attacchi di ansia. Riconoscere questo tipo di attacchi preventivamente è utile per attutirne l’impatto.

L’ansia è una patologia che riguarda prettamente una sensazione che in molti sostengono di provare. Nei periodi in cui si manifesta spesso è disabilitante ed impedisce il normale svolgimento della propria vita. L’ansia è un disturbo a livello emotivo che provoca una sensazione diinsicurezza, apprensione e pericolo e non è legata sempre alla paura. La paura deriva da qualcosa di reale e palpabile, mentre l’ansia non si manifesta per un motivo ben definito a volte. L’ ansia può comparire a seguito di stress eccessivo ma anche in periodi di nervosismo.

L’ansia si distingue principalmente in: attacchi di panico, ansia permanentenevrosi d’ansia. Il primo si manifesta con convulsioni periodiche, il secondo da disturbo d’ansia generalizzato e l’ultimo da danni duraturi e cronici. Questa distinzione è importante perché queste patologie vengono trattate in modo diverso.

In che modo si possono curare gli attacchi di ansia?

L’ansia si può presentare sotto forma di attacco di panico. In questo caso uno specialista potrebbe prescrivere come misura preventiva degli antidepressivi.

L’ansia nel caso in cui sia generalizzata, può essere alleviata con tranquillanti a breve termine, da non prendere mai per periodi troppo lunghi poiché creano dipendenza.
Quando l’ansia è considerata lieve?

Quando l’ansia non è oggetto di una patologia, si parla di ansia “adattativa”, cioè funzionale nella vita quotidiana. Questo tipo di ansia è ben tollerata, non è disabilitante e non causa attacchi di panico. E’ una condizione che ci permette di affrontare meglio le situazioni della vita,  è quindi ben tollerata dal soggetto che la avverte  e che riesce a gestirla senza eccessiva difficoltà. Si parla di ansia lieve per esempio, in riferimento alla sensazione di disagio che si avverte prima di un esame o di un colloquio di lavoro importante.  Questa emozione è produttiva perché partecipa alla gestione dello stress e di tutte le soluzioni che ne derivano. Questo tipo di ansia ti mantiene vigile in caso di eventi imprevisti.

Quando l’ansia è considerata moderata o grave?

Nel caso in cui si inizia a parlare di una sensazione disabilitante, una sorta di peso che grava sul petto,  l’ansia può rientrare nella categoria di gravità.  Solitamente si manifesta in periodi altamente stressanti. Può diventare una condizione cronica e quindi non essere più funzionale e a volte produttiva ma  creare un senso di apprensione e inadeguatezza. Questa sensazione crea limitazioni che possono manifestarsi come attacchi di panico,  disturbo da stress post-traumatico, fobie. Con il tempo potrebbe tramutarsi in  depressione o comportamenti di dipendenza da sostanze o relazioni.

Quando possiamo parlare di un attacco di ansia?

Riconoscere un attacco di ansia non è semplice, questo attacco ha una durata variabile, da pochi minuti a un’ora quel che è certo è che chiunque abbia provato questa condizione l’ha definita come un’esperienza traumatica. Dopo la sua comparsa il soggetto potrebbe avvertire forte dolore al petto o dolore addominale, sensazione di vuoti di mente, perdita di controllo e lucidità, brividi, sensazione di essere fuori dal corpo, ed inoltre si potrebbero manifestare anche palpitazioni, perdita di respiro, pallore, irrequietezza.

Quando si verifica questo disturbo, il soggetto potrebbe avvertire la necessità di fuggire o sentirsi  fisicamente paralizzato. Questa sensazione può crescere e diventare un attacco di di panico. Quest’ultimo può essere avvertito anche dai bambini che lo manifestano diversamente dagli adulti.

Come affrontare al meglio un attacco di ansia?

