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mercoledì 27 novembre 2019

Attacchi di panico: la famiglia cosa può fare?

Attacchi di panico: quando all’interno di un nucleo familiare uno dei componenti vive costantemente i sintomi del panico l’intero sistema “famiglia” può entrare in crisi.

Inizialmente le persone che stanno vicino al famigliare che vive il panico e i relativi attacchi potranno sentirsi disorientati da questa nuova realtà e magari non sapranno bene cosa fare, cosa dire e potrà accadere che i primi tentativi di aiuto non vadano a buon fine. Per giunta l’emergere di sentimenti quali impotenza, frustrazione e rassegnazione potrà portare il famigliare ad affermazioni quali: “noi abbiamo provato di tutto ma nulla ha funzionato…non sappiamo più cosa fare con te….fai quello che vuoi che noi ci rinunciamo!”. Tutto questo può peggiorare i sintomi della persona che si trova a vivere un momento molto difficile della propria vita.

Queste situazioni reazionali possono accadere anche quando, inizialmente, ci si approccia al famigliare “con modi più leggeri” cercando di minimizzare le difficoltà manifestate con affermazioni del tipo: “stai tranquillo, non c’è niente di cui aver paura, non ci pensare che poi passa…sono solo dei pensieri”. Oppure quando si utilizzano “modi più forti” negando completamente l’attacco di panico e assumendo un atteggiamento critico con frasi del tipo “ma è possibile che queste cose succedano solo a te? Non vedi che è tutto frutto della tua testa? Adesso basta, qui c’è una casa, una famiglia, un lavoro da portare avanti e noi non abbiamo tempo da perdere”.

Le modalità di rapportarsi appena descritte, generalmente non aiutano, anzi aggiungono sentimenti di colpa ad una situazione già di per sé complicata, e producono vissuti di isolamento ulteriore, incomprensione e biasimo.

Per tale ragione è fondamentale tener presente che i familiari possono essere molto importanti nel processo di guarigione del familiare nel momento in cui hanno accesso a strumenti di sostegno e ad una corretta informazione sul disturbo del panico e sugli attacchi.

Il primo passo è quello di abbandonare i preconcetti e per questo bisogna considerare che, anche se gli attacchi di panico non lasciano delle conseguenze fisiche, sono una condizione medica diagnosticabile accompagnata da ben precisi sintomi fisici, emotivi e cognitivi e non il frutto di una “debolezza del carattere o di immaginazione” al pari di altri disturbi definiti “medici”.

Inoltre è importante conoscere e comprendere la storia e le cause del disturbo per potere intraprendere possibili soluzioni perché i famigliari devono svolgere un ruolo d’intervento attivo e concreto durante le manifestazioni dell’ansia. Questo può avvenire solo nel momento in cui si è capaci di discriminare i sintomiche accompagnano l’attacco di panico come tremori, le vertigini, l’aumento della sudorazione, l’aumento della frequenza cardiaca da altre condizioni mediche. E’ indispensabile non farsi sopraffare dai dubbi quali: “ho mio dio cosa sta succedendo?, cosa sarebbe meglio fare?, sarà vero quello che dice? Sarà un infarto?..ecc. In aggiunta la più importante azione da compiere in questi casi è rivolgersi a professionisti qualificati del settore come il medico di base, lo psichiatra e lo psicoterapeuta insieme ad altre figure riconosciute perché sono loro che hanno le conoscenze, le competenze e le strategie pratiche per poter svolgere un corretto intervento.

Nello stesso tempo è vitale sviluppare una rete di sostegnoperché spesso la persona che vive igli attacchi di panico è nella costante attesa di una futura crisi e ha paura di non poterla gestire, e si trova perciò a limitare drasticamente le proprie attività. Vengono ridotti momenti di svago, situazioni sociali come cene o pranzi con gli amici. Non si frequentano più posti ritenuti ansiogeni come il cinema, la palestra o le sale da ballo, mentre vengono mantenute solo le azione strettamente indispensabili come andare ad una visita medica. Proprio in questi momenti i familiari potrebbero far sentire il loro sostegno, ad esempio accompagnandolo negli spostamenti quotidiani, e il loro appoggio mentre la persona affronta le difficoltà giornaliere.

