domenica 29 luglio 2018

Apatia: come contrastarla



L’apatia è la mancanza di entusiasmo e voglia di agire. Colpisce soprattutto le giovani generazioni. Come riconoscerla e contrastarla.

L’apatia deriva dalla parola latina apathìa e significa “essere privi di passione”. Si manifesta con l’indolenza, la pigrizia, la mancanza di entusiasmo e la scarsa voglia agire.

Nell’antica Roma, per la filosofia stoica, l’apatia era considerata una “virtù” per l’essere umano. Attraverso questa condizione il filosofo stoico poteva cogliere ispirazioni inedite capaci di elevarlo. Lo stoico non doveva abbattersi di fronte alle condizioni avverse. La sua abilità era da rintracciare nella capacità di cogliere dalle situazioni difficili una lezione positiva di cui argomentare. Nella società odierna invece l’apatia ha assunto una valenza negativa.

Ad essere soprattutto apatici sono le nuove generazioni e di più gli uomini rispetto alle donne. Siamo nell’era del digitale in cui siamo esposti a continui e ripetuti stimoli che però si esauriscono velocemente e non ci consentono di fare in tempo a trarne i benefici e la soddisfazione. Tutto sfugge al nostro controllo e tutto viene sostituito nell’immediato. Non c’è più il valore della conquista nella realizzazione di un obiettivo.

Spesso l’apatia viene confusa con la depressione ma è diversa da quest’ultima. Chi è apatico non prova sofferenza per la sua condizione. Al contrario il soggetto depresso vive male e viene assalito da stati emotivi negativi spesso cronici accompagnati da ansia e attacchi di panico. Gli psicologi individuano tre tipologie di apatia:

- Apatia in seguito ad una delusione: alcune persone diventano apatiche perché dentro di sé si genera una grande rabbia che non sanno come esprimere se non soffocandola attraverso l’assenza di motivazione;

- Apatia a carattere imitativo: è quel tipo di indolenza che connota la personalità di soggetti cresciuti in un contesto di vita in cui i familiari erano privi di entusiasmo. E’ tipico di quelle persone che non hanno nulla da dire;

- Apatia connessa a depressione: ha risvolti più gravi e porta d uno stato emotivo in cui il soggetto si sente auto-svalutato, abbattuto e incapace di condurre efficacemente la propria esistenza.

Ecco 5 consigli utili per poter contrastare un periodo di apatia :

1)Coltivare una passione: imparare uno strumento musicale, scrivere, imparare una nuova lingua. Fare una o più esperienze significative ci aiuta a capire cosa ci fa stare bene, cosa ci appassiona davvero;

2) Imporsi degli obiettivi: fissare un obiettivo ogni giorno e fare di tutto per realizzarlo. Impegnarsi attivamente in esso permette di trovare uno scopo alle proprie giornate. Ci fa sentire utili e performanti;

3)Trovare il lato creativo delle situazioni: ogni evento o attività che svolgiamo può riservarci un lato inedito che spetta a noi scoprire. Riuscire ad individuarlo ci permette di arricchirci umanamente;

4) Evitare di autocommiserarsi: non serve a nulla ripetersi che le cose non cambieranno mai in questo mondo. Non ascoltate la voce auto-sabotatrice che non vi consente di migliorare e riemergere da questo stato di indolenza;

5) Circondarsi di gente positiva: raccontare a qualcuno come ci si sente spesso ci fa acquisire nuove consapevolezze. Isolarsi non fa bene. Cercate di frequentare gente che vi fa sentire a vostro agio e vera della quale fidarsi e che sia capace di aiutarvi.

Mariangela Cutrone

Dal Sito: m.ilgiornale.it

Paura di impazzire e di perdere il controllo: Psicopatofobia


Si manifesta con i sintomi dell’ansia e con una costante ricerca di rassicurazione, continue visite specialistiche, consulti di siti dediti all’argomento.

La paura di impazzire è una delle paure più diffuse alla base del Disturbo da Attacchi di Panico o del Disturbo Ossessivo.

Detta anche psicopatofobia si manifesta con i sintomi dell’ansia e con una costante ricerca di rassicurazione, continue visite specialistiche, consulti di siti dediti all’argomento.

La sensazione di perdita di controllo è percepita molto grave, pericolosa e temuta, viene considerata insopportabile e rischiosa. La paura di stare perdendo o di poter perdere il controllo sul proprio comportamento motorio e verbale o della propria attività di pensiero rappresentano esperienze mentali comunemente vissute in chi sperimenta un momento di intensa paura o di uno stato prolungato di ansia.

E’ possibile definire questi fenomeni come dei pensieri interni che si manifestano in modo soggettivo sotto forma di immagini mentali, di frasi verbali o più semplicemente di sensazioni, come se ogni volta ci si trovasse alle prese con un vissuto di intensa paura o di ansia. Spesso la paura di perdere il controllo della propria mente e la conseguente paura di fare del male a qualcuno o a se stessi conduce la persona a mettere in atto delle soluzioni che, se reiterate nel tempo, conducono ad un incremento dei sintomi e della paura.

Il non sentirsi più di avere il controllo di mente e corpo, il forte senso di irrealtà, la sensazione di estraneità dal corpo e da ciò che lo circonda, le palpitazioni, i brividi sono tutti sintomi d’ansia che possono stordire a tal punto da far credere al soggetto di non essere in grado di riprendere il controllo della situazione e di stare impazzendo.

Le persone non diventano “pazze” improvvisamente e il solo fatto di analizzare la propria sanità mentale è già indice di normalità.

Questa fobia è di per se paradossale, dato che nelle patologie psichiatriche come ad esempio le psicosi, uno dei sintomi principali è proprio la mancanza di insight, cioè di consapevolezza di malattia.

I soggetti affetti da disturbo psicotico non hanno potere sugli episodi psicotici che possono durare per giorni o addirittura per settimane, periodo durante il quale non vi è la percezione della perdita di controllo. Cosi, anche se l’ansia può far sentire la persona “come se“ stesse impazzendo, resta comunque una sensazione che non ha nulla a che vedere con un vero episodio psicotico.

A volte la paura di impazzire è momentanea, ma ci sono casi in cui diventa un’ossessione. Solitamente le persone mettono in atto dei meccanismi per cercare di ridurre il disagio come ad esempio l’evitamento di tutte le situazioni ad “alto rischio” di panico, ciò però può produrre una riduzione progressiva delle normali attività del quotidiano, iniziando da quelle che comportano l’esposizione diretta con i luoghi o le situazioni potenzialmente pericolosi, fino ad arrivare, nei casi più gravi, a periodi più o meno lunghi di vero e proprio ritiro sociale ed isolamento da qualunque contatto interpersonale.

Si crea un circolo vizioso che alimenta il Disturbo di Panico, impegnandosi in un’attività costante di evitamento di tutte le situazioni ritenute responsabili dell’esperienza di panico, rafforzerebbe indirettamente il convincimento che l’interazione diretta con questi eventi porti alla perdita di controllo temuto.

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo potrebbe rispondere allo stato ansioso percepito con quel rituale compulsivo ritenuto utile a ridurre la probabilità di insorgenza dei pensieri temuti e del vissuto emotivo ad essi associati (lavarsi frequentemente le mani, ripetere mentalmente delle frasi), rinforzando conseguentemente la presenza di tali credenze disfunzionali.

Il trattamento è basato sulla terapia farmacologica e un percorso di psicoterapia con l’obiettivo di imparare a gestire pensieri, emozioni e comportamenti attraverso tecniche di rilassamento, di respirazione e meditazione.

Lo scopo è quello di far abbassare “la temperatura della caldaia” per diminuire il livello di emotività che “come un vaso colmo d’acqua, basta una minima goccia per far traboccare il vaso” e far scattare i meccanismi di difesa.

Dott.ssa Daniela Lazzarotti

Dal Sito: riviera24.it

Claustrofobia: perche si soffre?



Per affrontare la claustrofobia è importante prendere coscienza del proprio stato di malessere psicofisico perché è un disturbo fobico che potrebbe rendere difficile l’agire della vita quotidiana quindi meglio affrontarlo e capire le motivazioni per cui si soffre.

Il termine claustrofobia deriva dalla lingua latina claustrum (luogo chiuso) e dal greco fobia (ossia timore ossessivo per i luoghi chiusi) ed è un disturbo che può modificare il modo in cui affrontiamo la vita di tutti i giorni. L’ascensore, la metropolitana, i luoghi affollati, una stanza chiusa senza finestre, una strada intasata dal traffico possono trasformarsi in veri e propri luoghi di terrore che si preferisce evitare. Questo disturbo può essere l’unica spia di uno stato di angoscia che per il resto rimane latente, o può accompagnarsi ad altri sintomi psichici: agorafobia, ipocondria, ansia generalizzata. Spesso affrontare la situazione temuta, e spesso anche solo l’idea di affrontarla, può far scattare un importante attacco di panico. La persona che soffre di claustrofobia è pienamente consapevole dell’irrazionalità della sua paura ma non riesce a dominarla, soprassederla, gestirla, vivendo un disagio molto profondo; cercherà di evitare situazioni che potrebbero far emergere nuovamente il disturbo fobico precedentemente vissuto e non dominato. Vediamo insieme perché si soffre di claustrofobia e quali i rimedi per sconfiggerla.

Che cos’ è la claustrofobia?

