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venerdì 2 ottobre 2020

Attacchi di panico, come riconoscerli, perché vengono e come superarli



Il disturbo di panico è caratterizzato da frequenti attacchi di panico non legati a situazioni specifiche e dalla paura di soffrire altri attacchi.

I sintomi

Un attacco di panico è un attacco improvviso di forti sensazioni di intensa apprensione, terrore e disastro incombente, accompagnate da sintomi fisici quali dispnea, palpitazioni, nausea, dolori al petto, senso di soffocamento e asfissia, capogiri, sudorazione profusa e tremori. Altri sintomi che possono manifestarsi nel soggetto durante un attacco di panico sono il senso di depersonalizzazione (il sentirsi come fuori dal proprio corpo) e di derealizzazione (un senso di irrealtà del mondo), paura di perdere il controllo, di impazzire o persino di morire. Non sorprende che questi soggetti spesso riferiscano di sentire, al sopraggiungere di un attacco di panico, un irrefrenabile bisogno di fuggire, in qualunque situazione si trovino. I sintomi tendono a manifestarsi con grande rapidità e a raggiungere un picco di intensità nell'arco di 10 minuti.

Le cause

L'attacco di panico può essere visto come un malfunzionamento del sistema che presiede alla paura; sul piano fisiologico, la persona sperimenta uno stato di attivazione vegetativa dovuto al sistema nervoso simpatico, un livello di arousal che sarebbe una risposta appropriata ad un pericolo immediato che minacciasse la vita del soggetto. Ma poiché i sintomi non hanno una spiegazione oggettiva, la persona cerca in ogni modo di dare un senso alla propria esperienza; se incomincia a credere di stare per morire, perdere il controllo o diventare pazza, con ogni probabilità la sua paura aumenterà ulteriormente. Circa il 90% delle persone che soffrono di un disturbo di panico riferiscono di avere queste convinzioni ogni volta che sono colte da un attacco.

Quando sopraggiungono all'improvviso, gli attacchi di panico sono detti inaspettati; tali attacchi possono manifestarsi mentre il soggetto è rilassato o addirittura mentre dorme. Quando l'attacco è invece provocato da una situazione specifica, per esempio il guidare un'automobile, si parla di attacchi situazionali (Kring et al, 2008).

La diagnosi

Secondo il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione, 2014) la diagnosi di disturbo di panico è possibile se sono presenti almeno 4 dei seguenti sintomi: palpitazioni o tachicardia, sudorazione, tremori, sensazione di fiato corto o di fatica nel respirare, sensazione di soffocamento, dolore retrosternale, nausea o dolori addominali, vertigini, sensazione di instabilità, testa leggera o sensazione di svenimento, brividi o vampate di calore, parestesie (sensazioni di formicolio o di intorpidimento), derealizzazione (sensazioni di irrealtà) o depersonalizzazione (sentirsi separato da se stesso), sensazione di perdita del controllo o di “impazzire”, paura di morire.

Le cause degli attacchi di panico possono essere molto diverse tra loro. In genere il primo attacco si verifica durante un periodo particolarmente stressante dell'individuo. Lo stress può essere dovuto ad un evento acuto oppure alla presenza di numerosi fattori concomitanti. Le principali cause di un attacco di panico possono essere: lutti, malattie gravi, cambiamenti importanti nella vita (matrimonio, lavoro, separazioni), periodi di iperlavoro o di scarso riposo, situazioni relazionali conflittuali, cambiamenti di ruolo a livello lavorativo (ad esempio, il pensionamento), traumi, problemi economici.

L'agorafobia

Gli individui con disturbo di panico mostrano determinate preoccupazioni  sulle conseguenze degli attacchi di panico. La preoccupazione per il prossimo attacco o per le sue implicazioni sono spesso associate con lo sviluppo di condotte di evitamento. Queste possono determinare una vera e propria agorafobia, nel qual caso viene diagnosticato il disturbo di panico con agorafobia. L'agorafobia (dal greco agorà, che significa “piazza del mercato”) viene definita come la paura di situazioni in cui potrebbe essere difficile o imbarazzante allontanarsi, nel caso sopraggiungesse un attacco di panico. Spesso il soggetto teme tutti i luoghi pubblici dove mostrare i sintomi dell'attacco di panico causerebbe grande imbarazzo. Tra le situazioni che più innescano questo tipo di fobia troviamo: guidare l'auto, attraversare un ponte, trovarsi in negozi o centri commerciali oppure in chiesa o in mezzo alla folla. Molti pazienti affetti da agorafobia sono incapaci di uscire di casa e quelli che ci riescono lo fanno con grave disagio.

La cura

Per curare il disturbo da panico si ricorre alla psicoterapia che in alcuni casi può non essere risolutiva a causa della cronicizzazione dei sintomi. Di pari passo alla psicoterapia si possono utilizzare: tecniche di rilassamento, meditazione mindfulness e EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing - Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), un approccio terapeutico utilizzato per il trattamento del trauma e di problematiche legate allo stress, soprattutto allo stress traumatico. Si possono associare anche cure farmacologiche attraverso benzodiazepine e antidepressivi.


Dal Sito: milleunadonna.it

mercoledì 2 settembre 2020

Che cosa è l'effetto "freezing"? Come può colpire in silenzio...




L’effetto freezing si attiva nel nostro cervello di fronte ad una minaccia improvvisa. È una forma di difesa psicologica e fisiologica che ci blocca e non ci consente di ragionare

L’effetto freezing è una reazione emotiva inaspettata.

Ci fa sentire incapaci di reagire di fronte ad un evento traumatico o a una minaccia improvvisa.

Ci paralizza letteralmente. Come suggerisce il termine inglese utilizzato per definire questo stato emotivo, sono le nostre emozioni che si congelano di fronte ad una minaccia.


“Esistono situazioni in cui la paralisi risulta essere la scelta migliore, se non addirittura l’unica possibile”: sostiene la Dott.ssa Pamela Busonero, esperta in Psicologia e Psicoterapia e specializzata in disturbi psicosomatici e attacchi di panico. “Che la paura sia in grado di paralizzare una persona è infatti un dato risaputo e riconosciuto da diversi studi scientifici e non è raro che in situazioni di imminente pericolo ci si blocchi completamente, anche quando sarebbe più opportuno avere una reazione diversa”.

Secondo lo psicologo John Leach, docente dell’Università di Portsmouth, circa il 75% delle persone dinanzi a una situazione di emergenza improvvisa si blocca e smette di ragionare invece di elaborare un piano di fuga. Sempre secondo Leach, del restante 25% solamente il 15% è in grado di rimanere sufficientemente razionale di fronte a situazioni improvvise di pericolo e di prendere decisioni che non mettano a rischio la propria vita. Il 10% perde completamente la capacità di ragionare, entrando nel panico e causando danni a se stessi e agli altri.

