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martedì 27 novembre 2018

Il cambiamento e la via di fuga



Sii come la fonte che trabocca e non come la cisterna che racchiude sempre la stessa acqua.
Paulo Coelho

L’acqua stagnante in breve tempo diventa torrida e fetida, così la nostra vita, se bloccata, andrà incontro allo stesso processo.
Lasciarsi andare ai mutamenti, senza opporre resistenza, sarebbe la naturale strada da seguire. Come l’acqua di un ruscello viaggia verso il suo percorso, fino a diventare fiume e poi mare, così noi, in continuo movimento, dovremmo evolvere verso nuove conoscenze e nuove esperienze.

Ma quali sono gli ostacoli che diventano così insormontabili da non permetterci di proseguire lungo il nostro cammino?
– La paura del cambiamento
– La mancanza di fiducia nelle nostre potenzialità.
– La paura del nuovo.
– L’attaccamento alle abitudini, anche se dannose.

Ogni cambiamento ha un simbolismo iniziatico: si deve prima “morire”, lasciando il passato per entrare in una nuova vita.

La metafora del bruco, avvolto dapprima nel bozzolo, che lo protegge come un utero materno, e poi la trasformazione in una farfalla, che vola libera, posandosi di fiore in fiore, rende bene l’idea della trasformazione, processo naturale, a cui noi tutti siamo invitati a seguire.


Ci deliziamo nella bellezza della farfalla, ma raramente ammettiamo i cambiamenti a cui ha dovuto sottostare per raggiungere quella bellezza.
Maya Angelou

Per cambiare bisogna attraversare delle sofferenze, non esiste un cambiamento indolore. Là dove la nostra resistenza diventa incancrenita, fino a diventare ciechi e sordi al richiamo di un equilibrio, il mal d’essere ci renderà ancora più aspri e deboli.

Il disagio è un sintomo che a lungo andare può diventare un vero disturbo. L’ansia, l’insoddisfazione, l’apatia, la depressione, gli attacchi di panico, non sono altro che dei segnali che ci stanno avvertendo che il nostro organismo si sta ammalando, che bisogna trovare una via di fuga.

Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare la barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione.
Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio.
Henri Laborit – Elogio della fuga

La prima causa dell’angoscia è l’impossibilità di realizzare l’azione gratificante, e sottrarsi a una sofferenza con la fuga o con la lotta è anch’esso un modo di gratificazione, di sfuggire all’angoscia.
Henri Laborit

Nel film ‘Mon oncle d’Amerique’, che consiglio di vedere, è narrata la vita di tre personaggi e la loro quotidianità e disagio, ed ognuno si muove secondo la teoria di Henri Laborit, tra scelta di cambiamento o assenza di fuga. Ognuno dei tre, in base al proprio libero arbitrio, alla propria scelta avrà un risultato: la salvezza nella fuga, la malattia per mancanza di fuga.

Attraverso degli esperimenti con i ratti, Henri Laborit, dimostrò che in condizioni di estremo stress, cioè in situazioni in cui l’animale non può lottare, né fuggire per evitare una situazione spiacevole, i ratti somatizzano fino a produrre ulcere, cosa che non avviene se possono fuggire o sfogare l’aggressività combattendo.

Alla luce di tutto questo chiediamoci se il costo da pagare, in termine di salute, mentale e fisica, non sia abbastanza alto.

Ognuno è chiamato a dover rivedere il proprio programma di vita su questa Terra, a fare il bilancio di ciò che si è vissuto, di come si è vissuto e del grado di soddisfazione o insoddisfazione rispetto ai propri desideri.

Secondo il manuale di Epitteto, una sola zona ci appartiene, ed è l’unica zona che ci permette di poter agire: i nostri pensieri, le nostre decisioni.

Se imparassimo ad usare questo grande potere che ci appartiene, il libero arbitrio, potremmo essere davvero protagonisti della nostra vita.
Impariamo a ritrovarci, a riconoscerci, ad amarci per ciò che siamo, a mutare là dove duole, dove la sofferenza si insinua creando il nostro disagio, il mal di vivere.

Non tutte le prigioni hanno le sbarre, spesso non ci accorgiamo di essere prigionieri ed evadere é più difficile. Sono i nostri preconcetti ed automatismi culturali che castrano l’immaginazione, fonte della creatività.


Mentre cerchiamo di capire, il tempo passa e la vita con lui.
Henri Laborit



Dal Sito: expartibus.it

venerdì 21 settembre 2018

Vado in terapia. Voglio cambiare ma non ci riesco. Perché?


La resistenza al cambiamento è attribuibile a molteplici fattori, spesso non prevedibili. Alcuni fattori che possono ostacolare il cambiamento in un percorso di psicoterapia sono: il contributo del paziente, la personalità del terapeuta e l'alleanza terapeutica, la metodologia di intervento e altri fattori contestuali.
Un’iniziale resistenza al cambiamento in un percorso di psicoterapia è qualcosa di naturale, spesso i pazienti si dimostrano ambivalenti rispetto al loro desiderio di cambiare. Perché sia possibile avviare un reale processo di cambiamento, un buon terapeuta dovrà essere capace di comprendere e rispettare quest’ambivalenza ed accogliere con empatia e accettazione quanto portato dal paziente.

È nel momento in cui mi accetto così come sono che io divengo capace di cambiare.
(Carl Rogers)

Quando arriva questo fatidico momento, saremmo tutti pronti ad accoglierlo? Ad abbandonare vecchi schemi e buttarci in un abisso sconosciuto? Davvero richiediamo un cambiamento? O desideriamo sia l’altro a cambiare? E chi ci accompagnerà in questo, è in sempre in grado di poterci aiutare?
Rendere esaustivo il tema della resistenza al cambiamento in terapia psicologica appare alquanto illusorio. Ciò impone, in questa sede, il concentrarsi principalmente sul tema della resistenza ad esso, nel tentativo di porre un confine, seppur apparente, ad una trattazione tanto ampia.