La claustrofobia consiste in una paura degli spazi chiusied affollati ed è una delle paure più comuni e più diffuse. Solitamente è una manifestazione ansiosa associata al ricordo di una esperienza traumatica probabilmente vissuta in un luogo chiuso, affollato ed angusto. Chi soffre di claustrofobia vive sensazioni negative, di angoscia e disagio non appena si trova rinchiuso in ascensori, metropolitane, sotterranei, luoghi affollati. Pertanto, la persona che soffre di tale disturbo cerca in tutti i modi di evitare le situazioni in cui si sente soffocata e/o accerchiata, adottando strategie di evitamento o ricercando la presenza rassicurante di un familiare, compromettendo le azioni della vita quotidiana. Come la maggior parte dei disturbi fobici, anche la claustrofobia è accompagnata da stati ansiosi e spesso da manifestazioni somatiche come sudorazione accentuata, aumento della frequenza cardiaca (tachicardia), nausea, sensazione di svenimento, disturbi del respiro, senso di oppressione e timore di morire. Spesso, la claustrofobia rappresenta un fenomeno passeggero, destinato a scomparire spontaneamente però, in alcuni casi, questo disturbo fobico richiede il ricorso alla terapia farmacologica e/o  psicoterapia.

Sintomi e cause della claustrofobia

I sintomi della claustrofobia insorgono nel momento in cui la persona sta vivendo la situazione fobica e variano in base alla gravità della paura e sono:

ansia

fiato corto

tachicardia

vampate di calore

tremore

sudorazione

senso di vertigini

svenimento

dolore al petto

attacchi di panico

Chi soffre di tale disturbo fobico, inoltre potrebbe:

cercare di evitare le situazioni scatenanti che innescano la paura, come salire in metropolitana, ascensore, frequentare luoghi affollati e dalle ridotte dimensioni;

stare vicino alle porte di uscita o finestre se la stanza è molto affollata;

tenere sempre ben presente le porte di uscita, nei locali che si frequentano.

Quali sono le cause del disturbo? Molto poco si conosce rispetto alle cause che determinano la claustrofobia. Si pensa che i fattori principali siano l’ambiente circostante, la questione genetica ed anche ricordi traumatici vissuti nel corso dell’infanzia. Per quanto concerne la questione genetica, alcuni studi individuano la causa principale nella disfunzione dell’amigdala, una parte del cervello che gestisce le emozioni  ed in particolar modo la paura e che influenza il processo di percezione del pericolo. Oltre alla questione genetica, si aggiunge anche una percezione spaziale problematica. Il disturbo, infatti, potrebbe avere una correlazione con il meccanismo percettivo della paura in relazione allo spazio, meccanismo che anticamente doveva avere un ruolo fondamentale dal punto di vista dell’istinto di sopravvivenza. Anche traumi vissuti nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza possono avere un legame con l’insorgenza del disturbo; infatti la claustrofobia si sviluppa durante i primi anni di vita, fino al massimo all’adolescenza. Gli eventi traumatici vissuti possono essere:

restare bloccati in un mezzo pubblico affollato oppure in un luogo piccolo ed affollato per un lungo periodo di tempo;

assistere a delle forti turbolenze in aereo;

essere mandati in castigo in un luogo piccolo e buio;

avere uno dei due genitori che soffre del disturbo di claustrofobia.

Infine nell’età adulta, questo disturbo, associato ad una bassa autostima, può tradursi con un’ansia verso ciò che è in grado di limitare la libertà, ovvero luoghi chiusi.

Cura e trattamento della claustrofobia

La claustrofobia viene curata prevalentemente, facendo ricorso alla psicoterapia. E’ sempre opportuno ricordare che tale disturbo fobico è una condizione curabile e che la maggior parte delle volte sparisce con l’età. L’utilizzo di farmaci può placare il problema sul momento, però non costituisce una soluzione definitiva. Ecco perché risulta opportuno affrontare il problema attraverso un percorso psicoterapico, volto a riconoscere gradualmente traumi e nodi del passato lasciati in sospeso, aiuto fondamentale per avere una visione differente di sé e del proprio vissuto.

I trattamenti più comuni sono:

psicoterapia cognitivo-comportamentale: aiuta ad avere una percezione dei pensieri negativi, a controllarli e gestirli in modo opportuno e consono all’evento che potrebbe scatenare la paura;

terapia di rilassamento: si tratta di mettere in atto tecniche di rilassamento (ad esempio immaginando di essere in un posto sicuro, in un luogo poco affollato con diverse uscite di sicurezza) utili ad affrontare, in maniera positiva, le situazioni di claustrofobia;

terapia di esposizione: il soggetto che presenta il disturbo fobico è esposto direttamente a situazioni che potrebbero scatenare la paura, ciò al fine di rafforzare l’individuo e la percezione di se stesso e dell’ambiente circostante;

terapia comportamentale razionale emotiva: Aiuta a focalizzare l’attenzione sulle emozioni che si vivono in situazioni, abitudini e comportamenti insani; partendo dal riconoscimento di tali emozioni negative si lavora sul loro fronteggiamento e si focalizza l’attenzione sul presente al fine di realizzare un cambiamento delle abitudini di vita insane;

farmaci: consigliati antidepressivi e ansiolitici per tenere sotto controlli possibili attacchi di panico.

Cosa fare in caso di claustrofobia?

Per superare un attacco di panico e/o ansia causato dalla claustrofobia occorre:

prestare attenzione su qualcosa di sicuro, come il passare del tempo scandito dalla lancetta dei secondi dell’orologio;

ripetersi che la paurache si sta vivendo èirrazionale e passeggera cercando di focalizzare l’attenzione sui pensieri positivi;

ascoltare musica e/o canticchiare qualche canzone;

respirare profondamente elentamente;

chiudere gli occhi, se possibile, e visualizzare situazioni che infondono positività e gioia (le risate di un bambino che gioca; un prato soleggiato).

Le situazioni di pericolo non vanno evitate; questo rimedio non funziona come le soluzioni a lungo termine, perché prima o poi ci si ritrova in una situazione di panico che non deve essere evitata ma gestita.

Dal Sito: laleggepertutti.it

Perchè il caldo ci dà alla testa



Le alte temperature rendono meno efficienti le funzioni cognitive superiori, favoriscono i comportamenti aggressivi e peggiorano i disturbi d'ansia. Il nostro approfondimento.

«Quanta gente maleducata e nervosa c’è in giro in questi giorni…sarà il caldo che dà alla testa!». È una battuta che sento spesso ultimamente. È detta in tono ironico, ma in realtà corrisponde a ciò che è comprovato anche dagli studi scientifici: le alte temperature hanno un effetto negativo sul nostro funzionamento cognitivo e anche sul nostro comportamento, rendendoci più aggressivi.

Il caldo, in particolare quello umido, ci influenza negativamente per diversi motivi, diretti e indiretti.Quando fa molto caldo, il corpo deve spendere una gran quantità di energia (sotto forma di glucosio) per mantenere la temperatura interna in un intervallo accettabile e salutare, sottraendo così carburante al cervello e rendendo meno efficienti le funzioni cognitive: siamo meno capaci di riflettere, di collegare le idee, di mantenere la concentrazione, di prendere decisioni, di orientarci nello spazio. I riflessi sono rallentati a tal punto, che si ritiene che guidare in un’automobile in cui la temperatura superi i 35 gradi equivalga a guidare in stato di ebrezza.

Gli improvvisi sbalzi di temperatura nel passaggio dal caldo esterno al freddo dell’aria condizionata e viceversa influenzano la produzione di ormoni provocando irrequietezza, nervosismo, difficoltà del sonno e sintomi ansiosi.

Si è osservato che nei mesi più caldi si registra un picco nella frequenza di omicidi, violenze domestiche, stupri e abuso di sostanze. Una possibile spiegazione è nel fatto che il caldo eccessivo stimola la produzione di adrenalina e testosterone da parte dell’organismo, che tenta in questo modo di regolare la propria temperatura. Tuttavia, queste sostanze favoriscono l’aggressività, l’irritabilità, la propensione ai comportamenti violenti e all’uso di sostanze, allentando i freni inibitori e aumentando l’impulsività.

Il caldo incide sul nostro benessere psicofisico anche indirettamente, provocando stress attraverso la perdita del sonno, l’alterazione dei ritmi biologici, la digestione più faticosa, la spossatezza. Ci sentiamo stanchi, rallentati, meno motivati.

Chi soffre d’ansia può andare incontro, con il caldo intenso, ad un’esacerbazione dei sintomi. Le alte temperature, infatti, provocano tachicardia e sudorazione, sintomi simili a quelli dell’ansia, che vanno ad aggiungersi o sovrapporsi al malessere già sperimentato dai soggetti ansiosi. Inoltre, il calo della pressione associato al caldo procura di per sé un senso di agitazione psichica e di confusione mentale.

Chi soffre di attacchi di panico in genere tende ad attribuire un significato patologico a sensazioni corporee che possono essere di per sé fisiologiche, innocue e casuali; è l’interpretazione catastrofica di queste sensazioni come qualcosa di minaccioso e pericoloso che attiva un’escalation di ansia fino all’attacco di panico. Il caldo purtroppo offre molteplici stimoli da cui può innescarsi un attacco di panico. Infatti le sensazioni di spossatezza, di affanno o i giramenti di testa comunemente associati a un caldo intenso, possono scatenare nelle persone che soffrono di ansia e attacchi di panico la convinzione che stia avvenendo qualcosa di grave. Le sensazioni provocate dal caldo vengono caricate eccessivamente di un significato patologico e possono portare così all’attacco di panico.

Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta

Dal Sito: centropagina.it 

venerdì 27 luglio 2018

Ansia: sintomi e cura



Non esiste nessuno al mondo che non abbia provato ansianel corso della propria vita.

L’ansia di per sé, tuttavia, non è un fenomeno anormale. Si tratta di un’emozione di base, che comporta uno stato di attivazione dell’organismo quando una situazione viene percepita soggettivamente come pericolosa. L’ansia indica quindi un complesso di reazioni cognitive, comportamentali e fisiologiche che si manifestano in seguito alla percezione di uno stimolo ritenuto minaccioso e nei cui confronti non ci riteniamo sufficientemente capaci di reagire.

