giovedì 15 giugno 2017

Genitori ansiosi fanno figli ansiosi?


I genitori ansiosi sono ansiogeni per i loro figli? Un genitore affetto da ansia patologica rappresenta un modello negativo in quanto a comportamento, atteggiamento verso il mondo e gestione dei problemi: studi condotti in materia riconoscono non solo questo, ma che se mamma o papà soffrono di un disturbo d’ansia danneggiano i figli perché attuano involontariamente (e spesso inconsapevolmente) una serie di comportamenti che trasmettono al bambino incertezza e sfiducia nelle proprie capacità, rendendolo a sua volta insicuro e ansioso.

Uno studio del Johns Hopkins Children’s Center ha esaminato 66 diadi genitore-bambino, nelle quali i genitori avevano ricevuto una diagnosi relativa all’ansia (disturbo da ansia sociale, ansia generalizzata o da attacchi di panico), e ha riscontrato nei genitori (in particolare, in quelli che soffrono di fobia sociale) diversi comportamenti responsabili del manifestarsi dell’ansia nei loro bambini. In particolare è stata constatata da parte dei genitori ansiosi sociali una carenza di gesti affettuosi, la tendenza a ipercriticare i bambini e la sfiducia nelle loro capacità di farcela.

Tutti i genitori affetti da ansia patologica tendono a controllare eccessivamente i bambini , a iperproteggerli e a non lasciare loro spazio di autonomia nello svolgere un compito (come si è visto chiaramente osservando genitori e bambini all’opera assieme nel corso dell’esperimento).

Questi comportamenti svalutanti e freddi generano ansia nel bambino che non solo non gode del supporto affettuoso che gli servirebbe, ma soprattutto si convince a sua volta di sbagliare spesso e di non avere quindi possibilità di successo, esattamente come i genitori gli predicono con le proprie aspettative negative.

L’ansia sociale del genitore dovrebbe essere considerata come un fattore di rischio per insorgenza di ansia nel figlio, e come tale trattata per prevenire insorgenza di un disturbo d’ansia anche nel bambino.

E’ stato stimato che i figli di genitori ansiosi hanno fino a 7 volte la probabilità di soffrire a loro volta di ansia patologica rispetto ai figli di soggetti non ansiosi e che fino a 2/3 dei figli di pazienti ansiosi presentano i criteri per diagnosticare loro un disturbo d’ansia.

I ricercatori ricordano che il 20% dei bambini americani soffra di un disturbo d’ansia, diagnosi spesso sottostimata e non riconosciuta come tale, ma che non solo per questo motivo la prevenzione dell’ansia assume rilevanza: l’ansia non riconosciuta e non curata nel bambino conduce a depressione, uso di sostanze e fallimenti scolastici, tutti esiti negativi che bisogna scongiurare. Anche per questo è necessario che il genitore ansioso si faccia curare, per sé stesso e per i propri figli, e che presti attenzione a determinati comportamenti che danneggiano direttamente il figlio e il suo atteggiamento verso sé stesso e verso la vita.

E’ perciò importante che il genitore ansioso:

- non si vergogni del proprio problema, lo riconosca e tenga nella giusta considerazione gli effetti che questo può avere sui propri bambini

- impari a riconoscere ed evitare quei comportamenti (come ipercritica e iperprotezione) che danneggiano il bambino e che mette in atto non perché siano giustificati, ma perché derivano direttamente dal suo disturbo

- chieda aiuto e supporto sociale quando sente di non farcela a gestire il bambino.

Per riuscire a realizzare tutto questo è fondamentale che il genitore si sottoponga ad una psicoterapia, per affrontare seriamente e risolvere il problema per il proprio benessere e per quello di tutta la sua famiglia, e che parli con il proprio psicoterapeuta anche di come occuparsi e relazionarsi con i figli.


Fonti:

"Trickle-Down Anxiety: Study Examines Parental Behaviors that Create Anxious Children"

"Children of Adults with Anxiety Disorder May Need Help Too"

Dal Sito: www.medicitalia.it

Che caldo, che ansia!


Le temperature aumentano, l’afa non dà tregua, e gli ansiosi si sentono male al solo pensiero di affrontare la calura estiva.

Le condizioni climatiche di questo periodo possono rappresentare infatti una vera e propria fonte d’angoscia per chi soffre di disturbi d’ansia: tutto sembra concorrere a provocare fastidi molto simili ai più comuni sintomi d’ansia, e quando questi fastidi colpiscono chi d’ansia soffre davvero la situazione può diventare decisamente molto critica.

Per fare un esempio, l’aria calda, umida e inquinata può provocare la sensazione di respirare male, in maniera superficiale, esattamente come avviene durante un attacco di panico (che può essere scatenato anche dall’eccessiva concentrazione di CO2 nell’aria con qualunque temperatura).

Se questo accade ad una persona non particolarmente ansiosa il fastidio fisico sarà identificato come tale e non avrà conseguenze dannose, mentre quando accade ad una persona ansiosa può innescare un attacco di panico sulla base dell’errata percezione del fastidio come sintomo ansioso (e non come malessere fisico).

Chi soffre d'ansia in questo periodo può sentirsi davvero in crisi perché diversi fattori generano malesseri che possono essere interpretati e percepiti come effetto dell'ansia stessa:

- l’abbassamento della pressione sanguigna può provocare capogiri e sensazione di testa vuota o leggera

- l’aumento della sudorazione dovuto al caldo può essere scambiato per un effetto dell’agitazione

- alcuni disturbi gastrointestinali tipicamente estivi sono gli stessi che colpiscono una parte dei soggetti ansiosi in maniera più o meno frequente

- l’aria surriscaldata, umida e spesso inquinata, come detto sopra, può scatenare nei soggetti predisposti la stessa sensazione di soffocamento che si può accompagnare al panico

- il sonno disturbato a causa dell’afa può essere poco ristoratore fino allo sviluppo di una vera e propria insonnia, che provoca stanchezza e non contribuisce certo a combattere sintomi come il senso di sbandamento e l’impressione di essere sul punto di svenire che molti ansiosi sperimentano in tutte le stagioni.

Di conseguenza per le persone ansiose può essere molto difficile affrontare questo periodo e l’intervento di uno psicologo può aiutarle a recuperare la calma e ad iniziare ad occuparsi dei loro disturbi, magari applicando da subito alcune tecniche di rilassamento utili a contenere l’ansia.

