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sabato 22 agosto 2020

Come aiutare qualcuno con un attacco di panico




Come aiutare qualcuno con un attacco di panico? Qualcuno che conoscete ha avuto un attacco di panico e non sapevate che fare? Innanzitutto, rilassatevi. L’attacco di panico non è niente di percoloso, sebbene per chi lo sperimenti, non sia di certo piacevole.

La sensazione è quella di essere in pericolo. In pratica, si attiva un allarme nel nostro cervello. L’allarme ci fa reagire come di fronte ad un pericolo di morte. Dopo il primo episodio, è possibile che si sviluppi dell’ansia anticipatoria. In pratica, si comincia ad avere timore di avere un attacco di panico, il che porta inevitabilmente ad evitare situazioni che potrebbero fare da innsesco. In casi gravi, porta alla reclusione e alla despressione.

I sintomi

Alcuni tra i sintomi sono iperventilazione, tachicardia, oppressione al petto o sensazione di non riuscire a respirare, torpore e sbandamento. Non sempre questi sintomi risultano visibili all’esterno. Una persona potrebbe apparirci completamente normale e a posto. Ma potrebbe stare avendo un attacco di panico nello stesso momento.

Vediamo dunque cosa fare.

Cosa fare se stai avendo un attacco di panico

Innanzitutto, cerca di ragionare lucidamente. Cerca di concentrarti sul fatto che quello che stai sentendo non deriva da un pericolo reale. Evita di spaventarti ancora di più pensando alla paura che stai provando. Fai respiri profondi. Sedersi o stendersi è un’ottima soluzione.

Cerca di comunicare. Cercare aiuto è sempre un’ottima cosa. Concentrati sul descrivere a qualcuno cosa stai sperimentando e cosa pensi di avere bisogno. Descrivere le sensazioni può aiutare a riportare la mente in uno stato di calma e razionalità.

Come aiutare qualcuno con un attacco di panico

Innanzitutto, se vedi qualcuno che si sente male, cerca di capire cosa sta succedendo e non intervenire alla cieca. Rimani calmo. Senza urlare, fai delle domande e instaura un contatto con la persona. Attenzione, alcune persone che sperimentano attacchi di panico non vogliono essere toccate durante un episodio. Prima di buttarvi in un abbraccio, chiedete se il contatto potrebbe aiutare o meno. Il rischio è che la persona reagisca in preda al panico e vi tiri un pugno involontariamente.

La cosa più importante da fare è ascoltare. Cercate gentilmente di far parlare la persona chiedendole di descrivere ciò che sente e cosa la potrebbe far star meglio.

Il disturbo

Una volta passato l’attacco (la durata varia da persona a persona, ma di solito si parla di qualche minuto), non sottovalutate l’esperienza. Potrebbe essere stato un caso isolato oppure no. Il rischio è che se sottovalutato, si possa trasformare in un disturbo psicologico serio che vi renderà la vita molto difficile.

Il disturbo da attacchi di panico è uno dei disturbi psicologici più diffusi in Italia. Già nel 2013, l’ALPA – Associazione Liberi dal Panico e dall’Ansia stimava che oltre 10 milioni di italiani avevano sperimentato almeno una volta nella vita un attacco di panico. Tra il 12 e il 38% di questi, vede il disturbo scomparire. Ma per il 20% si tratta di un problema grave. Dopo il trauma del lockdown, i numeri sono cresciuti.

Lo stigma sui disturbi psicologici non aiuta. Spesso chi sperimenta o vede qualcuno in preda ad un attacco di panico, sottostima la situazione. In casi gravi, si può arrivare al trattamento farmacologico con farmaci che agiscono sulla serotonina, rigorosamente dietro ricetta medica. Ai farmaci, si combina anche un trattamento di psicoterapia cognitivo-comportamentale.


Dal Sito: proiezionidiborsa.it

sabato 8 agosto 2020

SOS Attacchi di panico




Tachicardia, dolore al petto, sudorazione profusa, paura di morire, paura di impazzire, paura di affogare, paura di avere paura. Questi sono i sintomi più spesso presenti nei racconti di chi soffre di attacchi di panico, racconti carichi di terrore, di senso di colpa, di vergogna, di paura del futuro.

Ma che cos’è veramente un attacco di panico? È un campanello d’allarme, una spia che obbliga la persona a fermarsi e a cominciare a prendersi cura di sé. Nella mia esperienza, l’attacco di panico trova terreno fertile in personalità che, prima della crisi acuta, davano l’impressione di essere sicure di sé, competenti, efficienti, autonome, ipercontrollate, “onnipotenti”. Si parla in questi casi di un falso sé, termine con il quale si indicail modo di essere proprio di chi tende a negare le proprie fragilità e a controllare e inibire le proprie emozioni, le proprie energie, i propri desideri. Spesso, è proprio questa immagine di sé non autentica a non consentire alla persona di chiedere immediatamente aiuto: l’attacco di panico viene taciuto perché rappresenterebbe una dolorosa ammissione di fragilità (per sé e per gli altri) e la persona spera che, con il tempo, passerà da solo. In tal senso, l’attacco di panico può essere inteso come il crollo del falso sé e, dunque, rappresenta per la persona una vera benedizione perché il cambiamento passa inevitabilmente attraverso una crisi che, mettendo in discussione il vecchio modo di essere, fa spazio al nuovo, al vero sé.

Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si cerca di soffocare il proprio malessere e si aspetta prima di chiedere aiuto, l’ansia si cronicizza, gli attacchi di panico diventano sempre più frequenti e invalidanti, la persona sviluppa ansia anticipatoria ed evita tutti quei luoghi o persone che nella sua mente sono associati all’insorgenza della crisi acuta.
Come fare allora? In genere, la domanda più frequentemente posta dai pazienti è: come faccio a superare l’ansia? Come posso imparare a gestire gli attacchi di panico? La caratteristica tipica dei pazienti che chiedono aiuto a causa degli attacchi di panico è l’urgenza: devono risolvere il problema quanto prima e in tempi brevi. Il messaggio implicito è che non sono disposti a dedicare molto tempo alla cura di sé e al proprio benessere.

In commercio sono sempre più diffusi manuali sulle tecniche da utilizzare per non soffrire più di attacchi di panico, per imparare ad evitarli e a gestirli velocemente, come se bastasse qualche consiglio per intervenire seriamente su un disagio che ha radici molto più profonde. Anche i farmaci comunemente utilizzati nel trattamento degli attacchi di panico hanno sicuramente il merito di tranquillizzare la persona e di darle un sollievo momentaneo, ma non dovrebbero essere assunti per un periodo di tempo prolungato in quanto oltre a causare dipendenza sia fisica che psicologica non “curano” l’ansia in sé ma zittiscono solamente i sintomi spostando l’attenzione dalle cause profonde del malessere. Questo disagio è sempre legato alla parte “sommersa” della personalità e trae spesso origine e nutrimento dalle relazioni significative della persona (con i genitori, con il partner, ecc.). In tal senso, si comprende come non sia di nessuna utilità clinica intervenire con l’unico obiettivo di eliminare il sintomo.

