martedì 31 marzo 2020

Se sarete pazienti in un giorno d’ira, ne supererete cento di tristezza



Essere pazienti non significa essere deboli né codardi. A volte è meglio restare in silenzio e far scemare la rabbia, piuttosto che perdere tutto in un momento di ira incontrollabile. La pazienza è la virtù dei cuori tranquilli, in grado di capire che avanzare con prudenza in un giorno di rabbia ne previene cento di tristezza.

Tutti abbiamo dovuto affrontare un momento simile. A volte, infatti, viviamo “nell’epicentro” di ambienti che richiedono molti sforzi e che mettono alla prova la nostra capacità di sopportazione e quell’abilità necessaria per gestire bene le emozioni. L’ira è come un grilletto che spara quando perdiamo il controllo e che, lungi dal farci sfogare, di solito ha conseguenze molto indesiderate.

Imparate a essere pazienti, a calmare la rabbia, a scacciare l’ira per far posto alla comprensione e all’intelligenza. In questo modo, vi renderete conto che la rabbia non risolve nulla, perché può farci perdere tutto.

Quando parliamo di quelle due incredibili virtù, il silenzio e la pazienza, sembra quasi che siano associate più alla passività, a chi non è in grado di reagire. Non dobbiamo certo pensarla così. Il saggio silenzio che ci rende pazienti ci aiuta a calmare la mente e ad agire con maggiore pazienza, con più giustizia e temperanza.

Oggi vi invitiamo a riflettere su questo tema.

Essere pazienti: l’abilità di chi sa gestire bene le emozioni

Quando parliamo di ira, rabbia o rancore, ci viene subito alla mente l’immagine di un bambino piccolo che gonfia le guance e che sta per urlare. Anche se i capricci infantili sono un problema che dobbiamo saper affrontare e che non va ignorato in modo che il bambino impari a gestire le proprie emozioni, lo stesso accade in età adulta.

La rabbia repressa ci fa stare male, ma la rabbia che esplode in ira e aggressione causa anche delle vittime. Siate pazienti, calmate la vostra mente e difendetevi senza aggredire. Siate saggi.

C’è chi sceglie di “mandare giù” la rabbia. Fare come se niente fosse mai accaduto. Consapevoli del fatto che i giorni delle urla e dei capricci sono ben lontani, scelgono semplicemente di nascondere la propria rabbia e la propria frustrazione. Tuttavia, non è la cosa giusta da fare e non è un comportamento sano. Non è saggio nemmeno permettere alla rabbia di scoppiare, come se fosse un cavallo selvaggio guidato dall’ira che causa situazioni scomode e distruttrici.

Coloro che sanno gestire bene le emozioni imparano presto che due dei nemici più complessi con i quali si ha a che fare sono, senza alcun dubbio, la rabbia e l’ira. Sono anche collegati a molti cambiamenti fisiologici che intensificano ancora di più le sensazioni negative e di minaccia. Per questo motivo, quando bisogna sconfiggere un nemico, l’arma migliore è conoscerlo.

Conoscere un nemico comune: l’ira

Ci sono persone che si arrabbiano più o meno spesso. Un possibile motivo che spiega l’esistenza di queste differenze individuali è una tolleranza maggiore o minore della frustrazione o persino alcuni fattori genetici.

L’ira si manifesta nel nostro cervello in seguito ad un sottile squilibrio tra i livelli di serotonina, quelli di dopamina e quelli di ossido nitroso. Tutto ciò porta alcune persone ad avere scatti di ira e di rabbia.

Stando ad un interessante articolo pubblicato sul The New York Times e scritto dallo psichiatra Richard Friedman, l’ira può mostrarsi anche come risultato di una depressione nascosta.

Una rabbia che è impossibile da controllare, sulla quale non si può ragionare o che non viene gestita nel modo giusto può essere la causa di frustrazione e malessere. Quando l’ira avvolge il nostro cervello in seguito all’effetto di quella chimica neuronale, assistiamo a diversi cambiamenti fisiologici che amplificano le emozioni negative. A questo punto, la rabbia galoppa ormai fuori controllo.

La rabbia non può essere nascosta e non può trasformarsi in attacchi d’ira. Deve essere sminuzzata, capita e canalizzata nel modo giusto, così che non possa soffocarci, ferire nessuno o cercare delle vittime sulle quali proiettarsi.

Pazienza, calma e positivismo per combattere la rabbia

Non fidatevi mai di una persona che vi dice che “ non si arrabbia mai”. Tutti siamo vittime di ingiustizie, riceviamo parole cattive e commenti tanto ingiusti quanto offensivi. Nonostante ciò, prima di permettere alla nostra rabbia di trasformarsi nella scintilla che accende il fuoco dell’ira, è fondamentale riflettere per un momento su questi aspetti:

Date un nome a ciò che vi fa arrabbiare. Non ascoltate solo le sensazioni, quella scomodità che si attorciglia nello stomaco e che assale la vostra mente. Descrivete con parole concrete cosa vi dà fastidio.

Per qualche secondo, cercate la calma, rinchiudetevi nel vostro “palazzo mentale”. È uno spazio tranquillo e sereno che appartiene solo a voi. Visualizzate il luogo perfetto dove far uscire la rabbia e le emozioni negative, per poi farvi avvolgere dalla ragione. A questo punto, visualizzate la migliore opzione per affrontare la fonte del vostro fastidio.

Manifestate in modo positivo il motivo della vostra rabbia. Non serve a niente “mandare giù” quello che ci fa del male, perché la rabbia non si nasconde sotto il letto, si manifesta sotto forma di parole rispettose volte a sottolineare chiaramente ciò che ci fa del male, ciò che non desideriamo.