A livello fisiologico dinanzi ad una minaccia improvvisa, la sostanza grigia periacqueduttale (situata nel mesencefalo, una delle parti meno evolute del cervello) attiva una parte del cervelletto chiamata “piramide". Essa tende ad immobilizzare il corpo. Infatti, quando viviamo un evento improvviso e sfavorevole, come un’aggressione o una violenza, subiamo un forte stress emotivo.

Come risposta ad esso il cervello libera le endorfine che sono in grado di ridurre la forte agitazione e dare origine al cosiddetto effetto “freezing”. Esse sono gli stessi ormoni che l’ipofisi secerne quando proviamo gioia o amore. Quando è sotto stress il sistema nervoso simpatico mette in circolo anche un altro ormone, l’adrenalina. Quest’ultima è grado di potenziare la muscolatura ed aumentare le pulsazioni cardiache. La reazione di fuga, tipica dell’effetto freezing, avviene quando la minaccia appare fin da subito irrisolvibile.


“L’effetto freezing si può definire una reazione fisica ma determinata dalla mente. Si innesca quando bloccarsi sembra essere l’unica opzione possibile, quando si è di fronte ad una situazione in cui non si riesce ad affrontare la minaccia né a fuggire da essa. Allo stesso modo, può verificarsi quando l’evento si evolve così rapidamente da non essere in grado di riflettere ed adeguarsi, oppure come meccanismo di negazione che rende l’evento meno penoso” - precisa l’esperta. Il freezing sembra una risposta normale di una persona normale ad un evento anormale. Serve per difenderci da un trauma emotivo che sarebbe troppo forte da superare. La paralisi e le sostanze rilasciate ci impediscono di renderci conto di cosa stia succedendo e di recepire il trauma con una minore intensità. In caso di aggressione, potrebbe anche scoraggiare l’aggressore a proseguire.

A volte può succedere che il corpo, a seguito di un evento traumatico con una reazione di freezing, apprenda questo meccanismo e lo applichi involontariamente a molteplici situazioni della vita. Anche se il reale pericolo è ormai superato il rischio è che il soggetto continui a provare stati di allerta ingiustificati per gran parte della giornata. Ciò non gli consente di condurre una vita serena. In questi casi, è necessario riuscire ad elaborare l’evento traumatico.

La Dott. Busonero suggerisce trattamenti particolarmente indicati, chiamati “trattamenti psicoterapeutici evidence-based”. La terapia Emdr è un metodo psicoterapeutico ideato nel 1987 da Francine Shapiro, attualmente validato per questa problematica. Il terapeuta Emdr chiederà alla persona di focalizzare la propria attenzione su diversi aspetti che costituiscono il trauma. Questo tipo di terapia ha un’elevata percentuale di successo e permette la remissione parziale o totale dei sintomi. L’obiettivo è migliorare la qualità della vita del paziente.

Dal Sito: ilgiornale.it

martedì 19 novembre 2019

Agorafobia: quando l’ansia paralizza



Agorafobia: il disturbo non è solo la paura degli spazi aperti. Emerge secondariamente all’insorgenza di attacchi di panico.

Il mondo al di là dell’uscio di casa può spaventarci e diventare una sfida impossibile da accettare. Può succedere in caso di agorafobia. Il nome, però, non inquadra con la dovuta precisione il disturbo. “Fobia”, tutti lo sappiamo, sta per paura, mentre “agorà”, nell’antica civiltà greca, era il nome che contraddistingueva la piazza principale della città. Così, spesso, l’agorafobia viene intesa come una paura degli spazi aperti, in quanto tali.
Un po’ come se fosse, solamente, il contrario della claustrofobia. Ma non è proprio così, il quadro è un po’ più variegato.

“Infatti, nella maggior parte dei casi– spiega il Direttore della Psichiatria dell’Ospedale Niguarda– l’agorafobia è un problema che emerge secondariamente all’insorgenza di attacchi di panico e che si instaura quando si comincia ad evitare sistematicamente tutti i luoghi, le situazioni ed i contesti nei quali si teme che possa verificarsi una nuova crisi di panico”.

In genere le persone che vivono l’esperienza dell’attacco di panico presentano vari sintomi, anche a livello fisico, ad esempio quelli di tipo cardiocircolatorio, come palpitazioni e tachicardia, ma anche respiro affannoso, sudorazione, dolore o fastidio al petto, vampate di calore e brividi.

Possono associarsi, inoltre, nausea o disturbi addominali, formicolii, sensazione di sbandamento, vertigini e tremori. Questo conduce spesso al timore di perdere il controllo su di sé, di avere un malore o addirittura di essere in procinto di morire.

Nei casi più gravi possono comparire anche sintomi psichici come la depersonalizzazione, cioè l’alterata percezione di sé, caratterizzata da una sensazione di distacco o estraneità dai propri processi di pensiero o dal proprio corpo.

Non tutte le persone che soffrono di attacchi di panico sviluppano l’agorafobia. Quelle interessate dal disturbo temono in particolare le situazioni in cui sarebbe imbarazzante scappare o per cui sarebbe difficile ricevere soccorso.

Di conseguenza, evitano questi luoghi con l’obiettivo di controllare l’ansia legata alla possibilità di una nuova crisi di panico. Quando queste preclusioni iniziano a compromettere le normali attività quotidiane, allora si parla di agorafobia. Il disturbo è due volte più comune nelle donne rispetto agli uomini e il picco d’esordio è intorno ai primi 20 anni, la comparsa dopo i 40 è rara.

Il trattamento prevede l’uso di psicofarmaci inibitori della ricaptazione della serotonina (un particolare neurotrasmettitore), sono i cosiddetti antidepressivi SSRI.
Hanno dimostrato efficacia nel prevenire la ricorrenza degli attacchi di panico – sottolinea lo specialista –, possono però presentare effetti collaterali che vanno valutati caso per caso. Nelle fasi iniziali del trattamento possono essere utili anche ansiolitici benzodiazepinici, che vanno però limitati a periodi brevi per il rischio di creare dipendenza. L’altro punto saldo del trattamento è la psicoterapia cognitivo-comportamentale, che permette di avere dei miglioramenti in un arco temporale che va dai sei mesi ad un anno”.


venerdì 19 luglio 2019

Agorafobia: causa, sintomi e terapie



Robbie Williams ha parlato pubblicamente dell'agorafobia che lo costringeva a rinchiudersi in casa. Ecco tutto quello che c'è da sapere

L’agorafobia è definita paura degli spazi aperti. Può essere accompagnata da attacchi di panico. Qui puoi leggere come affrontare gli attacchi di panico. Per la precisione, è il timore di trovarsi in una situazione di pericolo in cui scappare potrebbe essere difficoltoso o non sarebbe possibile ricevere aiuto. Nei casi più gravi, chi ne è colpito rimane quasi sempre a casa o esce solo se accompagnato.