 In genere, infatti, la scomparsa del sintomo è una conseguenza, prima però l’attacco di panico va ascoltato, compreso e collegato alla propria storia, individuale e familiare. È un percorso che richiede molto coraggio, soprattutto il coraggio di chiedere aiuto, ma è un passaggio obbligato per chiunque voglia realizzare la propria crescita, scoprire i talenti precedentemente repressi e recuperare gli aspetti vitali e creativi della propria personalità.


Dal Sito: psycommunity.it 

giovedì 23 gennaio 2020

Convivere con una persona bipolare: cosa bisogna sapere?



Vi siete mai chiesti cosa significa convivere con una persona bipolare? Chi ne ha esperienza sa che non è affatto semplice. Ve ne parliamo in questo articolo.

Convivere con una persona bipolare non è affatto facile, chi ha vissuto questa esperienza sa bene che si tratta di una vera e propria sfida.

Alcuni la paragonano allo scalare una montagna, in quanto le emozioni sono estremamente mutevoli. Vale a dire che a volte si può raggiungere la cima, e delle altre precipitare rovinosamente.

Le relazioni umane sono già di per sé complesse; pensate a cosa può voler dire convivere con una persona bipolare, il cui umore cambia di continuo. Sono tanti i fattori che possono influenzare gli sbalzi d’umore di una persona con disturbo bipolare, ma è anche vero che chi le sta accanto può essere di grande aiuto.

Cos’è il disturbo bipolare?


Le persone con disturbo bipolare mostrano costanti sbalzi d’umore. In alcuni casi manifestano manie, mentre altre appaiono depresse.

Il disturbo bipolare è caratterizzato da alterazioni dell’umore, che, sebbene ne esistano diversi sottotipi, in genere oscillano tra episodi di maniacalità ed episodi depressivi o misti.

Tali cambiamenti possono verificarsi annualmente in due o tre cicli; in altri casi, invece, un episodio può essere seguito da un altro per diversi giorni.

Cosa ci si può aspettare durante gli episodi maniacali?

Quando il soggetto attraversa un episodio maniacale, può provare quanto segue:

Grande gioia, ottimismo, forza e coraggio.

Ansia, nervosismo o turbamento.

Parlare rapidamente e passare da un argomento all’altro, senza pause.

Sentirsi capace di svolgere molte attività.

Creatività e tanta energia.

Dormire meno ore e riposare poco.

Se crede che i sue bisogni non vengano soddisfatti o non ottiene quanto desidera, può assumere atteggiamenti irascibili.

È possibile che si esponga a dei rischi con alcuni progetti o assuma comportamenti insoliti, come fare acquisti in modo eccessivo o spendere soldi inutilmente.

In genere prova più interesse sessuale.

Cosa aspettarsi durante gli episodi depressivi?

Tristezza.

Eccessiva preoccupazione e sensazione di abbandono.

Perdita di interesse per le attività che prima la gratificavano.

Difficoltà di concentrazione.

Stanchezza, apatia

Come si può notare, i soggetti con disturbo bipolare possono oscillare tra il sentirsi al massimo e sentirsi completamente abbandonati. Ciò accade a causa del passaggio dall’episodio maniacale a quello depressivo.

Come convivere con una persona bipolare?


Convivere con una persona bipolare può essere alquanto difficile. Tuttavia, il supporto della famiglia e del partner è decisivo per il benessere del paziente.

Come indicato dagli studi condotti, convivere con una persona con disturbo bipolare non è facile. In molti casi, chi le sta attorno può sentirsi offeso o vedere invaso il proprio spazio.

Anche la sensibilità di tali persone può venire ferita, specialmente in fatto di esigenze sessuali, ma le ricerche suggeriscono che il supporto è importante. Queste persone devono tenere presente che tentare di cambiare il proprio comportamento non servirà a nulla.

In particolare i partner controllano con attenzione le loro abitudini, i loro sguardi o inibiscono alcuni comportamenti per evitare che l’altro si arrabbi o si deprima. Tuttavia, ciò non basta a evitarne le reazioni.

Consigli per convivere con una persona bipolare

Cercare aiuto professionale: sia per la persona che soffre del disturbo, che per il partner o chi le sta intorno.

Se la persona non ha ricevuto una diagnosi, è importante farle capire la necessità di chiedere aiuto in modo che, dopo il trattamento, le cose vadano per il meglio.

Ricorrere all’amore e alla comprensione: offrire supporto, invece di giudicare, o rimproverare. La migliore raccomandazione è quella di far capire alla persona che teniamo a lei e che vogliamo solo il meglio per il suo bene.

Eliminare lo stigma legato ai disturbi mentali: comprendere che andare dallo psicologo o dallo psichiatra è giusto, in quanto questi professionisti possono aiutarci a cambiare per migliorare la nostra vita.

Incoraggiarla a svolgere attività fisica: specialmente quando si sente depressa. Ciò la aiuterà a stare meglio e a sentirsi sostenuta. Dobbiamo sempre trasmettere quiete e tranquillità.

Non farla diventare una vittima: non sentitevi responsabili di ciò che accade. Se preferite, potete partecipare alle sedute di psicoterapia per far sentire il vostro supporto alla persona bipolare.

Cosa possiamo fare per noi stessi ?

In primo luogo, dobbiamo prenderci cura della nostra salute mentale, in modo da evitare di sentirci logorati. Prenderci cura di noi fisicamente, fare sport, mangiare in modo sano e dedicarci ad attività gratificanti.

Seguendo queste linee guida, potremo stare meglio, non solo noi, ma anche la persona che sta attraversando un momento difficile a causa del disturbo bipolare.

Chi soffre di disturbo bipolare a volte può ferirci, ma in genere ciò non accade per volontà; è dunque fondamentale cercare un aiuto professionale per gestire tali episodi.



mercoledì 4 luglio 2018

10 frasi che una persona ansiosa dice sempre (vi ritrovate?!)


In Italia quasi due milioni e mezzo di persone soffrono di un qualche disturbo d’ansia: panico, paura, angoscia e fobia sono tra i mali più diffusi di questo secolo.

Ma come si manifesta l’ansia? Come riconoscerla?

Non tutta l’ansia è uguale

L‘ansia può avere forme e manifestazioni anche molto diverse, da quelle più lievi a quelle croniche e più invalidanti. Quando parliamo di ansia è importante fare una distinzione tra ansia fisiologica e quella patologica.

L’ansia normale o fisiologica è quella di cui tutti noi facciamo esperienza, è uno stato di allarme e di tensione transitorio che implica l’attivazione generalizzata di tutte le risorse dell’individuo, tale da consentire la messa in atto di comportamenti utili a contrastare o porre fine allo stato d’ansia in questione, provocato da uno stimolo realmente esistente, conosciuto, o da situazioni che creano ansia.

L’ansia patologica è invece caratterizzata da ansia e preoccupazioni eccessive, altamente disturbanti, in grado di alterare il nostro funzionamento psichico e le capacità di adattamento, spingendoci a reagire ad un evento o un oggetto con l’evitamento o la fuga. Spesso, quando si è preda dell’ansia, è difficile far comprendere agli altri il proprio stato d’animo e ciò di cui si ha bisogno. Chi soffre d’ansia tende il più delle volte a voler normalizzare la situazione, a comportarsi come se nulla fosse e ad inviare (più o meno consapevolmente) richieste d’aiuto, a volte di difficile interpretazione, a chi li circonda per fargli capire che qualcosa non va.