Controllate, ristrutturate e cambiate lo scenario. Uno dei migliori modi di gestire la rabbia e l’ira è controllare diversi fattori come la respirazione o persino i processi mentali che potenziano ancora di più le emozioni negative. Non serve a niente cercare dei colpevoli. Cercate invece di spegnere i rumori mentali e i pensieri irrazionali.

A volte un’attività semplice come camminare, respirare profondamente e cercare un punto all’orizzonte sul quale riposare la mente e spegnere l’interruttore della rabbia può salvarci da tutti i pericoli esterni che popolano la vita di tutti i giorni. Bisogna affrontare il mondo con il cuore in tranquillità, conoscendo i propri limiti e sapendo che ci saranno alcuni momenti brutti, non ci sono dubbi al riguardo, ma sapendo anche che quelli belli sono di più e sono la nostra ragione di vita…

via La Mente Meravigliosa

Se non siete felici con ciò che avete, non lo sarete nemmeno con ciò che vi manca o con ciò che credete vi manchi



Molti di voi avranno sentito dire la frase “i soldi non fanno la felicità, ma io preferisco piangere dentro una Ferrari”. Sembra una battuta simpatica ed ironica, ed effettivamente lo è, ma la lettura profonda che estraiamo non lo è per nulla.

Le idee di questo tipo derivano da un neocapitalismo selvaggio che ci porta ad odiare la nostra vita in certe occasioni, a sentirci dei falliti e a pensare che tutto andrebbe meglio se avessimo una determinata che ci renderebbe felici.

Dicono che, se si hanno i soldi, le pene pesano di meno. Tuttavia, rimangono sempre le stesse, semplicemente sono ornate con una confezione più bella per gli altri, ma non per voi. È evidente che avere un lavoro e appartenere ad un livello economico medio-alto garantisce spensieratezza. Ciononostante, è anche vero che i soldi non assicurano la salute mentale, anzi: in alcuni casi aggravano persino certi problemi e colmano in modo completamente scorretto determinate carenze.

Se non siete felici con ciò che avete, non lo sarete nemmeno con ciò che vi manca o con ciò che credete vi manchi. Vivere in questo stato non è un’ambizione sana, ma una condizione di agitazione che vi fa perdere i momenti unici nella vostra vita.

I tassi di disoccupazione che oggigiorno gravano su molti paesi hanno conseguenze psicologiche nel breve, medio e lungo termine. Tuttavia, se lasciamo da parte la questione sociale ed economica, dovremmo approfondire i fattori che spiegano la necessità costante, incredibilmente presente nella società occidentale, di cambiare e rinnovare i desideri materiali.

Pensate a quel vostro conoscente che aspetta di avere abbastanza soldi per trascorrere qualche giorno al mare con la sua famiglia o attende di ottenere un determinato impiego per riunire tutti i suoi amici e festeggiare. Cosa accade al suo stato d’animo durante questo tempo? Probabilmente si congela e si sottomette ad un evento futuro, ad una possibilità e si aggrappa alle lancette dell’orologio per accelerare il tempo.

Se aspettate l’arrivo di una condizione esterna per poi finire vittime di un vuoto interiore, in realtà sprecate un tempo che non tornerà più. Può darsi che, quando arriverà la grande notizia (se arriva), il vostro animo sarà troppo esausto per via del percorso di attesa che ha compiuto.

Nessuno dice che non dovete avere aspirazioni, ma queste non possono essere sempre relegate alla realtà che avete davanti. Non dimenticatevi che spesso, per affrontare la realtà, ci vuole molto coraggio e una forte tolleranza alla frustrazione e all’incertezza. È comodo agire sapendo che ciò che lasciate indietro è in perfetto ordine, ma la vita non è solo questione di sicurezza o di avere tutto sotto controllo: è anche l’abilità di convivere con il rischio.

Dovete osare e trarre benefici dalla vostra energia senza che questa debba necessitare di un contesto idilliaco per emergere. Pensate che solo esplorando l’energia che avete già a disposizione potrete trovare nuove fonti per ricaricarvi. La vita si compone di tappe ed ognuna di esse ha un incanto speciale che spesso apprezziamo solo quando la vediamo in retrospettiva.

Essere felici di ciò che avete non significa essere conformisti. Trarre i benefici dalle cose positive della vostra vita non vuol dire avere una mentalità basica e disfattista. Saper vedere il bello nelle persone e nelle situazioni quotidiane che vi circondano significa imparare che siamo noi grazie alla pace interiore di cui godiamo e che trasmettiamo, nonostante le nostre tasche siano spesso vuote. Essere felici di ciò che avete vuol dire aspirare a migliorare come persone e non come oggetti.

Non è attraverso le banche che si impara a non perdere il controllo e il giudizio per un’unica brutta situazione economica, ma tramite le lezioni; si percepisce con gli occhi, si combatte con le risorse dell’intelletto e si accetta con il cuore. La cosa più importante della vita è la pace interiore e ciò vuol dire anche aver attraversato periodi di totale incertezza. Questo non si impara con una promozione o un contratto a tempo indeterminato. Si tratta di un lungo e arduo lavoro emotivo.

Ovviamente ognuno aspetta con ansia di raggiungere ciò che gli serve per essere più felice, ma se questa volontà gli strappa tutta la passione che proverebbe per il presente, allora non è un desiderio, ma un’auto-imposizione emotiva.