Ansia sintomi

Sintomi cognitivi dell’ansia

Dal punto di vista cognitivo i sintomi tipici dell’ansia sono il senso di vuoto mentale, un senso crescente di allarme e di pericolo, l’induzione di immagini, ricordi e pensieri negativi, la messa in atto di  comportamenti protettivi cognitivi, la sensazione marcata di essere osservati e di essere al centro dell’attenzione altrui.

Sintomi comportamentali dell’ansia

Nella specie umana l’ansia si traduce in una tendenza immediata all’esplorazione dell’ambiente, nella ricerca di spiegazioni, rassicurazioni e vie di fuga. La strategia principale istintiva di gestione dell’ansia è inoltre l’evitamento della situazione temuta (strategia “better safe than sorry” – “meglio prevenire che curare”).

Sono frequenti inoltre comportamenti protettivi (farsi accompagnare, assumere ansiolitici al bisogno, ecc.), anassertivi e di sottomissione.

Sintomi fisici dell’ansia

L’ansia inoltre, è spesso accompagnata da manifestazioni fisiche e fisiologiche quali tensione, tremore, sudore, palpitazione, aumento della frequenza cardiaca, vertigini, nausea, formicolii alle estremità ed intorno alla bocca, derealizzazione e depersonalizzazione.

Di seguito descriveremo meglio alcuni sintomi fisici dell’ansia, come si manifestano e quali sono le eventuali conseguenze:

Palpitazioni. Occorre, per quanto possibile, distinguere diverse condizioni riferibili alle palpitazioni: il cardiopalmo, la tachicardia e l’aritmia. Quest’ultima, ad esempio, si verifica spesso con battiti irregolari anche nelle persone sane, durante le loro attività quotidiane ed è più probabile che si presentino quando la persona è in ansia. Può essere indotta da una serie di agenti quali nicotina, caffeina, alcol e squilibrio elettrolitico. Spesso l’interpretazione data a tale sintomo fisico durante uno stato ansioso è legata all’idea di avere un infarto anche se alla base vi è un’aumentata eccitabilità elettrofiosiologica del muscolo cardiaco che non ha conseguenze negative dal punto di vista medico.

Dolore toracico. È un sintomo fisico che può presentarsi durante periodi di ansia elevata in assenza di un disturbo cardiaco. Può quindi derivare da fonti diverse quali la respirazione toracica e i disturbi gastrointestinali (es. reflusso esofageo o spasmi esofagei). Quando la persona interpreta catastroficamente le cause benigne del dolore è possibile che lo stato ansioso aumenti portando anche al panico. Ma in realtà sappiamo che quando emerge uno stato ansioso molto elevato, il corpo secerne adrenalina che causa un aumento del battito cardiaco e il corpo lavora più velocemente. È un modo evolutivo per preparare meglio la persona a gestire le situazioni di pericolo. Se l’adrenalina danneggiasse il cuore, come avrebbe potuto l’uomo sopravvivere sino ad oggi? Dunque, l’accelerazione del battito cardiaco dovuta agli stati ansiosi non causa attacchi di cuore; deve esserci qualcosa di patologico, perché questo accada.

Sensazione di mancanza di respiro. Respirare è un’azione che funziona indipendentemente da ciò che una persona pensa o fa, è automaticamente controllata dal cervello. Infatti i controlli cerebrali funzionano anche quando si cerca di smettere di respirare.

La sensazione di mancanza di respiro è molto frequente nei disturbi d’ansia e deriva dalla protratta e ripetuta respirazione toracica (pettorale). Infatti, una risposta fisica allo stress è la relativa dominanza della respirazione toracica su quella addominale che porta però all’affaticamento dei muscoli intercostali, che si sforzano e hanno spasmi che causano disagio e dolori pettorali inducendo la mancanza di sensazione di respiro. Se non si riesce a capire che queste sensazioni sono indotte dalla respirazione toracica, allora sembreranno improvvise, spaventose, portando la persona ad allarmarsi ulteriormente.

Nausea o disturbi addominali.Lo stomaco si contrae e si rilassa in modo regolare e costante. Quando questo ritmo è disturbato si presenta la nausea. Diversi fattori possono portare a questa sensazione fisica come l’ingestione di certi cibi, i disturbi vestibolari, l’ipotensione posturale o anche stimoli precedentemente neutri. La funzione dell’alimentazione e della digestione sono le prime a bloccarsi durante uno stato di allerta, ma se la persona interpreta erroneamente la nausea come un segno dell’imminente vomito è più probabile che l’ansia aumenti e porti al panico. Ma, fortunatamente, che la nausea porti al vomito accade raramente, è più probabile che le persone sovrastimino questa eventualità.

Tremori e sudorazione. I primi sono movimenti involontari, oscillatori e ritmici di una o più parti del corpo, causati dalla contrazione alternata di movimenti muscolari opposti. La sudorazione invece aiuta a controllare la temperatura corporea, che si innalza quando vi sono stati ansiosi. Infatti, lo stress stimola il sistema nervoso simpatico con aumento dei livelli di adrenalina e noradrenalina che stimolano un aumento del metabolismo, incrementando così la produzione del calore e la conseguente sudorazione utile all’abbassamento della temperatura corporea. Nuovamente, maggiore è l’attenzione e la catastrofizzazione rispetto a tali sintomi fisici maggiore sarà la probabilità che questi aumentino di intensità.

Vertigini: le vertigini sono il prodotto dell’illusione del movimento di sé o dell’ambiente. Consistono in sensazioni di confusione o di giramenti, di capogiri o di stordimenti. Quando le informazioni provenienti dal sistema dell’equilibrio (sistema visivo, somatosensoriale e vestibolare) entrano in conflitto si verificano le vertigini. I problemi dell’equilibrio e i sintomi fisici associati (instabilità, ansia, sudore freddo, palpitazioni) possono verificarsi anche in seguito ad ansia, iperventilazione e reazioni comuni allo stress come stringere la mascella e i denti. Ovviamente l’intensità delle vertigini può aumentare se viene data maggiore attenzione a queste sensazioni.

Derealizzazione o depersonalizzazione. La depersonalizzazione (sensazione di irrealtà) o la depersonalizzazione (sentirsi distaccati da sé stessi), sono esperienze che possono essere indotte da stanchezza, deprivazione del sonno, meditazione, rilassamento o l’uso di sostanze, alcol e benzodiazepine. Vi sono inoltre altre cause più sottili legata a brevi periodi di deprivazione sensoriale o riduzione di input sensoriali, come ad esempio fissare 3 minuti un punto su un muro. L’aspetto curioso è che, anche qui, il circolo vizioso si instaura in base all’interpretazione data a questi sintomi fisici: quando si sperimenta depersonalizzazione o derealizzazione (esperienza che un terzo della popolazione ha sperimentato) più una persona si spaventa, più respira,  più si carica di ossigeno (eliminando anidride carbonica) più aumenta la sensazione di depersonalizzazione o derealizzazione.

Tutti questi sintomi fisici dell’ansia, che spesso spaventano generando circoli viziosi, dipendono dal fatto che, ipotizzando di trovarsi in una situazione di reale pericolo, l’organismo in ansiaha bisogno della massima energia muscolare a disposizione, per poter scappare o attaccare in modo più efficace possibile, scongiurando il pericolo e garantendosi la sopravvivenza.

L’ansia, quindi, non è solo un limite o un disturbo, ma costituisce una importante risorsa, perché è una condizione fisiologica, efficace in molti momenti della vita per proteggerci dai rischi, mantenere lo stato di allerta e migliorare le prestazioni (ad es., sotto esame).

Quando l’attivazione del sistema di ansia è eccessiva, ingiustificata o sproporzionata rispetto alle situazioni, però, siamo di fronte a un disturbo d’ansia, che può complicare notevolmente la vita di una persona e renderla incapace di affrontare anche le più comuni situazioni.

I disturbi d’ansia

I disturbi d’ansia conosciuti e chiaramente diagnosticabili sono i seguenti (cliccate per approfondimenti):

Fobia specifica (aereo, spazi chiusi, ragni, cani, gatti, insetti, ecc.)

Disturbo di panico e agorafobia (paura di stare in situazioni da cui non vi sia una rapida via di fuga)

Disturbo ossessivo-compulsivo

Fobia sociale

Disturbo post-traumatico da stress

Disturbo d’ansia generalizzata

Tali disturbi sono tra i più frequenti nella popolazione, creano grossa invalidazione e spesso non rispondono bene ai trattamenti farmacologici. Si rende necessario pertanto intervenire efficacemente su di essi con mirati interventi psicoterapeutici brevi di orientamento cognitivo-comportamentale, che hanno dimostrato alta efficacia in centinaia di studi scientifici.

Ansia cura e rimedi

Quando l’ansia diventa estrema e incontrollabile, sfociando in uno dei suddetti disturbi d’ansia, occorre un intervento professionale che possa aiutare la persona a gestire i sintomi così fastidiosi e invalidanti.

Ansia terapia farmacologica

I farmaci ansiolitici, sopratutto le “famose” benzodiazepine, sono largamente impiegate ma sono utili solo se utilizzate occasionalmente e per brevissimi periodi. In caso contrario presentano grossi problemi di assuefazione e astinenza che peggiorano la situazione anziché migliorarla. Anche i farmaci antidepressividi ultima generazione sono prescritti facilmente con funzione ansiolitica nel trattamento dei disturbi d’ansia e hanno una certa efficacia, che però solitamente si perde alla sospensione della terapia, oltre a presentare molto spesso effetti collaterali (sonnolenza, disfuzioni sessuali, problemi gastrointestinali, aumento di peso, ecc.).