Più che una paura degli spazi aperti, l’agorafobia è più spesso un disturbo psicologico legato alle caratteristiche personale di chi ne soffre. Può evolvere ad esempio nella paura di prendere i mezzi pubblici o di andare nei centri commerciali quando sono affollati. Quali sono le fobie come nascono e quante ne esistono?

In genere a esserne più colpite sono le donne, anche se negli ultimi anni sta aumentando il numero di uomini che ne sono interessati. Qui puoi scoprire perché le donne sono più ansiose degli uomini.

Quali sono i sintomi?

I sintomi sono molto simili a quelli dell’attacco di panico.

In genere si vive un’accelerazione cardiaca,

iperventilazione,

nausea,

sudori.

Si può manifestare anche come conseguenza di un altro disturbo psicologico. Può anche essere una reazione a particolari esperienze, come quella di essere stati coinvolti in un incidenti o soffrire di un lutto.

Quali sono le terapie?

Chiunque pensi di soffrire di agorafobia deve rivolgersi subito a uno specialista. Se non si riesce a lasciare la propria abitazione va bene anche una telefonata. Generalmente il medico chiede quali siano state le circostanze che hanno portato all’innesco dei sintomi. Più si è precisi nella descrizione, più facile sarà per il medico fare una diagnosi corretta.

A seconda della gravità dell’agorafobia, possono essere consigliate diverse terapie.

In alcuni casi, semplici cambiamenti ai propri stili di vita possono fare la differenza. Tra le raccomandazioni più diffuse quelle di praticare con regolarità attività fisica, mangiare in modo vario e sano, limitare gli alcolici, le droghe e le bevande a base di caffeina. La paura di uscire si può attenuare per esempio con la compagnia di un cane o di un bimbo: distolgono l’attenzione dalle proprie ansie. Oppure andar fuori con un amico e provare a rientrare da soli.

Nei casi più seri, si può ricorrere alla terapia cognitivo comportamentale o a farmaci, gli stessi usati per trattare l’ansia e la depressione. Invece di fuggire dalla situazione che crea il problema, il paziente deve cercare di viverla fino in fondo, insieme al terapeuta, perché solo in questo modo scopre che non gli farà del male, né tantomeno lo ucciderà.

Per quanto riguarda i farmacisono da preferire gli antidepressivi che agiscono sulla serotonina. Ma si sappia che offrono solo una tregua. Durante la quale va percorsa l’unica strada efficace: affrontare la vita.

Dal sito: ok-salute.it 

sabato 1 settembre 2018

Agorafobia, la paura degli spazi aperti (ma non solo): cos’è e come affrontarla





Agorafobia: scopriamo insieme tutto sulla paura degli spazi aperti. Che in realtà nasconde timori molto più profondi e radicati. Cause, sintomi e terapie.
L’agorafobia è considerata comunemente come la paura degli spazi aperti. Chi ne soffre, però, sa che la situazione non è così “semplice”. Si tratta infatti di una fobia complessa, con profonde motivazioni psicologiche.
Scopriamo insieme di cosa si tratta, come si manifesta e come possiamo affrontarla.

Agorafobia: cos’è

Il termine agorafobia deriva dal greco ἀγορά (agorà), che vuol dire piazza, e –fobia, paura. Ecco perché spesso colleghiamo questo disturbo al timore ossessivo per gli spazi aperti, come succede durante l’attraversamento di una piazza.
In realtà si tratta di una patologia più complessa. L’agorafobia è infatti strettamente correlata agli attacchi di panico. Chi ne è vittima può avvertire quindi la paura di trovarsi in situazioni di panico da cui non è possibile fuggire o in cui chiedere aiuto.
È la paura di provare panico e non poter scappare via o di non poter ricevere aiuto. Può manifestarsi quindi uscendo di casa da soli, quando si è in mezzo a una folla o in fila, viaggiando in automobile o con i mezzi pubblici.
L’agorafobia è quindi strettamente correlata alla solitudine e alle situazioni di costrizione, dove il movimento è limitato, e non solo quindi agli spazi aperti.
Solo raramente il disturbo si presenta in assenza di attacchi di panico. In questo caso, è scatenato da altri timori irrazionali. Per esempio, la paura di essere vittima di un attacco terroristico, oppure essere contagiati da una grave malattia infettiva. Più semplicemente, l’agorafobia può essere provocata dalla paura di compiere azioni che ci metterebbero in ridicolo di fronte agli altri.

Le cause dei disturbi di panico

Come accennato, l’agorafobia è una complicazione del disturbo di panico, che ne sarebbe quindi causa: l’agorafobico evita ogni situazione in cui sa che potrebbe scatenarsi il panico.
È complesso individuare una causa singola per cui si manifestano i disturbi di panico. Questi sono ricondotti quindi a fattori sia biologici che psicologici.
Alcuni esperti sostengono che il disturbo di panico sia correlato alla reazione chiamata “combatti o fuggi”. È una reazione di difesa automatica che l’organismo mette in atto di fronte a stress o pericolo. In chi soffre di disturbi di panico, la reazione “combatti o fuggi” si attiverebbe anche in assenza di una ragione oggettiva di pericolo.
Altre teorie tirano invece in ballo degli squilibri nei livelli dei neurotrasmettitori o il malfunzionamento di alcune parti del cervello, responsabili della sensazione di paura. Anche una alterata cognizione dello spazio, la capacità di individuare la propria posizione relativa nello spazio, è citata come causa per questo tipo di disturbi.
Per l’agorafobia, incidono anche altri fattori:
  • Traumi infantili
  • Eventi stressanti (lutto, divorzio, disoccupazione)
  • Malattie di tipo psicologico: depressione, anoressia, bulimia
  • Abuso di alcol e droghe
  • Relazioni poco soddisfacenti

I sintomi

I  sintomi dell’agorafobia possono essere di diversa natura: fisici, cognitivi, comportamentali. Scopriamoli tutti, a cominciare dai primi:
  • Tachicardia
  • Iperventilazione o dispnea
  • Sensazione di caldo e sudorazione abbondante
  • Dolore al petto
  • Difficoltà a deglutire
  • Diarrea
  • Tremore
  • Vertigini
  • Ronzio o fischio nelle orecchie
  • Formicolii
  • Sensazione di mancamento/svenimento
Tra i disturbi cognitivi, invece, individuiamo:
  • Derealizzazione (la realtà sembra irreale)
  • Depersonalizzazione (sensazione di essere fuori dal proprio corpo)
  • Paura di avere un attacco di panico
  • Paura di sentirsi in imbarazzo, apparire ingenui o stupidi
  • Paura di essere in pericolo di vita: timore cioè che un attacco di panico provochi infarto, arresto cardiaco, difficoltà di respirazione
  • Paura di perdere il controllo in pubblico
  • Paura di attirare l’attenzione degli altri
  • Sentirsi incapaci di agire/sopravvivere senza l’aiuto di qualcun altro
Infine, i disturbi comportamentali, che si riducono essenzialmente alla paura di uscire di casa, da soli, e di ritrovarsi in ambienti affollati.