Proprio a questo scopo, di seguito vi forniamo una lista delle 10 frasi che una persona ansiosa pronuncia più spesso, messaggi che ci dicono che l’altro sta soffrendo ed ha bisogno d’aiuto.

Cosa dice chi soffre d’ansia

“Scusami” – Le persone che soffrono d’ansia hanno spesso il timore di ferire i sentimenti degli altri, di non essere all’altezza delle aspettative altrui e quindi di aver fatto qualcosa di male, fattori che li inducono a scusarsi eccessivamente anche senza che ve ne sia un reale bisogno.

“Sto bene” – È la frase che viene ripetuta più spesso proprio dalle persone che soffrono con l’intenzione di non far preoccupare gli altri ma anche per non attirare l’attenzione su di loro cosa che non farebbe altro che aumentarne la reazione ansiosa.

“Ce l’hai con me?” – Anche quando tutto sembra andare bene, la persona ansiosa sente la necessità di sviare il discorso e riportare la discussione sul piano emotivo dell’altro. Questa frase esprime anche il bisogno, tipico dei soggetti ansiosi, di essere continuamente rassicurati sulla stabilità del legame e della relazione.

“Ma non c’è troppa gente qui?” – Le persone che soffrono di disturbi d’ansia spesso fanno fatica a tollerare la folla, la sensazione di soffocamento che queste occasioni provocano tende a essere risolta con l’evitare delle situazioni che implicano il radunarsi di molte persone. L’ansia suscitata da questi eventi è provocata dalla paura di avere un attacco di ansia o panico mentre si è circondati da tanta gente, fattore che genera un circolo vizioso che alimenta l’ansia e la possibilità che gli attacchi si ripetano.

“Tutto OK, mi sento solo stanca” – Quando gli altri ci vedono giù di morale è più facile rispondere che si è semplicemente stanchi piuttosto che raccontare che eventi o situazioni specifiche ci mettono ansia. Nella mente di chi soffre d’ansia, questo tipo di risposta è socialmente più accettabile della verità, in quanto nell’immaginario comune una persona in preda al panico e all’ansia è una persona debole ed in balia degli eventi.

“Ho bisogno di prendere una boccata d’aria” – L’ansia e la paura provocano una serie di reazioni fisiologiche a catena che comprendono l’aumento del battito cardiaco, sensazione di asfissia, sudorazione intensa e vertigini, tutti sintomi che inducono chi è preda dell’ansia a voler uscire all’aria aperta, per respirare a pieni polmoni, allontanandosi dagli occhi indiscreti della gente. Dire “Ho bisogno di prendere una boccata d’aria” serve a confondere le persone che gli sono accanto, nascondendo la natura reale del problema, cioè l’ansia.

“Mi sento strana” – Ansia, paura e attacchi di panico, come abbiamo visto, hanno conseguenze dirette sul nostro corpo. Spesso chi ne soffre non è cosciente dei cambiamenti fisiologici che il corpo subisce nel corso di un attacco d’ansia. Quindi può servirsi di questa frase per segnalare la presenza di un problema, del quale però non riconosce la causa.

“Lo faccio io” – Spesso chi soffre d’ansia tende a proporsi come tutto fare, anche senza che gli altri avanzino alcuna richiesta. Questa strategia nasce dall’esigenza di tenere sotto controllo la situazione e di impedire il verificarsi di imprevisti e situazioni che potrebbero generare l’ansia.

“Adesso non sono al 100%”
– Quando le persone pensano che qualcuno non si senta bene, tendono a lasciarle in pace, senza porre troppe domande. Questa strategia è utile per allontanare da sè ogni sospetto, senza il bisogno di dare ulteriori spiegazioni, che non farebbero altro che perpetrare il circolo vizioso dell’ansia.

“Oggi non son proprio dell’umore” – Anche in questo caso, questa frase riflette il bisogno tipico delle persone ansiose di spazio, di distanza e quindi di eludere le domande dell’altro vissute come intrusive, in modo da trovare lo spazio e il tempo utile a calmarsi e ad alleviare la sensazione d’ansia.

Quelle che vi abbiamo proposto sono solo alcune delle frasi che una persona ansiosa solitamente pronuncia per comunicare al mondo l’esistenza di un problema, una sorta di campanello d’allarme in grado di aiutarci a capire se le persone che ci sono accanto hanno o meno bisogno del nostro aiuto.


  Martina Valizzone

Dal Sito: pazienti.it

sabato 30 giugno 2018

Attacchi di panico: come aiutare una persona che ne viene colpita


Chi soffre di attacchi di panico lo sa: giungono all’improvviso e, a volte, fanno sì che si instauri una catena di ansia e paure immotivate.

Abbiamo chiesto alla dr.ssa Martina Valizzone, psicologa, di aiutarci a riconoscerli, dando anche qualche valido consiglio per affrontarli al meglio.

Come fare a riconoscere un attacco di panico?

Un attacco di panico è un episodio di malessere improvviso, caratterizzato da una reazione di paura e angoscia intense, che si manifesta in assenza di un reale pericolo.

Questi episodi, solitamente della durata di qualche minuto, sono accompagnati da sintomi cognitivi e somatici ben precisi (come palpitazioni, sudorazione intensa, tremori, sensazione di asfissia) dovuti a una iperattivazione del sistema nervoso simpatico, che porta chi ne è vittima a temere di perdere il controllo, di impazzire o a sperimentare una sensazione di morte imminente.

Gli individui che soffrono di disturbo di panico, solitamente, vivono nella costante paura che gli attacchi possano ripresentarsi al punto da mettere in atto, in maniera del tutto inconsapevole, una serie di strategie per difendersi dalle situazioni a rischio.

Iniziano, dunque, a evitare luoghi e situazioni potenzialmente ansiogene o dove si sono verificati in precedenza degli attacchi, fino ad arrivare a soluzioni estreme, tali da comportare il ritiro sociale e l’isolamento.

Lo stato costante di ansia e tensione che i soggetti con disturbo da panico vivono, anticipano il ripetersi degli attacchi, alimentando così un circolo vizioso che non fa altro che aumentare la probabilità che episodi simili possano ripetersi.

Quali sono i sintomi?

Secondo il DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) per essere confermata la diagnosi di disturbo di panico devono essere presenti almeno 4 di questi sintomi, tra somatici e cognitivi:

Tachicardia

Palpitazioni

Sudorazione intensa (brividi o vampate di calore)

Tremori

Formicolio alle mani o agli arti (parestesia)

Respiro corto, sensazione di asfissia o iperventilazione

Oppressione, fastidio o dolore al petto

Nausea

Vertigini, sbandamento o instabilità

Derealizzazione (la realtà esterna appare strana ed irreale)

Depersonalizzazione (avere la sensazione di essere staccati dal proprio corpo)

Sensazione di perdere del controllo, di stare impazzendo o di morte imminente

Un attacco di panico solitamente si esaurisce nel giro di pochi minuti, ma le sensazioni che questi suscitano hanno la capacità di dilatare la percezione del tempo, facendoli apparire (agli occhi di chi vi assiste o del soggetto che ne soffre) interminabili.