In generale comunque il consiglio migliore resta sempre quello di non aspettare che l’ansia “passi da sola”, quando si presenta, ma di rivolgersi ad uno specialista senza lasciare che la situazione si cronicizzi e porti ad una sofferenza ancora più acuta quando intervengono fattori esterni ansiogeni e debilitanti come quelli legati al caldo e all’afa.

Dal Sito: www.medicitalia.it

Ansia e depressione: 5 cose da sapere per stare meglio in estate


Caldo, umidità e quantità di luce giocano un ruolo importante sull'andamento di questi disturbi. Ma non bastano. Determinante è anche il contesto ambientale che, cambiando, ci influenza. Parola di esperto

In questi giorni Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna, ha presentato a Milano i risultati di un’indagine sulla depressione, in generale e in relazione a malattie importanti, come tumori, malattie reumatiche e diabete. «La depressione, quando legata o conseguenza di altre malattie, è per lo più sottovalutata sia da chi ne soffre, sia dai medici, quasi considerata un effetto collaterale scontato», afferma Francesca Merzagora, Presidente di Onda.

Di scontato, però, c’è molto poco. «La depressione continua a crescere: in 10 anni è aumentata di quasi il 20%», sottolinea Claudio Mencacci, Direttore Dipartimento Salute mentale e Neuroscienze ASST Fatebenefratelli Sacco, tra i relatori che hanno presentato l’indagine Onda. «Un campanello d’allarme per tutti… Fondamentale risulta investire in ricerca e innovazione per migliorare ulteriormente l’efficacia delle cure e comprendere più a fondo le interazioni con i diversi contesti ambientali».
Con lui abbiamo parlato proprio di come ansia e depressione siano influenzate dal contesto ambientale e, in particolare dall’estate, che ormai è alle porte.

Prima, però, occorre distinguere tra quel che è fisiologico e quel che non lo è. «A fare la differenza, sono l’intensità e la durata nell’arco della giornata. Provare un’ansia transitoria di fronte a situazioni di prestazione o adattamento, è normale, anzi migliora le funzioni cognitive. Ma se supera l’evento, si entra in un ambito patologico. Esistono forme acute, come i disturbi di tipo panico, e quelle con andamento continuativo, legate a fobie specifiche. L’ansia patologica riguarda il 14% della popolazione», precisa Claudio Mencacci.

Lo stesso per i disturbi depressivi: demoralizzazione o tristezza sono fisiologiche. Diverso è quando le modificazioni del tono dell’umore sono costanti e in crescita, per intensità e durata. Perdita di interesse, disturbi fisici, del sonno, dell’appetito, affaticabilità, difficoltà cognitive come indecisione e incapacità di concentrarsi… tutte manifestazioni tipiche della depressione (non bipolare), un disturbo che riguarda il 5/6% della popolazione.

Ed ora, ecco 5 cose da sapere su come i fattori ambientali possono influire in modo importante sull’andamento di questi disturbi.

1. Nel periodo estivo si ha la tendenza a consumare maggiori quantità di sostanze alcoliche, stimolanti, che aumentano le possibilità di nuovi incontri e contatti in un clima che si fa inevitabilmente più disinibito. Questo comporta variazioni dello stile di vita, del comportamento e delle relazioni sociali: un effetto legato al cambiamento ambientale che diventa, però, un comportamento sociale. Vantaggioso, magari, per chi ha disturbi del tono dell’umore, decisamente difficoltoso per gli ansiosi…

2. Diversi studi dimostrano che temperatura, umidità e quantità di luce producono effetti anche sul metabolismo, rallentandolo. La consueta dose di farmaci antidepressivi, quindi, può risultare eccessiva: meglio stabilire con il proprio medico come e quanto ridurla. Severamente vietato il fai-da-te perché potrebbe peggiorare i sintomi.

3. L’aumento del fotoperiodo (la quantità e la durata dell’illuminazione durante il giorno) stimola maggiormente alcuni neurotrasmettitori (tra cui la serotonina), migliorando il tono dell’umore in chi soffre di depressione. Non sempre, però. Ne esiste una forma, seppur rara, che si chiama Summer Affectiv Desorder ed è causata proprio dall’aumento della luce in estate. L’eccesso di luce può peggiorare anche la situazione degli ansiosi: aumentano le energie a disposizione e, se non vengono ben canalizzate, danno un senso di irrequietezza e, quindi, di ansietà.

4. Temperatura, umidità, quantità di luce, aumento dei rumori e degli stimoli possono disturbare in maniera significativa il sonno, che è il marker indicatore del nostro stato mentale. I disturbi del sonno possono fungere da promotori di disturbi d’ansia o anche depressione, innescando situazioni che erano in fase iniziale oppure originandone di nuove.

5. La scelta del luogo, invece, è principalmente questione di buon senso. Bisogna andare là dove si sente di poter portare, seppur transitoriamente, i propri bisogni: se servono uno stacco, un riposo di qualità, vada per lago o montagna. Se servono interazione, movimento, vita sociale, meglio il mare. Non sono le persone che fanno i viaggi, ma i viaggi che fanno le persone: piccolo, medio o grande che sia, il viaggio espone a una serie diversa di adattamenti. Questa è l’essenza del viaggio, quello che veramente ci dà. Spetta poi a noi stabilire quanto siamo disponibili ad adattarci.

Le vacanze non sono una gioia per tutti. Cambiare le proprie abitudini, i propri ritmi, allontanarsi dalle relazioni consolidate o da un amore, magari segreto… per molti il momento di partire è vissuto come uno stress e può gettare in una condizione emotiva di sconforto che, non solo porta a vivere male le vacanze, ma può aggravare sia i disturbi d’ansia sia quelli depressivi. Ognuno di noi si muove (e parte) con quello che si porta dentro.


di GIADA SALONIA

Dal sito : www.iodonna.it

L’autostima: pilastro basilare nella nostra vita



L’amore per se stessi è il punto di partenza della crescita di una persona che comprende l’importanza di rendersi responsabile della propria esistenza. (Viktor Frankl)

Cos’è l’autostima?