Agorafobia: come superarla

Secondo alcune teorie, provare a combattere l’agorafobia sarebbe controproducente. Se infatti come abbiamo visto il panico è scatenato dalla risposta ancestrale di fronte al pericolo (“combatti o scappa”), combattere contro la fobia finirebbe per alimentarla e rafforzarla. 
Quando ci troviamo di fronte a un “attacco”, possiamo provare ad accoglierlo. Provarlo, sentirlo profondamente, ascoltarlo. Saranno gli stessi sintomi a farci capire cosa fare, cosa cambiare in noi stessi per riportare quella reazione fisiologica nei limiti della normalità.
Sforzarsi, provare a mettere a tacere quella voce interiore che ci porta al panico, o peggio ancora mettersi volontariamente in situazioni che scatenano l’agorafobia per affrontarla, porta solo a dare maggior forza alla paura. Meglio quindi sarebbe accettare di provare questo disagio e avere pazienza, in attesa che i sintomi passino.
Anche l’Istituto Superiore di Sanità offre una serie di strategie da attuare per affrontare il disturbo sul lungo periodo. Sono tre le fasi previste, da attuare progressivamente, valutandone gli eventuali benefici:
  • Prima fase: informarsi sulla malattia e sulle tecniche di auto-aiuto che possono alleviare i sintomi (più avanti ne vedremo alcune)
  • Seconda fase: iscriversi a un programma di auto-aiuto accreditato dalle istituzioni
  • Terza fase: terapia cognitivo-comportamentale

Agorafobia: come affrontarla con le tecniche di auto-aiuto

L’ISS suggerisce una serie di tecniche di auto-aiuto da attuare in presenza di un attacco di panico.
  • Restare fermi: resistere all’impulso di scappare via;
  • Concentrarsi: puntare l’attenzione su oggetti reali e visibili, poco minacciosi. Un esempio: le lancette di un orologio;
  • Attenzione al respiro: inspirare ed espirare lentamente e profondamente, contando fino a tre;
  • Parlare” con la paura: analizzarla e capire cosa la provoca, provando a convincersi che non è reale;
  • Immaginare: concentrarsi su un’immagine, un luogo, una situazione, che faccia sentire calmi e rilassati;
  • Non lottare: come abbiamo visto, combattere i sintomi peggiora le cose. Meglio ricordare a se stessi che un attacco di panico non deriva da un pericolo reale.
Anche lo stile di vita è importante. Per affrontare l’agorafobia, possiamo prenderci cura del nostro corpo: esercizio fisico costante, dieta sana, non assumere droghe o alcol, evitare bevande con caffeina o simili (caffè, tè, coca-cola, etc.).
Dal Sito: 
ambientebio.it

venerdì 26 gennaio 2018

I GRUPPI DI AUTO MUTUO AIUTO: COSA SONO E PER COSA SONO INDICATI.





I Gruppi di Auto Mutuo Aiuto sono un’ottima metodologia di trattamento utile per affrontare particolari situazioni di disagio.

I Gruppi di Auto Mutuo Aiuto si svolgono secondo il seguente principio: “Tu solo ce la puoi fare, ma non ce la puoi fare da solo”. L’Auto Mutuo Aiuto, infatti, si basa sull’idea della mutualità, dello scambio reciproco di aiuto, dell’impegnarsi per se stessi e per l’altro, di un sostegno reciproco attivato fra persone che vivono una stessa situazione di vita.

I Gruppi di Auto Mutuo Aiuto incarnano l’ideologia dell’empowerment individuale e sociale, ovvero quel processo attraverso il quale gli individui diventano attivi protagonisti della propria vita, esercitando su di essa il giusto controllo. Il processo di empowerment racchiude al suo interno fattori psicologici molto importanti che spaziano dall’incremento del senso di self-efficacy sino all’assunzione di responsabilità a favore del proprio processo di cambiamento. Risultati ultimi sono proprio: la valorizzazione di se stessi in quanto soggetti attivi; ed il riconoscimento dell’altro in quanto interlocutore degno di competenze e fiducia.

Ma quale definizione per i Gruppi di Auto Mutuo Aiuto?

In letteratura la definizione maggiormente conosciuta ed accettata è quella di Kats e Bendersecondo i quali i gruppi di auto mutuo aiuto sono “Strutture di piccolo gruppo, a base volontaria, finalizzate al mutuo aiuto ed al raggiungimento di particolari scopi. Essi sono di solito costituiti da pari che si uniscono per assicurarsi reciproca assistenza nel soddisfare bisogni comuni, per superare un comune handicap o un problema di vita, oppure per impegnarsi a produrre desiderati cambiamenti personali e sociali. I gruppi di self-help enfatizzano le interazioni sociali faccia a faccia e il senso di responsabilità personale dei membri. Essi spesso assicurano assistenza materiale e sostegno emotivo; tuttavia, altrettanto spesso appaiono orientati verso una qualche “causa”, proponendo una “ideologia” o dei valori sulla base dei quali i membri possano acquisire o potenziare il proprio senso di identità personale” .

Quali le caratteristiche fondamentali dei Gruppi di Auto Mutuo Aiuto?

I Gruppi di Auto Mutuo Aiuto sono caratterizzati dall’interazione faccia a faccia; e quindi dall’importanza del contatto diretto e della partecipazione personale, costante e condivisa tra i partecipanti. Questi ultimi, difatti, condividono particolari esperienze e con la propria partecipazione personale si impegnano per determinati scopi.

Quale è la funzione principale dei Gruppi di Auto Mutuo Aiuto?

La funzione principale dei Gruppi di Auto Mutuo Aiuto è quella di  fornire aiuto e sostegno ai vari membri del gruppo in relazione al fronteggiamento delle loro situazioni problematiche ed al miglioramento delle loro competenze. La fonte di aiuto principale risiede, quindi, negli sforzi e nelle abilità dei vari membri posti in relazione paritaria. I membri vivono al contempo una duplice condizione: ricevono e offrono aiuto valorizzando quel tipo particolare di conoscenza che scaturisce dall’aver vissuto in prima persona la condizione problematica su stessi. Offrendo il loro aiuto agli altri si accresce la propria competenza interpersonale ed il senso della propria autoefficacia, ci si sente meno dipendenti e meno soli. Ricevendo aiuto dagli altri membri si è stimolati ad accrescere le proprie capacità di problem solving e di coping, in quanto si ha la possibilità di osservare le proprie situazioni problematiche da punti di vista differenti.