I nostri sogni devono farci fluire e le nostre mete non devono rendere il nostro fluire un viavai insensato, bensì una scommessa per una responsabilità seria che ci permetta di lavorare e vibrare allo stesso tempo. Essere felici di ciò che abbiamo è una scommessa sul presente di cui si vedrà il riflesso nel nostro futuro.

domenica 29 marzo 2020

"Ognuno di noi ha le risorse che permettono di lenire questo momento critico"



Il “fare” allenta la tensione: leggere un libro, guardare un film divertente, ascoltare musica, tenere in ordine e pulita la casa, curare una piantina, cucinare

Nelle ultime settimane abbiamo subìto un cambio repentino delle nostre abitudini dovuto alle misure restrittive per affrontare la pandemia da coronavirus. Misure necessarie a cui possono seguire effetti secondari e indiretti di questo regime di autosegregazione. Le conseguenze psico-emotive originate dall’isolamento e dalla mancanza di contatti sociali sono: rabbia, stress, ansia, depressione, ruminazione mentale, momenti di sconforto e confusione; sopraggiungono bruschi balzi d’umore da pensieri negativi e pessimisti a una sorta di euforia dell’ “andrà tutto bene” con eccessivo ottimismo, a volte quasi un distacco dalla realtà, come misura di difesa davanti al grande cambiamento che richiede uno sforzo psicoemotivo.

Sintomi, questi, che non devono subito allarmarci, poiché fisiologiche reazioni del nostro cervello per fronteggiare lo stress. In questo momento sono reazioni naturali, di fatto siamo stati catapultati in una realtà assurda, irreale, quasi da film, fuori da noi, invece man mano che passano le settimane ne stiamo elaborando i contorni, lentamente.

Davanti ad un evento pauroso il nostro cervello risponde con attacco, fuga o sospensione: quest’ultimo è forse ciò che sta avvenendo, un ritiro temporaneo dal mondo, un disimpegno dalle richieste e dal bisogno di conferme dell’altro, rivolgendo lo sguardo solo su noi stessi. Viviamo in un time out, in cui possiamo essere tutto e ci troviamo a fare i conti con le nostre fragilità che ci rimbalzano davanti con impeto, ci costringono a trovare nuovi schemi di gioco per comprenderci. Con l’angoscia e la paura avvertiti dobbiamo imparare a conviverci, accettarle nel quotidiano senza scansarle, o torneranno più impetuose di prima schiacciandoci. La paura sana è il nostro strumento di salvezza che ci pone in allerta a rispettare le regole.

Le conseguenze psico emotive possono peggiorare la salute sul lungo periodo. Gli anziani che si sentono soli possono incorrere più facilmente in molti momenti di tristezza, angoscia; chiunque di noi può rifugiarsi in abbuffate per riempire vuoti affettivi e tempo; possono aumentare le violenze domestiche; le dinamiche famigliari già disfunzionali possono inasprirsi dovendo rimanere tutti sotto lo stesso tetto per lungo tempo; attacchi di panico, disturbi dell’umore possono diventare più critici. Il mio pensiero alle famiglie con figli diversamente abili, più soggette a depressione, momenti di collera, senso di abbandono; ma ancora l’acuirsi del disturbo ossessivo compulsivo e l’insorgenza del disturbo post traumatico da stress per tutti, in particolare per il personale medico. In più l’inattività forzata può far aggravare patologie precedenti, complicazioni cardiache, alta pressione, diabete, gastrite.

Messe di fronte a un isolamento forzato, cerchiamo naturalmente di mantenere in funzione le nostre reti di supporto sociale: videochat, chiacchierate al telefono. Manteniamo un’alimentazione corretta, varia e un’attività fisica a casa; cerchiamoci un compito piacevole ogni giorno (per quanto difficile), il “fare” allenta la tensione: leggere un buon libro, guardare un film divertente, ascoltare buona musica, tenere in ordine e pulita la propria casa, curare una piantina, cucinare, ognuno di noi ha la sua personale “cassetta” di risorse che permettono di lenire questo momento critico. 

giovedì 26 marzo 2020

Paura della solitudine: autofobia





Si chiama autofobia e si può esprimere in diversi modi. Può esprimersi facendoti accontentare nelle relazioni amorose, nelle amicizie o manifestandosi quando è buio, come la paura di restare soli in casa di notte.

Non è raro che chi soffre di questa fobia ne sia del tutto inconsapevole: hai capito bene, puoi avere paura della solitudine e non saperlo.
Molte persone che vivono con una forte insicurezza di fondo, attuano strategie disfunzionali per superare la paura della solitudine in modo da non farla emergere in superficie. Insomma, la prevengono con meccanismi di difesa disfunzionali.

Spesso, chi soffre di autofobia non deve essere necessariamente solo ma soltanto pensare di non essere amato. Molte persone, infatti, anche se sono circondate da cari e affetti, vivono con la paura di essere ignorati e la convinzione di non essere amati.

Autofobia: la fobia di rimanere soli

L’autofobia è un disturbo molto più diffuso di quanto si possa immaginare ed è spesso correlato ad altre problematiche della sfera emotiva quali:

disturbi d’ansia,

disturbo dipendente di personalità,

fobia sociale

depressione

dissociazione

disturbo borderline di personalità

E’ indubbiamente associato a una bassa stima di sé tanto che il dizionario medico The Practitioner definisce l’autofobia come “una morbosa paura della solitudine o di restare soli con se stessi“.

Perché ho paura della solitudine?

In base alla forma nella quale l’autofobia si manifesta, le cause possono essere diverse.




Quando si parla di paura della solitudine, questa fobia è quasi sempre correlata alla sindrome dell’abbandono e a bassi livelli di autonomia (bassa stima di sé).

Le radici di questa fobia risalgono all’infanzia: i bambini che hanno vissuto esperienze di abbandono o che hanno percepito l’abbandono di un genitore come minaccia, possono sperimentare autofobia durante la vita da adulti.

Se un genitore minaccia più volte di abbandonare il tetto coniugale, il bambino imparerà a vivere l’abbandono con terrore, come una minaccia imminente. Si tratta di un trauma infantile che persiste e si modifica durante la crescita prendendo diverse connotazioni.

La paura della solitudine può derivare da eventi passati che possono passare inosservati perché non sono sempre eclatanti: la minaccia subita non deve necessariamente essere reale ma anche solo percepita dal bambino.