Se ti senti nella morsa dell’ansia o un tuo caro ti dice di provare questa sensazione, l’unico modo che si ha di alleviare questa ansia, è quello di adottare alcuni riflessi. Innanzitutto, è essenziale focalizzarsi sulla temporaneità dell’attacco. Un attacco non dura per sempre, un pò come una contrazione da parto, bisogna respirare profondamente restando concentrati sul fatto che durerà poco. Esistono degli esercizi di respirazione “tattici” ritenuti molto validi.
Questi esercizi solitamente prevedono la concentrazione sul respiro per quattro secondi su inspirazione ed espirazione. Inspirare 4 secondi, trattenere per 4 secondi ed espirare per altri 4 secondi. È importante fare questo esercizio di respirazione finché non si ritorna ad avere coscienza del proprio corpo.

Nel caso in cui si nota che questi attacchi sono regolari, è fondamentale consultare un professionista della salute. L’ansia frequente può anche essere collegata a carenze rilevate dagli esami del sangue.


Dal Sito: chedonna.it 

martedì 1 dicembre 2020

Forse stai somatizzando? Le reazioni fisiologiche più comuni indotte dall’attivazione emotiva



Quando ci si sente bene fisicamente è più probabile che ci senta a posto anche da un punto di vista psicologico: si è inclini a sorridere, al buonumore e a vedere il bicchiere mezzo pieno, il discorso cambia quando si è in conflitto con la propria emotiività.  La somatizzazione può, infatti, può rappresentare il vero linguaggio della sofferenza psichica e nascondere un profondo conflitto interiore, un mal-essere psicologico, di cui non si ha consapevolezza.

I sintomi fisici sono accettati più facilmente dalla società rispetto alla comune nozione di malattia mentale; possono quindi rappresentare una reazione alle repressioni, inibizioni e rimozioni della nostra storia personale e della nostra vita professionale, culturale, sociale, familiare o sessuale e all’incapacità di gestire in maniera autonoma i problemi della vita quotidiana.

Le persone che somatizzano risultano talvolta “scomodi” e rischiano di essere sottovalutati o abbandonati alle loro sofferenze con vaghe diagnosi di “turbe neurovegetative” o “distonia neurovegetativa”, “disordine funzionale”, “esaurimento nervoso”, “ipotensione arteriosa”, “crisi di nervosismo”. Le diverse risposte manifestate dai soggetti definiscono il particolare disturbo in specifiche parti del corpo:

Stomaco

Le situazioni stressanti causano un’alterazione nell’equilibrio tra le componenti del succo gastrico (acido cloridrico, enzimi e muco): si produce troppo acido cloridrico, che provoca un’irritazione delle pareti dello stomaco.

I disturbi che ne derivano sono difficoltà di digestione, bruciori di stomaco e a volte rigurgito acido. Il tutto accompagnato spesso da un sapore acido o amaro in gola e da una sensazione di cattivo sapore in bocca.

Intestino

Troppe tensioni emotive creano uno squilibrio nella motilità intestinale, che si manifesta con periodi alternati di stipsi e diarrea. Questa situazione determina un’infiammazione della mucosa intestinale, quindi un’alterazione della flora batterica.
E si innesca una spirale senza fine, perché l’intestino diventa sempre più capriccioso e questo fa aumentare lo stato infiammatorio.

L’alternanza di stipsi e diarrea porta con sé altri sintomi. In prima linea i dolori che accompagnano queste crisi. Inoltre la pancia è sempre molto tesa ed è gonfia di gas addominali.

Cuore

Il ritmo cardiaco è regolato da due differenti parti del sistema nervoso autonomo chiamate sistema simpatico e parasimpatico. Quando si è nervosi, c’è un’eccitazione del sistema simpatico.
Si scatena così la tachicardia. Se il nervosismo si protrae nel tempo, si manifesta anche una sensazione di mancanza di respiro e costrizione al torace.

Pelle

Se vi agitate, stimolate il sistema nervoso parasimpatico e la liberazione di istamina, una sostanza che provoca la dilatazione dei vasi cutanei e quindi l’arrossamento. Uno stato di tensione protratto a lungo nel tempo può anche influire negativamente sugli strati più profondi della pelle.