Perché i Gruppi di Auto Mutuo Aiuto sono efficaci?

I gruppi di Auto Mutuo Aiuto sono efficaci in quanto permettono al singolo membro di informarsisu ciò che più gli interessa in merito alla propria situazione problematica; consentono al singolo partecipante di apprendere un’alternativa modalità di fronteggiamento da altre persone, che fungono da modello in quanto  hanno vissuto esperienze simili; infine per l’ “aiutare gli altri”, quindi fornire agli altri sostegno emotivo ed attraverso il proprio comportamento pro sociale giungere ad una identità positiva e migliorare la propria autostima.

Per cosa sono indicati i Gruppi di Auto Mutuo Aiuto?

Gli ambiti di applicazione sono molteplici: dall’ansia alla depressione, dagli attacchi di panico alle patologie psichiatriche, dalle patologie fisiche alle situazioni di handicap ed ai gruppi per familiari di persone che vivono un disagio, dal vivere situazioni di vita particolari come per esempio il divorzio e la separazione, al mobbing ed all’elaborazione del lutto.

I Gruppi di Auto Mutuo Aiuto, pur non essendo dei gruppi psicoterapeutici, rappresentano una valida metodologia di aiuto e supporto. Per le forme di disagio particolarmente gravi è indicato il seguire un gruppo di auto mutuo aiuto ma contemporaneamente intraprendere un percorso psicoterapeutico. Nel territorio ne sono presenti molteplici, sia condotti da operatori Esperti della Salute Mentale sia da Facilitatori pari inter pares.

Dal Sito: www.psicologicamenteok.com


Se vuoi conoscere i gruppi 
Auto-Mutuo-Aiuto Insieme Onlus 
clicca qui

giovedì 3 agosto 2017

Agorafobia


L' agorafobia consiste nella paura degli spazi aperti e affollati o di trovarsi in pubblico e può essere accompagnata da attacchi di panico. 

Definizione di agorafobia
Etimologicamente, il termine agorafobia proviene dal greco “αγορά” (piazza) e “φοβία” (paura): “paura della piazza”, ovvero degli spazi aperti e/o affollati. L’agorafobia fu originariamente descritta da Westphal (1871) come – letteralmente paura delle piazze- e includeva la paura di lasciare la casa, di rimanere soli per la strada, in piazza oppure la paura di viaggiare in treno, auto o automobile. Nella cultura popolare il termine sembra essere usato per indicare una generica paura di uscire fuori casa, tra i luoghi generalmente più citati in relazione all’agorafobia vi è anche il supermercato. Spesso definita come fobia degli spazi aperti, in cui non solo si teme la folla, ma gli agorafobici possono avere il timore del giudizio degli altri in relazione allo stare male in pubblico oppure temono di stare male in situazioni o luoghi in cui non potrebbero essere soccorsi o da cui non possono fuggire; di conseguenza, si attivano meccanismi di evitamento delle situazioni ansiogene al fine di escludere la possibilità dell’insorgenza del panico.

La definizione tecnica usata dagli psichiatri è riassumibile in questi termini: agorafobia è il timore di trovarsi in luoghi dove – secondo il giudizio della stessa persona agorafobica – potrebbe avvenire un attacco di panico. È una definizione meno intuitiva e immediata di quella popolare. In parole più semplici, si ha paura degli spazi aperti perché si teme che sia probabile avere degli attacchi di panico.

I sintomi dell’agorafobia

All’interno del DSM-IV TR l’agorafobia veniva definita come una sotto categoria del disturbo da attacco di panico, mentre nella nuova versione del DSM 5 l’agorafobia viene classificata come un disturbo d’ansia a sè stante distinto dal disturbo da attacchi di panico.
Secondo il DSM 5 i criteri diagnostici per l’agorafobia includono una paura intensa o ansia di due o più delle seguenti situazioni:
– Utilizzare mezzi pubblici, ad esempio treni, autobus o aerei;
– Essere in uno spazio aperto e ampio, ad esempio un supermercato, un parcheggio o un ponte;
– Essere in uno spazio chiuso di limitate dimensioni, ad esempio un teatro, un piccolo negozio;
– Aspettare in coda oppure essere tra la folla;
– Essere fuori casa da soli.

Le situazioni sopraelencate causano ansia poichè l’individuo teme che non sarà in grado di fuggire o di ricevere il necessario aiuto se si dovessero presentare sintomi di panico o altri malesseri psico-fisici.
Inoltre, i criteri diagnostici per l’agorafobia sono i seguenti:
– Paura o ansia in relazione all’esposizione a una delle situazioni sopraelencate;
– Evitamento delle situazioni temute, necessità di un accompagnatore per affrontare le situazioni temute oppure estrema difficoltà, distress e ansia nell’affrontare tali situazioni da soli;
– Paura o ansia sproporzionate rispetto al reale pericolo insito nelle situazioni;
– Compromissione del funzionamento socio-lavorativo della persona legato all’ansia e agli evitamenti sistematici;
– Ansia ed evitamento persistenti, che durano per almeno sei mesi o più.

In aggiunta, è possibile che vi siano anche sintomi tipici dell’attacco di panico, come ad esempio aumento della frequenza cardiaca, eccessiva sudorazione, aumento della frequenza respiratoria, sensazione di vertigini, paura di perdere il controllo o di morire, etc. E’ frequente la possibilità che si possa presentare un attacco di panico in aggiunta all’agorafobia.

L’agorafobia emerge quando l’individuo comincia ad evitare le situazioni e i luoghi ansiogeni, quali ad esempio (supermercati, situazioni affollate -discoteche, concerti, eventi pubblici-, in generale uscire di casa da soli oppure stare in casa da soli; specifici mezzi di trasporto). In taluni casi questi comportamenti di evitamento agorafobicopossono compromettere il funzionamento socio-lavorativo della persona. La persona agorafobica evita in modo assoluto le situazioni temute oppure esperisce tali situazioni con l’insorgenza di ansia elevata.

E’ fondamentale che lo psicoterapeuta in fase di assessment diagnostico discerna in termini di diagnosi differenziale una diagnosi di agorafobia da altri disturbi quali ad esempio la fobia sociale, la fobia del volo e altre fobie specifiche, nonchè valuti accuratamente la presenza di altri disturbi psicopatologici frequentemente associati all’agorafobia, tra cui depressione, altri disturbi d’ansia, abuso di sostanze o alcool, e altri.
In letteratura sono presenti specifici test psicologici (ad esempio il Panic and Agoraphobia Scale) in grado di misurare la gravità dell’agorafobia e degli attacchi di panico, utili anche per monitorare l’andamento della sintomatologia durante il trattamento psicoterapico.