E’ importante che la famiglia sappia che anche quando il familiare intraprende un percorso terapeutico questo non avviene seguendo un processo lineare, ecco perché può succedere che si alternino delle fasi di miglioramento a delle fasi in cui i sintomi peggiorano. Proprio per questo motivo dovrebbero sostenere la persona nel riconoscere che dei passi in avanti sono stati svolti e che se si attraversa un “momento no” non vuol dire che il lavoro svolto sia stato perduto. E’ importante riconoscere gli sforzi che la persona sostiene nell’affrontare gli attacchi di panico anche se ancora non riesce a star bene. Ad esempio rinforzare l’impegno messo nell’iniziare nuovamente a guidare dopo un lungo periodo di blocco. In generale è sempre consigliato sottolineare positivamente tutte quelle azioni attraverso le quali la persona cerca di riappropriarsi della propria vita. Soprattutto nei momenti di difficoltà e in cui si perde la motivazione bisogna sostenerla e aiutarla a non scoraggiarsi e a ritrovare la motivazione per riprendere il percorso terapeutico. A questo scopo è utile adoperarsi per farla ragionare, a non aspettarsi tutto e subito, a ricordarsi dei risultati raggiunti e consolidati, a perseverare e soprattutto a non arrendersi.

Ma cosa fare per aiutare chi sta avendo un attacco di panico? Qualche consiglio pratico.

Nel caso di un attacco di panicobisogna mantenere la calma per non agitare ulteriormente la persona in crisi, riconoscere i sintomi dell’attacco di panico è fondamentale per capire esattamente in che direzione muoversi, quindi se si è di fronte al panico o ad una manifestazione di altra natura che può necessitare di un altro tipo di intervento, ad esempio medico.

Una volta accertato che si tratti di attacco di panico è bene parlare alla persona con un tono calmo e fermoallo scopo di riassicurarla e di farle sentire che non è sola “Sei al sicuro qui. Io sono qui insieme a te. Se lo vuoi io sono qui per aiutarti”. E’ anche utile aiutare la persona a realizzare che sta avendo un attacco di panico e, sempre con tono rassicurante, dirle “Stai avendo un attacco di panico, vedo che hai molta paura, tra qualche minuto sarà passato”. Prenderle la mano potrebbe essere un gesto utile per farle sentire la vostra presenza, sempre chiedendo se le farebbe piacere oppure la metterebbe in imbarazzo. Un altro momento di incertezza che vive chi presta aiuto è legato alla domanda: “E’ meglio se rimango o se la lascio da sola?”, e anche in questo caso basta osservare e chiedere: a meno che non sia la persona stessa che vive l’attacco di panico a chiedere di rimanere da sola, è bene rimanere a farle compagnia. Dal momento che un attacco può manifestarsi in qualunque momento, potrebbe succedere anche in un luogo caotico ed affollato; in quel caso si consiglia di spostarsi in un posto più tranquillo e appartato, trovando una posizione “ideale” di rilassamento, che sia in piedi, seduto o addirittura sdraiato.

In caso di attacchi di panico sollecitare la persona a rientrare nel momento presente è sempre una mossa consigliata, così da creare un contatto diretto e basato sul qui ed ora, facendosi raccontare cosa sta vivendo, ad esempio chiedendo di tanto in tanto “Come ti senti adesso?”. Il respiro rappresenta il primo parametro da far rientrare nella norma per limitare lo sviluppo della crisi; per incoraggiare il controllo del respiro una tecnica molto utile è quella di contare mentre la persona respira: “Inspira 1-2. Espira 1-2”, poi gradualmente si aumentano i tempi contando fino 3, poi a 4, poi a 5. E’ importante che la respirazione sia lenta, continua e non eccessivamente profonda perché l’iperventilazione può peggiore i sintomi. Se si è in casa, un’altra tecnica per orientare la persona al momento presente consiste nell’invitarla a svolgere un semplice compito pratico, come ad esempio lavare i piatti o rassettare una stanza. Se non si è in casa, invece, la si può invitare a compiere delle semplici attività focalizzate e ritmiche come ad esempio alzare e abbassare le braccia.