Per quanto riguarda la frequenza e la severità dei sintomi, queste variano ampiamente a seconda delle circostanze, così come da persona a persona. Il disturbo di panico è in grado di incidere in maniera estremamente negativa nella vita di chi ne soffre, a tal punto da provocare (nei casi più severi) un profondo stato depressivo, che va ad aggiungersi al disturbo d’ansia già presente, complicandone il quadro e il decorso clinico.

Cosa fare per far passare il panico?

La prima regola fondamentale da mettere in atto quando si avverte l’imminenza di un attacco di panico è quella di evitare di resistervi o fare finta di niente, in quanto entrambe queste strategie contribuiscono a incrementare i livelli d’ansia e a inasprire i sintomi, finendo comunque per sfociare in un attacco di panico.

Quando si verifica un episodio di panico è opportuno tentare di calmarsi, quindi spostarsi in un luogo appartato e tranquillo lontano dalla confusione, dove sia possibile sedersi o sdraiarsi.

Nel tentativo di ridurre la risposta emotiva che accompagna gli attacchi di panico, è possibile mettere in atto una serie di strategie, quali:

Iniziare a contare da 0 fino a 50, quindi tornare indietro da 50 a 0. Si tratta di una tecnica di distrazione cognitiva efficace nel ridurre l’ansia e lo stress, che aiuta a concentrare il pensiero su un dato esterno distraendolo dalle sensazioni di ansia e paura.

Controllare la respirazione. Fare respiri profondi contribuisce a calmare i nervi e ad alleviare la sensazione di asfissia e l’iperventilazione tipiche degli episodi di panico.

Mettere in pratica le tecniche di rilassamento. Praticare con regolarità yoga, pilates, training autogeno o altre tecniche di rilassamento, aiuta a ridurre i livelli di ansia e a prevenire l’insorgenza degli attacchi di panico. La pratica di queste discipline può essere d’aiuto anche nella gestione dell’attacco di panico, andando a limitarne i sintomi e l’intensità della risposta emotiva.

Un altro fattore utile a contrastare gli attacchi di panico è imparare a riconoscere le varie fasi che li contraddistinguono: sapere che il normale decorso di un episodio di panico è costituito da un esordio, un apice e una progressiva riduzione dei sintomi, fino alla loro estinzione, aiuta a comprendere che questi episodi hanno un inizio e una fine ma soprattutto che non sono mortali.

Per finire, è opportuno ricordare che gli attacchi di panico sono solo il sintomo di una problematica più ampia, frutto di un disagio interiore che ha trovato espressione attraverso il corpo e la mente.

Per questo, è bene ascoltare il proprio corpo, in modo da riuscire a cogliere anche il minimo segno di disagio e rivolgersi all’aiuto di un professionista, psicologo o psicoterapeuta, qualora lo si ritenga opportuno per indagare il sintomo alla base del problema e risolverlo definitivamente.

Dal Sito: tantasalute.it

sabato 23 giugno 2018

COME AIUTARE CHI SOFFRE DI DEPRESSIONE


Negli ultimi venti anni, grazie agli enormi progressi compiuti dalla psichiatria e alla diffusione di una migliore informazione scientifica, alla depressione è stato in parte tolto il pesante velo di ignoranza e pregiudizio di cui era avvolta in passato. Ciononostante, nel sentire comune ancora oggi la depressione è spesso confusa con la tristezza o con l’avvilimento, stati d’animo “normali”, in genere reattivi a eventi di vita negativi, sempre di breve durata e che comunque non condizionano il normale svolgimento delle attività quotidiane.  La depressione clinica, invece, è un vero e proprio disturbo psichico, noto fin dall’antichità, che si manifesta con una importante flessione dell’umore accompagnata da caratteristici cambiamenti del livello di energie, delle modalità di pensiero e del funzionamento somatico.

“Devo spronarlo a fare qualcosa o è meglio rispettare i suoi tempi?”
“Le parlo ma è come se non mi ascoltasse, e se la lasciassi nel suo silenzio?”

Come per gli altri disturbi vale il principio che ogni persona e ogni sofferenza rappresentano un caso a sé. In base alla nostra esperienza e tenendo conto dei racconti e delle domande che ci rivolgono i familiari di chi soffre di depressione è però possibile dare, a chi vive accanto ad una persona depressa, alcuni suggerimenti utili alla gestione della quotidianità.

Conoscere la depressione e superare i pregiudizi
Molte delle difficoltà che si incontrano a stare vicino a chi soffre di depressione derivano dall’apparente invisibilità del disturbo aggravata dal sopravvivere di numerosi pregiudizi.
Non esistendo esami del sangue, radiografia o tecnica di indagine in grado di  evidenziare uno stato depressivo può essere difficile, per i non addetti ai lavori, capire che si tratta di una vera e propria patologia e non di uno stato d’animo o di un sentimento passeggero.
Un errore comune consiste nel banalizzarne le cause attribuendo lo stato depressivo a “un momento di stanchezza”, a un malessere che deriva dal “cambiamento di stagione”, dal “troppo lavoro”, dalle “tensioni familiari” o, più in generale, dallo “stress”.
Ma se fosse veramente così saremmo tutti depressi!

La tendenza ad attribuire la depressione al carattere o a circostanze esterne, frutto della mancanza di informazioni scientificamente corrette, peggiora i sensi di colpa, la frustrazione e la sensazione di non essere compresi e, in ultima analisi, aggrava lo stato di sofferenza di chi già sta male. Accettare che la depressione è una malattia come tante altre, anche se con sintomi non visibili ed in alcuni casi difficili da comprendere, rappresenta quindi il primo vero aiuto per chi ne soffre e l’unico che lo legittimerà come persona sofferente e non debole o dal pessimo carattere.

Un secondo frequente errore è considerare chi soffre di depressione una persona semplicemente triste, avvilita o, ancor peggio, pigra, “debole di carattere”, “incapace di reagire alle difficoltà”.  La depressione non dipende dalla propria volontà, nessuno ne è responsabile e non è vero che “non ce la mette tutta”, “lo fa di proposito”, “in fondo un po’ se ne approfitta”, che “starebbe meglio se solo si sforzasse un pochino”, o che “dovrebbe reagire come ho fatto io quella volta…”.

Ad un osservatore esterno può sembrare incredibile che una persona apparentemente sana non ce la faccia ad andare a lavorare e trascorra ore e ore in poltrona, rifiutandosi persino di fare una passeggiata, andare al cinema o vedere gli amici più cari. Eppure per chi soffre di depressione è così, anzi la mancanza di energie e la perdita di volontà sono l’essenza stessa della sua patologia.