La relazione tra panico e agorafobia

Perché negli spazi aperti o affollati sarebbe più probabile avere attacchi di panico? È un errore di valutazione della persona che soffre o c’è qualcosa di vero? E il panico? È solo una grande paura, o qualcosa di diverso? E cosa c’entra il panico col timore degli spazi aperti e delle folle? E, infine, questi spazi aperti e queste folle temute dall’agorafobico sono gli spazi e le folle della metropoli moderna?

Il panico è una condizione emotiva di paura e terrore, in cui però prevalgono gli aspetti corporei e fisiologici della paura: il cuore palpita, il corpo trema e suda, si percepisce un malessere al petto o all’addome. Inoltre ci si può sentire bizzarramente estraniati dalla realtà e perfino da se stessi. Si ha paura, ma non si capisce bene di cosa. Forse del proprio star male, in una condizione che è terrificante, in cui si tocca con mano la sensazione di impazzire.

Queste sensazioni corporee corrispondono a un preciso assetto fisiologico che è uno dei tre sistemi biologici innati (gli altri due sono la fuga e l’attacco) che abbiamo a disposizione per reagire a un pericolo o a una minaccia: il “freezing”, ovvero il raggelarsi a imitare la freddezza della morte.
Questa reazione è qualitativamente diversa dalla paura che porta alla fuga ed è innescata da un pericolo terrificante in cui non vi sono vie di fuga. In questi casi tanto vale paralizzarsi in una condizione di estremo rallentamento delle funzioni vitali, che è l’assetto fisico migliore (o meno peggiore, a essere realistici) per affrontare situazioni estreme, che siano disgrazie naturali o anche attacchi di predatori, che magari potrebbero risparmiarci proprio perché ci scambiano per cadaveri.

Quello che è interessante è che la maggior parte degli animali posti in un ambiente non familiare mostrano immediatamente un incremento di indicatori di freezing, a dimostrazione che lo spazio aperto e gli ambienti non familiari racchiudono in sé un’informazione emozionalmente significativa. Che significa? Come si spiega l’attivazione di un sistema emotivo così arcaico e primitivo in questa condizione modernissima, come il sentirsi dispersi in una grande città? È che forse la grande città moderna riproduce la giungla arcaica in cui ci si poteva improvvisamente perdere, non conoscere più i punti di riferimento, i sentieri per tornare al proprio villaggio, allo stesso modo in cui nelle metropoli prendendo la volta sbagliata possiamo all’improvviso non sapere dove siamo e quali pericoli stiamo correndo.

In questo caso però stiamo parlando di panico. Non di agorafobia. Quindi cosa c’entra la grande città e le sue follie con il panico? Il panico è questa reazione arcaica a un pericolo estremo. Qual è la connessione con una paura moderna come l’agorafobia? E qui torna utile la storia accidentata del termine agorafobia. Vi è una discrepanza tra il significato popolare della parola e il significato tecnico. La psichiatria lega panico e agorafobia: l’agorafobia non è solo paura degli spazi aperti, ma timore di poter aver il panico in quegli spazi aperti. Unendo insieme tutto quello che abbiamo detto sul panico come senso di disorientamento in situazioni di pericolo, la relazione tra panico e agorafobia e quella tra perdita di direzione sia in situazioni antichissime che modernissime, ecco che tutto assume un senso. E spiega gli aspetti cittadini e urbani delle varie forme di agorafobia; la nevrosi da strada (street neurosis) o la fobia del supermarket. Questo significa che lo sgomento che proviamo quando siamo perduti (in tutti i sensi) nella foresta urbana o quando lo eravamo nelle foreste inurbane è un’esperienza emotiva fortissima, che è elaborata da circuiti neuronali pre-consci (ma mai del tutto inconsci).

L ’ipotesi di Jaak Panksepp, implica che la mente sia un fenomeno evolutivo con multipli livelli di emergenza, da quello semplice e immediato della sensazione/azione pura, ovvero la paura/fuga, la rabbia/attacco e il panico/freezing, per passare alla capacità di rappresentarsi queste esperienze motorie e percettive in termini di immagini, fino ad approdare alla forma più evoluta di coscienza che coincide con la capacità di rappresentazione simbolica-linguistica dell’esperienza.

Questa evoluzione però non elimina le forme emotive precedenti. Viviamo nelle grandi città, ma la nostra prima reazione è ancora quella della foresta. Quindi non ci limitiamo a essere un po’ preoccupati di perderci in città, o essere un po’ a disagio in un ambiente impersonale in cui non si conoscono i passanti e non si hanno rapporti con i condomini. Percepiamo tutto questo come una minaccia terrificante, simile a quella che coglieva il nostro antenato quando si allontanava dal villaggio. Con il paradosso però che questa angoscia noi la viviamo nel villaggio e non al di fuori, ovvero nella città, diventata ignota come un tempo lo erano gli spazi aperti oltre la palizzata del villaggio. A questo punto potremmo avere nostalgia del villaggio, del vecchio “tutti conoscono tutti” e così via. Nostalgia in parte fondata, naturalmente. Non dimentichiamo però che anche dietro quel “tutti conoscono tutti” c’erano altri problemi: l’assenza di privacy, il forte controllo sociale, i limiti che le società tradizionali ponevano alla libertà del singolo. Sono questi limiti cui abbiamo rinunciato volentieri che, improvvisamente, ci rendono con la loro mancanza vulnerabili all’angoscia urbana.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale nel trattamento dell’agorafobia

La psicoterapia cognitivo-comportamentale risulta efficace nel trattamento di diversi disturbi d’ansia, tra cui anche l’agorafobia e il panico. La terapia cognitivo comportamentale ruota attorno ad alcuni pilastri fondamentali, tra cui l’esposizione: imparare a evitare di evitare è uno di questi. L’obiettivo della terapia espositiva e della desensibilizzazione sistematica è dunque ridurre le quote di evitamento delle situazioni temute dai soggetti agorafobici e imparare a gestire l’ansia in tali situazioni. La terapia cognitivo-comportamentale non può ridursi alla sola tecnica espositiva, ma consiste generalmente in protocolli di trattamento evidence-based, cioè validati e verificati a livello scientifico, che includono la ristrutturazione cognitiva, tecniche di rilassamento e altre strategie di intervento volte al miglioramento sintomatologico.

In taluni casi è opportuno che lo psicoterapeuta lavori in un’ottica multidisciplinare con un medico psichiatra per valutare anche l’aiuto farmacologico nel trattamento del disturbo. La terapia farmacologia gerneralmente consiste nella prescrizione di benzodiazepine o di antidepressivi. Le benzodiazepine possono essere utili poichè generano un sollievo sintomatologico ansiolitico istantaneo, ma tra gli effetti collaterali – se usate per lunghi periodi ritroviamo il rischio di dipendenza. Tra la classe degli antidepressivi invece, in relazione all’agorafobia e al panico possono risultare utili gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI). In ogni caso, va effettuata una valutazione di assessment puntuale, caso per caso, per valutare insieme al paziente le risorse e i vincoli per affrontare il disturbo solo attraverso le modalità psico-farmacologiche più appropriate.