Traumi secondari e paura della solitudine

Gli studiosi affermano che la paura della solitudine può manifestarsi anche a seguito di altre esperienze infantili definite come traumi secondari, per fare qualche esempio:

un bambino emarginato a scuola,

un bambino che si è sentito rifiutato dai genitori,

un bambino che ha vissuto il tracollo finanziario della famiglia,

che ha traslocato cambiando amici, scuola e città…

E’ chiaro che l’autofobia pone radici molto lontane e si manifesta anche quando l’adulto non ha avuto la possibilità di sviluppare un pieno senso di autonomia. Questa eventualità nasce con due tipi di genitori:

Genitori svalutanti (fanno sentire il bambino inetto)

Genitori iperprotettivi (fanno sentire il bambino… inetto)

Se, da bambino, il genitore si è sostituito sempre al ruolo del figlio per svolgere ogni sua mansione (sia per eccesso di protezione “lascia… faccio io”, sia per disprezzo “non sei buono a nulla, faccio io!), quello stesso bambino è cresciuto con l’idea di non essere abbastanza capace di affrontare la vita. In questo contesto, la paura della solitudine nasce per la necessità di trovare una figura che possa fornire continue rassicurazioni.

Adulto con paura della solitudine

La paura della solitudine è una fobia che generalmente si sviluppa in tenera età, tuttavia è presente o può manifestarsi anche negli adulti.

La frase “Mi sento solo anche in mezzo alla gente” è un chiaro manifesto dell’autofobia.

Per esempio, in seguito a un lutto, una separazione, una perdita o un’esperienza che possa aver fatto riaffiorare una ferita passata, una persona potrebbe iniziare ad aver paura di dormire da sola di notte o paura di rimanere a casa da solo.

In età adulta, l’autofobia si può sviluppare in seguito alla fine di una relazione, a un tracollo finanziario o alla perdita di una persona cara.

Paura di restare soli: sintomi

Come premesso, questa fobia si può manifestare in diversi modi. Si fa presto a dire “paura della solitudine“! A volte, infatti, i sintomi che noti non vengono subito correlati all’autofobia.

La persona ha difficoltà a svolgere attività in solitaria.

La persona ha difficoltà ad avere contatti con il pubblico se non accompagnata da una figura di riferimento.

Ha la percezione che il tempo non passa mai quando si trova da sola.

La persona usa il rumore per fronteggiare al disagio della solitudine. In pratica, se sta solo tende ad avere la tv accesa o ascoltare musica.

Paura di rimanere in casa camuffata o giustificata dalla paura dei ladri.

Paura di rimanere a casa da soli di notte.

Paura di non essere amati.

Sensazione di essere invisibili.

Paura di essere rifiutati o non apprezzati.

Vi sono poi dei sintomi che si possono correlare direttamente alla paura di stare soli: agitazione, ansia, bassi livelli di concentrazione, tremori, sensazione di intorpidimento, aumento della frequenza cardiaca, freddo psicosomatico e altri sintomi correlati all’ansia.

Come superare la paura della solitudine

Se ti stai chiedendo come vincere la paura di restare soli ciò che ti serve è una forte dose di autostima.

Nella tua vita, probabilmente ti hanno insegnato -in modo indiretto- che da solo non ti basti, ecco perché ti senti così insicuro.

Innanzitutto, impara a distinguere la solitudine dall’essere soli. La solitudine non dovrebbe mai essere equiparata all’essere soli. Ognuno ha momenti in cui è solo in casa oppure, per necessità, deve svolgere mansioni in solitaria… ciò non significa che sei solo da un punto di vista emotivo.

Il rimanere soli può essere vissuto come qualcosa di positivo, anche di notte, quando le paure inconsce si fanno più sentire.

Per farlo devi imparare a stare tranquillo con te stesso.

Prima ti ho detto che nel corso della tua vita ti hanno fatto credere che non sei abbastanza: sappi che ciò che è stato appreso può essere modificato!

Stare con un’altra persona deve essere una scelta deliberata e non indotta dalla paura di rimanere soli.

Quando superi la paura di stare da solo, diventi immediatamente più indipendente e sicuro di sé… viceversa, se lavori su te stesso e sulla tua autostima, imparerai a vincere la paura della solitudine.

Inizia dalle piccole cose: fai un’analisi della tua vita e lavora sulle tue potenzialità. Coltiva tutto ciò che ti dà appagamento e inizia a concepirti con un individuo completo.

I vantaggi della solitudine

Ci sono molti vantaggi nel superare la paura della solitudine: quando sei solo hai il tempo di pensare con calma a te stesso e a individuare i tuoi reali bisogni, poi c’è un tipo di pace interiore che imparerai a sperimentare solo quando sei da solo… ma per questo ci sarà tempo, partiamo ora con l’ABC e vediamo come superare la paura della solitudine.

L’autofobia è una forma d’ansia e come tale va trattata. Non esiste un trattamento specifico per curare l’autofobia perché ogni persona, come ti ho spiegato, ne viene colpita in modo diverso. La psicoterapia è sempre un’ottima alleata per superare qualsiasi forma d’ansia. Con la psicoterapia psicodinamica, avrai modo di lavorare sulle radici della tua paura della solitudine. La psicoterapia cognitiva ha un approccio più diretto al problema.

Se hai paura di restare solo in casa, puoi iniziare con una strategia molto soft: il rumore puoi aiutarti perché il silenzio amplifica la sensazione di solitudine.

Quando sei da solo a casa e ti viene l’ansia, ascolta la musica che ti piace. Se hai paura di dormire da solo, prova con musica di sottofondo e imposta un timer di spegnimento: concentrasi sulla melodia potrà essere di grande aiuto.