Attacchi di panico: cose da evitare.

Anche in questo senso è utile tenere presente degli accorgimenti pratici su cosa sarebbe meglio evitare di fare nel caso qualcuno sia soggetto ad attacchi di panico; se si preferisce non agire attivamente, sarebbe buona cosa almeno evitare di gettare benzina sul fuoco.

La durata di un attacco di panico varia dai 5 ai 20 minuti, ma anche nella sua brevità può essere un’esperienza estremamente intensa e traumatizzante per chi la vive, e avvolte anche per chi assiste. Per questi ultimi sarebbe auspicabile rimanere calmi, non mostrare paura e evitare esclamazioni infauste, malaugurate, di critica e biasimo. Le domande sono utili da fare per capire cosa sta accadendo, ma non deve essere un interrogatorio, che porterebbe ancora più tensione e ansia. Un errore molto comune è quello di pensare che con delle espressioni brusche si solleciti la persona a rinsavire e superare quel momento. Ma basta fermarsi un momento a riflettere: come si può pensare che avere delle maniere forti e brusche possa sortire l’effetto di “calmante” se si ha davanti una persona che già è in uno stato di agitazione generale?

Adottare un atteggiamento superficiale, di disappunto e distaccato probabilmente non darà mai in nessun caso dei buoni risultati, soprattutto nei rapporti interpersonali.

mercoledì 10 gennaio 2018

Gli stressati




I ventenni, generazione schiacciata dal confronto coi modelli social e dalle aspettative degli adulti.

10% l’aumento di perfezionismo orientato verso se stessi, inteso come un desiderio irrazionale di essere perfetti

Chiamala se vuoi perfezione imperfetta, un ossimoro che descrive una generazione che si affaccia al mondo adulto carica di aspettative su stessa, spinta a inseguire obiettivi e non la felicità. E in questa corsa in molti cadono, inciampando nell’ansia, nel confronto impossibile con modelli imposti, dai social, ma anche da una società che alza sempre di più l’asticella delle richieste. Altro che Sdraiati, come li definisce il libro di Michele Serra e il film della Archibugi tuttora nelle sale. Questi ragazzi sono stressati: se le generazioni precedenti sono cresciute con l’idea rassicurante di avere sempre e comunque una rete di protezione, che in qualche modo ce la avrebbero fatta, i ventenni di oggi si sono sempre sentiti ripetete parole come difficoltà, merito, competizione, traguardi. E soprattutto «fretta». Tutto deve essere anticipato, accorciato in una corsa contro il tempo che non lascia spazio.  

 

Lo racconta bene Giacomo, giovane studente di Economia a Roma. «Ho sempre dato il massimo, costruirmi un curriculum, avere voti che mi facessero entrare nelle migliori Università del mondo. E così a 17 anni mi sono ritrovato a Londra, alla facoltà di ingegneria a Ucl, un ateneo prestigioso, ma non stavo bene. Sono crollato, non dormivo, mi sentivo inadeguato, incapace di reggere quei ritmi. E il mio unico problema era come dirlo ai miei, come spiegargli che non me la sentivo di rimanere a Londra e che avrei voluto del tempo per riprendermi. Alla fine non ho avuto scelta e sono tornato in Italia, mi sono preso un anno di libertà prima di iscrivermi di nuovo all’Università. E ho fatto un percorso con uno psicoterapeuta esperto in problemi dell’ansia che mi ha molto aiutato, dandomi un punto di vista esterno alla famiglia».  