Arrivano macchie rosse sul décolleté e sul collo oppure si verificano arrossamenti sul viso. Se lo stress è più intenso, può comparire la psoriasi.

Testa

Nelle ore successive a una giornata di nervosismo intenso o durante il weekend, c’è un momento di rilassamento. In questi casi il calo della tensione agisce da fattore scatenante e mette in moto l’emicrania.
Un dolore forte e pulsante si irradia a metà della testa, alla tempia e alla parte interna attorno all’occhio. A volte è accompagnato da nausea e vomito. Può durare da un minimo di quattro ore a un massimo di tre giorni.

Sonno

L’insonnia da stress è tipica di chi non riesce a rilassarsi. Persiste fino a quando gli impegni di lavoro (o i problemi personali) non vengono risolti. Si manifesta in modi diversi: c’è chi si rigira nel letto per ore prima di addormentarsi; chi si sveglia in piena notte e non riesce più a chiudere occhio; chi si sveglia troppo presto rispetto al solito. Il risultato è sempre lo stesso: calo delle capacità intellettuali, difficoltà di concentrazione, aumento dell’irritabilità.

Vie respiratorie

Lo stress può causare anche attacchi di asma in chi già ne soffre. Queste crisi collegate alla tensione si verificano soprattutto la mattina al risveglio o comunque prima di uscire di casa, quando i pensieri degli impegni lavorativi cominciano a concretizzarsi. I disturbi collegati? Tosse secca, respiro con sibili, affanno, mancanza di respiro e senso di oppressione al torace.


Dal Sito: psicoadvisor.com 

giovedì 26 novembre 2020

SENSO DI COLPA: COS'È E COME GESTIRLO EFFICACEMENTE



Il senso di colpa è un'esperienza emotiva sgradevole che si prova quando si ritiene di aver trasgredito ad una norma morale facendo soffrire altre persone o negando loro il nostro aiuto.

E' considerato, infatti, un'emozione morale e sociale, perchè si basa su un confronto con gli altri e l'ambiente esterno.

E' la manifestazione dell'empatia, poichè solo un individuo capace di mettersi al posto degli altri, può immaginarne la sofferenza.

Si configura, perciò, come un'emozione sana perchè aiuta a rispettare gli obblighi della vita in società.

Quando però, il senso di colpa, diventa eccessivo e prolungato, incrementa il rischio di sviluppare patologie mentali come la depressione e l'ansia cronica.

Il meccanismo principale che innesca il senso di colpa persistente è rappresentato dal desiderio di conseguire un controllo onnipotente sugli eventi di vita. Ad esempio, una donna che minaccia il patner di suicidarsi qualora venga interrotta la loro relazione, cerca di colpevolizzare il partner manipolando la relazione e negando la libertà di scelta che ognuno dei due ha.

In questo modo, la donna acquisisce un potere illusorio di controllo sul partner che la rassicura rispetto ad una realtà per lei angosciante: l'impotenza di fronte alle decisioni altrui. Qualora il partner accetti, più o meno consapevolmente, questa manipolazione, può percepire a sua volta un vissuto di onnipotenza che induce, però, nella relazione una sensazione di coercizione la quale limita fortemente la libertà affettiva di entrambi e quindi la soddisfazione di coppia.

Proprio perchè il senso di colpa eccessivo offre l'illusione di poter eliminare l'angoscia dell'incertezza, l'individuo che lo sperimenta trova difficile moderarlo.