Psicoterapia: quali fattori generano una resistenza al cambiamento?
Nel definire cosa si intende per resistenza al cambiamento, ci si imbatte in una definizione nella quale l’angoscia emotiva causata dalla possibilità di cambiamento assume il ruolo di cartina tornasole.
Come però sottolinea Bruno Bara (2007), la resistenza al cambiamento è attribuibile a molteplici fattori che non sono prevedibili. Alcuni fattori che potrebbero entrare in gioco in un percorso di psicoterapia e ostacolare il fluire del cambiamento sono: il contributo del paziente, la personalità del terapeuta e l’alleanza terapeutica, in aggiunta, la metodologia di intervento e altri fattori contestuali (eventi imminenti, cultura, rete sociale, etc.).
Prendendo in considerazione il contributo del paziente, Bara (2007) propone alcuni esempi di possibili impedimenti. Ad esempio, alcuni soggetti, pur essendo motivati al cambiamento, sembrano auto-boicottarsi, come avviene nella sindrome del sopravvissuto, non riconoscendosi il diritto né il permesso di poter cambiare. Altri tipi di difficoltà possono essere: le difficoltà cognitive, che portano la persona a non avere consapevolezza della necessità del cambiamento o di quanti già messi in atto; le difficoltà nel gestire la condivisione, nel definire i confini di sé e i problemi relazionali; la paura connessa al cambiamento che rende preferibile il persistere dello status quo; il non accogliere come evento possibile le ricadute, percependo come un fallimento il riproporsi di vecchi meccanismi e infine il dropout nel quale il paziente abbandona il trattamento per rifuggire nel suo passato.
Leiper (2001), distinguendo le diverse tipologie di crisi che possono avvenire in psicoterapia, sottolinea la presenza delle crisi intrinseche. Tali crisi si presenterebbero nel momento in cui il paziente percepisce una pressione emotiva suscitata dalla terapia; la sensazione di discontinuità nel senso di sé viene percepito come fonte minacciosa. Di conseguenza, nel tentativo di proteggere la propria identità, si potrebbero scatenare condizioni di agitazione, ansia, depressione o episodi psicotici.
Altri autori, come Hall e Duvan (2004), sottolineano che un ulteriore contributo apportato dal paziente potrebbe essere quello di percepire il cambiamento troppo difficile per le proprie risorse; di non avere conoscenze e strumenti adeguati a raggiungere il risultato prefissato, non essere sufficientemente motivato e spesso essere spaventato dal cambiamento stesso. Questi soggetti sembrerebbero avere una scarsa apertura al cambiamento.
Lorenzini e Sassaroli (2000) hanno sottolineato come l’essenza della patologia risieda nel blocco del processo di cambiamento, che solitamente si attiva al mancato raggiungimento di uno scopo a causa di una o più credenze che impediscono la modifica della strategia di perseguimento dello scopo e la rinuncia allo scopo stesso. Gli ostacoli consistono in credenze ben radicate che sembrano al paziente come immodificabili per scarsità di risorse personali, per abitudine o per mancanza di alternative alle credenze stesse.
Ulteriore fattore inerente al contributo apportato dal paziente potrebbe essere riconducibile alle teorie psicologiche naives (Lorenzini, Sassaroli, 2000) in quanto spesso contribuiscono a mantenere circoli viziosi che generano sofferenza e disagio. Attribuire ad esempio dei propri stati d’animo a fattori esterni deresponsabilizza il paziente, ed egli appare totalmente in balia degli altri.
Engle e Arkowitz (2006) evidenziano l’esistenza di schemi disadattivi frutto di strategie di coping messe in atto per raggirare la sofferenza data da essi. Tali stili di coping consistono sostanzialmente nell’evitamento (fuggire dalle situazioni attivanti) e la compensazione (tendenza ad assumere comportamenti tesi a ricercare ed ottenere approvazione). Evitamento e compensazione utilizzati in psicoterapia sarebbero fonte di resistenza. L’evitamento potrebbe tradursi in scarsa partecipazione e risposte dissociate, mentre la compensazione può definirsi con l’eccessivo legame e idealizzazione del terapeuta, come ad esempio spesso accade con il paziente dipendente.
Nel testo “Superare la resistenza: un approccio integrato della Teoria Razionale Emotiva Comportamentale” (2002), Ellis elenca le possibili cause della resistenza al cambiamento insite nella personalità dei pazienti. Egli evidenzia l’importanza del tenere in considerazione la gravità del disturbo, maggiore gravità corrisponderebbe ad una maggiore probabilità di resistenza. Ellis sottolinea come paura dello svelamento, bassa tolleranza alla frustrazione, autopunizione, sfiducia, pessimismo, mancanza di assunzione del rischio, perfezionismo, grandiosità, timore del cambiamento e spirito di ribellione si presentino nei diversi pazienti e siano elementi da tenere in considerazione come resistenza al cambiamento.

Le caratteristiche del terapeuta
Abbandonare credenze apprese in un contesto in cui esse risultavano adattive e funzionali, confermate da anni e anni di esperienza e volgersi in un mondo imprevedibile senza aver una credenza migliore, farebbe desistere molti di noi. Ed è qui che interviene la psicoterapia con il suo aspetto relazionale.
La relazione tra paziente e terapeuta gioca un ruolo fondamentale nel processo di cambiamento così come ovviamente nella sua resistenza.
Oltre ai fattori inerenti al paziente, quali le aspettative di aiuto, la gravità dei sintomi, la capacità di affidarsi agli altri e al terapeuta, le esperienze passate con le figure di riferimento, la motivazione al cambiamento e gli schemi cognitivi, nell’influenzare l’alleanza terapeutica e condurre al cambiamento in psicoterapia intercorrono le caratteristiche del terapeuta.
I terapeuti devono focalizzare meno sull’analizzare le resistenze del paziente e più sull’analizzare le proprie. Infatti, ogni volta che i terapeuti diventano consapevoli di una resistenza del paziente, dovrebbero cercare la controresistenza prima di cercare di interpretare la resistenza del paziente. Spesso, quando il terapeuta ha superato la controresistenza, la resistenza del paziente sarà facile da risolvere. (Schoenewolf, 1993, p. 18)
Il terapeuta deve essere in grado di sintonizzarsi emotivamente con il paziente, esprimere empatia, essere in grado di cogliere e accogliere le rotture e rendere la propria personalità compatibile con quella del paziente. Il terapeuta deve porre attenzione al controtransfert, sentimenti innescati nel terapeuta in terapia a fronte di tal paziente. Un terapeuta potrebbe sentirsi frustrato e affaticato dinnanzi la distanza emotiva e l’atteggiamento formale di un paziente con Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità. Il paziente potrebbe mostrare una diffidenza falsamente compiacente, inducendo noia e fatica nel terapeuta che non cogliendone gli aspetti di utilità può portare ad una chiusura prematura della terapia (Giusti, 2014).
L’eccessiva adesione ai protocolli, la rigidità, la mancanza di autenticità e di capacità empatiche assieme alle aspettative negative del terapeuta sono catalogabili come errori del terapeuta che non agevolano il cambiamento in psicoterapia.
Fondamentale risulta essere il non riconoscere i propri errori. A volte potrebbe capitare di proporsi eccessivamente accudenti nei confronti dei pazienti, non riconoscendo così di star contrastando la promozione di un atteggiamento collaborativo e una maggiore autonomia del paziente stesso. Ulteriore errore risulta essere quella della collusione con il tema del paziente. Tale atteggiamento non aiuta il paziente a superare il proprio scoglio e a mettere in discussione la propria credenza disfunzionale. Il terapeuta rischia di non cogliere aspetti fondamentali oscurati dalle proprie credenze, fattori personali, presenza di eventi stressanti, insicurezza di sé e molteplici altre variabili che caratterizzano la persona al di sotto del ruolo professionale. Affinché si possa avere un successo della terapia risulterebbe necessario che il terapeuta sappia riconoscere i propri meccanismi di funzionamento (Giusti, 2014).
Ulteriore ostacolo potrebbe risultare la sensazione di non essere abbastanza formato per affrontare un caso “grave” e la relativa sensazione di impotenza e fallimento. Ciò potrebbe portare al burnout del terapeuta o uno stallo in terapia. Pensieri catastrofici nel terapeuta non aiutano il paziente, risulta così necessario riprendere in mano la situazione chiedendo supervisione e ritrovando il giusto equilibrio.