La famiglia  

Ecco, l’altro punto dolente, la famiglia, come ci ricorda Caterina Cerminara, neuropsichiatra dell’età evolutiva a Tor Vergata. «Non solo la società spinge a “perfomare” a cercare l’eccellenza, ma prima ancora è la famiglia che preme sugli stessi tasti. La struttura familiare, che è poi la prima forma sociale, fa richieste molto elevate. Spesso i genitori in nome di un presunto “bene dei figli”, li spingono i maniera eccessiva, prima a scuola, poi all’Università. Pensando così di aiutarli a farsi strada nella vita con l’ansia di chi ha conosciuto sulla propria pelle le difficoltà di anni difficili e di una società che negli anni diventa sempre più competitiva ed esclusiva.  

 

Ma sotto la forza di queste «spinte» (dei genitori, della scuola, dei social) i ragazzi possono piegarsi. «Non viene mai dato spazio alla possibilità di “mollare” anche solo un attimo. E così si creano dei perfezionisti che in realtà portano con se una grande fragilità data dalla difficoltà di adattamento, e così ogni contrattempo sfocia nell’ansia», continua l’esperta. 

 Le soluzioni  

E allora? Quale potrebbe essere la soluzione? Difficile cambiare gli ingranaggi della società in tempi brevi e allora molto si può fare in famiglia, un luogo dove si dovrebbe avere tempo e spazio per ragionare su se stessi. Quando invece l’ansia già ha avuto la meglio si può ricorrere a una «terapia cognitivo comportamentale - spiega la Cerminara - . Breve, strategica, efficace». 

 

E quando cerchi il massimo da te stesso lo pretendi anche dagli altri, con conseguenze inevitabili sulla capacità di mantenere relazioni di amicizia e sentimentali stabili. Perché come diceva Sant’Agostino l perfezione dell’uomo consiste proprio nello scoprire le proprie imperfezioni. Insomma i dati americani sui giovani perfezionisti a rischio salute mentale in realtà non hanno confini, sembrano validi anche oltreoceano, qui da noi. E sarebbe difficile il contrario in una società globale perennemente connessa.  


MARIA CORBI

Dal Sito: www.lastampa.it

domenica 1 marzo 2015

Storie di Panico: IO VOGLIO FARCELA, CE LA STO FACENDO, CE LA POSSIAMO FARE - Nadja