Lavora su te stesso per superare l’autofobia

Per superare la paura della solitudine (sia se percepita quando sei in compagnia, sia se si manifesta quando sei fisicamente da solo) hai bisogno di lavorare sulle tue risorse e sulla tua autostima.

Quando ti rivolgi a te stesso, fallo con parole affettuose e non con atteggiamenti severi e auto-giudicanti. Presta attenzione ai tuoi dialoghi interiori e rivolgiti a te stesso come faresti con un buon amico.

Inizia a tranquillizzare il tuo “bambino interiore” sulle paure che da anni si porta dentro. Se riesci a ricordare la prima volta in cui ti sei sentito rifiutato o non amato, lavora su questo evento.

Prima ti ho parlato di “traumi secondari”, cerca di fare introspezione fino ad arrivare alla radice della tua fobia. Poniti tante domande fino a mettere chiarezza in te stesso.

Lavorando sulle tue risorse, non solo riuscirai a superare la paura della solitudine ma imparerai a fronteggiare l’ansia da separazione, molto utile se ciò che ti stai chiedendo, in riferimento alla tura relazione con il partner è: “è amore o paura della solitudine?“.

Come si chiama paura di restare soli?

Ecco altri nomi per definire la paura della solitudine. Eremofobia, isolofobia, monofobia o più comunemente autofobia. Anche se questa parola può trarti in inganno e farti credere che si tratta della “paura di se stessi”, con il termine autofobia si indica la paura della solitudine in senso generico così come descritto nel testo.

Dal Sito: psicoadvisor.com

Per essere felice devo capire cosa voglio e cosa non voglio dalla vita




“In questa vita merito di essere felice e, anche se mi rendo conto che forse non tutti i miei sogni si realizzeranno, sono soddisfatto del mio equilibrio, della pace e della tranquillità che ho raggiunto accogliendo quanto di buono trovo lungo il cammino”.

È un atto di egoismo dire ad alta voce che meritiamo di essere felici? Niente affatto. Tutti lo meritiamo, così come ognuno di noi ha il diritto di essere amato, rispettato e apprezzato.

Nessun principio di vita è importante quanto puntare la nostra esistenza verso la felicità. Ma una cosa deve essere chiara: non aspettate che siano gli altri a “rendervi felici”.

Per essere felici dobbiamo cominciare a prenderci cura di noi stessi.

In realtà, per essere felici, non abbiamo bisogno di molto. Chi pensa che la felicità consista nell’avere una lunga sequenza di zeri nel conto corrente o un esercito di amici nella nostra rubrica, dovrebbe ricredersi.

Basta una vita dignitosa, che ci permetta di essere indipendenti e di avere vicino le persone che significano molto per noi.

La felicità a volte è un atto di umiltà, è saper trovare l’essenza, vale a dire capire cosa si vuole, con che cosa ci si identifica e cosa ci rende soddisfatti.

Condurre, ad esempio, una vita in cui riusciamo a fare quello che ci piace, in cui ci sentiamo orgogliosi di noi stessi è, indubitabilmente, un grande dono.

Tutto il resto diventa “accessorio”, aspetti che talvolta portano più complicazioni che benefici.

Capire quello che vogliamo veramente dalla nostra vita non è così facile. Richiede, innanzitutto, vivere esperienze che ci diano una direzione.

Comprendere che ci sono persone con un carattere che non va bene con il nostro, oppure dare valore a poche amicizie ma buone, sono cose che si imparano con il tempo.

Una cosa essenziale da non dimenticare mai: voi sapete quanto valete e se vi amate e vi stimate, sentite anche di meritare il rispetto degli altri.

Può sembrare ovvio, ma chi non prova autostima finisce per farsi manipolare e guidare dai desideri altrui, da una volontà che non è la sua, fino al punto di rinunciare alla propria felicità.

Vale la pena? No. Difendete ciò che vi spetta, la vostra personalità, i vostri spazi, i vostri valori. In questa vita tutti meritiamo, e dobbiamo esigere, di essere rispettati e apprezzati.

I genitori devono accettare e rispettare i figli in modo che crescano sicuri di sé e felici. Solo così possono sviluppare quell’autostima che li renderà indipendenti.

Per essere felici abbiamo anche bisogno di essere apprezzati e rispettati dai nostri partner. In questo caso, oltre all’autostima, è fondamentale la reciprocità, che sta alla base di un rapporto stabile e soddisfacente.

Chi esprime il suo bisogno di essere rispettato non è una persona egoista. Meritiamo il rispetto dei familiari, degli amici, dei colleghi di lavoro e di tutti i nostri legami affettivi.

E, ancora di più, se rispettiamo noi stessi, siamo più capaci di mostrare lo stesso rispetto verso gli altri, perché riserveremo loro quello stesso trattamento che desideriamo ricevere.

In questa vita è legittimo desiderare una casa più grande, un partner attraente, premuroso e sincero, oppure aspirare ad avere un buon lavoro. Ma in cima alla lista dei desideri dovremmo mettere sempre “essere felici con quello chi ci riserva la vita”.

Forse non si realizzeranno tutti i nostri sogni, ma la felicità, alla fine non è fatta di cose; sono momenti, persone, esperienze.

Si tratta semplicemente di vivere con gli occhi e il cuore aperti, riuscire a godere del qui e ora nel modo più semplice possibile.

Non importa se siete single o non avete una folla di amici. Basta stare bene con voi stessi e poter contare su quelle persone che vi rendono felici e che, di solito, si contano sulle dita di una mano.

La vita a volte non è facile, e ci mette alla prova. Un’altra dimensione che merita la nostra attenzione è l’atteggiamento.

L’atteggiamento è il vostro “abito” più importante: è quello che vi fa affrontare le cose con coraggio e ottimismo.