“Il modo in cui ci sentiamo riguardo a noi stessi influisce in maniera decisiva su tutti gli aspetti della nostra esistenza. Le risposte che emettiamo dinanzi agli avvenimenti dipendono da chi e da cosa pensiamo e siamo. I drammi della nostra vita sono i riflessi della visione intima che possediamo di noi stessi. L’autostima, pertanto, è la chiave del successo o del fallimento.

Di tutti i giudizi a cui ci sottoponiamo, nessuno è importante come il nostro. L’autostima positiva è il requisito fondamentale per una vita piena” (Nathaniel Branden)

L’autostima consiste nella valutazione che diamo a noi stessi. La capacità di amarci, volerci bene, rispettarci e valorizzarci, che comprende un insieme di condotte ed atteggiamenti, i quali costituiscono la base della nostra identità personale. Si tratta di una percezione valutativa di noi stessi, uno dei pilastri principali su cui ci appoggiamo.

L’autostima, inoltre, comprende due componenti importanti: il sentimento di capacità personale ed il sentimento di valore personale. Si tratta, quindi, della somma di fiducia e rispetto per noi stessi ed in questo modo condiziona la nostra qualità di vita.

Una buona autostima ci permette di accettare i nostri limiti e le nostre difficoltà. Significa, quindi, volerci bene per quello che siamo, sia per i nostri successi sia per i nostri sbagli ed errori. Dovremmo sentirci bene, amarci ed accettarci, apprezzarci e rispettarci, a prescindere dai risultati o da quelli che non siamo in grado di fare o che non ci piace.
Autostima ed opinione altrui

Quanto dobbiamo tenere in considerazione la parola degli altri? Quanto di quello che gli altri dicono sul nostro conto è vero?

La maggior parte dei problemi che nasce quando ci relazioniamo si basa sul convincimento che gli altri devono conoscerci, capirci ed accettarci. Tuttavia, se non impariamo a dare il giusto valore alle parole degli altri, la nostra autostima potrà distruggersi facilmente.

Ognuno di noi stabilisce dei vincoli con gli altri, ci relazioniamo con essi in modo diverso. Il vincolo che abbiamo stabilito con nostra madre, per esempio, non è lo stesso di quello stabilito con i nostri migliori amici o i nostri colleghi di lavoro. Nei rapporti che manteniamo, quindi, ci comportiamo in modo diverso in base al vincolo stabilito con le altre persone e dal ruolo che adottiamo. In questo modo, abbiamo peculiarità e limiti distinti in base alle persone che ci troviamo davanti. I rapporti che manteniamo con le persone, quindi, sono solo una parte di noi, una piccola porzione, non la nostra totalità. Alle persone è dato conoscere solo alcune manifestazioni della nostra personalità, non tutte le nostre reazioni e motivazioni intime, né la totalità della nostra storia né di quello che siamo. Le persone sono molto più che le relazioni che instaurano.

Le opinioni che gli altri possono avere su di noi derivano solo da quello che hanno potuto osservare, così come dal “colore” che ognuno ha potuto conferire a queste osservazioni in base alle proprie caratteristiche personali. Noi facciamo lo stesso con gli altri. È possibile, quindi, che quello che gli altri apprezzano di noi, e che noi apprezziamo di loro, non corrisponda davvero alla realtà. È sbagliato, infatti, pensare che quello che diciamo degli altri sia del tutto vero, così come quello che pensano gli altri di noi. L’opinione che hanno gli altri di noi costituisce una porzione di quello che siamo, non la nostra totalità.

Il tutto, inoltre, dipende anche dal vincolo stabilito, dalla frequenza, dal modo in cui ci comportiamo, etc. Gli altri possono conoscere più o meno aspetti di noi, ma non possiamo dimenticare che siamo noi gli unici a conoscerci del tutto. Siamo solo noi ad avere il panorama completo della nostra persona. Non aspettiamoci troppo dagli altri, poiché il nostro giudizio deve essere sostenuto da quello che pensiamo di noi stessi e non dalla visione parziale che hanno gli altri di noi.

Dal Sito: lamenteemeravigliosa.it

mercoledì 31 maggio 2017

Stress da lavoro: sintomi, cause, rimedi e a chi rivolgersi


Lo stress da lavoro è una condizione assai frequente, che può provocare diversi sintomi, come l'infarto, attacchi di panico, ansia, pressione alta e depressione, solo per citare alcuni dei disturbi fisici e psicologici. Le cause hanno sfondo lavorativo. Ma quali sono i rimedi per combatterlo? Come giungere alla diagnosi? A chi rivolgersi? Scopriamo di più in merito.

Quali sono i sintomi, le cause e i rimedi per lo stress da lavoro? A chi rivolgersi? Lo stress da lavoro è un disturbo causato – come lascia intuire il nome – dalla condizione in cui ci si trova a lavoro e che può, dunque, essere accompagnata da disturbi fisici e psicologici, determinati dal fatto che alcune persone provano la sensazione di non essere in grado di rispondere in maniera adeguata alle richieste che ricevono o alle aspettative che vengono riposte in loro in ambito lavorativo. Lo stress da lavoro può scatenare infarto, attacchi di panico, ansia, pressione alta, depressione e altri sintomi. Cosa fare contro lo stress da lavoro? Qual è la sintomatologia completa che lo riguarda? Quale il trattamento per la guarigione? Come giungere alla diagnosi? Scopriamo di più in merito.

Cos’è
Spesso, lo stress è una malattia causata dal lavoro. Lo stress può essere definito, in generale, come una risposta da parte dell’organismo nei confronti di sollecitazioni o stimoli esterni e tutto ciò non fa altro che provocare una reazione di adattamento, la quale, in determinate condizioni, può assumere un carattere patologico. Nello specifico, lo stress legato al lavoro si afferma quando le richieste superano la capacità del lavoratore di affrontarle e di gestirle nel modo più opportuno. Di per se stesso, lo stress non può essere considerato una malattia vera e propria, ma non bisogna dimenticare che esso può generare problemi di salute sia a livello fisico – come, ad esempio, le cardiopatie – che per ciò che concerne il benessere mentale: è, infatti, possibile incorrere in disturbi come la depressione o l’esaurimento nervoso. Lo stress da lavoro è conosciuto anche con la definizione di “stress da lavoro correlato”. In Italia, ad essere maggiormente colpita, pare sia la fascia di età compresa tra i 45 e i 55 anni, nonché le donne, chi ha contratti precari e chi lavora più di 50 ore a settimana.

