martedì 4 maggio 2021

Il disturbo da panico è un problema invalidante che tutti dovrebbero imparare a gestire





Gli attacchi di panico sono un grosso problema con il quale tante persone combattono ogni giorno. Innanzitutto bisogna imparare a riconoscerli. A qualcuno sarà probabilmente capitato, magari mentre faceva la spesa o era al bar, di cominciare a sentire il cuore battere forte in maniera innaturale. A questo, magari, si sono aggiunti capogiri, tremori, sudorazione eccessiva, una sensazione di nodo alla gola e di non riuscire a respirare.

Tutto questo insieme provoca paura di svenire e un senso di terrore generalizzato. I pensieri si accavallano: se sopraggiungesse lo svenimento? Se non ci fosse nessun aiuto? Il panico diventa troppo e arriva il momento in cui addirittura si fugge, e non si riesce più a tornare magari a fare la spesa con calma o nella stessa situazione sociale in cui è avvenuto l’attacco. Che, tra l’altro, non è durato più di una decina di minuti.

Attenzione se si cronicizza

I Lettori più attenti avranno sicuramente riconosciuto tutti i segnali tipici di un attacco di panico. Non è una cosa così inusuale e almeno il 30% delle persone ne sono state colpite una volta nella vita.

Può diventare un problema cronico, e in questo caso viene definito “disturbo da panico”, in circa l’uno per cento di questi soggetti. Il disturbo da panico è un problema invalidante che tutti dovrebbero imparare a gestire.

Questa improvvisa manifestazione di ansia è di fatto un’escalation di quella già normalmente presente. Le paure che si manifestano – quella di morire, di impazzire, di subire gravi danni fisici, come un infarto – hanno una sorta di “memoria”. L’ansia dipende, infatti, anche da certe condizioni ambientali e circostanziali.

Rivolgersi a un professionista

Per esempio, se si ha avuto un attacco prima di andare a dormire, o durante le ore notturne, si può sviluppare una paura che diventa cronica quando si avvicina quel momento della giornata. Quando questo disturbo comportamentale si cronicizza, ecco che si inizia a parlare di disturbo di panico.

Il disturbo da panico è un problema invalidante che tutti dovrebbero imparare a gestire. Compromette la serenità della vita, ma la psicoterapia offre a tutti i mezzi per risolvere la questione. L’importante è sempre confrontarsi con un professionista del settore per riprendere il controllo della propria vita.

Maggio è il mese della salute mentale: 3 cose che devi smettere di fare subito


Era il 1949 quando Mental Health America decise di istituire negli Stati Uniti un mese della salute mentale. Insieme alla Giornata Mondiale della Salute Mentale, che si tiene ogni anno il 10 ottobre, l’intero mese di maggio è un’occasione per sensibilizzare sull’argomento e suggerire alla popolazione di sottoporsi a screening e valutazioni del proprio stato mentale. In occasione della ricorrenza, ogni anno verso la metà di marzo MHA rilascia un toolkit di materiale utile da utilizzare in maggio per le valutazioni e la propaganda.

A distanza di oltre 70 anni, abbiamo ancora bisogno – forse più che mai – di un mese della salute mentale per aumentare la consapevolezza su problemi sempre più diffusi. Tuttavia, se qualcosa si sta risvegliando a livello internazionale, in Italia ci scontriamo ancora con pregiudizi e ingiustificati timori che sembrano duri a morire.

Cercare su Google la chiave “mese della salute mentale” restituisce ben pochi risultati e da fonti non sempre autorevoli. Diverso è quando la ricerca viene effettuata in lingua inglese: sia che si cerchi “mental health month” o “mental health awareness month”, la pagina dei risultati ci porta su siti di associazioni di rilevanza notevole, per lo più britanniche o americane.

Mese della salute mentale 2021, riconnettersi con la natura come chiave per il nostro benessere



È interessante come il mondo moderno presti grande attenzione alla cura della salute mentale degli individui: yoga, meditazione, bilanciamento vita-lavoro, burnout e crescita serena sono argomenti di cui si discute sempre più spesso e in maniera diffusa, anche all’interno di aziende e ambienti lavorativi.

L’argomento a cui quest’anno è stata dedicata la settimana dal 10 al 16 maggio è proprio la riconnessone con la natura. Soprattutto a seguito del preoccupante aumento di casi di ansia e depressione seguiti all’isolamento della pandemia, la riconnessone in ogni suo aspetto è un concetto chiave per il benessere mentale di chiunque.

Si parla tanto di salute mentale, ma la malattia mentale è ancora un tabù

Eppure, in una società che tanto spinge perché gli individui raggiungano in se stessi un certo livello di armonia, parlare di malattia mentale, anziché di salute mentale, è ancora un tabu. Condizioni come ansia e depressione sono ancora viste come gestibili dal semplice pensiero positivo. Argomenti come episodi maniacali, attacchi di panico e – il grande innominabile – suicidio sono ancora intoccabili. “Non dire certe cose” è la risposta standard quando si tenta di parlarne.