Un modo di atteggiarsi positivo, in grado di vedere la realtà nella sua interezza e di capire che nella vita si alternano momenti positivi a quelli negativi, ci aiuta ad essere felici nella nostra quotidianità. Chi si blocca in un atteggiamento negativo, spesso finisce per affogare nella tristezza.

Guardiamo avanti e con fiducia verso l’orizzonte, dando un po’ più di priorità a noi stessi, e imparando ad amare quello che ci circonda con semplicità.

Imparate a svuotare la valigia emotiva di tutto quello che vi tiene legati al passato e vi soffoca.




Ognuno di noi porta sulle proprie spalle il peso delle situazioni vissute come una vera e propria valigia emotiva. Il contenuto di questa valigia è fatto di ricordi e di esperienze di varie dimensioni, dei quali non siamo riusciti a liberarci e che sono rimasti sulla nostra pelle.

Se non impariamo a svuotare la nostra valigia dalle esperienze tossiche e negative, con il passare del tempo sarà sempre più carica e pesante sulle nostre spalle, incidendo sul nostro stato d’animo e le nostre relazioni.

Al giorno d’oggi abbiamo la tendenza a sovraccaricarci, non solo a livello lavorativo, ma anche emotivo. Ogni esperienza che viviamo lascia una traccia, in un modo o in un altro. La cosa importante è che questa traccia ci serva come spinta per crescere, anziché generare catene che ci legano al passato.

Avanzare con ferite emotive che ancora fanno male non è la stessa cosa che farlo con ferite che sono state sanate e dalle quali abbiamo appreso qualcosa.

Il fantasma della colpa, la sensazione di tradimento o abbandono, le critiche, i vuoti delle assenze o il peso della frustrazione costituiscono quel fardello che ci impedisce di andare avanti e guardare al futuro. Esperienze che ci colorano e ci trasformano, disegnando parte di quella che è la nostra storia. Come possiamo liberarci di questi pesi se, in fondo, rappresentano una parte di noi?

Aprite la vostra valigia e riflettete su quello che contiene, sia su quello che ci avete messo dentro voi sia su quello che vi è stato messo da altri. Prendetevi il vostro tempo. Anche se non potete vederlo, è un peso che vi portate dietro tutti i giorni.

Tenete conto del fatto che molte delle vostre reazioni hanno a che vedere con il peso che sopportate: per alleggerirlo, dovete imparare a distinguere tra cosa vi serve davvero o meno. Riempire la vostra valigia fino a farla scoppiare la rende una zavorra che vi impedirà di proseguire.

Non lasciate che la vostra valigia si riempia al punto da non potervi quasi muovere. Non perdete la voglia di andare avanti né lasciate il presente in mano al passato. Non ossessionatevi nemmeno nel tentativo di dimenticare, perché dimenticare è nemico dell’intenzione.

Per quanto scomodo e complicato possa essere, dovete tirare fuori il carico che portate dentro per imparare a crescere con esso, invece che lasciare che vi incateni. Il primo passo consiste nel riconoscere cosa ci appesantisce ed accettarlo.

All’inizio potrebbe invadervi un sentimento di identità ed attaccamento che vi impedirà di liberarvi del peso che portate nella vostra valigia emotiva. Quella vertigine altro non è che la paura frutto della routine. Vi siete abituati talmente tanto a quelle ferite da pensare di non essere nessuno senza. Credeteci, è solo il timore verso l’incertezza e l’ignoto: il timore di lasciare andare.

Imparate a svuotare la valigia emotiva di tutto quello che vi tiene legati al passato e vi soffoca. Accettate con serenità i vostri errori, identificate e conoscete le vostre emozioni, liberate i vostri sogni, scoprite i vostri punti di forza, date valore e soprattutto imparate a crescere accettando quello che vi succede, e non lottando contro di esso. Ricordate che a volte lasciar andare non è un semplice addio, ma un ringraziamento per quanto appreso, in funzione di un passo verso il futuro.

Liberarci del peso che ci paralizza è un passo molto importante per permettere che nella valigia ci sia posto per sentimenti ed esperienze nuove. Alcune di esse ci aiuteranno a crescere, mentre altre saremo costretti a lasciarle andare, ma la vita è così. Liberatevi del peso che vi paralizza per il vostro bene e per quello delle vostre spalle.

mercoledì 25 marzo 2020

Quarantena | Come tenere lontani ansia e attacchi di panico



Scopri come tenere a bada ansia e attacchi di panico durante la quarantena.
Con la quarantena sempre più rigida e le tante regole da seguire è facile lasciarsi prendere dallo sconforto. Se a questo si uniscono anche ansia e attacchi di panico, è facile immaginare come affrontare il tutto sia decisamente più difficile.
Purtroppo chi soffre di questi disturbi, in questi giorni, si trova alle prese con tante micro battaglie da combattere. Battaglie che tutte insieme possono apparire insormontabili e che passano dai frequenti sbalzi d’umore alle vere e proprie crisi di ansia.

Tra la paura del contagio, il non poter incontrare gli amici o uscire per scaricare lo stress con una passeggiata, il rischio è infatti quello di farsi travolgere dalla paura che, come tutti sappiamo, è una delle basi dell’ansia. Oggi, quindi, proveremo ad affrontare la cosa cercando di capire com’è possibile tenere a freno ansia e attacchi di panico in questo particolare momento.

Vivere in quarantena non è una cosa semplice, specialmente se prima si era soliti trascorrere molto tempo fuori e si aveva una vita ben organizzata e scandita da ritmi serrati.

Trovarsi da soli con tanto tempo libero da spendere è spesso una cosa alla quale si aspira ma che una volta divenuta reale si mostra in modo diverso da come la si era immaginata.
Si tratta infatti di trovarsi da soli con se stessi, di ascoltare la propria mente nel silenzio della propria casa e, tante volte ciò può generare ansia, specie se ci si trova in un periodo che aiuta i pensieri negativi.