E’ necessario pertanto evitare di esortare all’ottimismo (“va tutto bene, perché ti preoccupi tanto?”) e di far leva sull’orgoglio (“non ti vergogni a stare tutto il giorno a casa mentre gli altri lavorano?”) e sulla buona volontà (“fai uno sforzo, prova almeno a giocare a tennis”). Per quanto fatte a fin di bene (“cerco di scuoterlo, non posso vederlo buttato così”), queste sollecitazioni peggiorano lo sconforto, riducono la già bassa autostima, aumentano il senso di solitudine. In altre parole ottengono l’effetto opposto a quello voluto finendo con l’aggravare, piuttosto che migliorare, la situazione. E’ opportuno lasciare da parte quindi le esortazioni, meglio assumere un atteggiamento di comprensione (“so che stai male, che non ce la fai, ma non ti preoccupare: vedrai che con le cure giuste passerà”) e di vicinanza emotiva (“mi dispiace che stai soffrendo così, farei di tutto per aiutarti”) esattamente come fareste se il vostro caro avesse una broncopolmonite o un femore rotto piuttosto che la depressione.

A volte un aiuto pratico e concreto, come per esempio preparargli una bevanda calda o portargli le medicine con un po’ d’acqua, può essere più di utile di tante parole. E quando non sapete proprio cosa dire o fare, ascoltatelo e stategli vicino: una vicinanza silenziosa ma emotivamente partecipata si rivela spesso di grande conforto.

Individuare uno psichiatra clinico esperto in depressione
Esistono diversi sotto-tipi di depressione, differenti tra loro per come si manifestano (“sintomi”) e per come evolvono (“decorso”), che richiedono cure differenziate.
Per il trattamento è pertanto preferibile affidarsi ad uno psichiatra con specifica competenza in questa patologia che sappia individuare, tra le diverse opzioni attualmente disponibili, la migliore cura per quello specifico tipo di depressione in quello specifico paziente (“trattamento individualizzato”).

Raccogliere più informazioni possibili, parlare con il medico di famiglia, rivolgersi ad associazioni per pazienti e familiari di chi soffre di depressione, sono le strade più semplici per arrivare ad un clinico che individuerà la cura più adatta per l’episodio depressivo in corso e, se necessario, per prevenire possibili ricadute. Non bisogna dimenticare, infatti, che la depressione, in oltre la metà dei casi, tende a recidivare.

Nelle forme medie e gravi la terapia di prima scelta è di tipo farmacologico; la psicoterapia può essere un utile supporto ai farmaci per un sostegno in fase acuta, per la gestione di eventuali problemi psicologici e probabilmente (ci sono studi in corso) per ridurre il rischio di ricadute. Nelle forme lievi è possibile iniziare il trattamento con la psicoterapia che sarà poi integrata con i farmaci in caso di risposta insufficiente.

Mantenere una regolarità nelle cure
Una volta individuato il clinico di fiducia, aiutate il vostro congiunto a mantenere con regolarità il rapporto con lo psichiatra, ricordategli gli appuntamenti, sollecitatelo a comunicare eventuali effetti collaterali dei farmaci come pure eventuali importanti variazioni della sintomatologia (per esempio, un significativo aumento o diminuzione delle ore di sonno, la comparsa di irritabilità, un brusco ritorno allo stato di benessere…).
Sempre che la persona sia d’accordo, accompagnatela alle visite sia perché andarci da solo, a causa del suo stato, potrebbe costargli un’eccessiva fatica e indurlo a rinunciare, sia perché le vostre osservazioni possono essere utili allo specialista per mettere meglio a punto la cura.

Incoraggiare l’inizio e la prosecuzione delle cure
Una volta iniziata la cura, per vedere i primi miglioramenti sono necessarie in media 2-3 settimane e in alcuni casi, in relazione al tipo di depressione e alla sensibilità personale, anche di più (fino a qualche mese). Questo periodo di latenza può indurre le persone con depressione, di per sé portate al pessimismo, a ritenere la terapia inutile e quindi a interromperla o ad assumerla irregolarmente.
Aiutate il vostro congiunto a portare avanti con fiducia la cura: assumere i farmaci, attendere il tempo necessario perché svolgano la loro azione e, in caso di risultati insoddisfacenti, tenere presente che esistono molti tipi di antidepressivi per cui trovare quello giusto per lui può richiedere più di un tentativo. Sollecitatelo a comunicare il suo stato allo psichiatra che potrà modificare le dosi, sostituire il farmaco o aggiungerne un altro.
La terapia farmacologica della depressione richiede un lavoro simile a quello di un sarto che, prima di consegnare un vestito, ha necessità di fare prove, aggiustamenti e piccoli ritocchi.

Informatevi sugli eventuali effetti collaterali dei farmaci e collaborate alla loro gestione (per esempio, in caso di bocca secca non fate mancare in casa delle caramelle; se aumenta di peso optate per una cucina leggera). Inoltre, se il vostro familiare soffre di altri disturbi fisici, come ipertensione o diabete, aiutatelo a seguire con regolarità anche le relative terapie per evitare che, a causa del pessimismo e della tendenza a trascurarsi, non ci sia un peggioramento delle condizioni mediche generali con tutte le potenziali conseguenze negative che questo comporta.

Ricordate infine che il vostro sostegno alla cura non si esaurisce con la fine dell’episodio. Come detto in precedenza, alcuni tipi di depressione si presentano con episodi ricorrenti ed è quindi necessario vigilare, con discrezione e senza essere oppressivi, che i farmaci siano assunti per il tempo e alle dosi prescritti anche in presenza di uno stato di benessere al fine di prevenire eventuali ricadute.

Sostenere nella quotidianità
La depressione cambia drammaticamente lo stile di vita di chi ne soffre: anche chi prima era instancabile, curato ed attivo, ora evita gli impegni, trascura la propria persona, rimane a letto fino a tardi, perde l’appetito.
Pur non essendo sempre facile, è importante aiutarlo a mantenere una minima regolarità nelle attività quotidiane come lavarsi, cambiarsi i vestiti, non saltare i pasti. Non importa se queste attività sono svolte controvoglia e passivamente, l’obiettivo è che i piccoli impegni quotidiani vengano portati a termine.
Poiché nel pomeriggio-sera in genere la depressione migliora, sono solitamente questi i momenti della giornata più adatti per cercare (senza forzare troppo la mano) di coinvolgere il vostro caro in una delle sue attività preferite oppure, per esempio, uscire a fare una breve passeggiata (molti studi clinici riportano che una leggera ma regolare attività fisica ha un effetto positivo sulla depressione), guardare la televisione, leggere insieme un articolo.

Rimandare le decisioni importanti
Chi soffre di depressione vede la realtà attraverso il filtro del pessimismo e può prendere decisioni avventate dettate da stati d’animo profondamente negativi, a volte dominati da idee di rovina.   Suggerite al vostro congiunto di rimandare qualunque decisione importante (per esempio interrompere un rapporto affettivo, cambiare lavoro o licenziarsi, fare una vendita importante) a quando, risolta la depressione, tornerà a vedere le cose nella loro giusta luce. In moltissimi casi questi suggerimenti si rivelano preziosi per tutelarlo da possibili conseguenze disastrose in campo sentimentale, economico, lavorativo o legale.