I sintomi
I sintomi da stress da lavoro possono essere di varia natura: possono manifestarsi, ad esempio, sintomi comportamentali, psicologici e fisici/psicosomatici. Qual è la sintomatologia che riguarda lo stress da lavoro? Questa può includere:
Insicurezza
Indecisione
Riduzione della capacità di giudizio
Suscettibilità
Difficoltà nei rapporti interpersonali
Disturbi del comportamento alimentare, come bulimia nervosa o anoressia nervosa
Assuefazione all’alcool e al fumo
Riduzione dell’attenzione e della concentrazione
Problemi di memoria
Irritabilità
Ansia
Attacchi di panico
Depressione
Pessimismo
Cattivo umore
Crisi di pianto
Eccessiva autocritica
Disturbi dell’apparato gastroenterico, come la colite nervosa
Disturbi cardiocircolatori, respiratori e locomotori, come infarto, pressione alta, pressione bassa, ischemia cerebrale, asma bronchiale e cefalea
Disturbi del sonno
Sensazione di mani e piedi freddi
Nervosismo
Senso di insoddisfazione
Abbattimento
Affaticamento
Aggressività
Disturbi urogenitali, come incontinenza urinaria e ciclo mestruale irregolare
Disturbi dermatologici
Infelicità
Voglia di isolamento e difficoltà nei rapporti interpersonali
Indebolimento del sistema immunitario

Questi sono alcuni dei campanelli di allarme provocati dallo stress da lavoro. Non manca, inoltre, la manifestazione di alcune delle malattie più comuni e ciò a causa dell’indebolimento del sistema immunitario. Possono, dunque, fare la loro comparsa:
Raffreddore
Influenza
Tosse nervosa
Mal di stomaco da stress
Mal di testa
Palpitazioni
Dolori muscolari, in special modo a schiena e collo
Stanchezza continua
Insonnia

Il concetto di burn-out, quando si parla di stress da lavoro, sta ad indicare chi, a causa del lavoro, si sente, per l’appunto, “bruciato”, ovvero esaurito emotivamente, privo di energie, stanco già al mattino e privo della voglia di svolgere altre attività.
Tale condizione può compromettere anche la qualità del lavoro e manifestarsi con assenteismo e difficoltà relazionali, tra le altre cose, senza contare il danno biologico provocato dallo stress da lavoro.

Le cause
I rischi connessi allo stress da lavoro possono essere valutati in maniera adeguata, tenendo in considerazione diversi fattori. Quali sono le cause dello stress da lavoro, quindi? Continue pressioni a lavoro, ritmi frenetici, richieste inadeguate per il rispetto di scadenze, liti, incomprensioni e anche il mobbing può essere alla base dello stress da lavoro. Molto importanti sono i fattori relazionali, che dovrebbero prevedere anche momenti e occasioni di sostegno e di confronto. Da ricordare anche i fattori psicologici e tutto ciò che riguarda le caratteristiche del lavoro, come il tempo di lavoro, la pressione esercitata sul lavoratore, la responsabilità affidata, l’ambiente lavorativo, il margine di autonomia lasciato a chi lavora e gli impegni da portare avanti.

La diagnosi
Per prima cosa, è necessario prendere coscienza del problema e, alla comparsa di sintomi e segni sospetti, parlare con il medico che stabilirà la diagnosi di stress da lavoro correlato e saprà indicare la terapia adeguata per la risoluzione del problema. Oltre alla visita medica e allo studio dei sintomi, potrebbero essere eseguiti alcuni test, esami e analisi, così da escludere o meno la presenza di eventuali patologie.

I rimedi
Cosa fare contro lo stress da lavoro? Quali sono i rimedi? Potrebbe essere utile assumere alcuni farmaci contro i sintomi provocati ma, certamente, questi non risolverebbero il problema dell’ansia e dello stress alla radice. A venire in aiuto, contro lo stress da lavoro, ci sono i Fiori di Bach: questi possono essere di aiuto contro gli stati di ansia e ne esistono di diversi tipi, ad esempio il rimedio Rock Rose contro gli attacchi di panico, il Cherry Plum per ritrovare la calma, l’Oak contro l’ansia o il Rescue Remedy, ovvero un mix di diversi fiori utili per stare meglio.

A chi rivolgersi
Sicuramente, il primo passo contro lo stress da lavoro è quello di ammettere di avere un problema e prenderne coscienza. Cambiare lavoro può non essere la soluzione, perché tale malessere potrebbe verificarsi nuovamente. Come fare, quindi? A chi rivolgersi, in caso di stress da lavoro? Nello specifico, la psicoterapia può essere di aiuto e uno psicoterapeuta potrebbe aiutare a comprendere i meccanismi che vanno modificati per stare meglio e vivere le varie situazioni in modo differente: modificando, ad esempio, lo stile di vita e attuando alcuni piccoli accorgimenti per gestire al meglio il proprio tempo, oltre a imparare come attuare il rilassamento psicofisico così da modificare la relazione tra noi stessi e l’ambiente in cui viviamo quotidianamente.

La prognosi
Infine, la prognosi dipenderà da alcuni fattori, come la capacità del paziente di modificare il proprio stile di vita, lavorando sui propri sintomi, su se stesso e sulle proprie abitudini per eliminare lo stress da lavoro.


da Elena Arrisico dal Sito: www.tantasalute.it

I rimpianti sono zavorre: liberatene!


Quando siamo prigionieri dei rimpianti, la vita smette di scorrere fluida, come fossimo carichi di pesi inutili: se ti alleggerisci, ritrovi il sorriso
Ognuno di noi sa di aver commesso qualche errore. E sa anche che alcuni di questi sbagli hanno complicato le cose, mentre altri sono stati fondamentali per crescere, per capire meglio se stessi e gli altri, per evolvere. Si può dire che, senza alcuni errori, non ci saremmo mossi di un passo nello sviluppo della personalità. Ma, nonostante tutto, i rimpianti per non aver fatto la cosa giusta o per non aver agito in un certo modo, magari anche tanto tempo fa, possono diventare spiacevoli compagno di viaggio. Lo diventano, in particolare, in alcuni momenti molto negativi, di scoramento. Poi la consapevolezza torna e si affrontano le situazioni senza questo fardello del passato, e senza che faccia particolari danni.