È quindi facile immaginare come durante la quarantena ci si trovi più facilmente di fronte ad ansie e paura. L’incertezza per l’indomani, la mancanza di impegni, il lavoro che per alcuni è stato ridotto, cambiato o addirittura messo in pausa e l’impossibilità di vedere i propri cari o di uscire per distrarsi un po’ sono sicuramente motivi più che validi per temere di incorrere in depressione da quarantena o ansie e attacchi di panico.

A riguardo esiste persino uno studio pubblicato sul Lancet dove viene riferito che il periodo di quarantena influisce in modo negativo sulla psiche e che gli effetti possono durare anche dopo il ritorno alla normalità.

Secondo lo studio, che ha preso in causa diverse epidemie precedenti come la Sars o l’Ebola è stato infatti rilevato che indipendentemente dallo stato di salute i sintomi delle persone prese in esame erano depressione, nervosismo, ansia, panico e disturbi post traumatici da stress.

È quindi più che mai importante cercare di scongiurare il problema trovando dei punti di forza con i quali contro attaccare ansia e panico, in modo da bloccarli ancor prima che si presentino. Proviamo a scoprirne alcuni.

Tenere lontani i pensieri negativi. La prima regola da seguire per cercare di tenere a bada ansia e depressione è quella di sforzarsi di avere in mente solo pensieri positivi. Un obiettivo che di questi tempi può essere difficile ma che di base è anche l’unico per salvaguardare la propria psiche. Il trucco sta nel non dare spazio ai pensieri negativi. Evitare di guardare troppi Tg o di cercare notizie allarmanti da approfondire ed impiegare il tempo ascoltando musica rilassante e guardando qualche film. Se si hanno paure particolare, è sempre meglio chiamare qualcuno e parlarne in modo da non far crescere i pensieri nella propria mente. Sentire una voce amica che da conforto nei momenti di paura è sempre un buon modo per non impazzire schiacciati dai pensieri negativi.

Stabilire una routine. In questo periodo colmo di incertezze chi combatte da sempre con l’ansia ha bisogno più che mai di punti fermi e sicuri. Stabilire una routine quotidiana è quindi un buon modo per sentirsi al sicuro e per non fermarsi ad assecondare pensieri colmi di paura. È bene quindi stabilire un orario per la sveglia che sia sempre lo stesso e al quale seguano degli appuntamenti quotidiani come la colazione, la pulizia della casa, i preparativi dei pasti, la call con parenti ed amici, etc… In questo modo si avrà una giornata scandita da impegni e ciò aiuterà a sentire meno il peso delle incertezze date dal periodo.

Sentire gli amici. Gli amici e i parenti sono un punto importante di questo periodo. In tanti hanno approfittato dell’impossibilità di vedersi per creare chat di gruppo nelle quali chiacchierare liberamente o vedere addirittura dei film in tv. Si tratta di opzioni che possono fare la differenza, creando un momento della giornata da attendere e aiutando a condividere il periodo non facile con i propri cari. Quindi via libera ad un film da vedere in diretta con gli altri, cosa per cui esiste la possibilità di sincronizzare i video su diversi computer in modo da vedere tutti insieme la stessa cosa e senza problemi di ritardi.
I modi per sentirsi vicini anche se lontani sono tanti e vari e con un po’ di fantasia ed elasticità si può trovare il modo per rendere ancor più speciali i rapporti interpersonali. Un giorno, ricordare di aver vissuto insieme un dato periodo sarà sicuramente un collante non indifferente.

Avere sempre vicino il numero di una persona fidata. Detto, ciò, sappiamo bene che l’ansia è infida e che può arrivare nei momenti più assurdi come, ad esempio, di notte. Sapere di avere qualcuno a cui scrivere o con cui sentirsi in caso di bisogno è sempre d’aiuto. Quindi, è opportuno mettere da parte la timidezza e chiedere aiuto a qualcuno di cui ci si fida. In questo modo, specie se si vive da soli, si saprà di avere un supporto sempre presente sul quale fare affidamento.
Avere un riferimento online. Se si è già seguiti da qualcuno per ansia e attacchi di panico, molto probabilmente si avrà già avuto modo di effettuare incontri via Skype con il proprio terapeuta. Qualora non fosse così o si sentisse il bisogno di parlare con qualcuno in grado di comprendere il problema, esistono dei supporti online ai quali è possibile accedere anche gratuitamente e che possono rivelarsi un valido aiuto per chi ha problemi di attacchi di panico.

Un esempio è l’aiuto telefonico offerto da Isidap e disponibile per tutti tramite il numero verde800 060708. Iniziativa alla quale se ne aggiungono tante altre, alcune anche da parte di privati che offrono una o due chiamate gratuite per aiutare i problemi di ansia legati alla quarantena o alla paura del Coronavirus. Basta fare una rapida ricerca sul web per trovare quelli regionali o messi in atto dai vari studi psicologici.

Soffrire di attacchi d’ansia e di panico è sempre spiacevole e in questo periodo lo è sicuramente di più. Per questo motivo è davvero importante prendersi cura di se e fare di tutto per mantenere un contatto con il mondo e con se stessi. Solo così si può infatti sperare di vivere al meglio e di superare con maggior forza questo momento che, se ben vissuto, aiuterà a sentirsi più forti che mai.

Dal Sito: chedonna.it 

martedì 24 marzo 2020

Mandala da colorare per meditare e rilassarsi



Significato. Mandala in sanscrito significa “centro, circolo, anello magico, cerchio”. Il termine, in origine (intorno al 1500 a. C) si riferiva agli elementi celesti quali il Sole e la Luna

Origini. I mandala sono originari dell’India, poi si sono presto diffusi nella cultura orientale e, più tardi, in quella occidentale, principalmente grazie allo psicoanalista Carl Gustav Jung.