Non sottovalutare il rischio di suicidio
Oltre la metà delle persone che soffrono di depressione pensa che non valga la pena vivere (“sarei contento se questa notte mi venisse un infarto”) e tra il 15% ed il 25% arriva a progettare e a mettere in atto un tentativo di suicidio.
Il rischio che questo accada è maggiore se qualcun altro in famiglia ha tentato il suicidio, se è contemporaneamente presente un abuso di alcol o droghe, comprese cannabis e caffeina, e se ci sono stati precedenti tentativi, anche solo “dimostrativi”.
A questo proposito, diffidate del luogo comune “Chi lo ha fatto non lo rifarà”, “Chi ne parla sempre non lo metterà mai in atto”: gli studi dicono esattamente il contrario.
Studi ed esperienza inoltre non confermano un’altra opinione diffusa secondo la quale “E’ meglio non parlarne perché se il proposito non c’è si rischia di farlo venire in mente”.
Al contrario, affrontare con delicatezza ma in modo diretto l’argomento consente di aprirsi a chi non troverebbe mai il coraggio di farlo da solo.

Durante gli episodi depressivi, quindi, i familiari devono porre una grande attenzione al rischio suicidio, parlarne apertamente con il proprio caro e, possibilmente d’accordo con lui, comunicare immediatamente allo psichiatra eventuali segnali di allarme.
Tra questi, i più diffusi sono le idee di colpa (“La mia famiglia starebbe meglio se non dovesse sopportare la mia presenza”), la mancanza di speranza (“Non c’è più niente da fare, non guarirò mai”), la sensazione di inutilità (“Che io ci sia o non ci sia non cambia nulla”), le idee di rovina (“Ho sbagliato investimenti, rimarrò senza soldi e i miei figli dovranno lavorare tutta la vita per pagare i miei debiti”) e la messa in atto di comportamenti “sospetti” come fare testamento, regalare oggetti con un particolare valore affettivo (il proprio anello, il proprio orologio…),  lasciare messaggi o lettere, salutare, senza un’apparente giustificazione, come se si stesse per partire.

Riprendere la vita sociale
Per chi soffre di depressione è veramente difficile mantenere una vita sociale. Superata la fase più acuta, tuttavia, è opportuno aiutare il vostro caro a uscire dall’isolamento e a riprendere un po’ alla volta le relazioni iniziando con i parenti e gli amici più fidati. Molti studi scientifici confermano anche l’utilità di partecipare a gruppi di auto aiuto per depressi. Tali gruppi offrono l’opportunità di incontrare chi si trova in una condizione simile, di condividere esperienze e difficoltà analoghe in un contesto non pressante che permette di esprimere liberamente emozioni e sensazioni con la certezza di essere compresi e sostenuti.
Incoraggiate il vostro caro a frequentare un gruppo e accompagnatelo se pensa di non farcela ad andare da solo.

Pensare al futuro
Come già detto la depressione spesso si presenta in forme ricorrenti, la prevenzione delle ricadute implica uno stile di vita ed un’attenzione che se da un lato contrastano con il desiderio di dimenticare “il male oscuro” quando si sta bene, dall’altro giocano un importante ruolo nel mantenimento di uno stato di benessere.

Imparate quindi insieme al vostro caro a riconoscere i segni che possono precedere l’avvio di una nuova fase depressiva (per esempio, stanchezza inusuale, diminuzione della concentrazione, disturbi del sonno, inappetenza, facilità a cambiare umore, nervosismo, riduzione della concentrazione, mal di testa, minore desiderio sessuale) e segnalateli subito allo psichiatra. Individuare precocemente l’arrivo di un nuovo episodio permette di intervenire tempestivamente aumentando la probabilità di bloccarlo o di ridurne la  gravità.
Preparatevi comunque ad affrontare un nuovo episodio depressivo del vostro familiare. Convivere con chi soffre di depressione ricorrente richiede flessibilità, consapevolezza e accettazione.
Quando si capisce che una depressione è in arrivo accettate ciò che sta accadendo, programmate le vostre attività e quelle della famiglia tenendo conto che la routine subirà dei cambiamenti, alcuni programmi potrebbero variare e sarà necessaria una maggiore disponibilità.  Esattamente come accade in qualunque famiglia quando uno dei membri si ammala di una qualunque altra malattia fisica.

Non dimenticare sé stessi
Essere vicini a chi soffre di depressione può essere molto logorante/impegnativo sul piano emotivo. Bisogna mettere in conto, infatti, oltre a tutte le limitazioni che classicamente comporta l’assistenza di una persona con un’importante malattia fisica anche il peso psicologico di combattere con un disturbo apparentemente “invisibile” e che talvolta risponde tanto lentamente alle cure che in alcuni momenti “nulla sembra servire”.
Pur nel profondo rispetto della sofferenza e del bisogno di tranquillità di chi sta male, è importante per voi e per lui fare in modo che la vostra vita sociale e quella della famiglia, anche se a regime ridotto, continuino.
Programmate quindi uscite regolari per la spesa o per andare al cinema, come pure organizzate di tanto in tanto una cena tra familiari o una riunione tra amici. Anche se il vostro caro non se la sentirà di partecipare, il fatto che la vita in casa continui lo farà sentire meno in colpa.
Infine, se sentite il bisogno di condividere con altri le vostre esperienze, stati d’animo e frustrazioni potrete sicuramente trarre giovamento dalla partecipazione ai gruppi di auto aiuto per familiari di persone con depressione organizzati da alcune associazioni di volontariato.

Letture consigliate
Un’oscurità trasparente. William Styron

di Roberta Necci e Antonio Tundo

Dal Sito: istitutodipsicopatologia.it

Aiutare chi soffre di attacchi di panico



Gli attacchi di panico colpiscono molte persone, ma ne spaventano ancora di più, tutti quelli che vivono accanto a chi ne soffre: cosa fare.

Come comportarsi quando un familiare soffre di attacchi di panico

Palpitazioni, sudori freddi, tremori, senso di oppressione toracica e sensazione di morte imminente. È a questi sintomi"urgenti" e inquietanti che spesso si trova davanti chi ha un familiare sofferente di DAP, disturbo da Attacchi di Panico. E se chi ne soffre è certo quello che sta peggio, non c'è dubbio che anche chi assiste può essere molto turbato. Può essere una sola persona ma anche un'intera famiglia ad alterare le proprie abitudini, a vivere nella paura di un attacco, a venire in qualche modo "ricattata" da questi sintomi. Così il panico di una persona diventa l'ansia di molti, e questa riverbera ancora più negativamente su chi soffre in un circolo vizioso che, protratto nel tempo, può diventare lo stile di vita della famiglia. Detto questo, un familiare può fare molto, sia per aiutare chi ha le crisi, sia per proteggere l'atmosfera di casa. Servono pochi atteggiamenti semplici, mirati e precisi.

Le cose da sapere se sei vicino a una persona che soffre di attacchi di panico

La crisi si auto-limita nel giro di 15-30 minuti.

È rarissimo che durante una crisi si compiano atti auto-lesivi

La persona non sta fingendo: sta davvero male.

Non c'è reale pericolo di vita.

Gli psicofarmaci da soli non sono la cura, anzi in molti casi prolungano e cronicizzato il problema.