I rimpianti generano falsi ricordi

I rimpianti occasionali sono così: un riportare la mente, inutile ma non troppo dannoso su un errore reale. Ma esiste una categoria molto più pericolosa: i falsirimpianti, specie quando costituiscono il modo principale di rileggere la propria storia. "Se soltanto avessi fatto; se soltanto fossi stato più attento, più sollecito; se soltanto avessi capito che quella era una grande occasione; se soltanto avessi detto quelle parole, se fossi intervenuto, se la sorte mi avesse aiutato, bastava un niente per, ero ad un passo dal…". Tutti questi presunti fatti del passato sono esageratamente ingigantiti. Chi è vittima del “se avessi” in realtà trasforma eventi del tutto normali in momenti cruciali in cui si sarebbe giocato il suo destino, percepito come negativo o incompleto. Ne ha per tutti: storie d’amore, lavoro, salute, singoli episodi. Qual è il vero scopo di questi rimpianti? Giustificare i problemi del presente.

Il passato non va reinventato

La vita, per chi ragiona così, smette di scorrere, altro che crescita ed evoluzione. Siamo ben lontani dallo stare nel presente: siamo immersi in un passato immaginario e in un destino alternativo e idealizzato, fatto di occasioni perse per sempre: quella relazione finita sarebbe stata “quella giusta”, quell'occasione di lavoro mancata avrebbe portato sicuramente al successo. Fatalismo, dubbi continui, fantasmi di fallimento, sommati tra loro, "gonfiano" i rimpianti e fanno fare scelte sbagliate. Se si vuole uscire da questo vicolo cieco di false interpretazioni, bisogna cambiare mentalità con rapidità e fermezza

La soluzione? Prendersi la responsabilità

La prima cosa da fare è comprendere che non esiste un passato alternativo che avrebbe potuto portare a un presente migliore. Certo, momenti in cui svoltare da una parte o dall'altra ci sono stati. Ma per chi vive dentro una mentalità passiva e perdente, alla fine, tutto sarebbe andato nello stesso modo inappagante, semplicemente passando da una strada diversa. Ed è un atteggiamento attivo anche ora: mentre idealizzi una trama che non si è mai compiuta, stai già sabotando il presente, stai già attivando la mentalità carica di rimpianti del “se soltanto avessi”. La frase invece va ribaltata: «Se soltanto avessi voglia di prendermi la responsabilità di ciò che mi accade». Perché i finti rimpianti non servono solo a giustificare lo stato negativo in cui crediamo di trovarci ci mettono anche “al sicuro” da ogni presa di coscienza capace di cambiare effettivamente le cose.

Ferma la ricerca del colpevole

Non è facile ammettere con se stessi che questi rimpianti sono solo un alibi, ma è così. Quando nella vita attuale tutto sembra andare storto, la mente, in automatico, va nel passato alla ricerca del “colpevole” e lo rintraccia in eventi che, magari, sono già stati superati da tempo. Perciò, anche se può sembrare difficile, dobbiamo rinunciare alla nostra finta storia: se non è una vera e propria allucinazione, poco ci manca. È sicuramente frutto di una fantasia regressiva che vuole bloccarci a un livello di sviluppo ancora adolescenziale, e non possiamo permettere che prenda il sopravvento. Liberiamoci di questo falso passato, del senso di sfortuna e di inadeguatezza, che nutrono e tengono in vita i rimpianti. E soprattutto occupiamoci del presente senza l’ansia di affrontare in ogni istante una “sliding door” in cui si decide chissà quale futuro. Non è così: chi vive pienamente e in modo autentico sa che anche gli sbagli possono tradursi, sorprendentemente, in svolte vantaggiose.


Dal Sito: www.riza.it

E se ci prendessimo cura della nostra igiene mentale come di quella fisica?


Siamo tutti consapevoli di quanto sia importante mantenere una buona salute fisica. Eppure, spesso dimentichiamo una parte di noi altrettanto importante: la mente. Come saprete bene, anche la salute mentale influisce sul benessere fisico generale. Avrete sentito dire spesso che lo stato di ansia o le preoccupazioni, per esempio, possono essere somatizzate nel corpo. Non vi sembra, dunque, necessario prestare la dovuta attenzione anche alla nostra igiene mentale?

Per godere di un cervello in salute, prima di tutto è importante fare attenzione ad alcuni fattori che, spesso, passano inosservati. In realtà, identificarli è molto facile, ma per qualche motivo continuiamo comunque a non tenerli in considerazione. Prima o poi, però, questa specie di complice noncuranza ci costerà molto cara. Per questo motivo bisogna iniziare a prendersi cura della propria igiene mentale, mettendo in pratica i consigli che vi illustreremo a seguire.

Puntare su una buona igiene mentale ci aiuterà a prevenire malattie e disturbi come, per esempio, quelli legati all’ansia.
Una buona igiene mentale si traduce in un maggior benessere

Quanto tempo occupano nella vostra mente le preoccupazioni legate al passato e al futuro? E così, spesso nella nostra testa non rimane quasi posto per il presente. All’improvviso ci accorgiamo di aver inserito il pilota automatico. Giornate senza senso si susseguono una dietro l’altra allo stesso modo, e smettiamo persino di goderci i piccoli piaceri della vita.

È importante imparare a mettere in pratica un’attenzione totalizzante, a concentrarci sul qui e adesso per fuggire da tutti quei pensieri che possono trasformarsi in ossessioni. Se vi è capitato di provare stress per un motivo simile, saprete bene di cosa stiamo parlando. Ma lo ieri non importa, e non importa nemmeno il domani. Spalancate gli occhi sull’oggi e godetevelo.

Oltre a questo primo aspetto, ce n’è un altro importante nelle nostre vite a cui forse non avrete ancora prestato la dovuta attenzione. I rapporti che avete con gli altri vi danno qualcosa o vi privano di qualcosa? Perché date così tanta importanza a qualcuno che non vi corrisponde? Cercate di essere brave persone e di fare contenti tutti, per poi venire ricompensati a suon di manipolazione e sofferenza.