Ansia cura psicoterapeutica

La psicoterapia per i disturbi d’ansia è indubbiamente il trattamento principale e dal quale è difficile prescindere. In particolar modo la terapia cognitivo comportamentale ha mostrato tassi di efficacia elevatissimi e si è affermata nella comunità scientifica come la strategia di prima scelta nella cura dell’ansia e dei suoi disturbi. L’intervento richiede solitamente alcuni mesi, con sedute a cadenza settimanale, ed è estremamente raro che venga erogato dai servizi pubblici. Occorre pertanto rivolgersi a un serio centro privato di psicoterapia cognitivo comportamentale, che garantisca alta qualità e serietà dei professionisti.

Ansia rimedi di altra natura

L’ansia, soprattutto quando non raggiunge livelli estremi tipici di un vero e proprio disturbo d’ansia, può essere gestita con tecniche di rilassamento, strategie di meditazione mindfulness e rimedi naturali, quali valeriana o altri prodotti erboristici calmanti. Questi rimedi per l’ansia possono essere d’aiuto e coadiuvanti a un trattamento psicoterapeutico, ma difficilmente sono risolutivi.

Altri problemi legati all’ansia

Vi sono poi altri tipi di problemi legati all’ansia, che non fanno parte dei disturbi d’ansia in senso stretto, quali la paura di volare, la paura di guidare, il disturbo d’ansia da separazione, che spesso si associa a crisi di panico e/o agorafobia, oppure l’ansia da prestazione, molto presente nei disturbi sessuali, ma anche nella fobia sociale e in alcuni disturbi di personalità.

Dal Sito: ipsico.it

martedì 24 luglio 2018

La mia lotta


Ricordo che la primissima volta che ne sentii parlare ero sul balcone di casa 
"non riesco a finire il respiro" dissi a chi stava con me. Poi venne la sensazione di soffocamento, quella di cadere nel vuoto da seduta, le vertigini e il blocco in gola così forte da farti venire paura di mangiare.  
È ansia mi continuavano a ripetere...ma ansia di cosa? Non ho nulla per cui essere in ansia...con la psicoterapeuta imparai un po' di cose, ora la sentivo arrivare. Poi all' improvviso più niente. Tutto a posto: mangiavo, dormivo, guidavo, viaggiavo ...finché lei non è tornata e non riesco a liberarmene, credo che dovrò solo capire come tenerla a bada, farmela amica perché lei è qui sempre, la sento sempre. Arriva quando devo mangiare, guidare, viaggiare, dormire ...e come fai vivere? Esatto non vivo, boh vado avanti capita che magari per pranzo mi lasci stare ma poi per cena arriva e io mi sento soffocare e ho fame ma mi strozzo, guido ma solo in città, niente tangenziali autostrade ne viaggi lunghi, e se sono il passeggero beh va a momenti. Ho fatto voli da 12 ore con le ginocchia in gola senza fiatare, oggi scelgo tratte brevi un paio d'ore, se mi va bene riesco a distrarmi se no combatto tra la nausea le vertigini le gambe che mi scattano e 
l'idea di essere in un affare chiuso dal quale non posso uscire. Ma io amo viaggiare voglio vedere quanto più posso, voglio muovermi. 
Mi dicono che lei non va assecondata, che se la assecondi non vivi più perché lei si prenderà tutte le tue abitudini normali e tu per paura cercherai di evitarle, ma tanto non servirebbe lo stesso perché si prenderebbe anche quello che resta. Non voglio vivere col pensiero di aspettarla, aspettare con ansia l'arrivo dell'ansia è faticoso già solo scriverlo. Lei mi cammina affianco e si nutre dei momenti in cui sono più debole, più stanca, un po' agitata, anche se quelli che adora sono i momenti di pace, di relax, quelli in cui dici "ok ora stacco il cervello, mi riposo sto bene nulla può andare storto perche voglio e posso stare bene" eccola lì...non aspettava altro le gambe si fanno molli il respiro si affatica la gola si stringe il sudore si alterna ai brividi e hai completamente perso il controllo del tuo corpo, la vista è annebbiata e ti vedi come se stessi guardando te stessa in TV, ti vedi ma non puoi aiutarti. Inizi la respirazione, poi l' autoipnosi, poi pensieri positivi, training autogeno a volte preghi anche perché quando vedi che qualunque cosa non sembra funzionare allora preghi di addormentarti e svegliarti il giorno dopo quando è tutto passato, preghi che quel peso al petto si dissolva, preghi che qualcuno o qualcosa ti aiuti perché sei sfinita . Quando il giorno dopo ti svegli sei debole, ti senti stupida perché in fondo volevi solo passare una serata tranquilla, fare un viaggio,una gita... respirare, mangiare, guardare un film. Oppure, se hai avuto la fortuna di non essere sola ti senti in colpa per lui/lei, perché gli hai rovinato la serata, perché ha visto la parte più vulnerabile di te, perché lo hai fatto morire da paura o sentire disarmato.

Oggi è il 24 luglio, sono a Creta, in vacanza, dopo un periodo un po' tormentato ho pensato "una vacanza non potrà farmi che bene, così resetto, ricarico le batterie e quando torno sono pronta a ripartire".
Ho fatto le mie lotte in pullman, in aereo, e ce l'ho fatta, ieri sera ero al ristorante con il mio ragazzo,il mare, affamata, senza nessun motivo apparente che potesse farmi pensare all'incubo che poi ho /abbiamo vissuto. Prima il caldo asfissiante, la debolezza, il corpo ti abbandona, la testa vuole fare una cosa ma il risultato è pressoché l'opposto. Sono andata in camera "al sicuro" mi sono lasciata andare, lui non mi ha mai lasciata, mi ha detto le cose giuste, mi ha aiutata a respirare, mi ha guardata senza parlare, ha cercato di farmi mangiare e mi ha fatta piangere fino a sentirmi scarica...non mi ha mai fatta sentire in colpa, inadatta, malata...pazza. Stanotte ho di nuovo capito che ho bisogno di aiuto e che da sola è troppo difficile, sono combattiva, non ho intenzione di lasciarla vincere, anche se a volte non la penso così. Sono fortunata ho una famiglia, un fidanzato, degli amici che sanno e che capiscono che con curiosità e con l'intento di aiutarmi hanno accettato di entrare in questo mondo. 
Questo è per chi non ha questa stessa fortuna, per chi affronta tutto sentendosi dire" è solo stress" "è un po' di ansia stai tranquilla", non è cattiveria, non sempre almeno, ma se non provi non puoi capire e non vi auguro di provare ma almeno di cercare di capire, magari affianco a voi c'è chi  vive apparentemente una vita normale ma in realtà vive una lotta continua contro di lei.


Sara

lunedì 23 luglio 2018

Tristezza: a volte basta un sorriso!



La tristezza è un'emozione opposta alla gioia che si prova quando perdiamo qualcosa a cui teniamo molto, ma attenzione: è diversa dalla depressione.

La tristezza è un’emozione che manifestiamo in seguito a una serie di eventi sfortunati, dall’esito nefasto, rispetto ai quali non riusciamo a individuare nessuna possibile alternativa.

Oggi ci imbatteremo in un tortuoso sentiero di montagna, in discesa, che a un certo punto ci porta in una strada priva d’uscita. Cosa fare? Abbiamo perso la strada, non siamo in grado di ritrovarla e lo sconforto non mancherà ad arrivare. Capita nella vita di sentirsi senza nessuna alternativa percorribile al punto che, in alcune occasioni, abbandoniamo la speranza e la voglia di cercare. Chiaramente in quei momenti siamo pervasi da un unico stato d’animo: la tristezza.

La tristezza è un’emozione negativa che si sperimenta nel momento in cui perdiamo qualcosa di caro irrimediabilmente. A quel punto possiamo diventare molto tristi e continuiamo a ruminare in maniera autosvalutativa.

La tristezza è un’emozione che manifestiamo in seguito a una serie di eventi sfortunati, dall’esito nefasto, rispetto ai quali non riusciamo a individuare nessuna possibile alternativa. Quindi, quando perdiamo qualcosa a cui teniamo, l’umore precipita e ci critichiamo autosvaluatandoci per non aver saputo affrontare adeguatamente la situazione.

Di conseguenza la postura diventa ricurva, come se fosse di chiusura verso qualsiasi tipo di alternativa possibile, e la mimica facciale assume tratti caratteristici, come fronte corrugata, labbra piegate e sguardo perso nel vuoto.

Esistono agiti comportamentali che spesso accompagnano questa emozione, si tratta di crisi di pianto, catatonia, mancanza di voglia di mangiare e in estrema ratio di vivere. Tutto questo è accompagnato da continue lamentele e recriminazioni sempre rivolte verso se stesso, nella percezione di non aver fatto abbastanza a per questo di non avere alternative.

Una persona triste non ha più mordente sia da un punto di vista relazionale sia sociale, per questo preferisce la solitudine in cui continua a pensare e ripensare a quello che ha perso. L’intensità emotiva varia in base all’importanza data all’oggetto perso.

Quindi, se mi lascia il mio ragazzo/a chiaramente divento molto triste, se perdo il mio iPad, sono triste, ma meno intensamente. In ogni caso è uno stato passeggero, a meno che non si cristallizzi. A quel punto diventa uno stato patologico che può diventare qualcosa di più della tristezza: depressione.

Attenzione, la tristezza non è la depressione. Quest’ultima è una patologia molto più invasiva e quantitativamente più invalidante. Porta ad avere una visione negativa di se stessi, del mondo e degli altri. La depressione è uno stato che può protrarsi e che in alcuni casi sfocia in situazioni funeste. Dalla depressione non si esce con un atto di volontà, ma tramite psicoterapia e terapia farmacologica.