La rottura dell’allenza terapeutica
Ulteriore variabile da considerare come resistenza al cambiamento ed ostacolo alla psicoterapia qualora non fosse sufficientemente buona, è l’alleanza terapeutica.
Per alleanza terapeutica si intende quella serie di scambi tra paziente e terapeuta organizzati dal sistema motivazionale cooperativo e caratterizzato dall’esperienza della pariteticità nell’impegno verso un obiettivo condiviso. Le crisi e le rotture dell’alleanza vanno considerate come una diminuzione di scambi regolati dal sistema cooperativo (Liotti, Monticelli, 2014).
Le possibili rotture dell’alleanza terapeutica costituiscono fattori di resitenza al cambiamento nel paziente. Le fratture dell’alleanza rappresentano disaccordi circa gli obiettivi della terapia, nei compiti o problematiche relative al legame terapeuta-paziente. La relazione e una minore incidenza di fattori interpersonali negativi rappresenta un fattore affidabile del risultato terapeutico. Perciò la gestione e il superamento dei processi interpersonali negativi e la risoluzione delle rotture relazionali rappresentano il fondamento del cambiamento in psicoterapia.
Le rotture che si presentano a fronte di un’attivazione di un sistema relazionale mal adattivo offrono un’opportunità per la comprensione delle credenze, aspettative e valutazioni sulla propria persona che il paziente utilizza mettendo in atto cicli disfunzionali. Fondamentale per il terapeuta e per permettere un cambiamento, accorgersi di essere coinvolto in un ciclo disfunzionale, comprenderne il proprio contributo e quali azioni scegliere che permettano di uscirne (Liotti, Monticello, 2014).
Tra le tipologie di frattura dell’alleanza che possono interferire con la terapia ci sono la frattura da ritiro e le fratture da confronto. Nelle fratture da ritiro il paziente non parla di sé, intellettualizza, racconta aneddoti o di altri, mentre le fratture da confronto vedono il paziente esprimere rabbia, risentimento nei confronti della terapia o del terapeuta stesso.
A volte potrebbe capitare di intercorrere nella rottura “proprio sulla strada presa per evitarla”, come citato per il destino nel film “Il mio nome è Nessuno”. Il terapeuta potrebbe falsare la propria condotta, sforzarsi in atteggiamenti volti a voler evitare a tutti i costi la rottura, caricandosi di una non tollerabilità dell’idea della rottura stessa, portando inevitabilmente in un clima non collaborativo e rilassato che indurrà a tal esito. Accanto al non tollerare la rottura, il terapeuta potrebbe non coglierla, ignorarla e/o negarla, portando inevitabilmente ad un atteggiamento di resistenza del paziente e alla fine della psicoterapia (Giusti, 2014).
Ulteriore variabile che potrebbe indurre alla rottura potrebbe essere attribuire al paziente la totale la colpa di un cattivo esito o colpevolizzare se stessi, questo non porta ad istaurare una sufficientemente buona alleanza.
Infine tra le cause di una rottura possono esserci il non ascolto del paziente, il non adattamento degli interventi alle esigenze del paziente e in particolare il non gestire come un’opportunità terapeutica la rottura (Giusti, 2014).

L’importanza del colloquio motivazionale
Nel colloquio motivazionale la resistenza al cambiamento viene considerata come aspetto inevitabile e ricco di informazioni.
L’ambivalenza dà indicazioni sui desideri del paziente/cliente e i relativi timori di fallire o assumersi nuove responsabilità. Il terapeuta dovrà comprendere e rispettare i lati dell’ambivalenza, accogliere con empatia e accettazione.
Essere ascoltati in modo comprensivo e acritico quando si esternano i vantaggi di un problema può essere per il paziente un’esperienza significativa. Così la resistenza al cambiamento tenderà a ridursi, invece di ampliarsi (Arkowitz, 2016).
Come afferma Giusti (1987) “Proprio la capacità di utilizzare le resistenze al cambiamento a vantaggio del cambiamento stesso, distingue la psicoterapia dalle altre forme di scambio umano”.

Per concludere
Come rispondere dunque alle domande che ci siamo posti all’inizio di questa analisi relativamente alla possibilità di cambiare? Saremmo tutti pronti ad accoglierlo? Ad abbandonare vecchi schemi e buttarci in un abisso sconosciuto? Davvero richiediamo un cambiamento? O desideriamo sia l’altro a cambiare? E chi ci accompagnerà in questo, è in sempre in grado di poterci aiutare?.
Ciò che ci sentiamo di dire è che no, quando arriva il cambiamento non siamo tutti ugualmente disposti a coglierlo e ad accoglierlo. “Non posso cambiare”, “non voglio cambiare”, “sono gli altri che devono cambiare”, ”vorrei cambiare, ma per me è impossibile”, “cambiare mi spaventa” sono frasi ricorrenti. Non tutti riusciamo a metterci in gioco, non tutti riusciamo ad affidarci, ad abbandonare quegli schemi che ci sono stati utili e funzionali fino a quel momento, non tutti abbiamo bisogno degli stessi tempi. Non tutti selezioniamo il professionista migliore e pronto anche lui a mettersi in gioco.
Ma in tutti ci dovrebbe essere la speranza che il cambiamento sia possibile, ad ognuno il suo.