Osservare il luogo, il momento in cui avviene la crisi, potrebbe suggerire qualche indizio per la cura.

Impariamo ad aiutarlo durante una crisi di attacchi di panico

Durante la crisi

Cerca la tua tranquillità. Non dire: "Stai calmo, non è niente". Fagli sentire che non sei spaventato e che già sai che tutto passerà.

Aiutalo a non combatterla. Non opporti ai suoi sintomi e insieme, se lui lo vuole, contemplate il suo fluire. Presto imparerà a farlo da solo.

Offri contatto fisico. Meglio di molte parole di conforto, una mano calda e "consapevole" può aiutarlo ad ancorarsi a terra e superare prima la crisi.

Evita consigli e critiche. In questo momento non è in grado di accettarle, anzi, Aumentano la forza dell'attacco perché ne impediscono il libero manifestarsi.

Condividi la tua esperienza. A volte raccontare a chi soffre una propria esperienza di malessere "a lieto fine" diluisce la sua ansia e lo fa sentire capito.

Nei periodi tra le crisi

Fai la tua vita. Non condizionare le tue scelte né quelle della famiglia o il panico diventerà il modo principale per ottenere attenzioni. Non gli dato "potere".

Non trattarlo come un malato. Non far vedere che hai paura di un attacco se vuole uscire e fare cose non mettergli dubbi.

Non allearti con le sue paure. Non favorirlo nei suoi evitamenti, lascia che si scontri con i suoi limiti attuali. Solo così comprenderà la richiesta del sintomo.

Dai una disponibilità limitata. Non accompagnarlo ovunque e comunque, o diventerai l'equivalente di uno psicofarmaco assunto "al bisogno", su cui si sviluppa una vera e propria dipendenza.

Suggerisci una psicoterapia. Il panico non deve diventare uno stile di vita e/o uno schema familiare. Aiutalo a capire che qualcosa va cambiato.

Gli "errori " più frequenti dei familiari (in buona fede...)

Proteggerlo

Creargli un guscio intorno impedisce a chi soffre di diventare protagonista della propria salute e della propria vita, e nutre il nostro inopportuno bisogno di fare da eroi-salvatori.

Adattarsi

Fare ciò che la paura di un attacco subdolamente chiede a chi sta intorno vuol dire sfamare il DAP e farlo crescere. Mentre dentro di noi salgono la frustrazione e la rabbia.

Patologizzarlo

Spingere la persona a risolvere la cosa in termini puramente "organici" (farmaci), come se qualcosa nel suo cervello non funzionasse, toglie autostima e possibilità di crescita.

Dal Sito: riza.it

mercoledì 1 febbraio 2017

Aiutare i famigliari dei pazienti con un Disturbo d'Ansia: suggerimenti e strategie.



La malattia di un famigliare può modificare gli equilibri di tutto il sistema, inevitabilmente è l'intera famiglia ad esserne in qualche modo colpita.

Nel momento in cui, il famigliare si ammala, i membri della famiglia possono tentare in diversi modi di aiutare il loro caro nell'affrontare il disturbo. Ma molto spesso, i famigliari del paziente, possono vedere frustrati i loro tentativi di aiuto, fino a sentirsi impotenti e isolati oltre che caricati da ulteriori responsabilità.

Quello che spesso, i membri di una famiglia arrivano a dirsi è: “abbiamo provato di tutto: il sostegno, il distacco, le arrabbiature, la determinazione; dopo tutto questo cosa possiamo ancora fare?”

Può emergere così il bisogno, anche per i familiari, di trovare un supporto e delle informazioni utili nella gestione della situazione.

Nella fase iniziale della malattia di un proprio famigliare, spesso il vissuto degli altri membri è di disorientamento e incomprensione, invece nel lungo termine la situazione viene vissuta come immodificabile ed accettata come un dato di fatto, cui bisogna solo adeguarsi.

Del resto, per un paziente il sostegno e l'aiuto dei suoi familiari possono essere molto importanti ma per essere efficaci richiedono un orientamento. Per aiutare il vostro famigliare possono essere utili alcuni suggerimenti e strategie che potrebbero integrarsi con l'eventuale percorso terapeutico del suo famigliare.


IL PRIMO PASSO: INFORMARSI

Un primo suggerimento è quello di cercare di non sentirsi intrappolati in un ruolo di cura eccessivo, ovvero non è necessario pensare di dover diventare “psicoterapeuti” del familiare con un Disturbo D’Ansia.

Il primo consiglio è quello di informarsi; per agire nel modo più adeguato, sarebbe opportuno:

sapere che è importante chiedere aiuto ad uno specialista psicoterapeuta

capire che un Disturbo d’Ansia è una malattia, e come tale, se curata, può guarire

E’ importante anche utilizzare le informazioni per tentare di sfatare tutti i pregiudizi o le convenzioni errate intorno alla figura dello psicologo/psicoterapeuta.

Non è il “medico dei pazzi” ed i parenti dovrebbero convincersene per primi e cercare di essere solidali con il paziente, sostenendo, o quanto meno non denigrando, la sua scelta di rivolgersi ad uno psicoterapeuta.

Sono questi gli obiettivi principali che si vogliono ottenere nel suggerire la lettura di questo articolo informativo. Importante non è dunque solo sapere cosa fare, ma anche cosa non fare.


COSA FARE

Cosa è possibile dunque fare quando un vostro familiare soffre di un disturbo d’Ansia?

Concedetegli lo spazio e il tempo per uscire dal suo problema

Ripetere di avere pazienza, che la terapia può avere tempi lunghi prima di fare effetto

credete ai sintomi che il vostro famigliare accusa

Anche se il paziente non fa passi avanti, cercate comunque di avere un atteggiamento di sostegno “non colpevolizzante”.

Trovate qualcosa di positivo in ogni esperienza. Se il vostro familiare riesce anche solo in parte a raggiungere un obiettivo consideratelo come una conquista piuttosto che un fallimento.

Sostenetelo nella sua autostima, non forzatelo nell'affrontare situazioni che potrebbero spaventarlo

Siate accettanti, ma non rassegnati, pensando che la persona colpita non potrà mai uscire dal proprio disturbo

Ricordate che la vostra ansia è giustificata: è normale essere preoccupati e persino a volte spaventati, quando una persona cara soffre di un disturbo d’Ansia.
Riservatevi degli spazi di svago per condividere momenti di gioia


COSA PUÒ ESSERE OPPORTUNO DIRE

Dimmi di cosa hai bisogno in questo momento

Puoi farcela, non importa come ti senti

Respira lentamente

Non la situazione o il luogo che ti creano disagio, ma il pensiero di non farcela in questo momento

Lo so che ciò che stai provando ora è doloroso, ma non è pericoloso

Tu sei coraggioso/a


COSA NON FARE

Cercate di non fare interpretazioni circa le sue necessità: chiedete direttamente quali sono i suoi bisogni e se richiesto, offrite il vostro aiuto

Non favorite l’evitamento: negoziate la possibilità di fare anche un piccolo passo in avanti, piuttosto che evitare completamente una situazione temuta.