Avevo sette anni quando mia madre si ammalò di cancro e undici quando morì, dopo quattro lunghi anni di ospedale e sofferenze.
Mio padre ne aveva trentanove anni (come me oggi) e tre figli (ne ho tre anch'io) e si ritrovò vedovo,  solo, perso .
La gente iniziò a dirgli che se non si rifaceva una famiglia gli avrebbero tolto noi tre.
Fu così che a nove mesi dalla morte di mamma si risposò con un'estranea vista un paio di volte(matrimonio combinato da gente che non si fece gli affari propri).
Iniziò l' inferno, quello vero, era cattiva, ci ha sempre trattati meno di zero, diceva che non volevamo niente, tutto e tutti erano meglio di noi.
Dopo qualche anno però mi arriva un fratellino, un sorso di vita dato che avevo rasentato il suicidio più volte.
Nonostante tutto quel bimbo mi cambiò la vita, me lo sono cresciuto con un amore senza confini.
Cresce lui, cresco io, mi diplomo, i primi lavoretti, mi fidanzo quattro anni ma non va, lo lascio, cambio e mentre lavoro, prima come segreteria poi in un negozio (andavo a lavoro sempre in jeans e maglione) da entrambi i datori subisco un brutto tentativo di violenza, le mani addosso me le hanno messe, il resto no, perché ho avuto la freddezza e la lucidità di reagire con sonore ginocchiate proprio lì!.
Taccio, sto male, lo dico solo a quello che all' epoca era il mio ragazzo che mi dice: che ti aspettavi? sei attraente  è normale che ci provano", agghiacciante!!
Gli ho detto addio.
Trovo altri lavori, tra cui il porta a porta ed è così che conosco un ragazzo diverso, dolce, affettuoso, ed è colpo di fulmine per entrambi.
Senza dir nulla a nessuno decidiamo di sposarci e di avere un figlio.
Le famiglie le avvisiamo quasi all' ultimo, capirai, matrimonio e pure incinta, ma non potevamo dire la verità, che lo avevamo deciso.
Tutti contro ed ebbi il mio primo attacco di panico, non sapevo cosa fosse ma il mio lui mi rimase accanto.
La prima casa, la prima figlia, decidiamo di avere un altro bimbo che arriva quando la prima ha due anni.
Il piccolo compie sei mesi, di lì a poco esplode la bomba, sono a lavoro, un attacco di panico terribile, "stavo morendo, ne ero certa", il capo mi porta al pronto soccorso, panico e ansia mi dicono, non ci credevo, come era possibile? Madre e moglie felicissima.
Di lì a poco tracolla anche la salute, mentre i bimbi dormivano leggevo un libro, d' un tratto il buio, cecità totale per diversi secondi, penso vabbè sarà il panico, lo sto curando (e stavo molto molto male con panico, ansia, agorafobia, depressione).
Succede di nuovo il giorno dopo, a piedi per strada, buio, mio suocero mi porta in ospedale, ricovero ed intervento urgente per glaucoma congenito che terrò sotto controllo.
Ansia e panico non migliorano, subentrano problemi alle ossa, per cui mi asportano parte delle ossa ai piedi e le sostituiscono con placche al titanio, due interventi in sei mesi, sempre più giù con la depressione.
L' anno dopo sollevando una busta con due litri di latte avverto un dolore lancinante all' addome, un grosso bozzo vicino la cicatrice dell' appendicectomia, penso sia un' ernia, di corsa in ospedale "era un rene finito avanti e incastrato sotto il duodeno, intervento d' urgenza, dieci giorni a letto immobile.
D' ora in avanti non potrò più lavorare, sollevare pesi né prendere in braccio i miei bimbi! Che botta.
Mi riprendo, ma depressione, ansia e panico peggiorano finché l'anno dopo mi viene una emiparesi, tutto il lato sinistro del corpo paralizzato, un mese di ospedale di risonanze, fisioterapia per sentirmi poi dire che era causata da un accumulo di stress, e ci credo.
Cambio psichiatra, mi tolgono l' antidepressivo perché quelli adatti al caso mio sono nocivi per il glaucoma (nel frattempo gli occhi peggiorano mi si restringe il campo visivo e nessuno sa perché, ad oggi sono cieca per metà all' occhio destro e appena appena un angolino al sinistro, la cosa lentamente progredisce, mi hanno solo detto che se non si scopre cosa sia vado incontro all' ipovedenza).
Nel frattempo nonostante ciò è due aborti spontanei, seppur in gravidanza a rischio riesco ad avere il mio terzo figlio, passa tutto, ansia,  panico, finché una sera i miei bimbi ed io veniamo aggrediti da dei vicini che dicevano di non sopportare il pianto del piccolino, riusciamo a rintanarci in casa,  chiamo mio marito e i carabinieri che però non possono far niente.
Ed ecco anni di panico, depressione, paure, più forti che mai.
Nel giro di tre anni vengo poi operata quattro volte al seno, con tanto di mastectomia bilaterale, infezioni, dolori, nuovo intervento, cinque ore sotto i ferri.
Sta volta però mi arrabbio con me stessa di brutto, mi dico "basta" CE LA DEVO FARE, NÉ DEVO USCIRE.
Mi cambiano ansiolitico, al consultorio trovo una bravissima psicoterapeuta che in due anni mi rende la vita totalmente diversa, mi fa vedere il bicchiere mezzo pieno e non quello mezzo vuoto, mi fa vedere la luce e non il buio o la penombra.
In tutto ciò ho sempre avuto accanto mio marito (solo all' inizio non mi aiutava perché non mi capiva).
Oggi a trentanove anni con un marito stupendo, tre figli meravigliosi posso affermare di stare molto molto meglio.
Non sono ancora guarita (anzi la recente scomparsa della mia adorata suocera mi sta facendo vacillare), ma riesco a godermi la vita, mi gira il mondo, barcollo, però mi aggrappo a mio marito o ai miei figli e vado, non rinuncio più.
Non ho neanche finito con gli interventi ma per ora non ci penso e finché gli occhi mi concederanno di vedere, mi guarderò i miei quattro amori crescere con me.
Che ne dite? me li posso permettere gli attacchi di panico? io credo di sì eppure so che ne uscirò.
IO VOGLIO FARCELA, CE LA STO FACENDO, CE LA POSSIAMO FARE.
Nadja