Insomma, essere tristi non significa essere depressi, per questo basta a volte un sorriso, anche forzato, per far migliorare il tono dell’umore. Ricordate cosa diceva Mary Poppins? <<Basta un poco di zucchero e la pillola va giù, la pillola va giù, la pillola va giù. Basta un poco di zucchero e la pillola va giù, tutto brillerà di più!>>

di Francesca Fiore

Dal Sito: stadeofmind.it

venerdì 20 luglio 2018

Summer sadness: come affrontare depressione estiva e attacchi di panico


Per tutta l'estate si può soffrire di ansia, attacchi di panico, apatia. Massimo Soldati, psicoterapeuta, spiega come si distingue la summer sadness dall'adattamento stagionale. In più, i consigli per sopravvivere all’estate

«I got that summertime summertime sadness…», canta Lana del Rey in Summertime Sadness, uno dei tanti brani di successo della pop star, tratto dal suo album Born to Die (2012). Evocata da scrittori e poeti nelle loro opere, la depressione estiva o summertime sadness chiamata anche summer blues, per chi ne soffre, non ha nulla di poetico. Secondo i dati del NAMI – National Alliance of Mental Illness, la depressione estiva negli Stati Uniti colpisce circa il 10% della popolazione adulta. Ma, nonostante i numeri, la summer blues è sottovalutata rispetto alla più nota depressione invernale o winter blues.

CHE COS’È LA SUMMERTIME SADNESS
La SAD (Seasonal Affective Disorder o disordine affettivo stagionale) fu descritta e nominata per la prima volta nel 1984 dallo psichiatra sudafricano Norman E.Rosenthal che ne modificò la classificazione: da disturbo unico dell’umore adisturbo a ‘pattern stagionale’, ovvero depressione maggiore ricorrente che si manifesta in specifici intervalli di tempo nell’arco dell’anno e poi regredisce. Nel 1987, con il collega Thomas Wehr del National Institute of Mental Health (Maryland, U.S.), fece un passo avanti nelle sue ricerchedefinendo i termini della Summertime SADness: secondo gli studiosi l’aumento della luce può causare picchi di produzione di melatonina e, di conseguenza, modificare i ritmi circadiani che influiscono sui neurotrasmettitori e sulla fisiologia cerebrale, la quale si modifica per adattarsi al cambio climatico.


COME SI RICONOSCE LA SUMMERTIME SADNESS
«Bisogna fare attenzione a non confondere l’adattamento stagionale con la depressione», afferma il dottor Massimo Soldati, psicologo e psicoterapeuta, autore di Corpo e Cambiamento(ed.Tecniche Nuove). «Il caldo, il maggior numero di ore di luce, i cambiamenti nelle abitudini quotidiane (ci si alza prima al mattino, si fa più tardi la sera, si cambia tipo di alimentazione, si sta all’aperto e così via) nei soggetti predisposti possono scatenare reazioni avverse che non sono necessariamente ascrivibili alla SAD o Summertime Sadness. Brevi attacchi d’ansia, modificazioni del ritmo sonno-veglia, mancanza d’appetito, apatia possono essere i sintomi dell’adattamento dell’organismo al cambio di stagione, uno stato psico-fisico normale e fisiologico che solitamente si risolve in una manciata di giorni a inizio estate o, perlomeno, si riduce d’intensità. Diverso è il discorso quando lo stato d’animo diventa così ‘nero’ da impedire le normali attività quotidiane, quando i problemi sono montagne insormontabili, quando si è convinti di non farcela, quando si soffre di attacchi di panico, quando l’estate con i suoi annessi e connessi è insopportabile. In questo caso si potrebbe parlare di SAD: il periodo estivo può portare in superficie una depressione sotterranea finora celata, scatenare la depressione estiva in soggetti con familiarità o peggiorare la depressione in alcune persone. Per la diagnosi, però, è necessario il parere di un esperto», conclude Soldati.


SE LA VACANZA DIVENTA UN INCUBO
Mare, montagne, paesaggi esotici, visi sorridenti sullo sfondo del mare blu, queste cartoline in alcuni soggetti scatenano l’ansia da vacanza, una sorta di holiday summer sadness che trasforma il periodo di riposo in un incubo. «Questo accade perché in vacanza, per il nostro corpo,inizia la fase trofotropica, ovvero di recupero e riposo, al contrario della fase ergotropica tipica della fase attiva e lavorativa che richiede dispendio di energie. Inoltre, cambiare le abitudini, i ritmi quotidiani, le amicizie, le relazioni consolidate sono esperienze che molti vivono come stressanti e causa di sconforto. La nuova condizione psico-fisica può determinare ansia, emicrania, apatia», dice lo psicoterapeuta. «Oggigiorno siamo super stressati, non viviamo a contatto con la natura, non sappiamo più riconoscerne i ritmi, il respiro. Enon riusciamo a seguire e rispettare l’andamento lento e cadenzato delle stagioni. Di conseguenza, quando siamo costretti a farlo, in vacanza, ci sentiamo a disagio, come pesci fuor d’acqua, perché il nostro corpo e la nostra mente non riconoscono quel nuovo stato delle cose. Cosa si può fare?Imparare ad ascoltarsi», avverte Soldati.

di LUCIANA BUSSINI

Dal Sito: iodonna.it

lunedì 16 luglio 2018

Attacchi di panico e ansia: cosa sono e come riconoscere le ‘onde anomale’ di paura



L’attacco di panico è una vera e propria malattia. Anche se non lascia segni evidenti sul nostro corpo, si manifesta violentemente e senza preavviso, paralizzando la vita di chi ne soffre. Troppo spesso i suoi sintomi vengono ignorati o perchè confusi con altre patologie o per il senso di vergogna che il malato prova nel dover giustificare una paura irrazionale. È importantissimo che tutti noi impariamo a riconoscere questa sindrome, per intervenire subito sia con noi stessi sia con chi amiamo.

In Italia sono circa 10 milioni le persone che hanno sperimentato almeno una volta un attacco di panico, considerato da DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), come un disturbo d'ansia. Un evento emotivo improvviso, devastante e all'apparenza inspiegabile. Nonostante non lasci segni visibili sul corpo, può segnare, se non curato, con cicatrici indelebili chi lo sperimenta, diventando una vera e propria malattia invalidante. Gli individui più colpiti sono i giovani dai 20 ai 30 anni e le donne che, secondo le statistiche, presentano un'incidenza doppia rispetto agli uomini. È importante saper riconoscere subito i sintomi, troppo spesso o sottovalutati o confusi, rivolgendosi agli specialisti e poter così tornare a vivere "tranquillamente" le nostre paure.

Il disturbo da attacchi di panico (DAP) 
È un fenomeno singolo con inizio e una fine che non va confuso con uno stato d'ansia cronico o comunque duraturo. Può manifestarsi ovunque, come in fila alla cassa di un super mercato, sotto la doccia o mentre ci si accinge ad addormentarsi. È descritto, da chi lo vive, come "un'onda anomala" di paure che improvvisamente ci colpiscono. I sintomi fisici descritti sono molto forti e non di rado scambiati con un attacco cardiaco. Le sensazioni di chi vive un DAP sono così spiacevoli da influire negativamente anche su i momenti normali. Generano un vero e proprio "terrore del terrore" con una fobia che l'evento si ripresenti o uno stato depressivo che porta il malato di DAP ad isolarsi. Secondo i medici l'attacco di panico è un segnale di un disagio emotivo, che qualcosa non funziona. La sua comparsa è spesso associata a grandi cambiamenti, non per forza negativi, come può essere la nascita o la perdita di una persona cara, un divorzio o altri eventi significativi.

Sintomi
senso di oppressione o fastidio al petto
tremori
palpitazioni
tachicardia
vampate
brividi
paura di impazzire
depersonalizzazione
senso di fame d'aria
paura di morire
tremori alle braccia e/o alle gambe
sensazioni di torpore o di formicolio

Cosa fare in caso di attacco di panico

Controlla la respirazione. L'iperventilazione provoca vertigini e oppressione al petto, sintomi che si verificano durante un attacco di panico. Imparando a controllare il respiro, puoi calmarti prima che l'ansia cominci a crescere

Impara a rilassare i muscoli. Una risposta atavica del corpo umano al pericolo è l'irrigidimento muscolare, per permetterci di difenderci o di scappare. In caso di attacco di panico, dato che è una paura psicologica, che non si può né colpire con un pugno, né da cui si può sfuggire correndo, rilassa i muscoli in tensione, ti aiuterà ad uscire dalla condizione di allerta
 
Distraiti. Quando l'ansia inizia a passare, concentrarti su ciò che ti circonda e continua a fare ciò che stavi facendo prima.

Cosa fare per prevenire un attacco di panico
Dormi un numero sufficiente di ore. Il sonno insufficiente o di scarsa qualità può peggiorare l'ansia, quindi cerca dormire da sette a nove ore a notte
Allenarsi regolarmente. È provato che l'esercizio fisico abbassa significativamente il cortisolo, anche detto l'ormone dello stress. Allenarsi o praticare uno sport è un ottimo metodo per prevenire i DAP
Evita sigarette, alcool e caffeina. I vari effetti collaterali dati dall'assunzione di questi prodotti possono aumentare o provocare i sintomi di un DAP

È possibile curare gli attacchi di panico?
La cura del disturbo da attacco di panico si presenta in svariate forme, anche a causa della multi fattorialità della malattia. Ricordiamo che all'insorgere dei primi sintomi è buona regola recarsi da un medico che ci consiglierà il percorso di cura più adatto. Se infatti farmaci e terapie comportamentali possono aiutare a contrastare gli spiacevoli sintomi e aiutarci a tornare a vivere una vita normale, lo stato d'ansia, di cui spesso il DAP è la punta dell'iceberg, richiede una terapia psicoterapica per trovare e capire le cause che la generano.

di Lorenzo Fargnoli

Dal Sito: scienze.fanpage.it

sabato 14 luglio 2018

VERSO LA SALUTE E IL BENESSERE


Esperienze di vita come dolore, malessere fisico ed esperienze di profonda tristezza ci limitano nel condurre la vita che desideriamo. Vi sono, infatti, scenari che si ripetono dandoci la sensazione che nulla possa cambiare e realizzare i nostri desideri. A volte abbiamo la senzazione di subire semplicemente la vita senza dare a noi stessi la possibilità di scegliere quello che desideriamo essere.