“Non permetterò a nessuno di passeggiare nella mia mente con i piedi sporchi.” -Mahatma Gandhi-

Vi proponiamo questa riflessione: se date tutto per persone che non vi danno niente, forse non vi rimarrà più tempo da dedicare alle persone che, invece, meriterebbero di più. Riflettete sulle relazioni che intrattenete. A volte abbiamo paura di prendere una decisione, di dire “la nostra amicizia/relazione finisce qui”, perché abbiamo paura di perdere tutto quello su cui abbiamo investito tanto. Ma la verità è che non ne è valsa la pena. Se riuscissimo a chiudere quelle relazioni, la nostra igiene mentale ne uscirebbe sollevata e favorita.

Allontanatevi dalla visione pessimista della realtà

È facile optare per una visione pessimista della realtà quando tutto va male. Ma questo è sintomo di una bassa resilienza e comporta grossi rischi: la vostra felicità e la vostra igiene mentale potrebbero essere in pericolo. Dovete rendervi conto che non tutto può essere letto soltanto in un modo. Un licenziamento o la rottura di una relazione possono essere considerate delle disgrazie oppure delle opportunità di crescita. Siete voi a scegliere a quale strada volete ricondurre quel fatto.

Inoltre, vi date ciò di cui avete bisogno? Prendervi cura di voi stessi, coccolarvi,alimentarvi in modo sano, fare attenzione a come state… sono di certo azioni che qualche volta (o molte volte) avrete sottovalutato. Forse perché siete così concentrati sugli altri da dimenticarvi di pensare a voi stessi o forse perché a volte lasciate che la vostra felicità dipenda dagli altri. Si tratta di un terribile errore, che può portarvi a vedere la vita in modo molto negativo. Voi venite prima degli altri, e non si tratta di egoismo. Si tratta di amarvi e di valorizzarvi, senza aspettare che gli altri lo facciano per voi.

Di sicuro in qualche momento della vostra vita vi sarà capitato anche di sentirvi bloccati, perché non riuscivate a raggiungere un obiettivo. Tuttavia, avete controllato che fosse davvero raggiungibile? Spesso ci riproponiamo di raggiungere delle mete che, per quanto lo desideriamo, non sono realizzabili. Ogni obiettivo che ci poniamo dev’essere realistico. Liberatevi dai sogni impossibili che generano solo frustrazione, ansia e una sensazione di inutilità. Sarà una decisione molto positiva per la vostra igiene mentale.

“Lavati la mente con amore e onestà dopo ogni pensiero che attenti alla tua tranquillità.” -Luis Espinoza-

Vi siete resi conto di quanto può essere importante una buona igiene mentale? E ci sono molti altri comportamenti che possono farvi bene, come eliminare le aspettative, smetterla di lambiccarvi il cervello su questioni che non portano da nessuna parte, evitare di voler cambiare le persone a tutti i costi e imparare a gestire le vostre emozioni.

Tendiamo a complicarci la vita o a dare essa la colpa di tutto ciò che ci succede quando, in realtà, renderla molto più semplice e più piacevole è nelle nostre mani. Non tutto è terribile come sembra, non tutto è brutto come crediamo. Ripulire la nostra mente da tanti pensieri sopravvalutati e che ci impediscono di vedere con chiarezza ci permetterà di raggiungere il vero benessere.


Dal Sito: lamenteemeravigliosa.it

I fallimenti hanno alimentato la mia esperienza


Il concetto di fallimento è fortemente stigmatizzato dalla società. Fin da bambini, gli sguardi che riceviamo quando falliamo o commettiamo un errore assomigliano molto a quelli che riceviamo quando ci comportiamo male. Di conseguenza, è facile cominciare a guardare se stessi con quello sguardo e, anziché rallegrarci di aver trovato una strada non valida e di poterla scartare, ci arrabbiamo con noi stessi, ci insultiamo e ci lasciamo sommergere dalla tristezza, come se fosse l’emozione giusta in quel momento…

L’unica cosa che otteniamo affrontando i fallimenti in questo modo è sprofondare ancora di più, impedendo a tale concezione negativa di farci imparare dai nostri errori.

Quando non cogliamo l’aspetto positivo che si cela dietro ad un fallimento, inoltre, tendiamo a darci per vinti, ad abbandonare qualsiasi progetto avessimo fra le mani e a darci degli inutili. Come possiamo approfittare degli insegnamenti di uno sbaglio se lo viviamo in questo modo, se cerchiamo di cancellarlo come fosse un errore di scrittura?

Le persone che non accettano i fallimenti e sono incapaci di trarre insegnamento dagli errori sono di norma individui che non sanno accettare se stessi. Tendono a ricercare la perfezione in ciascuna delle loro azioni e, dopo aver capito di non poter raggiungere la perfezione né realizzare ogni loro aspettativa, possono arrivare a mandare all’aria tutto e a cadere nello sconforto più totale.

Questo atteggiamento così poco produttivo porta persone dalle grandi potenzialità e dalle buone attitudini a smettere di provarci soltanto per paura di fallire di nuovo. Un atteggiamento che le rinchiude in un’urna di cristallo, la loro zona di comfort.

Il fallimento è sinonimo di crescita

Le persone che non falliscono mai sono quelle che non ci provano nemmeno, preferendo restare in una zona in cui i rischi sono minimi. Queste persone, in realtà, vorrebbero una vita più emozionante, ricca di sfide e traguardi da raggiungere. Ciò che importa, in fondo, non è realizzare i sogni o raggiungere il successo.

Quello che importa davvero è il percorso, la voglia di alzarsi tutte le mattina per cercare di realizzare i propri obiettivi.

Quando smettiamo di provarci per paura di fallire, stiamo già facendo un passo verso il fallimento. Il dolore è meno intenso dell’ansia che può supporre la scelta di cominciare un progetto al limite delle nostre capacità. Eppure, una volta superata quella fase, la vita apparirà molto più colorata.

Anziché essere visto come una porta che si chiude sui nostri sogni, il fallimento deve essere interpretato come il segnale che indica che stiamo crescendo. Un indicatore del fatto che stiamo esplorando nuovi cammini e che, per questo, matureremo, noi e le nostre capacità.

Non abbiamo il potere di decidere se falliremo o meno e, se davvero vogliamo qualcosa, dovremo accettare di poter andare incontro a vari sbagli. Ciò che possiamo controllare davvero è la nostra capacità di continuare a prescindere da quello che accade, ed è in questo che dobbiamo investire le nostre energie.