Dal Sito: 
stateofmind.it

mercoledì 13 giugno 2018

Cambiamento: Accettarsi per Migliorare


Il cambiamento da una situazione in direzione di una situazione migliore parte dall’ accettazione rispetto la condizione attuale.

La resistenza nei confronti di una situazione o di uno stato che non viene accettato crea tensione e ne blocca la possibilità di cambiamento continuando a perpetuare lo stato indesiderato.
L’ accettazione si impara attraverso la consapevolezzaAttraverso l’accettazione iniziamo a liberarci dalla resistenza, dalla paura e dallo sconforto e da quelle emozioni depotenzianti che impediscono alla gioia e alla serenità di emergere.
Osserviamo la nostra vita, osserviamo gli effetti della resistenza che poniamo nelle varie aree attraverso l’autocritica, la commiserazione ed il giudizio e quindi la “lotta” anziché partendo da uno stato ottimale di accettazione, bellezza e gratitudine.
Spesso rimaniamo intrappolati in esperienze passate di sofferenza anziché essere liberi e quindi impedendoci di esplorare nuove opportunità per il nostro futuro.
Lo facciamo in modo conscio ed inconscio, la resistenza e quindi la paura ci impedisce di andare avanti ed esplorare nuovi territori.
Resistere a ciò che è, a ciò che siamo, a ciò che abbiamo, a dove ci troviamo ora, non è altro che una perdita di tempo ed energia. Perché dunque trascorriamo la nostra vita nella resistenza anziché nell’accettazione?
L’ identità che ci siamo creati: “pensare di non essere all’altezza di determinate situazioni desiderate” è mantenuta dal nostro dialogo interno che si ripete nel corso degli anni, da voci autoritarie che ci raccontano storie di noi riguardo chi siamo e come siamo ed infine ci giudicano perché non siamo modellati a qualche standard predefinito.
L’ identità è mantenuta dal non verificare “Cosa mi sta dicendo il mio corpo? Cosa mi stanno dicendo le mie emozioni?” Lasciamoci guidare dai sentimenti, dal nostro termostato interiore, quando non lo facciamo, la resistenza crea lo stress, la sofferenza e l’insoddisfazione.
Ed il messaggio che ci da la resistenza è: la vita è una lotta! La resistenza non produce i cambiamenti desiderati e quindi nasce la frustrazione e l’insoddisfazione e ad una maggiore tensione dalla quale sembrano offuscarsi le prospettive di vedere realizzati i propri sogni e la propria vita.
La resistenza non porta al cambiamento!
L’ accettazione porta al cambiamento!
Accogliere anziché giudicare apre la strada alle infinite opportunità.
Lasciarsi andare a ciò che è scioglie ogni tensione e rende fluido il percorso.
L’accettazione diventa la chiave per interrompere il ripetere i soliti, vecchi schemi, pensieri, storie e comportamenti.
Se vogliamo che la nostra vita cambi iniziamo a cambiare il nostro dialogo interiore che ci dice chi siamo, come siamo, chi sono gli altri, come sono gli altri, come sono le cose, com’è il mondo, com’è la vita attraverso la negazione anzichè attraverso l’accettazione.
Perché continui a guardarti di fronte ad uno specchio incrostato dalla sabbia senza darti la possibilità di vedere la tua vera bellezza? Quella sabbia è il tuo dialogo interno che ti dice che non sei adeguato a questo o a quello o che non sei come chicchessia o che non hai qualcos’altro. Chi te lo ha detto che è cosi? Perché lo credi? Ciò che esiste nel mondo è già tuo, basta che tu ne sia consapevole e lo accetti.
Forse pensi che non sia reale? Ma la “realtà” non esiste. Esistono tante realtà quanti esseri umani ci sono su questo pianeta. Ognuno di noi crea e vive la propria realtà. La “realtà” è solo un illusione, è creata dalle nostre esperienze e dalle nostre credenze. Ciò che noi vediamo è qualcosa che è programmato in noi, NON è l’unica realtà. Iniziamo ad accettare totalmente noi stessi e tutto ciò che ci circonda e la realtà si espande. Attraverso la non accettazione e cioè la resistenza si diventa prigionieri degli eventi, del mondo esterno, di se stessi e dei propri pensieri limitanti.
Per interrompere i comportamenti che non portano ai cambiamenti sperati è necessaria l’accettazione totale di se stessi. Non è utile andare contro! Lasciati andare!
Tutto ciò che ti hanno insegnato a credere fino ad oggi potrebbe semplicemente non essere vero! Non possiamo essere come ci hanno detto che “dovremmo” essere. Ed è proprio per quello che ora forse ti senti inadeguato. Ascolta i tuoi sentimentiperché solo tu puoi sapere cosa è giusto per te. Lasciati guidare da ciò che provi. Nessuno può sentire cosa è giusto per un altro. Abbiamo un corpo fisico per questo motivo, per imparare ad ascoltarci dentro, ma nessuno lo può fare al nostro posto.
Iniziamo ad amarci e ad accettarci cosi come siamo, accettando anche quelle cose che al momento sembrerebbe che non ci piacciono. Accettiamole ed amiamole, togliamo la tensione. Sciogliendo la tensione le cose possono finalmente iniziare a cambiare.
Essere arrabbiati con sè stessi o col mondo, sentirsi vittime degli eventi, non accettare se stessi non ci daranno mai la vita che desideriamo.
Vediamo insieme il processo dei 2 diversi atteggiamenti mentali/emozionali:

* Resistenza ==> Sofferenza ==> Chiusura ==> Perdita di Energia ==> Situazioni che si ripetono senza essere risolte

* Accettazione ==> Libertà ==> Espansione ==> Aumento di Energia ==> Situazioni che cambiano in meglio e si risolvono

 

Quando non accettiamo le cose così come sono e puntiamo in piedi le risolviamo? No!
Ci sentiamo meglio? No!
Invece cosa avviene? Vengono ripetuti i soliti schemi e le solite storie identificate come “problemi”, vengono fomentate le solite emozioni che non fanno sentire bene, si fa ritorno al solito precedente programma.
Lasciando andare le convinzioni programmate, le negazioni e le supposizioni permettiamo che una saggezza più profonda ci guidi verso la soluzione.
Abbiamo dunque un’espansione di noi stessi e della nostra vita.
Nel momento in cui iniziamo ad accettare ogni singolo step del percorso accadono 2 processi di espansione che ne allentano la resistenza portandoci verso la realizzazione:
•          Smettiamo di identificarci con il sé sofferente, con le esperienze e reazioni automatiche ed iniziamo a riconoscere il nostro sé autentico.
•          Ci liberiamo dagli aspetti condizionati reattivi della personalità, permettendo loro di tornare alla propria natura autentica.
 