Dal Sito: www.stateofmind.it


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/tag/agorafobia/


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/tag/agorafobia/

venerdì 14 luglio 2017

Viaggiare senza uscire di casa


Con Google Street View Jacqui Kenny ha trovato il modo di girare il mondo e di fare fotografie bellissime, nonostante la paura di viaggiare
L’anno scorso, dopo la chiusura dell’azienda che aveva fondato quasi dieci anni prima, Jacqui Kenny ha aperto su Instagram l’account Agoraphobic Traveller, in cui pubblica gli screenshot scattati ai posti più interessanti che trova esplorando, senza uscire di casa, su Google Street View (il servizio di Google per vedere immagini panoramiche a livello stradale). Le immagini, che sono una selezione curata tra migliaia di screenshot, sono visivamente molto coerenti tra loro, come se fossero state scattate dalla stessa persona: Kenny privilegia spazi aperti e paesaggi spogli con particolari in evidenza (cactus, case colorate, cani che inseguono automobili). A tratti le foto sembrano anche ambientate nello stesso paese, ma vengono invece da tutto il mondo: Perù, Cile, Emirati Arabi Uniti, Senegal e Stati Uniti.

Kenny ha spiegato al New Yorker che in questo modo riesce a vedere posti che altrimenti non visiterebbe mai perché soffre di agorafobia (la paura degli spazi aperti accompagnata spesso dal disagio di trovarsi in ambienti non familiari) e di un’ansia che spesso le impedisce di uscire di casa: per lei prendere un aereo è una cosa impegnativa al punto che volare in Nuova Zelanda per il matrimonio della sorella (Kenny vive a Londra) ha richiesto mesi di terapia. Da qui il nome del progetto, cioè “il viaggiatore agorafobico”: «L’agorafobia e l’ansia limitano la mia capacità di viaggiare, così ho trovato un altro modo per vedere il mondo».


Dal Sito: www.ilpost.it

giovedì 25 maggio 2017

I tipi di ansia più comuni: a tutto c’è una soluzione


L’ansia è uno dei grandi mali dei nostri tempi. Tant’è che ne esistono diversi tipi e continuano a comparire classificazioni sempre più estese. Non è poi così strano se si tiene conto che i tempi in cui viviamo sono spesso troppo esigenti e gli equilibri, propri e altrui, sono dinamici.

L’ansia è una delle facce della paura. Ma, a differenza della paura in sé, non è causata da uno stimolo in concreto. La paura è normale quando si affronta una minaccia specifica e si pensa che la propria integrità sia in pericolo. Ma l’ansia è un tipo di paura che molto spesso non ha una causa definita, quindi risulta difficile intervenire sull’origine della stessa o su fattori che la rendono ricorrente.
“La paura acutizza i sensi. L’ansia li paralizza.”
-Kurt Goldstein-

Si comprende di essere preda dell’ansia quando ci si sente inquieti, insicuri e preoccupati per “qualcosa” di impreciso o per qualcosa di preciso che non si sa come affrontare. È come trovarsi all’interno di un aereo in caduta libera, anche se in realtà ci si trova seduti in salotto, a guardare la televisione. Si prova agitazione, irritazione, fastidio, ma non si comprende il perché.

Sono vari i tipi di ansia frequente. Alcune persone preferiscono chiamarla semplicemente stress o preoccupazione, ma se ci si sofferma un po’ più a lungo su di essa, ci si rende conto che si tratta di un disturbo molto grave. L’aspetto positivo è che i vari tipi di ansia si possono superare. Per riuscirci, la prima cosa da fare sarà conoscerle un po’ meglio.

L’ansia generalizzata e l’ansia sociale

Il disturbo d’ansia generalizzata si definisce come uno stato di preoccupazione costante, senza una ragione specifica che la causi. Dura più di 6 mesi e, in generale, è accompagnato da disturbi del sonno, irritabilità, problemi di concentrazione e fatica generale.

L’ansia sociale, d’altro canto, è una condizione nella quale la persona prova paura o angoscia in tutte le situazioni nelle quali si deve interagire socialmente con gli altri. Detto in maniera più semplice, si ha paura del contatto con altre persone. Nella maggior parte dei casi è anticipatoria, vale a dire si produce prima che il contatto sociale abbia luogo.

Entrambe le condizioni deteriorano significativamente la qualità di vita delle persone. Sono stati che non si curano da sé con il trascorrere del tempo, poiché sono alimentati da diverse condotte di elusione. Non sono brutti periodi, ma situazioni che richiedono un trattamento professionale.

Nella maggior parte dei casi è sufficiente una terapia breve affinché le emozioni ritornino sotto controllo. Altre volte è necessario un percorso più lungo, ma la probabilità di superare queste condizioni, in ogni caso, è molto alta.

I disturbi ossessivi e lo stress post-traumatico

I disturbi ossessivi sono di vario tipo, ma tutti hanno in comune il fatto che c’è un’idea persistente e intrusiva che causa timore o angoscia. Quindi, anche se la persona in questione prova a togliersi dalla testa una determinata idea, non ci riesce. Queste ossessioni possono arrivare ad invadere la personalità e a produrre una paralisi vitale.

Lo stress post-traumatico è quello stato di angoscia che si presenta dopo aver vissuto un’esperienza traumatica. Si manifesta come inquietudine, difficoltà nel dormire e, soprattutto, come pensiero che quanto è già accaduto, si verificherà nuovamente. Fa rimanere la persona che ne soffre in continuo stato di allerta, insicura e isolata.

In entrambi i casi, e a seconda della gravità dei sintomi, ci sono diversi modi per superare il problema. La pratica di alcuni metodi di rilassamento può contribuire notevolmente a ridurre l’ansia e ad incrementare la capacità di concentrazione. Se questi metodi non sono efficaci, la terapia professionale è un’eccellente alternativa, con grandi possibilità di successo.

L’agorafobia e l’ipocondria

L’agorafobia è diventato uno dei tipi d’ansia più comuni dei nostri tempi. È una paura diffusa verso tutte quelle situazioni in cui si pensa di non avere una via di fuga o nelle quali non c’è la possibilità di ricevere aiuto se si soffre di un attacco di panico. In altre parole, la persona pensa che potrebbe avere un attacco di panico e che in certe circostanze non potrebbe fuggire o ricevere aiuto. In qualche modo, si tratta di paura della paura stessa.