Come gestire i fallimenti

Il fallimento non è la fine, ma soltanto un passaggio intermedio, il movimento inevitabile verso il successo o il trionfo in qualsiasi ambito della vita. I vantaggi del fallimento sono, quindi, maggiori degli svantaggi, e per capirlo basta essere consapevoli del fatto che un fallimento non ci definisce. Esso non è altro che il bisogno espresso di agire in maniera diversa.

Per imparare a gestire meglio i fallimenti, il primo passo riguarda un compito complicato, ma fondamentale: accettare quello che non possiamo cambiare. Smetterla di lamentarci all’infinito per le carte che ci sono capitate perché nessuno tornerà a mescolare il mazzo, e continuare a giocare senza badare al risultato. Le nostre carte non saranno sempre le stesse e noi non siamo definiti dai nostri pensieri o dai nostri atteggiamenti. Noi siamo molto di più, siamo esseri complessi e cangianti, che imparano e ai quali non mancheranno opportunità per migliorare.

Siamo esseri coraggiosi a prescindere dai nostri errori, i quali non hanno la possibilità di aggiungere o togliere valore alla nostra persona.

Il passo successivo consiste nel rivedere le nostre aspettative. Dobbiamo avere ben chiara in mente la differenza tra l’io reale e l’io ideale. Il primo è la persona che siamo, né più né meno. È formato dalle nostre caratteristiche personali, le nostre abilità, le nostre virtù, i nostri difetti e i nostri limiti. Chi si conosce bene, sa fino a dove può o non può arrivare.

L’io ideale è la persona che crediamo di essere, ma che in realtà non siamo. Aspettative troppo alte su se stessi portano a dare più valore all’io ideale che a quello reale, e ci porteranno a soffrire ancora di più una volta scoperto che la realtà è ben altra.

Per questo motivo, bisogna sempre avere chiaro in mente chi siamo, tenendo conto che non siamo meglio né peggio di nessun altro essere.

In ultimo, occorre imparare a tollerare le frustrazioni della vita. I progetti non vanno sempre come uno vorrebbe, ma questo non implica necessariamente una sconfitta. Accettiamo ciò che non ci piace, errori inclusi; impariamo da essi, perché ci daranno la forza e l’entusiasmo necessari per andare avanti.

giovedì 25 maggio 2017

Liberati dal buonismo, ti fa venire l'ansia


Mettersi sempre al servizio degli altri per paura di perderli o per essere “altruista” a tutti i costi conduce all’ansia: rompi lo schema e rinasci

La società contemporanea condanna senza appello l’egoismo: chi è egoista pensa solo a se stesso, si interessa esclusivamente del proprio tornaconto e non avrà mai niente da dare. Fin da piccoli ci insegnano a essere buoni, generosi, ad andare d’accordo con tutti. Il risultato di questo sforzo consiste spesso nell’inculcare il senso di colpa e una certa falsità nei rapporti umani, ma soprattutto apre le porte all'ansia: tutto questo dedicarsi agli altri per senso del dovere puntualmente non porta "risultati" soddisfacenti e questo ci fa sentire inadeguati e in perenne affanno, le condizioni ideali perché l'ansia si manifesti. Ma c’è un modo diverso di concepire l’egoismo. Al di là di quello che possa sembrare, in sé non è un difetto da correggere, o un mero sinonimo di insensibilità: utilizzato nel modo giusto può rappresentare una grande qualità, indispensabile per la nostra autorealizzazione.

Il buonismo è nemico del tuo istinto.

Grazie al sano egoismo realizzi te stesso

Se prima di un’azione ci interroghiamo su quanto davvero ci piaccia o ci prema, entriamo in contatto con le nostre esigenze più profonde, andiamo incontro alla nostra natura e al sano bisogno di autoaffermazione. Se invece ci imponiamo costantemente di prendere in considerazione solo le esigenze degli altri finiremo per entrare nel ruolo fasullo del “buono a ogni costo”, che a lungo andare ci starà stretto: cercheremo di continuo l’approvazione altrui, con il rischio di invischiarci in relazioni sbagliate e di essere manipolati, a tutto "vantaggio" dell'ansia. Al contrario un po’ di “sano egoismo” ci induce a contare sulle nostre risorse interne e ci aiuta a esprimere il massimo potenziale creativo. È un atteggiamento che promuove relazioni sane, limpide e senza secondi fini. Quando impariamo ad ascoltarci, mettiamo sullo sfondo i condizionamenti esterni e le cose accadono più spontaneamente: non abbiamo dubbi e titubanze, arriviamo dove vogliamo andare. Qui di seguito vi presentiamo tre piccole storie che spiegano meglio di tante teorie come sia semplice sfuggire alle gabbie dell'altruismo recitato e recuperare una più sana visione di noi stessi.

Il buonista? Fa male a sé e agli altri

Il vero amico non esige nulla

Da quando ho chiarito con Valentina le cose tra noi vanno decisamente meglio e non mi sento più “obbligata” nei suoi confronti e sempre in ansia. lei è l’amica che vorrebbero avere tutti, ti ricopre di mille attenzioni, si mette a disposizione senza riserve, ma l’inghippo c’è: pretende che tu con lei faccia lo stesso e sia sempre pronta e rispondere alle sue esigenze. A lungo andare mi sono sentita in trappola: le sue richieste si erano trasformate in un vero e proprio ricatto.
Così mi sono ribellata alle sue pressioni. Sul momento ho temuto di essere un po’ egoista, ma sorprendentemente il rapporto è migliorato! Lei ha capito e tra di noi ora è tutto più sincero e autentico e la mia ansia è solo un ricordo... 

Amare non vuol dire adattarsi

Quando ho conosciuto Mirko ho pensato subito che fosse la persona giusta per me. Così ho cercato di adattarmi a lui in tutto e per tutto. Mi sono proposta di seguirlo nelle sue frequenti uscite con gli amici. Il risultato? Pessimo. I suoi amici non mi piacciono e odio il calcio, mentre loro vanno sempre allo stadio. Ma quando gli ho parlato é stato un sollievo. Mi ha detto: “Ma dove sta scritto che dobbiamo fare tutto insieme?”. Aveva ragione! Ho ripreso a svagarmi con lo shopping, lasciandolo andare da solo con gli amici. Abbiamo scoperto di avere altre cose in comune e la relazione è molto migliorata! 