Qual è il meccanismo che mantiene e perpetua situazioni di scarsità, insoddisfazione, sofferenza, sensazioni di non trovare una via d’uscita ai propri problemi?
LA RESISTENZA
Qual è l’interruttore, la leva da spostare per cambiare le cose e poter vivere al di fuori della trappola degli schemi ripetitivi?
L’ ACCETTAZIONE
Questo non significa che le cose debbano rimanere cosi come sono anche se non ci piacciono, ma significa che innanzitutto dobbiamo accettarle completamente, vederle con occhi nuovi ed amorevoli, amarle e poi la situazione finalmente si apre, si trasforma, cambia e migliora.
E’ indispensabile espandere le proprie credenze e cambiare il proprio stato affinchè avvenga la trasformazione.
Il cambiamento avviene quando abbiamo allentato la tensione e lo abbiamo accolto amorevolmente. Quando iniziamo ad accettare tutto di noi, di come siamo, del nostro passato e della nostra vita attuale.


di Monica Giovine

Dal Sito: piuchepuoi.it


giovedì 17 maggio 2018

Non Posso Cambiare La Situazione Ma Posso Cambiare La Mia Mente



“Non devi cercare di fare in modo che le cose vadano come vuoi, ma accettare le cose come vanno: così sarai sereno.” Epitteto

I latini usavano dire: Faber est suae quisque fortunae, vale a dire ognuno è artefice della propria fortuna, del proprio destino e in ultima analisi è il costruttore della propria vita. In questo senso non è azzardato sostenere che la persona che più di tutte può renderci felici è rappresentata, per ciascuno, da se stesso.

Ci sono situazioni che possiamo cambiare, altre no

Certo, ci sono situazioni che non possiamo cambiare ma possiamo cambiare la mente: preferite la via della rassegnazione o dell’accettazione?

Se mi alzo una mattina e penso “Oh mio Dio, non credo sarò capace di affrontare la mia separazione“, vuol dire che la mia vita non è affatto come la desidero” ovviamente mi sentirò male o comunque frustrato/a.

La via della rassegnazione

Questo atteggiamento mi porterà ad avere un pensiero tipo “ok, le cose stanno così, me ne faccio una ragione perché tanto non posso fare nulla per cambiarle”. Questo è RASSEGNARSI e scegliere più o meno consapevolmente la strada della frustrazione, dell’impotenza, della tristezza, dello svuotamento, del vedere la vita con occhi incolori.

La via dell’accettazione

E sappiatelo: tutte noi, ci siamo caduti a volte. Non importa. Se in questo preciso momento ci rendiamo conto che stiamo seguendo questa strada, possiamo scegliere di cambiarla… in un istante. Esiste infatti un’altra via, quella dell’accettazione.

“Ci sono sempre due scelte nella vita: accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiarle” Denis Waitley

La via dell’accettazione, nella stessa situazione, ci porterà ad avere un pensiero tipo “ok, le cose stanno così: mi piacerebbe che fossero diverse ma prendo atto che ora questa è la situazione. Ok, ci sto. Adesso cosa possa fare per migliorarla? Cosa è in mio potere per cambiarla?”

E da lì ogni cambiamento è decisamente più semplice. Quante volte le persone dicono “NON POSSO ACCETTARLO!” quasi sempre con rabbia, frustrazione, rancore, malessere? Quante volte tu, lo hai detto e lo dici ad alta voce o nella tua testa? Non lo trovi stancante? Non è difficile, vivere in un mondo in cui devi sempre lottare contro qualcosa o qualcuno?

E quanto prima lo accettiamo, tanto prima smetteremo di soffrire

Quando una persona non vuole rimanere al nostro fianco possiamo fare ben poco per trattenerla. È inutile lamentarci se abbiamo perso un’opportunità di lavoro. Per quanto proattivi, entusiasti e positivi siamo, ci sono situazioni che non possiamo cambiare. In questi casi ci resta solo la possibilità di cambiare la nostra mente.

I pericoli della non-accettazione

Ci sono situazioni che dobbiamo accettare anche se non siamo in grado di cambiarle. Quando non le accettiamo si trasformano in un ostacolo che ci sottrae energia. Il vero miracolo succede quando le accettiamo, dato che durante questo processo di apparente resa cresciamo e voltiamo pagina. Che cosa accade quando non accettiamo una situazione che non possiamo cambiare?

Ci mantiene bloccati

Se ci troviamo di fronte a un muro e tentiamo di tutto per abbatterlo ma senza riuscirci, ci sentiremo frustrati e inizieremo a lamentarci. In questo modo resteremo bloccati sul nostro cammino. Al contrario, se cerchiamo di trovare altre soluzioni, possiamo continuare ad andare avanti, grazie anche al muro che ci ha stimolati.

Ci rende infelici

Quando non riusciamo a cambiare la situazione o gli altri non soddisfano le nostre aspettative, la frustrazione può crescere enormemente. Legandoci a questo problema ci impediamo di essere felici, è come se ci costringessimo a trascinare una grossa pietra, anche se in realtà ci piacerebbe lasciarla andare, ma non sappiamo come.

Ci impedisce di vedere le opportunità

Un problema o una situazione negativa, soprattutto se mantenuti nel tempo, tendono a generare frustrazione. E in questo stato non solo non siamo in grado di andare avanti, ma non riusciamo neppure a percepire le soluzioni e le opportunità che abbiamo sotto gli occhi. Non accettare un fatto significa chiudersi alle opportunità, scegliendo di rimanere nel passato.

Non è la situazione, è come reagisci

Spesso confondiamo la realtà con le nostre reazioni. Ma è importante notare che non è la situazione in se stessa che genera frustrazione, sofferenza o angoscia, queste sono solo le nostre risposte agli eventi che non possiamo o non vogliamo gestire. Si tratta di una differenza sostanziale, perché in questo modo è possibile separare l’evento dalla nostra reazione allo stesso. Si tratta insomma di renderti conto che stai reagendo a un significato, non a un fatto.