Non fatevi prendere dal panico quando il vostro familiare non sta bene

Non prendetelo in giro se non riesce a fare qualcosa (es. entrare in un centro commerciale, guidare, andare da solo da qualche parte, intraprendere un viaggio, ecc. )

Non assecondate il familiare quando vorrebbe smettere la psicoterapia

Non sacrificate la vostra vita, accumulando risentimenti per ciò che ritenete di non poter fare, “a causa” del disturbo del familiare.


COSA NON DIRE

Non essere ansioso/a
Calmati
Devi reagire
Cerca di sforzarti
Non essere prigo/a
Vediamo se riesci a farcela (che vuol dire mettere alla prova la persona ansiosa)
Devi sforzarti di combattere contro questa situazione
Non essere ridicolo/a
E’ solo colpa tua
Non essere vigliacco/a


Altri suggerimenti:
MANTENERE LA ROUTINE FAMILIARE PER QUANTO POSSIBILE

In generale comunque è importante (soprattutto all’esordio del disturbo) non modificare eccessivamente la routine famigliare, facendo in modo che ciascun membro continui a fare la propria vita. Questo può essere di aiuto al paziente stesso. Avere intorno a sé un ambiente per quanto possibile normale, può aiutarlo a ricercare quella normalità ed equilibrio che ha momentaneamente perduto.

Una famiglia normale, con una propria vita parallela a quella del membro colpito da un Disturbo d’Ansia, è di maggior aiuto rispetto ad una famiglia tutta concentrata sul problema e frustrata dalla mancanza di tempo dedicato allo svago. Lo stesso paziente può anche aver bisogno di tempo per stare solo, per lavorare sul proprio disturbo, ed elaborare i contenuti che via via emergono durante il trattamento.


SOSTENERE LA TERAPIA

Questo significa appoggiare e dare fiducia agli accorgimenti terapeutici.

Se si sfiducia lo psicoterapeuta o psichiatra risulterà molto più facile che anche il vostro familiare rinunci a seguire quella terapia, con conseguenza che il percorso di cura potrebbe rallentare (se non andare incontro a peggioramenti) oppure i tempi di attesa per i miglioramenti potrebbero allungarsi

Questo tipo di appoggio è importante non solo all’inizio della trattamento ma durante tutto il percorso terapeutico. Sostenere il famigliare diventa fondamentale soprattutto quando ancora non si sono manifestati i miglioramenti ed il vostro caro può mostrare momenti di sconforto.

USARE UN PO’ DI HUMOUR

Un pizzico di ironia, intesa in senso positivo può aiutare a superare le difficoltà che inevitabilmente si presentano.

E’ un suggerimento banale, ma importante, in quanto aiuta a rendere alcuni comportamenti del familiare meno importanti ed a sdrammatizzarli. Naturalmente, è assolutamente vietata la presa in giro degli atteggiamenti del paziente o la minimizzazione del suo malessere.

Infine, si ritiene opportuno sottolineare che questi suggerimenti non hanno la pretesa di essere risolutori dei problemi che incontrate nel quotidiano con il familiare sofferente di un Disturbo d’Ansia. Tali indicazioni hanno l’obiettivo di favorire la riduzione delle tensioni e dei contrasti familiari che spesso ruotano attorno a questi disturbi, in modo da consentire un clima più favorevole per tutti e, in particolare, per permettere al paziente di affrontare al meglio il percorso di cura.


IL RUOLO DEI FAMILIARI DURANTE LE TECNICHE DI ESPOSIZIONE AGLI STIMOLI TEMUTI

Evitare alcuni luoghi o situazioni come ad esempio (i cinema, i centri commerciali, i supermercati, le feste, guidare, ecc) sono l’aspetto caratteristico di alcuni Disturbi d’Ansia - quali ad esempio il Disturbo di Panico con Agorafobia, oppure la Fobia Sociale. Tali comportamenti possono favorire l’instaurarsi di un rapporto di dipendenza dal familiare che assume il ruolo di accompagnatore. Il famigliare, ritenendo di ridurre, attraverso la sua presenza costante e protettiva, il livello di sofferenza del suo caro, in realtà, anche in modo non consapevole, rinforza il disturbo e le condotte di evitamento.

Infatti, in tal modo, non si permette al familiare di sperimentarsi come persona “efficace” nella gestione delle situazioni temute, aumentandone le sue difficoltà verso l’autonomia. E’ necessario, viceversa, apprendere modalità di risposta alternative, coerenti con gli interventi terapeutici, per riuscire a tranquillizzare il familiare/paziente e ridurre al minimo le condotte di evitamento.

Ad esempio una tecnica della psicoterapia cognitivo-comportamentale è quella far esporre gradualmente il paziente alle situazioni temute.

Tale intervento durante le fasi iniziali, prevede il coinvolgimento dei familiari, nel ruolo di accompagnatori durante le prime uscite.

La tecnica infatti prevede che, una volta fissati degli obiettivi finali, questi vengono graduati in sottopassaggi di difficoltà crescente, a partire dalla situazione più facilmente affrontabile.

L’impegno richiesto ai familiari è modesto e si limita ai primi passaggi che possono, tuttavia, richiedere di essere ripetuti per svariate volte. Infatti, la tecnica prevede che per passare al livello di difficoltà successivo, sia necessario ripetere l’esposizione più semplice, finchè il paziente non si sente a suo agio nella situazione, o comunque l’ansia arrivi a livelli accettabili.

In generale, gli accompagnatori dovrebbero comunque attenersi ai suggerimenti indicati nella pagine precedenti, per relazionarsi in modo costruttivo con la persona che soffre di un Disturbo d’Ansia (in particolare vedi il punto cosa fare e cosa non fare).

Soprattutto, non drammatizzare se le prime esperienze dovessero risultare difficoltose, ed il paziente non riuscisse proprio a portare a termine l’obiettivo previsto: l’importante è riprovarci, ed in tal senso l’appoggio solidale dell’accompagnatore (senza forzature eccessive) sarà fondamentale. In tal caso potrebbe essere utile dire:

ho visto che ti sei impegnato/a. Capisco le tue difficoltà. Io sono disponibile per quando vorrai riprovarci. Hai comunque avuto il coraggio di superare le tue paure iniziali ed hai provato ad affrontare la situazione. Questo è già un passo avanti.

Per i familiari partecipare ad alcune fasi del trattamento, può essere l’occasione di entrare attivamente in un processo di cambiamento che comunque li vedrebbe coinvolti.

Tale modalità di aiuto, attuata con la guida di un esperto, può confermare in piccola parte, il ruolo protettivo che hanno svolto fino a quel momento senza escluderli dal progetto di cambiamento del paziente.

D’altra parte, ciò restituisce gradualmente spazi di autonomia, sia per il paziente, sia per i familiari stessi, migliorando l’intesa familiare e la qualità di vita del paziente e dei suoi famigliari.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Baldini F. Homework un'antologia di prescrizioni terapeutiche. McGraw-Hill, Milano, 2004
Bara B.G. Nuovo Manuale di Psicoterapia Cognitiva. Bollati Boringhieri, Torino, 2005
Rovetto F. Panico: origini, dinamiche, terapie. McGraW-Hill, Milano, 2003