Per gestire efficacemente il senso di colpa è, quindi, essenziale aiutare l'individuo a prendere coscienza del senso di limite ed impotenza, intrinseco alla nostra condizione umana, lavorando sui seguenti punti:

1) Rinunciare alle proprie fantasie di onnipotenza e accettare che spetta agli altri attribuirsi le conseguenze delle propie azioni. Ciò equivale a restituire agli altri le responsabilità di ciò che fanno, dei loro pensieri ed eventualmente del loro malessere. Poichè tutti hanno la libertà di scegliere, non è possibile imputare la responsabilità delle loro scelte a qualcun altro. Il ricatto affettivo descritto nell'esempio precedente, pone in evidenza la deresponsabilizzazione della donna che tenta di attribuire al partner il peso di un'azione che potrebbe compiere lei e rispetto alla quale, è di fatto, la responsabile.

2) Accettare di vivere in un mondo in cui non possiamo controllare ogni cosa, un mondo in cui la nostra influenza è senza dubbio reale, ma limitata.

3) Potenziare l'intelligenza emotiva: le nostre emozioni dipendono dalle nostre valutazioni personali, quindi la causa di esse va ricercata in noi stessi. Ossia: l'evento che attiva la nostra reazione emotiva viene definito detonatore, mentre la causa è il nostro modo di interpretare questo evento. Ad esempio: un dipendente completa a fatica un documento richiesto dal capo, che però, si limita a dargli un'occhiata veloce. Il dipendente prova frustrazione. Il detonatore di questa emozione è senza dubbio, l'atteggiamento del capo, ma la causa della frustrazione è la valutazione che fa il dipendente circa la situazione: il suo bisogno di riconoscimento professionale non è stato soddisfatto, perciò prova frustrazione.

Questa distinzione tra causa e detonatore è fondamentale per chi desidera imparare a gestire le proprie emozioni, in particolare il senso di colpa.

Infatti, un gran numero di persone pensa di subire le proprie emozioni, perdendo tutto il potere su di loro. Al contrario, riappropriandosi della causa di ciò che si prova e lavorando sulle nostre interpretazioni degli eventi, è possibile imparare a gestire efficacemente le emozioni ed il senso di colpa.

In questo modo, si è consapevoli di avere la scelta di agire, anzichè limitarsi a reagire passivamente, giungendo così a restituire al senso di colpa la sua funzione di regolatore sociale e morale.

Un percorso di psicoterapia individuale può aiutare il soggetto sopraffatto dal senso di colpa a rinforzare la sua intelligenza emotiva ridimensionando il nucleo pervasivo del senso di colpa, identificato come uno dei principali meccanismi di innesco e mantenimento della depressione e dell'ansia.

Dal Sito: psicologionline

ATTACCHI DI PANICO IN MEZZO ALLA GENTE: ALCUNI CONSIGLI UTILI PER AFFRONTARLI




L’attacco di panico fa parte dello spettro dell’ansia, come il disturbo d’ansia generalizzata e le fobie. Si parla di disturbo di panico quando gli attacchi si verificano in maniera ricorrente e imprevedibile. Tali crisi sono eventi di alcuni minuti caratterizzati da un’ansia e una preoccupazione crescenti e un’intensa paura di morire e di impazzire, accompagnati da sintomi somatici respiratori e cardiaci quali tachicardia, palpitazioni, fame d’aria, dolore toracico e sensazione di oppressione o soffocamento. È possibile provare sentimenti di irrealtà, come depersonalizzazione o derealizzazione, che rappresentano i sintomi psichiatrici del disturbo.

È possibile che la paura di un altro attacco sia tanto intensa che la persona si ritrova a evitare i luoghi pubblici e limitare significativamente le uscite; così, potrebbe modificare la propria vita nella paura di rivivere un evento simile, inficiando la propria socialità e qualità di vita. Tale atteggiamento di fuga e di evitamento non fa altro che rinforzare la propria vulnerabilità, portando allo sviluppo dell’agorafobia, cioè la paura di usare i mezzi pubblici, di stare in mezzo alla gente, di trovarsi in grandi spazi aperti o chiusi e, in generale, di stare da soli fuori da casa propria.