La distanza fra come vorremmo fosse la nostra vita e come realmente è si esprime spesso sotto forma di problemi psicologici, dolore fisico, frequente stress o ansia, ricorrenti stati d'animo negativi e indesiderati. Forse, sentiamo il desiderio di cambiare ma non sappiamo come farlo.
Il primo passo verso un reale cambiamento richiede la volontà di imparare come queste esperienze si manifestano nella nostra vita. Ognuno di noi ha la capacità di scegliere di andare oltre i limiti creati da questa condizione tramite anche un' aumento delle capacità per raggiungere i propri obiettivi.

Nel corso della nostra vita, a volte, abbiamo imparato a reagire alle diverse situazioni, in modo ripetitivo o condizionato. Manifestiamo queste risposte con tutto il nostro modo di essere, con le nostre relazioni, con il nostro comportamento, con il nostro modo di muoverci, respirare, pensare, agire e reagire emotivamente.

Vivendo secondo questa definizione tendiamo a mantenere la ripetione nella nostra vita. Limitando la nostra curosità e il bisogno di scegliere e di imparare impediamoalla nostra capacità di espressione di manifestarsi completamente.Con il passare del tempo il ripetersi di questi modi di fare e di essere possono portare al verificarsi di condizioni patologiche persistenti come cattive relazioni, ansia, panico, depressione.....

Anche se sappiamo quello che ci sta accadendo o di cosa soffriamo, spesso non riusciamo a modificare questi comportamenti ed atteggiamenti.
Non li consideriamo come il possibile risultato di un'abitudine o di un comportamento appreso, diciamo semplicemente "Io sono fatto così" ed impariamo a conviverci consentendo a questa situazione di limitarci ulteriormente. Abitudini, malesseri e stati d'animo si esprimono anche fisicamente nei nostri corpi. Nello stesso modo in cui li abbiamo imparati, possiamo disimpararli e riuscire a fermarli e per poterlo fare dobbiamo scoprire come si manifestano e che motivo hanno di esistere.

L'irrazionalità di "potercela fare da soli" è spesso alla base stessa di un modo di pensare insidioso. Se l'imperativo di essere autoterapeuti è la punta di un iceberg che rivela l'impossibilità a fidarsi, l'illusione della totale autosufficienza, il dovere forte di essere forti, allora è proprio l'avvicinarsi iniziale alla relazione terapeutica che può illuminare il cammino psicologico. Scegliere uno psicologo può essere semplice, proseguire e arrivare al profondo con impegno e costanza, con coraggio e distensione rappresenta il lavoro più duro che deve fare il paziente. Come dice Confucio, "Se al mattino un uomo ha sentore della strada giusta, la sera può morire senza rimpianto".


Dott. Lorenzo Flori

venerdì 13 luglio 2018

Attacchi di panico, quando l’ansia diventa una vera e propria patologia


Tra i tanti sentimenti che ognuno di noi prova ogni giorno, uno di quelli più destabilizzanti è senza dubbio l’ansia.

Può capitare a chiunque, in certi momenti della vita, di sentirsi particolarmente sotto pressione, in stress e, quindi, scattare per un nonnulla, avvertendo tensione emotiva e apprensione indeterminata.

Ma quando si arriva a una situazione di ansia diffusa e indeterminata, apparentemente senza cause specifiche, si arriva a provare anche un malessere somatico.

Ed in periodi particolarmente stressanti e pieni d’ansia, non di rado si verificano attacchi di panico.

Gli attacchi di panico sono episodi improvvisi e destabilizzanti dal forte impatto fisico ed emotivo. Nella manifestazione classica hanno una durata di una ventina di minuti e sono caratterizzati da sintomi fisici tra cui tachicardia, dolore al petto, tremori, sudorazione, brividi, nausea e dolori addominali e da sintomi più cognitivi: sensazione di irrealtà, di distaccamento da sé, paura di impazzire, di morire o di perdere il controllo.

Possono presentarsi singolarmente oppure con maggior frequenza, arrecando notevole sofferenza e impattando negativamente sulla qualità della vita di chi ne soffre.

Dopo aver provato una volta la spiacevole esperienza di un attacco di panico, la persona colpita teme ovviamente che possa accadere di nuovo. Si innesca, dunque, un circolo vizioso che può trasformare il singolo attacco di panico in un vero e proprio disturbo di panico. Si apprende così ad avere “paura della paura”.

Psicologicamente si può avere la sensazione di essere lontani dalla realtà concreta della situazione e da se stessi, mentre al termine della crisi di angoscia ci si sente esausti e sfiniti. La situazione peggiore è quella in cui la persona sente l’angoscia salire ed è anche costretta in uno spazio-tempo confinato, quindi non può muoversi neanche fisicamente.

La predisposizione genetica, il clima familiare in cui si è cresciuti, il carattere, lo stress, le preoccupazioni, l’aver subito traumi o aggressioni, e le difficoltà personali, sociali e lavorative possono essere annoverate tra le possibili cause degli attacchi di panico, ma l’esperienza ci dice che queste forme di ansia acuta non sono in genere legate ad una specifica situazione, o ad una singola “causa”.

Una delle cause fisiologiche dell’attacco di panico è anche l’ipoglicemia ovvero un calo del livello di zuccheri del sangue che per una serie di reazioni biochimiche fa scattare come campanello d’allarme la sintomatologia dell’attacco. E’ importante quindi che il livello della glicemia nel sangue sia costante durante il giorno.

Generalmente, come abbiamo già detto, la maggior parte degli attacchi si risolve tuttavia nel giro di pochi minuti, correlata da esercizi di controllo della respirazione al fine di poter recuperare uno stato di calma.

In altri casi gli attacchi di panico richiedono un intervento terapeutico mirato, laddove gli episodi risultano fortemente invalidanti sia per la salute dei soggetti che per quella delle persone a loro vicine.

La forma di psicoterapia che la ricerca scientifica ha dimostrato essere più efficace, nei più brevi tempi possibile, è quella “cognitivo-comportamentale”. Si tratta di una psicoterapia breve, a cadenza solitamente settimanale, in cui il paziente svolge un ruolo attivo nella soluzione del proprio problema e, insieme al terapeuta, si concentra sull’apprendimento di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali alla cura degli attacchi di panico, nell’intento di spezzare i circoli viziosi del disturbo.

Anche gli antidepressivi sono stati creati per curare la depressione, ma si sono rivelati efficaci anche nella terapia dei disturbi d’ansia. Questi farmaci iniziano a modificare i processi chimici cerebrali già dopo la primissima dose, ma per diventare pienamente efficaci devono modificare equilibri che richiedono un’assunzione regolare per almeno 4-6 settimane prima che i sintomi inizino ad attenuarsi.

Infine, che gli attacchi di panico siano dovuti a stati ansiosi, stress o dipendano direttamente da malattie organiche come l’ipertiroidismo o da altri fattori come abuso o astinenza di droghe o alcol, rivedere il proprio stile di vita e il rapporto con il proprio corpo non può che migliorare la situazione. L’attività fisica svolge un ruolo fondamentale, poiché permette all’organismo di scaricarsi e stare bene fisicamente, e conferisce autostima, sicurezza dei propri mezzi e serenità psicologica.

Dal Sito: veb.it

giovedì 12 luglio 2018

Attacchi di panico: quando la paura diventa una patologia



Gli attacchi di panico sono in grado di alterare la percezione della realtà dei soggetti colpiti, dimostrandosi spesso totalmente invalidanti, associati alla paura della morte, ad un senso di catastrofe imminente, sino a comportare crisi respiratorie senza un vero e proprio motivo alla base di tali reazioni.

Quando si giunge alla diagnosi di un attacco di panico ci si riferisce generalmente a vere crisi ansiose, esaltate alla massima delle potenze. Sotto un normale equilibrio psicofisico l’ansia rispecchia una parte fondamentale presente nella vita di tutti i soggetti, spesso associata anche a conseguenze positive fatta eccezione per gli attacchi di panico.

In condizioni normali l’ansia si dimostra in grado di prevenire le eventuali minacce esterne, consentendoci di reagire preventivamente a specifiche situazioni. Nel caso degli attacchi di panico invece il soggetto risulta totalmente in balia delle emozioni, raggiungendo picchi elevati d’ansia al punto da risultare ingestibili.

Ad un attacco di panico viene associato un corredo sintomatico fisico composto da un’accelerazione del battito cardiaco, difficoltà respiratorie, tremori diffusi, parestesia, sudorazione eccessiva, sensazione di soffocamento, assenza di concentrazione e difficoltà linguistiche, conseguente confusione a livello mentale.

Nei casi più estremi il soggetto affetto da un attacco di panico potrebbe necessitare di un’ospedalizzazione, provocando nella psiche un vero e proprio black out.

Generalmente la maggior parte degli attacchi si risolve tuttavia nel giro di pochi minuti, correlata da esercizi di controllo della respirazione al fine di poter recuperare uno stato di calma.

In altri casi gli attacchi di panico richiedono un intervento terapeutico mirato concentrato sulle sedute di psicoterapia cognitiva comportamentale, laddove gli episodi risultano fortemente invalidanti sia per la salute dei soggetti che per quella delle persone a lui vicine.

L’utilizzo dei psicofarmaci non viene consigliato da tutti i terapeuti, limitando tale decisioni ai casi psichici altamente invalidanti, non privi di effetti collaterali e pericolose dipendenze dal farmaco stesso.