Come se la salute mentale fosse – nonostante la grande attenzione dei media – ancora vista come una scelta o un’attitudine. Come se non fosse parte dello stato di salute generale dell’individuo e le malattie mentali non avessero, spesso e volentieri, cause fisiologiche trattabili con adeguate terapie.

Eppure, e questo dato dovrebbe farci riflettere, esperti e terapeuti mettono in guardia dall’incidenza notevole delle malattie mentali nella popolazione: secondo la National Alliance for Mental Illness, almeno il 20% della popolazione soffre di una qualche tipologia di disturbo mentale.

Il lancio di hashtag come #1in5 e la presenza sempre più importante di influencer e attivisti per la salute mentale sui social dovrebbe farci riflettere su questo. Sempre più persone si trovano a combattere con un nemico potente, sconosciuto – particolarmente quando a insorgere sono i primi sintomi – e soprattutto invisibile.

Leggi anche: Giornata Mondiale della Salute Mentale, la situazione in Italia

3 abitudini che tutti possiamo cambiare a partire dal mese della salute mentale



Come fare, allora, per sensibilizzare sul serio sulla salute mentale? Fare prevenzione e sensibilizzazione, a partire dalle scuole ad esempio, potrebbe portare a una più diffusa cultura della salute e della malattia mentale. Pensando in grande, si potrebbe spingere per una maggiore accessibilità dei servizi di supporto e terapia per chi ne ha bisogno, magari addirittura istituire uno psicologo di base che lavori fianco a fianco con il medico generico.

Ma se volessimo partire da un obiettivo più raggiungibile, più alla nostra portata?

Anche in questo caso, ci sono senza dubbio cose che possiamo fare. Un primo passo è riflettere, prima di tutto, su alcune abitudini o atteggiamenti che sminuiscono le battaglie di chi si confronta quotidianamente con la malattia mentale. Ecco tre semplici passi alla portata di tutti per migliorare la vita delle persone che abbiamo intorno.

Leggi anche: Andare dallo psicologo è ancora un tabù: 5 miti da sfatare

1. Smetti di utilizzare le malattie mentali come se fossero aggettivi

Sei proprio bipolare. Mamma mia come sei ansiogeno. Non entrare in casa con le scarpe, ché sono un po’ ossessivo-compulsivo.

Uno dei motivi per i quali le malattie mentali sono poco comprese, e spesso sottovalutate, è la superficialità con la quale utilizziamo parole mutuate dalla terminologia medica nel linguaggio comune.

Il primo passo da fare per una consapevolezza su tutto ciò che riguarda al salute e la malattia mentale potrebbe essere questo, una piccola abitudine che ci aiuti a rimettere le cose nella giusta prospettiva. “Bipolare” non è sinonimo di lunatico, volubile o imprevedibile. “Ansia” non è sinonimo di tensione e nemmeno di paura. “Ossessivo-compulsivo” non è sinonimo di preciso o metodico. Sarebbe un mondo molto più semplice se lo fosse, ma non è così. Quindi, come prima cosa, cominciamo a utilizzare le parole con cognizione di causa.

2. Smetti di pensare che è solo una questione di stile di vita

Parliamoci chiaro, uno stile di vita sano è certamente un alleato formidabile della nostra salute. Il tema del mese della salute mentale 2021, come dicevamo, è proprio la riconnessone con la natura. Ma, se una corretta alimentazione, la giusta quantità di moto e una visione del mondo leggera e positiva possono aiutarci a prevenire un gran numero di complicazioni, non bisogna mai dimenticare che lo stile di vita da solo non guarisce dalle manifestazioni di una malattia mentale, esattamente come non guarisce da quella fisica.

Allo stesso modo dovremmo smettere di utilizzare a sproposito espressioni come “antidepressivo naturale”. A giudicare da quello che si legge sui media e sui social, qualunque minerale, alimento, attività o pratica sembra essere un antidepressivo naturale. Di nuovo: se è vero che dedicarsi alla cura di se stessi può aiutarci nella prevenzione di complicazioni spiacevoli, la depressione è una condizione da non sottovalutare e, quando si verifica un episodio depressivo, bisogna affidarsi a un professionista e non solo a uno stile di vita curato. Idem per altre convinzioni tossiche sulla stessa riga.

3. Smetti di paragonare i tuoi problemi a quelli degli altri

Resilienza, esiste un termine più abusato? Questa caratteristica encomiabile dell’animo umano, tipica di chi riesce a imparare dal dolore senza venirne annientato, ci viene ormai propinata come risposta a qualunque problema, spesso in maniera tossica. Se è vero che l’ottimismo è un’attitudine salutare, è altrettanto vero che rabbia, frustrazione e tristezza sono emozioni umane che, in alcuni casi, è necessario vivere. Sopprimerle perché c’è chi sta peggio o perché abbiamo tanto per cui sentirci felicipuò essere più deleterio che utile.