Infatti, molte volte siamo noi stessi che aggiungiamo benzina al fuoco, immaginando i peggiori scenari possibili o lasciando che le emozioni negative prendano il sopravvento. In questo modo otteniamo solo di peggiorare la situazione, quando l’obiettivo è quello di sentirci meglio. In pratica, finiamo per perdere la prospettiva che bene e male, negativo e positivo, si basino essenzialmente sui nostri punti di vista, su come scegliamo di reagire a determinate situazioni.

Molte delle situazioni che a prima vista possiamo considerare negative o cattive, possono essere positive, o almeno assumere un carattere neutro se cambiamo prospettiva e ne approfittiamo.

Naturalmente, non si tratta di relativizzare tutto o soffrire in silenzio. Quando una situazione non ci piace o diventa un ostacolo per il raggiungimento dei nostri obiettivi, dobbiamo cercare di cambiarla, ma se non siamo in grado di farlo, sbattere continuamente contro il muro servirà solo a farci del male. Se non siamo in grado di abbattere quel muro è meglio imparare a sfruttarlo.

Per raggiungere questo obiettivo, è importante capire che tutto dipende dall’interpretazione, che è determinata dalle nostre esperienze, le aspettative e le emozioni che ci trattengono e ci condizionano. Tuttavia, quella che stiamo vedendo non è l’unica realtà, ma solo un aspetto di questa. La nostra reazione alla situazione sarà la versione finale. Pertanto, concentrati sulla ricerca di soluzioni, non lamentarti.

Ricorda che la vita non è come si desidera che sia, molto spesso è capricciosa e imprevedibile. Continuerà a mettere dei problemi sul tuo cammino ma anche nuove opportunità. Sei tu che scegli se vuoi essere una vittima o se preferisci prendere in mano le redini e imparare ad ogni passo che fai.

Dopo tutto, ricorda che nulla è per sempre. Se qualcosa non ti piace, prova a cambiarlo, se non è possibile, non torturarti e cambia atteggiamento. Impara ad abbracciare la vita con tutto ciò che comporta.

Ana Maria Sepe

Dal Sito: psicoadvisor.com

mercoledì 9 maggio 2018

Come cambiare se stessi o meglio come accettarsi



Il segreto per cambiare se stessi è accettarsi totalmente, con i propri punti forti e con quelli deboli; chi si vede debole ha un sano senso di autostima.

Ecco qui il segreto: il primo grande passo per cambiare è accettarsi.

Chi di noi è perfettamente contento di quello che è, di ciò che rappresenta o di quello che può dare o fare? Capita di dire: devo mettermi a dieta, devo cercare un lavoro migliore, devo cambiare casa, devo essere più ordinato, meno perfezionista, e potremmo andare avanti per ore ottenendo un elenco lunghissimo di cose da cambiare.

Sicuramente, adesso, ti starai chiedendo cosa vorresti cambiare di te stesso, giusto? Hai capito cosa ti piacerebbe avere o essere?

Indubbiamente, il desiderio di cambiare è qualcosa che ci accompagna costantemente per tutta la vita. Spesso, si è intenti a voler cambiare questo o quello, sia in termini di cose materiali, più facili da realizzare, sia in termini di caratteristiche personali. Tuttavia, è difficile capire da dove cominciare e cosa possiamo realmente fare per poter effettuare un cambiamento su noi stessi.

Gran parte di noi, penso, ha seguito per un periodo della sua vita un regime alimentare dietetico. Alla fine, ottenuti i risultati, capita di non essere pienamente soddisfatti di quanto conseguito e ci si sente come se mancasse un pezzo del puzzle. Ma di cosa si tratta? beh, direi di un cambiamento di forma a cui non segue un cambiamento di sostanza, la stessa che poi porta a intraprendere un comportamento volto ad un mutamento fittizio.

Ora vi svelo un segreto.  Curiosi?

Bene, ecco qui il segreto: il primo grande passo per cambiare è accettarsi.

Il paradosso centrale del processo di cambiamento è proprio questo: abbandonare il desiderio di voler essere qualcosa di diverso da ciò che si è, accettando di non esserlo; solo a questo punto si sperimenta il cambiamento. Si tratta, dunque, di abbandonare i tentativi di manipolazione operati verso se stessi e accettare quello che non si può diventare. Insomma, per potersi accettare veramente per quello che si è bisogna liberarsi dai progetti illusori su noi stessi.

Perché l’accettazione? Perché normalmente dietro ad ogni cambiamento, almeno nella maggior parte dei casi o sicuramente per i più importanti, c’è sempre un problema o qualcosa che si vuole lasciare alle spalle o si fa finta di non vedere. Tuttavia, finché non accettiamo il problema che muove le fila della sofferenza, come se fosse un burattinaio, o zavorre derivanti da regole morali che ci portiamo dietro da sempre e che impediscono di spiccare il volo, non riusciremo mai a essere pienamente soddisfatti di noi stessi.

Se tentassimo di effettuare un grande cambiamento senza accettare, e affrontare, prima di qualsiasi altra cosa, il problema che lo ha generato, alla fine otterremmo solo un appagamento parziale a cui seguirebbe un senso di frustrazione e di fallimento. Quindi, prima di operare qualsiasi tipo di cambiamento comportamentale è necessario accettare il problema, ovvero il tema doloroso che sottende tutto il nostro funzionamento.

Accettare ciò che ci spaventa, dunque, non significa rassegnarsi o tollerare, ma vuol dire riconoscere totalmente e in tutta la sua pienezza il problema. Naturalmente, per accettare è necessario prima di tutto osservare il tema, immergercisi, assumendo la posizione di un osservatore esterno, apprezzandone tutte le diverse sfaccettature. Cercare di capire razionalmente una situazione non significa accettarla, ma equivale a comprenderne le cause e le implicazioni. Dopo aver ottenuto una valutazione oggettiva si passa alla fase successiva: l’accettazione emotiva.
La fase più dolorosa è proprio quest’ultima, ovvero accettare l’emozione negativa che scaturisce quando si pensa all’evento doloroso. A questo punto, l’accettazione dell’emozione negativa porta, esponendosi gradualmente alla stessa, ad un calo progressivo dell’arousal emotivo fino a quando non sparisce totalmente. Questa fase sarà superata solo nel momento in cui, rievocando la situazione critica, l’emozione che riecheggia non sarà più disturbante. Così facendo si apre una finestra logica sulla situazione temuta che porta ad una visione della stessa senza emozioni disturbanti. Il cambiamento è avvenuto, Accetto!