Di Serena Baldoni
Dal Sito: www.esauriente.it

martedì 10 luglio 2018

Quel grido di aiuto chiamato attacco di panico


Tachicardia, brividi, nausea e sudorazione, misti a paura di impazzire e perfino di morire: sono solo alcuni dei sintomi più frequenti degli attacchi di panico, che nascono in situazioni in cui ci si sente bloccati o non all’altezza.
E che ci ricordano che possiamo essere fallibili


Era mercoledì e Sharon camminava tra i banchi del supermercato pensando a cosa avrebbe potuto cucinare per la cena di Shabbat. Era stanca e preoccupata. Voleva fare bella figura con sua suocera, ma non le veniva in mente nulla che fosse all’altezza.Tra il lavoro e i suoi tre figli, il tempo per mettersi ai fornelli era veramente scarso.
Manuel, il più piccolo era con lei e le sorrideva dal carrello cercando di attirare la sua attenzione. Ma quel sorriso e quei richiami non riuscivano a infonderle gioia, bensì le ricordavano che se lasciati inascoltati ancora a lungo si sarebbero tramutati ben presto in urla. L’avrebbero sentita tutti, compresa quell’insopportabile pettegola della cugina del marito che aveva incontrato poco prima. Si sentiva un fallimento. Sua suocera, di figli ne aveva avuti 5 e non mancava mai di ricordarle quanto, senza aiuto, fosse riuscita a cimentarsi in pranzetti succulenti per il marito e per tutta la famiglia. Possibile che lei, Sharon, fosse così incapace? Possibile non essere in grado di gestire ciò che per gli altri sembrava essere tanto banale? A un tratto le mani si fecero fredde e sudate, il cuore le scoppiava in gola, aveva la nausea. Voleva solo scappare via, ma sapeva di dover finire. Era certa, stava diventando pazza, quella sensazione di estraneità e quei pensieri terrorizzanti non l’avrebbero più lasciata e avrebbe finito per rovinare la vita a suo marito e ai suoi figli.
Nathan sta aspettando come ogni mattina la metropolitana, sono ormai tre anni che tutte le mattine la sveglia suona alle 6:30 e gli ricorda che un altro giorno è arrivato e un’altra giornata di sacrifici sta per cominciare. Non era sempre stato così. Tempo fa aveva un lavoro appagante, guadagnava bene, aveva un bell’ufficio con un parcheggio dedicato alla sua Alfa. Come gli piaceva la sua macchina. Il suo piccolo mondo che lo accoglieva con la musica preferita o con un silenzio meraviglioso a seconda delle situazioni. Quegli anni erano lontani così come la metropolitana che tardava ad arrivare.
“Resisti, Nathan, resisti”, si ripeteva. Per continuare a concedere alla famiglia il tenore di vita che richiedeva aveva cominciato a fare due lavori raggiungibili facilmente solo con i mezzi e quella maledetta metropolitana piena di persone, rumori e odori non sempre gradevoli, gli ricordava tutti i giorni il sacrificio che gli era richiesto, ma che nessuno sembrava riconoscere. A un tratto, di nuovo quel dolore acuto al petto, la mancanza di aria, insopportabile. Una volta era anche svenuto e lo avevano portato in ospedale. Attacchi di panico avevano detto. Che vergogna, svenire come una dama dell’Ottocento. Questa volta non sarebbe successo. E se fosse stato un infarto? No, non poteva chiedere aiuto. Avrebbe comunque resistito a tutti i costi.


Come riconoscerlo
Gli attacchi di panico sono episodi improvvisi e destabilizzanti dal forte impatto fisico ed emotivo. Nella manifestazione classica hanno una durata di una ventina di minuti e sono caratterizzati da sintomi fisici tra cui tachicardia, dolore al petto, tremori, sudorazione, brividi, nausea e dolori addominali e da sintomi più cognitivi: sensazione di irrealtà, di distaccamento da sé, paura di impazzire, di morire o di perdere il controllo.
Ovviamente non tutti i sintomi sono presenti contemporaneamente e ogni attacco di panico può avere delle manifestazioni peculiari. Possono inoltre presentarsi singolarmente oppure con maggior frequenza, arrecando notevole sofferenza e impattando negativamente sulla qualità della vita di chi ne soffre.
Se Nathan e Sharon si conoscessero, è possibile che considererebbero sciocco il motivo per cui l’altro si trovi ad affrontare il panico. A Sharon potrebbe addirittura piacere la praticità della metropolitana, potrebbe essere confortata dal vedere tanta gente che, come lei, fatica e si arrangia come può. Al contempo Nathan potrebbe suggerire a Sharon di prendere un aiuto in più in famiglia e di parlare con la suocera per organizzare dei turni per gli inviti dello Shabbat. Ciascuno penserebbe che l’altro stia esagerando nel lasciarsi abbattere.
L’attacco di panico spesso sopraggiunge quando ci si costringe a vivere in una “situazione bloccata”, in cui ogni tentativo di uscire dall’impasse viene vissuto come impraticabile e impossibile. Sharon non riesce a tollerare di non essere la moglie, la madre e la nuora perfetta e Nathan sente di non poter tollerare la frustrazione della famiglia. Entrambi vivrebbero l’ammissione del limite come una sconfitta intollerabile.
Ecco perché potrebbe essere utile figurarsi l’attacco di panico come un grido di aiuto. Come un tentativo estremo di ascoltare una parte di noi stessi, forse apparentemente meno nobile e certamente meno “performativa”, meno efficiente. Ha a che fare con l’accettazione del limite, con il dover fare i conti con la fallibilità.

Dagli attacchi di panico si può guarire con la psicoterapia e, a volte, con l’ausilio dello psichiatra, che prescriva farmaci adatti a rendere più tollerabile la sofferenza.
Semplificando molto, potremmo dire che un disturbo da attacchi di panico, per poter trovare risoluzione, richieda un sacrificio importante: immolare il proprio ideale di perfezione, che ha una costruzione lontana e radicata poiché spesso condivisa a livello familiare e quindi, ancor più difficile da scalfire.
Al di là dell’ideale però, si può trovare il reale e l’“uomo” dietro e al di là della maschera. Superare il limite imposto, per trovare lo slancio creativo per andare verso qualcosa di diverso. Che ci rispecchi maggiormente per quelli che siamo e più affine a chi sentiamo di essere.
Insomma. Se aveste una bacchetta magica, dovreste trovare la forza di non sperare che vi passino gli attacchi di panico, bensì scegliere di avere il coraggio di costruirvi una vita che vi rispecchi maggiormente.

Psicologo,  psicoterapeuta,  psichiatra:  quali le differenze?

Lo psicologo: in ambito clinico può occuparsi di diagnosi e di sostegno ma non di terapia. Ha seguito generalmente un corso di studi di 5 anni.
Lo psicoterapeuta: generalmente ha studiato 9/10 anni specializzandosi così in un particolare tipo di terapia psicologica (tra gli orientamenti più famosi troviamo quello cognitivo-comportamentale, quello psicoanalitico, quello sistemico-relazionale) ma non si occupa di terapia farmacologica.
Lo psichiatra: ha studiato generalmente 10 anni, prescrive farmaci e se è specializzato anche in psicoterapia (altri 4 anni) si occupa anche di psicoterapia.


di Claudia Hassan 

Dal Sito: www.mosaico-cem.it

mercoledì 4 luglio 2018

Cara Ansia, ti scrivo. E ti leggo


Se l’ansia avesse il dono della parola, e potesse scrivere una lettera di presentazione, immagino che potrebbe suonare più o meno così:

Ciao, mi chiamo Ansia, e sono un’emozione. Sono nata e cresciuta nella mente un po’ più evoluta dell’uomo, la mia famiglia di origine è quella della Paura. Sono una dipendente dell’SNS (Sistema Nervoso Simpatico) e lavoro nel tuo corpo, tra i tuoi pensieri e le tue immagini. Il mio  è un mestiere molto variegato: posso farti accelerare il battito cardiaco, aumentare la sudorazione, posso tendere i tuoi muscoli, sollecitare il tuo stomaco e intestino… Di base lavoro come consulente e motivatrice: ti metto in guardia da ipotetici pericoli e, se collabori con me, posso migliorare le tue prestazioni e farti apprezzare i lati migliori dell’Adrenalina, il mio braccio destro. Nel tempo libero mi diverto a farti delle candid camera, tipo Scherzi a parte. Ti faccio spaventare, ma in realtà è tutta finzione, e spesso lo scopri per tempo!

…Lo so, altre volte ti faccio agitare moltissimo, e per questo inizi ad avere paura di me e a credere che gli scherzi che ti faccio siano la realtà. Inizi ad odiarmi, a temermi, o a vergognarti di me, a orchestrare pensieri e azioni per evitarmi. Queste tue strategie, però, funzionano come delle pompe di gonfiaggio e, se prima ero un palloncino, dopo divento una mongolfiera. E tu ti spaventi ancora di più, pur senza volerlo! Ma se ti rifiuti di conoscermi e di fare due chiacchiere con me, come posso mostrarti che in verità sono innocua, una ragazza della porta accanto, così, Ansia e sapone; che insieme possiamo fare anche cose buone, e che in fondo voglio solo il tuo bene?

Firmato:    Ansia


Bene, la nostra “amica” Ansia è stata abbastanza sincera. E’ una parente stretta della paura, ma con una sua caratteristica distintiva: mentre la paura è un’emozione primordiale che si attiva di fronte a pericoli reali immediati, l’ansia si innesca per quelle che sono percepite come minacce future ipotetiche. Si è inoltre “raffinata” di pari passo allo sviluppo della neocorteccia, la parte più evoluta del nostro cervello, quella che, tra le varie cose, ci consente di rappresentarci mentalmente la realtà, dunque anche di prefigurarla. La differenza tra paura e ansia è semplice: se subisco una rapina in strada sperimento paura, se invece esco di casa temendo di subire una rapina, sperimento ansia. L’evento-rapina ha un relativo margine di probabilità di accadimento, ma non si verifica realmente nel momento in cui vivo la preoccupazione, e potrebbe non verificarsi mai. Per questo l’ansia è spesso definita anche come “paura senza oggetto”. Tuttavia, essa è in grado di allarmarci e attivarci quanto la paura, dal punto di vista fisiologico (il cervello mobilita gli organi interni, i muscoli, il metabolismo, i sistemi sensoriali, come se l’organismo avesse davvero di fronte un pericolo, per dotarlo delle energie sufficienti ad attaccare o fuggire) e psichico.