Quando una persona chiede aiuto, molti sono portati a paragonare la propria esperienza di vita a quella di chi sta soffrendospesso elevando il proprio dolore e le proprie vittorie come fossero più legittimi di quelli altrui. Così, in risposta a persone di successo che dichiarano di aver sofferto o di star soffrendo di problemi psichiatrici, si leggono commenti del tipo “Vorrei mandarli a lavorare in fabbrica per fargli capire cosa si prova” oppure “Perché essere tristi se non gli manca nulla?”.

Questa attitudine non fa che sminuire l’esperienza di vita altrui – che spesso è ben al di fuori di ciò che possiamo immaginare e comprendere – e soprattutto alimenta il pregiudizio comune per il quale alcune patologie mentali non sono considerate malattie.

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Ricorda che ogni esperienza di vita è valida quanto la tua



Forse dovremmo tenere a mente questo. Una malattia non tiene conto della nostra situazione familiare, della carriera, della realizzazione personale e di quanto amore abbiamo intornoSemplicemente arriva e fa piazza pulita di ogni cosa. Senza una ragione, spesso senza una causa scatenante, semplicemente si presenta e prende il controllo.

Dovremmo smettere di minimizzare le richieste di aiuto di chi ha il coraggio di mostrarsi così vulnerabile da aprirsi su un argomento tanto delicato. E ricordare sempre una nozione fondamentale: quando alziamo la voce sui social definendo pigro, ingrato o inetto un personaggio famoso che rivela di avere problemi di salute mentale, il personaggio in questione non leggerà mai il nostro commento, ma un caro amico che sta soffrendo sì. E se ne ricorderà.

Dal Sito: ildigitale.it 

Depressione post partum, come si manifesta?


Dopo aver partorito, a molte donne capita di soffrire di depressione post partum. Si tratta di un problema relativamente frequente che colpisce 1 donna su 10 nell’arco dei 12 mesi successivi al parto. Depressione post partum, come si manifesta? Scopriamolo insieme.

Depressione post partum: come si manifesta

La depressione post partum è a tutti gli effetti una depressione che si distingue dalle forme più classiche di quest’ultima essenzialmente per il particolare periodo di insorgenza (da un mese a un anno dopo la nascita del bambino) e per alcune specifiche componenti alla base del suo sviluppo, soprattutto sul piano ormonale e psicoemotivo. I segnali e i sintomi che devono far sospettare la presenza della depressione post partum, invece, sono del tutto sovrapponibili a quelli della depressione unipolare.

Saper interpretare le proprie sensazioni e reazioni psichiche dopo la nascita del bambino è fondamentale per capire se si sta attraversando un comune “baby blues“, che si risolverà da solo in poco tempo, o se si può trattare di una vera depressione post partum, da sottoporre all’attenzione del medico e da trattare in modo specifico.

I sintomi della depressione post partum possono essere simili a quelli della depressione maggiore e comprendere: tristezza estrema, sbalzi d’umore, pianto incontrollabile, insonnia o ipersonnia, perdita di appetito, irritabilità e rabbia, mal di testa, estrema stanchezza, preoccupazioni eccessive o disinteresse nei confronti del bambino, sensazione di inadeguatezza, paura di far male al bambino, senso di colpa per i sentimenti provati, ideazione suicidaria, ansietà o attacchi di panico.

Depressione post partum: come si manifesta e le cause

Non esiste una singola causa responsabile della depressione post partum. D’altronde, possono giocare un ruolo favore allo sviluppo della patologia fattori fisicistile di vitastato emotivo.

Dopo la nascita del piccolo, infatti, si verifica una drammatica discesa dei livelli ormonali e questi cambiamenti possono determinare sbalzi d’umore e stanchezza.

Inoltre, quando si attraversa un periodo in cui viene a mancare il corretto riposo e si è sopraffatti dal sonno, possono risultare di difficile risoluzione anche i problemi quotidiani. 

Inoltre, la presenza di un bambino esigente o la presenza di fratelli maggiori, le difficoltà di allattamento al seno, i problemi finanziari o la mancanza di sostegno da parte del partner possono portare allo svilupparsi di tale patologia.

Depressione post partum: come si manifesta e cosa fare

La terapia varia sulla base della gravità della depressione e dei bisogni individuali. Se si è in una fase cosiddetta di baby blues, generalmente questa scomparirà per conto proprio entro pochi giorni, fino a un massimo di due settimane. Nel frattempo, occorre prendersi più riposo possibile, accettando anche l’aiuto dei familiari

La depressione post partum vera e propria viene spesso curata attraverso una corretta consulenza e terapia. Per quanto riguarda la consulenza, può essere d’aiuto parlare del proprio malessere con uno psichiatra o uno psicologo. Attraverso la consulenza dello specialista, si può trovare un modo migliore per far fronte ai propri sentimenti, risolvere problemi e raggiungere traguardi realistici. A volte anche una terapia di famiglia o di coppia può aiutare.

Dal Sito: mammemagazine.it