giovedì 26 giugno 2014

Storie di panico - Il coraggio di raccontarsi di Armando



Sono guarito da Ansia e Attacchi di Panico dopo un percorso lungo, accompagnato da una sofferenza che non auguro a nessuno. Il primo attacco di panico lo ho avuto subito dopo essermi laureato, avevo 25 anni. Una sensazione di “ morte imminente “ che mi terrorizza anche ora solo a ricordarla. Al pronto soccorso le solite domande: “ si droga? ha preso pastiglie eccitanti? Etc. “ Dopo una iniezione intramuscolo di un calmante, rivedo la “ luce “. Informo i miei, i quali mi fanno sottoporre a un  controllo generale ( che poi, come ex calciatore semi professionista si poteva evitare ), ma informo anche il mio Medico di base. La prima diagnosi medica fu: “ Armando, non preoccuparti assolutamente, dopo un periodo di stress è normale che, a volte, accadano questi episodi.”. A volte? Iniziò tutto. Extrasistole, dolori vari, mancanza d’aria, e, ovviamente, un altro attacco di panico. Nel frattempo vengo assunto da una multinazionale farmaceutica, nella loro direzione Marketing, e mi sposo. Avevo 27 anni. Con mia moglie condivido il mio malessere, e devo riconoscere che mi fu di molto aiuto. A 30 anni divento padre. Inutile che sottolinei che ansia e paure erano accanto a me, difatti la nascita del mio primo figlio l’ho festeggiata al pronto soccorso la notte stessa. Ma la molla che ha fatto si che cominciassi a guardare oltre fu una frase della mia, da anni, ex moglie: “ ….io non posso farti da pseudo medico, né da infermiera confidente. Io ho bisogno di un uomo accanto a me…..curati”. Decisamente fu scioccante prendere atto di una realtà così, cruda e nuda. 