Attenzione, accettarsi non vuol dire affatto crogiolarsi  nel pensiero delle proprie debolezze, ma riconoscerle per quelle che sono, senza autocommiserarsi o criticarsi.

Decisivo è accettarsi totalmente, non solo con i propri punti forti, ma anche, e soprattutto, con quelli deboli. Chi si permette e si concede la possibilità di vedersi debole ha un sano senso di autostima, perché sa guardare con umorismo ai propri limiti o ferite. Nel momento in cui ci riconciliamo con essi, le ferite diventano la nostra forza, uno scrigno da custodire, da portare dentro per tutta la vita. Solo allora, potremmo essere in grado di conoscere e di scoprire la nostra vera natura o vocazione.

Dal Sito: stateofmind.it

sabato 2 settembre 2017

Il coraggio di cambiare


Una tempesta terribile. Il vento soffia sull’oceano e scuote le onde facendole diventare creste minacciose di spuma di mare. Tuttavia, dobbiamo essere forti, alzare le vele e afferrare con forza il timone della nostra piccola imbarcazione per adattarci a quei movimenti. Se ci facciamo prendere dal panico, sicuramente affonderemo…

Lo sappiamo bene, i cambiamenti non solo facili. I cambiamenti fanno male, ma sono necessari per evolvere come persone e trovare non solo la felicità, ma anche la calma e l’integrità. È curioso, ad esempio, che nella cultura orientale la parola “cambiamento” sia rappresentata da due ideogrammi che a loro volta illustrano due termini: “pericolo” e “opportunità”. Davvero significativo.

La necessità di una strategia di coping

Perché i cambiamenti scatenano paura o incertezza? Facciamo un esempio. Dovete cambiare la vostra residenza per trovare lavoro oppure uno migliore. La paura di non sapere se sarà qualcosa di certo o se il prezzo emotivo e personale sarà alto è di sicuro quello che più vi blocca, che vi impedisce di fare il passo determinante per cambiare la vostra vita.

Un altro esempio: avete da diversi anni una relazione con una persona e sentite di non essere felici. Vi sembra di non trovarvi nel posto giusto ed ogni giorno che passa vi sentite sempre più oppressi. Tuttavia, avete paura di lasciare quella persona perché al tempo stesso non sapete come affrontare la nuova vita in solitudine e non sapete nemmeno come la possa prendere. Qualsiasi cambiamento genera incertezza e timore, abbiamo la sensazione che per un momento potremmo “perdere il controllo della nostra vita”, e poche cose sono difficili da sopportare come questa…

Senza sapere in che modo, molti si ritrovano a vivere in una realtà in cui “ciò che conoscono li tranquillizza perché sanno come devono comportarsi ed agire”. Vale a dire, si trovano in una sorta di “zona sicura” e anche se non sono completamente felici in questa bolla, quello che c’è fuori sembra ancora più minaccioso.

Ogni cambiamento implica una grande dose di coraggio personale. Ci obbliga ad adattarci a nuove condizioni, per questo dobbiamo investire il nostro sforzo emotivo e fisico, oltre a rischiare il nostro benessere e la nostra sicurezza.

Il coraggio personale

Per essere capaci di iniziare un cambiamento che tanto desideriamo, ma che non osiamo intraprendere, bisogna innanzitutto essere realisti e consapevoli della nostra situazione. Come vi sentite in quei momenti? Vi sentite realizzati dal punto di vista personale? Vi trovate a vivere una realtà che davvero desiderate, con le persone che desiderate? Quando vi guardate allo specchio, potete dire a voi stessi che siete felici? È vero che possono essere questioni scomode e determinanti, ma è proprio questo il senso e la necessità del cambiamento per quanto riguarda certi aspetti della vita, grandi o piccoli che siano.

Il cambiamento fa parte della vita e non è un ostacolo insormontabile che qualcuno mette di proposito nel nostro cammino. Bisogna prima di tutto lasciare da parte i pensieri negativi e possibili anticipazioni perché, di sicuro, non faranno altro che aggiungere spine nel nostro sentiero verso il cambiamento. Perché la paura è come un paio di forbici sul punto di tagliare le nostri ali. E tutti abbiamo il diritto di volare…

La cosa più importante è esporsi gradualmente a determinate situazioni, così da poter sviluppare strategie di coping ed andare avanti, imparando allo stesso tempo qualcosa di nuovo. Perché se non corriamo il rischio, non raggiungeremo mai la attitudini necessarie per essere coraggiosi, per metterci in gioco e avere il controllo della nostra vita.

Scacciare la paura significa scommettere sulla felicità. E di sicuro anche voi volete raggiungerla!

Dal Sito: lamenteemeravigliosa.it

sabato 8 aprile 2017

Resistenza emotiva: come superare la paura del cambiamento


Troviamo difficile abituarci al cambio di stagione, al cambiamento del fuso orario o della dieta. Per non parlare dei cambiamenti più importanti, quelli che avvengono sul lavoro o nelle dinamiche familiari. Quando percepiamo che la trasformazione è troppo forte, ci irrigidiamo e si presenta ciò che in psicologia si conosce come “resistenza al cambiamento”.

I cambiamenti sono desiderati, ricercati, ma al tempo stesso, sono paradossalmente temuti e allontanati. La resistenza al cambiamento si riferisce proprio alla contraddizione interiore vissuta da molte persone: una sorta di pendolo in cui, alternativamente una volta l’individuo è consapevole delle proprie paure e resistenze ad effettuare trasformazioni, e altre volte invece è sintonizzato più sulle proprie spinte alla trasformazione ma poco in contatto con le proprie paure.
Rimanere dove siamo piuttosto che cercare di cambiare

Fondamentalmente, si tratta di un meccanismo attraverso il quale cerchiamo di mantenere le cose come prima. Tuttavia, quando cambiano le condizioni, questa resistenza serve solo ad affaticarci, sia fisicamente che mentalmente. Il cambiamento può essere qualcosa di molto difficile da affrontare e gestire. La maggior parte delle persone vuole cambiare la propria vita, in qualche modo o in un altro, ma è tutt’altro che semplice dare inizio al cambiamento o sostenerlo a lungo.

Spesso la paura e l’incertezza associate al cambiamento ci spingono infatti a rimanere rintanati nella nostra zona di confort e alla fine preferiamo rimanere dove siamo piuttosto che cercare di cambiare lo status quo. Allora passano i mesi, gli anni e continuiamo a lamentarci di qualcosa che non va nella nostra vita senza darci da fare per cambiarla.