L’ansia produce nella nostra mente delle vere e proprie candid camera, dei filmati in cui avvengono cose temibili, ma che in quel momento appartengono solo alla finzione. A volte ci rendiamo conto dell’ (auto)inganno, valutiamo che, per quanto lo scenario sia verosimile, non è necessariamente vero. Altre volte, invece, crediamo che quel filmato sia davvero una realtà che a breve avverrà, e questa è una nostra scelta di pensiero. Se si deve dare un esame e si teme la bocciatura, l’ansia ci mostra il filmato di una verosimile bocciatura. Da amica, viene a dirci che “potremmo bocciare”, come incentivo per affrontare al meglio un compito, ma non che “bocceremo sicuramente”, e che quindi qualsiasi impegno sarà vano.

Se “collaboriamo” con essa, preparandoci per superare l’esame, avremo trovato un’amica, poiché ci darà la giusta attivazione per la performance (come spiegato dalla “Legge di Yerkes-Dodson”: livelli intermedi di attivazione psicofisiologica determinano le prestazioni migliori, mentre un’attivazione troppo scarsa o eccessiva è di ostacolo). Se invece vedremo l’ansia come un ospite sgradito, portatore di cattive notizie o di uno stato indesiderabile, incontreremo un’altra serie di nemici che la “gonfieranno” e, dal palloncino che era, diventerà un’enorme mongolfiera. Due di questi nemici sono:

La paura o la vergogna per la propria ansia. E’ ancora diffuso un pregiudizio culturale circa la suddivisione ragione-emozione (che invece operano in concerto) e la “forza” della ragione Vs. la “debolezza” delle emozioni, soprattutto alcune. Ancor più in una società “performante” come la nostra attuale, richiedente elevate prestazioni, funzionalità, competitività, l’ansia può essere vista come un indice di disfunzione, di debolezza, di “perdente”; dunque, fonte di imbarazzo e vergogna, o timore di “non farcela”. In realtà si tratta di una fisiologica emozione con una precisa funzione adattiva, al pari delle altre emozioni, che non fa di noi né dei perdenti – anzi, può essere un prezioso stimolo per migliorarci – né dei deboli, bensì degli esseri umani.

Strategie protettive.Quelle che attiviamo per liberarci dell’ansia, di cui una molto diffusa, è l’evitamento. Ad esempio evitare di uscire di casa per paura di una rapina, o evitare gli esami per paura di bocciare. Se sul momento ci tranquillizzano, queste strategie hanno un effetto boomerang, tendono a far fuoriuscire l’ansia dai suoi naturali confini, a diminuire il senso di autoefficacia, ossia la percezione delle proprie capacità per affrontare efficacemente compiti o situazioni, e tolgono gradi di libertà e piacere alla nostra vita.

Leggere la “lettera di presentazione” dell’ansia, ovvero conoscerla per quello che è, come una ragazza della porta accanto nel condominio dei nostri stati d’animo, significa ridimensionare lo spazio che occupa e il potere che ha, leggere il vero messaggio che porta e lo scopo delle sue visite.Facendo un esercizio immaginativo, potremmo anzi avviare una corrispondenza con lei,chiederle di volta in volta perché è qua, come può aiutarci, come possiamo aiutarci ad affrontare qualcosa di prossimo che ci preoccupa. Imparando a ringraziarla per ciò che può lasciarci in termini di consapevolezza e funzionalità, e a congedarla nel modo più sereno quando è arrivata l’ora che torni al proprio appartamento.

Dott.ssa Serena Raspi
Psicologa

Dal Sito: leviedellapsiche.it

10 frasi che una persona ansiosa dice sempre (vi ritrovate?!)


In Italia quasi due milioni e mezzo di persone soffrono di un qualche disturbo d’ansia: panico, paura, angoscia e fobia sono tra i mali più diffusi di questo secolo.

Ma come si manifesta l’ansia? Come riconoscerla?

Non tutta l’ansia è uguale

L‘ansia può avere forme e manifestazioni anche molto diverse, da quelle più lievi a quelle croniche e più invalidanti. Quando parliamo di ansia è importante fare una distinzione tra ansia fisiologica e quella patologica.

L’ansia normale o fisiologica è quella di cui tutti noi facciamo esperienza, è uno stato di allarme e di tensione transitorio che implica l’attivazione generalizzata di tutte le risorse dell’individuo, tale da consentire la messa in atto di comportamenti utili a contrastare o porre fine allo stato d’ansia in questione, provocato da uno stimolo realmente esistente, conosciuto, o da situazioni che creano ansia.

L’ansia patologica è invece caratterizzata da ansia e preoccupazioni eccessive, altamente disturbanti, in grado di alterare il nostro funzionamento psichico e le capacità di adattamento, spingendoci a reagire ad un evento o un oggetto con l’evitamento o la fuga. Spesso, quando si è preda dell’ansia, è difficile far comprendere agli altri il proprio stato d’animo e ciò di cui si ha bisogno. Chi soffre d’ansia tende il più delle volte a voler normalizzare la situazione, a comportarsi come se nulla fosse e ad inviare (più o meno consapevolmente) richieste d’aiuto, a volte di difficile interpretazione, a chi li circonda per fargli capire che qualcosa non va.

Proprio a questo scopo, di seguito vi forniamo una lista delle 10 frasi che una persona ansiosa pronuncia più spesso, messaggi che ci dicono che l’altro sta soffrendo ed ha bisogno d’aiuto.

Cosa dice chi soffre d’ansia

“Scusami” – Le persone che soffrono d’ansia hanno spesso il timore di ferire i sentimenti degli altri, di non essere all’altezza delle aspettative altrui e quindi di aver fatto qualcosa di male, fattori che li inducono a scusarsi eccessivamente anche senza che ve ne sia un reale bisogno.

“Sto bene” – È la frase che viene ripetuta più spesso proprio dalle persone che soffrono con l’intenzione di non far preoccupare gli altri ma anche per non attirare l’attenzione su di loro cosa che non farebbe altro che aumentarne la reazione ansiosa.

“Ce l’hai con me?” – Anche quando tutto sembra andare bene, la persona ansiosa sente la necessità di sviare il discorso e riportare la discussione sul piano emotivo dell’altro. Questa frase esprime anche il bisogno, tipico dei soggetti ansiosi, di essere continuamente rassicurati sulla stabilità del legame e della relazione.

“Ma non c’è troppa gente qui?” – Le persone che soffrono di disturbi d’ansia spesso fanno fatica a tollerare la folla, la sensazione di soffocamento che queste occasioni provocano tende a essere risolta con l’evitare delle situazioni che implicano il radunarsi di molte persone. L’ansia suscitata da questi eventi è provocata dalla paura di avere un attacco di ansia o panico mentre si è circondati da tanta gente, fattore che genera un circolo vizioso che alimenta l’ansia e la possibilità che gli attacchi si ripetano.

“Tutto OK, mi sento solo stanca” – Quando gli altri ci vedono giù di morale è più facile rispondere che si è semplicemente stanchi piuttosto che raccontare che eventi o situazioni specifiche ci mettono ansia. Nella mente di chi soffre d’ansia, questo tipo di risposta è socialmente più accettabile della verità, in quanto nell’immaginario comune una persona in preda al panico e all’ansia è una persona debole ed in balia degli eventi.

“Ho bisogno di prendere una boccata d’aria” – L’ansia e la paura provocano una serie di reazioni fisiologiche a catena che comprendono l’aumento del battito cardiaco, sensazione di asfissia, sudorazione intensa e vertigini, tutti sintomi che inducono chi è preda dell’ansia a voler uscire all’aria aperta, per respirare a pieni polmoni, allontanandosi dagli occhi indiscreti della gente. Dire “Ho bisogno di prendere una boccata d’aria” serve a confondere le persone che gli sono accanto, nascondendo la natura reale del problema, cioè l’ansia.

“Mi sento strana” – Ansia, paura e attacchi di panico, come abbiamo visto, hanno conseguenze dirette sul nostro corpo. Spesso chi ne soffre non è cosciente dei cambiamenti fisiologici che il corpo subisce nel corso di un attacco d’ansia. Quindi può servirsi di questa frase per segnalare la presenza di un problema, del quale però non riconosce la causa.

“Lo faccio io” – Spesso chi soffre d’ansia tende a proporsi come tutto fare, anche senza che gli altri avanzino alcuna richiesta. Questa strategia nasce dall’esigenza di tenere sotto controllo la situazione e di impedire il verificarsi di imprevisti e situazioni che potrebbero generare l’ansia.

“Adesso non sono al 100%”
– Quando le persone pensano che qualcuno non si senta bene, tendono a lasciarle in pace, senza porre troppe domande. Questa strategia è utile per allontanare da sè ogni sospetto, senza il bisogno di dare ulteriori spiegazioni, che non farebbero altro che perpetrare il circolo vizioso dell’ansia.

“Oggi non son proprio dell’umore” – Anche in questo caso, questa frase riflette il bisogno tipico delle persone ansiose di spazio, di distanza e quindi di eludere le domande dell’altro vissute come intrusive, in modo da trovare lo spazio e il tempo utile a calmarsi e ad alleviare la sensazione d’ansia.

Quelle che vi abbiamo proposto sono solo alcune delle frasi che una persona ansiosa solitamente pronuncia per comunicare al mondo l’esistenza di un problema, una sorta di campanello d’allarme in grado di aiutarci a capire se le persone che ci sono accanto hanno o meno bisogno del nostro aiuto.


  Martina Valizzone

Dal Sito: pazienti.it