Ma fu produttiva. Tornai dal Medico di base e gli dissi che così non potevo andare avanti, gli feci presente che perdendo me, perdevo tutto ciò che avevo attorno. Mi suggerì uno Psichiatra, specializzato in terapia cognitiva/conoscitiva. Con riluttanza iniziai. Nel frattempo divengo Padre per la seconda volta. Avevo 34 anni. Nello stesso periodo vengo contattato da una grande azienda, sempre direzione marketing. Il nuovo lavoro aveva un scopo preciso: viaggiare per circa otto mesi l’anno per realizzare meeting e avere un feed back commerciale. Accettai, dovevo mantenere una famiglia. Iniziarono i viaggi accompagnati dai farmaci prescritti dal Medico. Praticamente un supplizio all’inizio. Io, che sudavo solo all’idea di andare in treno a Firenze, mi ritrovai catapultato a Algeri, Kuala Lumpur, Singapore, Emirati Arabi uniti, Miami, altro. Il mio rapporto con il terapeuta durò quasi due anni . Al momento del distacco mi disse: “…..rimango a sua disposizione, ma, ora che le ho aperto una finestra sulle sue antiche problematiche familiari, il cammino lo deve proseguire da solo, diversamente io, o altri, saremmo solo sue stampelle….” Fu dura. Ma avevo imparato una cosa in quei due anni. Avevo “ materializzato “ il panico, lo avevo reso tangibile, era il mio nemico. Devastato dagli inutili elettrocardiogrammi, giocai il tutto per tutto. Già, perché questa patologia ti leva tutto, dalle tue emozioni di vita, agli affetti più cari. Più stavo male, più viaggiavo, più avevo ansia ad affrontare riunioni, più ne convocavo. Forse autolesionismo. Fui fortunato, perché la mia carriera lavorativa, paradossalmente, andava sempre meglio. Ma c’è un perché, esiste sempre, secondo me, un punto di domanda nella vita. Potevo risultare dinamico e affidabile solo perché avevo “ materializzato “ una patologia? Me la posi, e la risposta era davanti a me: l’alcol. Bevevo, non prendevo più farmaci, non avevo più paura né di aerei, luoghi e riunioni, ma bevevo. Che uomo furbo eh? Il lavoro andava bene, guadagnavo, mi ero separato, non avevo problemi con le donne, anzi, più sei “ viveur “ più hai riconoscimenti come maschio, non come uomo. Ma il gioco durò poco, aspetto che accade a tutti quelli che si credono furbi. Le persone più vicine, affettivamente e nel lavoro, non ci misero molto a capirlo, e mi avvertirono. Niente da fare. Li ascoltavo e pensavo: “ …..non è un mio problema se non sapete reggere l’alcol….io lo faccio e non sono mai ubriaco, allegro si….” Avevo raggiunto il top della mia stupidità. Fui fortunato ancora. Un amico vero, un Medico, aveva capito da parecchio, e con una banale scusa di un emocromo mi mise di fronte nuovamente, alla realtà. Il mio fegato iniziava a cedere, e mi disse: “ …..comprendo tutto, ma ora sei a un punto di non ritorno…..puoi scegliere due strade: smettere di bere e vivere, oppure attendere la tua morte con la mente annebbiata…..”  Scelsi si di vivere, e mi ricordai della “ materializzazione “  che avevo sviluppato verso la mia patologia. Pensai: ” ….mi hai tolto tutto, in silenzio, aspettando anni, sei una bastarda malattia……ma ora sono davvero stanco di te, se devo crepare tu crepi con me…..almeno i miei figli non mi sputeranno sulla lapide.” Mi dimisi appositamente dal lavoro per ritagliare un poco di spazio in più per “ allenarmi “ contro la “ bestia “. Altra voluta avventura, un poco calcolata.  Sono stato nuovamente male da cani. Soffrivo ma in silenzio, solo, senza condividere niente con nessuno. Il combattimento è stato lungo, ho ancora le cicatrici e, a essere sincero, mi piacciono pure. Ma c’è stato un vincitore: lo scrivente. Eccomi qui, più magro ma con i muscoli allenati nuovamente, senza grassi, ma, soprattutto, un punto di riferimento per i miei figli e per la mia compagna. Sono guarito.
Mi rendo conto che la mia guarigione sia stata frutto di un voluto estremismo. Ma niente mi leva dalla testa (ovvio che è solo la mia opinione ) che se non si arriva a comprendere che dipende esclusivamente da te, dal tuo più profondo io, arrivare a stare meglio, a vivere, a non farsi problemi mentali, a non essere vittimistici, a contare solo sulle proprie forze, ma, soprattutto, a prendere conoscenza che si deve affrontare una “ battaglia vera “, la guarigione può essere davvero lunga e pericolosa, dannatamente pericolosa, a volte drammatica.