E quando qualche evento non dipendente da noi altera le condizioni di “normalità” delle nostre esistenze, generando un cambiamento, puntualmente ci ritroviamo incapaci di affrontarlo.
Modalità della resistenza

La tensione si concretizza nella contrapposizione tra il cambiamento esterno e la nostra resistenza a cambiare dentro di noi.

Le modalità della resistenza sono invece varie:
Rifiuto (“ho sempre fatto così..perchè dovrei cambiare”)
Rinvio (“ora ho altri impegni, ci penserò domani”)
Indecisione ( “non so se è la cosa giusta”)
Sabotaggio nascosto (“occhio non vede, cuore non duole”)
Regressione (“è da stupidi rischiare”)

Come possiamo dunque tuffarci nel cambiamento, imparare ad affrontarlo e a gestirlo, se la resistenza sembra remarci contro? La strada del cambiamento può essere incredibilmente ardua, ma possiamo decidere di trasformarla, tutto dipende dal nostra atteggiamento.

5 passi per imparare ad accettare il cambiamento

1. Immaginare il peggiore scenario possibile

L’aspettativa spesso non è una buona consigliera, soprattutto quando è irrealistica. Pertanto, quando dovete affrontare un cambiamento, non ripetetevi frasi come: “non è nulla, sarà facile da affrontare”, perché probabilmente non sarà così.
Invece, immaginate il peggior scenario possibile. Dare libero sfogo per pochi minuti al vostro pensiero catastrofico, quando tornerete alla realtà vi renderete conto che non era tutto così negativo come pensavate. Infatti, uno studio ha dimostrato che si tende ad ingigantire le conseguenze emotive degli eventi negativi, riducendone al minimo i lati positivi. Con questo trucco è possibile equilibrare le vostre aspettative e il cambiamento sarà meno opprimente di quanto pensavate e quindi genererà meno resistenza.

2. Essere consapevoli della resistenza emotiva

Uno dei problemi principali che ha generato la nostra società è sicuramente la repressione delle emozioni. Si suppone che non dovremmo provare ira, rabbia o tristezza, dobbiamo essere sempre di buon umore e disponibili. Questo fa sì che reprimiamo le nostre emozioni e ci rifiutiamo di identificarle. Tuttavia, il fatto che non gli diamo un nome non significa che non esistano.
Per evitare la resistenza al cambiamento è importante imparare a riconoscere ciò che sentiamo. È normale che i primi giorni si provi un certo disagio e che ci sentiamo impotenti o turbati. Sono reazioni perfettamente comprensibili davanti al cambio. Se si nascondono si otterrà solo di aumentare la resistenza al cambiamento, ma se si accettano, si potrà voltare pagina più velocemente adattandosi alle nuove circostanze.

3. Cambiare i vostri pensieri

Durante le prime fasi è normale avere dei dubbi. È come tuffarsi in una piscina di acqua fredda, il cambiamento è così drastico che ci chiediamo che cosa stiamo facendo e avremo la tendenza ad uscirne. Tuttavia, se si resiste e si supera la resistenza iniziale, dopo un po’ ci si sentirà a proprio agio. Non è che l’acqua sia ora più calda, ma siamo noi che ci siamo abituati.
Per superare la resistenza al cambiamento non basta riconoscere le vostre emozioni, è importante anche essere consapevoli dei vostri pensieri. Ad esempio, invece di pensare: “voglio scappare, non mi piace questa situazione”, pensate invece, “ho paura perché si tratta di una situazione nuova, ma alla fine mi ci abituerò.” Ricordate sempre che i vostri pensieri hanno una forte influenza sulle vostre emozioni per cui è importante avere dei pensieri più sereni e coerenti con la realtà.

4. Esplorare le nuove situazioni

Spesso la resistenza al cambiamento si presenta perché non vogliamo cambiare i vecchi modelli impostati precedentemente, ma anche perché non conosciamo bene la nuova situazione. Quindi, un ottimo modo per evitare la resistenza al cambiamento è quella di fare in modo di sperimentare gradualmente le nuove circostanze. Cercate di affrontarle con l’atteggiamento di un bambino, con curiosità e senza pregiudizi. Se ne avete bisogno, non esitate ad appoggiarvi alle persone che hanno vissuto la stessa situazione in precedenza, chiedete loro che cosa hanno fatto e quali strategie sono risultate loro più utili.

5. Concentratevi negli aspetti positivi

Ogni situazione nuova comporta aspetti positivi e negativi. Quando le emozioni ci accecano spesso non siamo in grado di vedere entrambi gli aspetti, ma è essenziale imparare a concentrarsi negli aspetti positivi del cambiamento. Se necessario, elencateli su di un foglio. Molto presto vi renderete conto che esiste qualche opportunità di crescita.

Ho paura di fallire

Non voler cambiare per paura di fallire significa restare intrappolati nella logica del perdente, queste persone si privano così della gioia di vivere e di affrontare le sfide che la vita quotidianamente gli propone. Il fallimento è una parte inevitabile di ogni cambiamento, e in realtà ogni fallimento dovrebbe essere celebrato: se non avessimo fallito non avremmo imparato nulla. Impariamo dagli errori ad accettare un probabile fallimento!

Solo così sarà possibile trovare gioia in ogni tentativo, in ogni vittoria, in ogni fallimento, e il cambiamento sarà una ricompensa di per sé.
“Il nostro iceberg si sta sciogliendo”, libri consigliati
“Il nostro iceberg si sta sciogliendo” lo ritengo un libro molto interessante che rende appieno il concetto della resistenza al cambiamento. Narra di una colonia di fantastici pinguini che vivono su un iceberg in Antartide. Un giorno, uno di essi scopre che una minaccia catastrofica incombe sulla loro casa, ma quasi nessuno è disposto ad ascoltarlo. I personaggi del racconto sono molto simili alle persone con cui entriamo in contatto quotidianamente, persino a noi stessi.

La loro è una storia di resistenza al cambiamento e gesti eroici, di confusione e intuizione, di ostacoli apparentemente insormontabili e tattiche ingegnose per affrontarli. Più o meno quel che ci accade intorno, in forme diverse, nel nostro mondo. Il libro “Il nostro iceberg si sta sciogliendo” lo trovate su Amazon al costo di 11 euro circa (vi è anche la versione kindle a 7 euro)

di: Ana Maria Sepe

Dal Sito: psicoadvisor.com