Gli altri non dipendono da te!

Da quando ho imparato a spegnere il cellulare prima di uscire di casa sto proprio meglio! Il tempo che dedicavo a me stessa era davvero poco. Adoro mio marito e i miei bambini, ma ero arrivata al punto di non sopportarli. Quando mi capitava di uscire con le mie amiche e lasciavo i bambini con lui, puntualmente mi chiamava per qualsiasi inezia. E io non resistevo al senso di colpa e mi affrettavo a tornare. Stavo esaurendo tutte le mie energie e un giorno esasperata ho provato ad essere irraggiungibile: è stato un toccasana, al ritorno mi sono accorta che erano “sopravvissuti” e io ero carica e di buon umore!

Dal Sito: www.riza.it

I tipi di ansia più comuni: a tutto c’è una soluzione


L’ansia è uno dei grandi mali dei nostri tempi. Tant’è che ne esistono diversi tipi e continuano a comparire classificazioni sempre più estese. Non è poi così strano se si tiene conto che i tempi in cui viviamo sono spesso troppo esigenti e gli equilibri, propri e altrui, sono dinamici.

L’ansia è una delle facce della paura. Ma, a differenza della paura in sé, non è causata da uno stimolo in concreto. La paura è normale quando si affronta una minaccia specifica e si pensa che la propria integrità sia in pericolo. Ma l’ansia è un tipo di paura che molto spesso non ha una causa definita, quindi risulta difficile intervenire sull’origine della stessa o su fattori che la rendono ricorrente.
“La paura acutizza i sensi. L’ansia li paralizza.”
-Kurt Goldstein-

Si comprende di essere preda dell’ansia quando ci si sente inquieti, insicuri e preoccupati per “qualcosa” di impreciso o per qualcosa di preciso che non si sa come affrontare. È come trovarsi all’interno di un aereo in caduta libera, anche se in realtà ci si trova seduti in salotto, a guardare la televisione. Si prova agitazione, irritazione, fastidio, ma non si comprende il perché.

Sono vari i tipi di ansia frequente. Alcune persone preferiscono chiamarla semplicemente stress o preoccupazione, ma se ci si sofferma un po’ più a lungo su di essa, ci si rende conto che si tratta di un disturbo molto grave. L’aspetto positivo è che i vari tipi di ansia si possono superare. Per riuscirci, la prima cosa da fare sarà conoscerle un po’ meglio.

L’ansia generalizzata e l’ansia sociale

Il disturbo d’ansia generalizzata si definisce come uno stato di preoccupazione costante, senza una ragione specifica che la causi. Dura più di 6 mesi e, in generale, è accompagnato da disturbi del sonno, irritabilità, problemi di concentrazione e fatica generale.

L’ansia sociale, d’altro canto, è una condizione nella quale la persona prova paura o angoscia in tutte le situazioni nelle quali si deve interagire socialmente con gli altri. Detto in maniera più semplice, si ha paura del contatto con altre persone. Nella maggior parte dei casi è anticipatoria, vale a dire si produce prima che il contatto sociale abbia luogo.

Entrambe le condizioni deteriorano significativamente la qualità di vita delle persone. Sono stati che non si curano da sé con il trascorrere del tempo, poiché sono alimentati da diverse condotte di elusione. Non sono brutti periodi, ma situazioni che richiedono un trattamento professionale.

Nella maggior parte dei casi è sufficiente una terapia breve affinché le emozioni ritornino sotto controllo. Altre volte è necessario un percorso più lungo, ma la probabilità di superare queste condizioni, in ogni caso, è molto alta.

I disturbi ossessivi e lo stress post-traumatico

I disturbi ossessivi sono di vario tipo, ma tutti hanno in comune il fatto che c’è un’idea persistente e intrusiva che causa timore o angoscia. Quindi, anche se la persona in questione prova a togliersi dalla testa una determinata idea, non ci riesce. Queste ossessioni possono arrivare ad invadere la personalità e a produrre una paralisi vitale.

Lo stress post-traumatico è quello stato di angoscia che si presenta dopo aver vissuto un’esperienza traumatica. Si manifesta come inquietudine, difficoltà nel dormire e, soprattutto, come pensiero che quanto è già accaduto, si verificherà nuovamente. Fa rimanere la persona che ne soffre in continuo stato di allerta, insicura e isolata.

In entrambi i casi, e a seconda della gravità dei sintomi, ci sono diversi modi per superare il problema. La pratica di alcuni metodi di rilassamento può contribuire notevolmente a ridurre l’ansia e ad incrementare la capacità di concentrazione. Se questi metodi non sono efficaci, la terapia professionale è un’eccellente alternativa, con grandi possibilità di successo.

L’agorafobia e l’ipocondria

L’agorafobia è diventato uno dei tipi d’ansia più comuni dei nostri tempi. È una paura diffusa verso tutte quelle situazioni in cui si pensa di non avere una via di fuga o nelle quali non c’è la possibilità di ricevere aiuto se si soffre di un attacco di panico. In altre parole, la persona pensa che potrebbe avere un attacco di panico e che in certe circostanze non potrebbe fuggire o ricevere aiuto. In qualche modo, si tratta di paura della paura stessa.

Cresce ogni giorno di più il numero di casi di agorafobia e chi ne soffre ha grandi difficoltà nel condurre una vita normale. Qualcosa di simile accade con le persone ipocondriache, che interpretano in maniera catastrofica qualsiasi segnale inviato dal loro corpo. Sospettano di avere malattie gravi e sentono che la loro condizione può peggiorare in qualsiasi momento, senza che nessuno possa fare niente al riguardo.

In entrambi i casi, è consigliabile la pratica di alcuni metodi di rilassamento. Questi contribuiscono a ridurre o disattivare l’ansia e ad identificare meglio i segnali che ci invia il nostro corpo. Inoltre, migliorano l’autocontrollo. L’attività fisica regolare aiuta in questo senso. Come in altri casi, se non fosse sufficiente, l’aiuto di un professionista è sempre l’alternativa migliore.


Dal Sito: lamenteemeravigliosa.it