Armando

venerdì 20 giugno 2014

Storie di panico - La vita che vorrei di Serena



Nella vita che vorrei il mio nome è sempre questo, ho sempre 19 anni, ma nella vita che vorrei, io a 19 anni mi sto mangiando il mondo. Come le ragazze della mia età sto affrontando la maturità.. Mi sveglio la mattina alle 7.00 colazione a volo e corro a scuola a studiare. A scuola ci sono tutte le mie compagne, siamo affiatate e del tutto pazze, ci siamo ridotte all'ultimo secondo a studiare perché abbiamo sprecato giornate e nottate a divertirci senza pensare un solo attimo che quest'anno ci toccavano gli esami. Nella vita che vorrei la mia famiglia è la cosa che mi mette pace nell'anima, vedere l’amore che provano i miei genitori l'uno per l'altra mi fa desiderare di avere un amore come il loro un giorno. Mio fratello è sempre indaffarato col lavoro ma trova sempre tempo per me e mia sorella più piccola per farci sorprese.. Nella vita che vorrei la mia famiglia è una meraviglia, l'unione ed il calore che mi riempiono il cuore di gioia.. Nella vita che vorrei io vivo in una vita semplice ma straordinaria perché ogni giorno mi sveglio con la voglia di vivere e con l'amore di chi ho attorno.. Nella vita che vorrei io non desidero soldi in più, o chissà quale ricchezza come chiunque potrebbe desiderare se solo avesse una lampada magica... nella vita dei miei sogni io sono una ragazza come le altre che vive una vita normale.. E questa è la cosa che desidero di più.

Mi chiamo Serena e credo basti per definirmi, alla fine qui nessuno chiede il mio nome, e nessuno mi conosce. Non so se qualcuno leggerà mai tutto questo, ma non m'importa, io voglio scrivere la mia storia.
Ho scritto la vita che vorrei, ma non la mia.
Nella mia vita reale, io ho sofferto tanto, non ho la famiglia dei sogni, e non vado più a scuola. Nella mia vita reale io soffro del disturbo di cui nessuno è capace di liberarmi, gli attacchi di panico. Ammetto di averne passate tante, tra problemi familiari e quanto altro forse era destinato che un giorno avrei accusato questi problemi. Ma non avrei mai immaginato di farmene governare. Ho lasciato tutto, tutto ciò che amavo di più, la mia vita è in mano ai farmaci, e io non sono che una ragazza, senza futuro, senza famiglia, e che non desidera altro che dormire per liberarsi delle proprie sofferenze. Ho iniziato a soffrire di attacchi di panico da piccola.. Pian piano il problema si aggravava sempre più. Avevo giornalmente "infarti" o "ictus" o chi più ne ha più ne metta. Mi sono ritrovata sola, senza amici, senza fidanzato.. Ma non me la prendevo con gli altri, ma con me.. Chi vorrebbe una pazza accanto? Ho passato giorni e giorni a piangermi addosso a chiedermi PERCHÉ A ME? Perché io? Quanto avrei desiderato la notte prima degli esami, le pazzie notturne e cavolo anche la prima canna e tutte le cazzate che il mio eccessivo autocontrollo non mi permettono di fare. Se non dormo otto ore credo di morire, se salto colazione pranzo o cena altrettanto, se corro penso di svenire... QUESTA É LA MIA VITA, proibirmi tutto quello che la ragazzina che è in me vorrebbe fare. Più giorni passano.. Più sono stanca.. Non ho più la volontà di lottare, nemmeno per me stessa. Ho bruciato tutte le tappe, la mia gioventù.. E adesso la mia adolescenza.. Quanto avrei voluto che la vita che vorrei fosse la mia reale.. Quanto vorrei ricordare la mia vita senza farmaci, senza attacchi di panico.. Vi sembrerò pazza.. Però io davvero, sogno ogni notte che tutto questo passi... So che nel mondo c'è chi soffre di più.. Lo so che sono egoista.. Ma se potessi uscirne lo farei. Mi odio, odio vedermi sconfitta da disturbi che tutti mi ripetono provengano dalla mia testa, odio vedermi morta pur vivendo.. Perché io NON STO VIVENDO LA MIA VITA. Sono una ragazza che è stata tanto forte per i problemi in famiglia che non riesco a capacitarmi del fatto che non riesco a superare tutto questo.. non so più chi sono, mi sono persa.

Serena