Cresce ogni giorno di più il numero di casi di agorafobia e chi ne soffre ha grandi difficoltà nel condurre una vita normale. Qualcosa di simile accade con le persone ipocondriache, che interpretano in maniera catastrofica qualsiasi segnale inviato dal loro corpo. Sospettano di avere malattie gravi e sentono che la loro condizione può peggiorare in qualsiasi momento, senza che nessuno possa fare niente al riguardo.

In entrambi i casi, è consigliabile la pratica di alcuni metodi di rilassamento. Questi contribuiscono a ridurre o disattivare l’ansia e ad identificare meglio i segnali che ci invia il nostro corpo. Inoltre, migliorano l’autocontrollo. L’attività fisica regolare aiuta in questo senso. Come in altri casi, se non fosse sufficiente, l’aiuto di un professionista è sempre l’alternativa migliore.


Dal Sito: lamenteemeravigliosa.it

Claustrofobia e Agorafobia: Un problema relazionale?


Secondo la teoria cognitiva la claustrofobia e l'agorafobia sono una risposta di ansia a ciò che viene percepito come perdita di protezione o libertà.

Claustrofobia e Agorafobia sono entrambi Disturbi d’ansia (DSM 5, 2014), in particolar modo Fobie. Esse consistono in una paura estrema di qualcosa di oggettivamente non così pericoloso. Il soggetto riconosce l’irrazionalità della sua paura, ma non riesce a controllarla ed è costretto a fuggire dall’ oggetto fobico. Nell’ articolo approfondiremo come la fobia, in particolar modo degli spazi chiusi e degli spazi aperti, nasconda un problema di natura profondamente relazionale.

La fobia secondo la psicoanalisi

Secondo Freud (1894), la fobia ha origine dalla rimozione dalla propria coscienza di desideri proibiti. Essi verrebbero quindi disconosciuti e poi proiettati su un oggetto, che scatenerà dunque la fobia. Lo spostamento del proprio affetto inaccettabile (che sia la rabbia o un desiderio sessuale) su un oggetto o su una situazione esterna consente dunque l’ evitamento: non avvicinandomi a quella circostanza posso non entrare in contatto con i sentimenti che mi fanno paura. Secondo l’approccio psicodinamico, l’ oggetto fobico avrà una connessione indiretta col vero problema dell’individuo: lo simbolizza. La capacità simbolica del nostro inconscio è infatti la sua forza più sorprendente.

La teorizzazione cognitiva della fobia

Guidano (1988), sul versante cognitivo, ha invece sottolineato come la tendenza del soggetto fobico sia quella di rispondere con paura ed ansia a ciò che viene percepito come perdita di protezione e/o perdita di libertà.

Ugazio (1998), esponente della teoria sistemico-relazionale, conia il concetto di polarità semantiche: ogni famiglia si organizza intorno ad alcune polarità che definiscono cosa è rilevante per quel nucleo e per la definizione di sé e dei suoi componenti. Ad esempio: buono/cattivo; dare/prendere; sincero/falso. Secondo l’approccio sistemico-cognitivo, l’area saliente per un individuo con un’ organizzazione fobica è la seguente: bisogno di protezione/libertà. Questi estremi sono vissuti come reciprocamente escludentesi e non conciliabili, e viene valorizzata soprattutto la polarità “libertà-indipendenza”, su cui verrà basata la propria autostima e il senso di competenza.

Secondo Ugazio, l’ organizzazione fobica è un assetto che si sviluppa nel bambino a partire dalle prime esperienze con una figura di attaccamento che scoraggia in lui un comportamento esplorativo e che gli trasmette una definizione negativa di sé. Tale organizzazione può poi dare origine a comportamenti sintomatici, nell’infanzia o nell’adolescenza, in seguito a eventi eccessivamente intensi che tocchino una delle due polarità.

La claustrofobia e l’agorafobia secondo la teoria cognitiva

Il dilemma del fobico è quindi: rinuncio alla sicurezza della compagnia in modo da essere libero (ma anche solo di fronte ai pericoli) oppure rinuncio alla libertà di esplorazione in cambio di una protezione che mi rassicura (ma che può anche soffocarmi)? Le vie di uscita sono due strade dicotomiche: o aderisco a un’immagine di me che esclude fragilità e debolezza e identifica l’autostima con l’indipendenza, oppure mi imbarco in rapporti affettivi stretti dai quali dipendere. La prima coincide con la claustrofobia, la seconda con l’ agorafobia. La persona con claustrofobia sente pericolose le situazioni che interpreta come perdita di libertà (come un rapporto troppo stretto o la nascita di un figlio), l’ agorafobico ha paura di ciò che vive come perdita di protezione (la fine di una storia d’amore o un lavoro che richiede più responsabilità). Si tratta di un continuum ai cui estremi abbiamo da una parte la scelta di essere indipendente ma rinunciare a un coinvolgimento emotivo, dall’altra essere protetti da un legame ma avere una bassa autostima.

Il claustrofobico può avere un legame affettivo purché a basso coinvolgimento. Sceglierà un partner dal profilo basso: poco brillante, dipendente, che si coinvolge emotivamente per entrambi. Nella coppia è in posizione “one up”, è accentratore, fuggitivo e svalutante. L’ agorafobico, al contrario, privilegia la relazione a scapito del sé. Per paura di perdere il legame, controlla le persone significative e sottopone la relazione a continue verifiche. Il fatto di non essere indipendente compromette il suo senso di realizzazione. Si legherà in giovane età a un partner apparentemente forte e protettivo a cui dedicherà tutto. Nella coppia è in posizione “one down”.

L’ organizzazione fobica di un individuo, che risulta esemplificativa nei due estremi “claustrofobico” e “agorafobico”, affonda quindi le radici in difficoltà relazionali che si esprimono in una modalità non equilibrata di vivere la relazione: il primo tende a sentirsi soffocato (gli spazi chiusi lo angosciano), il secondo ha paura che, solo e sperduto in balìa del pericolo, nessuno lo salvi (gli spazi aperti e dispersivi gli trasmettono senso di minaccia e mancata protezione). Diceva lo scrittore Robert Heinlein: “Puoi avere la pace. Oppure puoi avere la libertà. Non sperare di averle tutte e due insieme”. Ma non è detto: le due strategie, adattive solo sul breve periodo, possono essere col tempo, attraverso la psicoterapia, sostituite da un atteggiamento costruttivo capace di smussare la continua tensione tra i due poli. Riconducendo l’angoscia al terreno relazionale, sarà possibile raggiungere una riconciliazione armonica tra bisogni e paure, e una nuova capacità di apprezzare se stessi nello spazio dinamico dell’esistenza.


Scritto da: Marta Di Grado

Dal Sito: www.stateofmind.it






Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2017/01/claustrofobia-agorafobia/


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2015/09/rimuginio-preoccupazioni/


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2017/05/terapia-assistita-con-animali/