Ciò che contraddistingue il panico è l’ansia. K. Schneider definisce l’ansia come quella sensazione di tensione e malessere che sta nel fondo della vita psichica di tutte le persone. Definisce il panico, invece, come una reazione abnorme a un avvenimento, caratterizzato da una insolita intensità, da una inadeguatezza rispetto al motivo che lo ha scatenato e dall’assunzione di un comportamento esagerato per il contesto.

A causa del presunto stigma sociale, molte persone che soffrono di ansia non cercano aiuto e, per vergogna o per paura, si chiudono in sé stesse. Oggi le conoscenze del campo si sono parecchio ampliate e chiedere aiuto si rivela davvero utile per accettare il disturbo e, di conseguenza, evitare che si instaurino circoli viziosi di preoccupazioni e potere così condurre una vita “normale”.

L’ansia e il panico sono due condizioni emergenti, addirittura prevalenti, della società moderna. Colpiscono 2-3 volte di più le donne che gli uomini e si verificano soprattutto nei giovani. In Italia, secondo il Ministero della Salute il disturbo di panico colpisce 7 milioni di persone e si stima che un attacco colpisca fino al 5% della popolazione nell’arco della vita. Le statistiche potrebbero sottostimare il fenomeno, dal momento che sono molti i casi non diagnosticati per via dell’atteggiamento di chiusura delle persone affette.

Di fronte ad attacchi di panico frequenti, è opportuno che un professionista faccia una diagnosi precisa, escludendo qualsiasi causa di natura organica. Per gestire al meglio il disturbo di panico, si preferisce un approccio integrato che preveda la psicoterapia, come ad esempio la terapia cognitivo comportamentale, e in certi casi la farmacoterapia. Fondamentale è la psicoeducazione: è necessario ricevere tutte informazioni sui meccanismi clinici e psicologici della propria condizione, in modo da essere coscienti che l’attacco in sé non è pericoloso e identificare le proprie paure.

Non sempre i farmaci sono necessari, ma a volte costituiscono un ausilio nel percorso terapeutico. In questo caso sarà lo psichiatra a formulare la terapia farmacologica più efficace per il caso specifico, qualora si riveli necessaria, valutando le eventuali comorbilità e gli effetti collaterali.

Affidarsi a uno psicologo è la scelta più saggia, in modo da essere guidati in questo percorso di scoperta personale da chi, con competenza, offre strumenti potenti per gestire il problema e modificare la propria struttura di pensieri “mal-funzionanti” collegati al panico e all’ansia. Una delle tecniche più efficaci ed utilizzate nella terapia, è l’esposizione graduale: una situazione “ansiogena” viene destrutturata in step, nonché piccole sfide da affrontare gradualmente: avere successo ad uno step funge da fattore “decondizionante” per lo step successivo, riducendo la preoccupazione.

Per chi cerca di controllare un attacco, anche fuori casa, è particolarmente utile padroneggiare una respirazione lenta, dato che l’iperventilazione è uno dei sintomi quasi sempre presenti. Inoltre, andrebbero apprese delle tecniche di rilassamento, come il rilassamento isometrico, che prevede una sequenza ripetuta di tensione e distensione di un gruppo muscolare. Altri strumenti preziosi sono l’allenamento dell’attenzione, la meditazione mindfulness o il body-scan, tecniche che permettono di ristrutturare i propri pensieri grazie a una “pulizia” della mente.

Qualsiasi sia il trattamento che si decide seguire, è decisivo auto-osservarsi durante, prima e dopo gli attacchi, per identificare le situazioni e riconoscere le circostanze ad essi correlate, prevedere quali sono i comportamenti protettivi o di evitamento messi in atto, guardare come cambiano i propri pensieri con la crisi, osservare i sintomi fisici che emergono, e fermarsi a riflettere, in maniera analitica, sui processi che si sperimentano, in modo da fare chiarezza sul proprio stato psicofisico, passo per passo, in un percorso di auto-conoscenza.

Dal Sito: psicologionline