Jung studiò i Mandala per oltre 20 anni e scrisse quattro saggi sull’argomento. Per comprendere l’interpretazione mandalica di Jung occorre riferirsi ai concetti di inconscio collettivo e di archetipo. La coscienza umana oltre a contenere un inconscio individuale ospita anche l’inconscio collettivo costituito da archetipi.

Mandala: significato in Psicologia

Per Jung i Mandala sono uno dei migliori esempi dell’operazione universale di un archetipo cioè dell’azione di tutti quei temi dominanti e presenti nell’inconscio collettivo di tutti noi. Il Mandalarappresenta uno schema ordinatore che si sovraimpone al caos psichico, così che l’insieme che si sta componendo viene tenuto insieme per mezzo del cerchio che contiene e protegge.

Ma che cosa rende queste rappresentazioni tanto speciali e utili?
I Mandala rappresentano una vera e propria “terapia dell’anima”, sono figure senza tempo e per questo sono il simbolo dell’universalità, della totalità della natura e del cosmo. La forma circolare rimanda proprio al simbolo dell’universo e indica la ciclicità delle stagioni, della vita, dell’esistenza: tutto scorre e tutto muta, niente è permanente.

Essendo parte della natura, anche l’essere umano è dinamico e in continuo mutamento: per essere in armonia con se stessi e con il mondo occorre lasciar progredire l’evoluzione della propria esistenza senza ostacolarla con l’attaccamento a modelli di vita, accettando di attraversare anche momenti di disgregazione per permettere la ricostruzione futura.

Questo processo viene chiamato da Jung “individuazione”, ovvero la presa di coscienza di Sé. In questo senso è emblematica proprio la tradizione di creare i Mandala con la sabbia: le tracce sulla sabbia vengono distrutte facilmente e questo permette di costruirne sempre di nuove, proprio come avviene nella vita.

In alcune tradizioni i mandala vengono realizzati e poi bruciati, proprio per ricordarci l’impermanenza di ogni cosa. Occorre quindi imparare l’arte del saper “lasciar andare”. I Mandala possono insegnarci a vivere in maniera fluida e armonica questo processo di costruzione/distruzione/ricostruzione.

Mandala tibetani

I mandala secondo la tradizione orientale sono una rappresentazione dell’universo. Il Mandala che disegniamo o coloriamo diventa una rappresentazione del nostro mondo interiore, del nostro stato d’animo in quel momento, del nostro Sè.

Rappresenta quindi un mezzo efficace per raggiungere un alto grado di consapevolezza. Il mandala è un’immagine simbolica basata su figure geometriche come il cerchio e il quadrato, che rimanda alla sfera spirituale.

Si parla di mandala tibetani perché in questa particolare tradizione, un mandala è composto dai 5 elementi che costituiscono il nostro universo:

  • La terra, giallo – fermezza, solidità, fiducia: dà la vita
  • L’acqua, bianco – fluidità, flessibilità: armonizza la vita
  • Il fuoco, rosso – sole, calore,vitalità: matura la vita
  • L’aria, verde – respiro della terra, scambio, comunicazione. Anima la vita
  • Lo spazio, blu – l’infinito, la libertà. Accoglie la vita

Come meditare con i mandala? Mandala da colorare

Capita spesso nella vita di essere sopraffatti da ansie e preoccupazioni e questo comporta un allontanamento dal “tuo centro” . Il Mandala rappresenta una vera e propria meditazione che ti permette di ritrovare il tuo benessere, il tuo centro, mettendoti in contatto con te stesso e la tua interiorità.

Io utilizzo questo strumento anche in studio con i miei pazienti, sia durante gli incontri individuali che durante i laboratori di gruppo. Una volta appreso, puoi utilizzarlo anche autonomamente a casa o dove vuoi tu.

Voglio innanzitutto dirti che non ci sono regole per colorare un mandala. Non esistono comportamenti giusti o sbagliati per colorare, infatti ciò che stai facendo sarà unico e dovrà rispecchiare te stesso. Perciò non sforzarti a giudicare o tantomeno a interpretare il tuo mandala. Non c’è nulla da interpretare, ma è un’occasione creativa per ascoltare le tue emozioni e il tuo mondo interiore.

Puoi ritagliarti il tempo per colorare il tuo mandala quando vuoi, l’ideale sarebbe un’oretta verso sera per scaricare lo stress accumulato durante la giornata.

La pratica di colorare un mandala consente alla tua mente di rilassarsi e di prendersi una pausa dai pensieri quotidiani, dalle ansie e dalle preoccupazioni. Inoltre l’atto di colorare ti consentirà di sollecitare l’emisfero destro del cervello, che è la parte creativa, la parte che spesso trascuri nella vita quotidiana.

Solleciterai quindi anche la parte irrazionale, istintiva e questo ti aiuterà ad entrare maggiormente in contatto con te stesso.

Colorare il mandala ti permetterà di arrivare allo stato “dei sogni ad occhi aperti”, al cosiddetto momento “alfa” in cui ti sentirai rilassato, estraniato e lontano dai pensieri che ti stressano. In questa fase riuscirai ad entrare in contatto con te stesso e ti immergerai in un processo di introspezione, dove potrebbero nascere nuove idee, nuovi punti di vista, nuove cose che potrebbero motivarti ad affrontare al meglio la tua vita.

Come colorare un mandala e rilassarsi?

Ecco alcuni semplici passaggi da seguire:

  • Cerca un luogo tranquillo dove potrai dedicarti al tuo mandala senza che nessuno ti disturbi. Spegni la tv, cellulare, computer. Se non ti piace stare in silenzio, puoi optare per una musica zen rilassante.
  • Scegli il tuo mandala che più ti interessa e che più richiama la tua attenzione. Puoi cercare su internet o sfogliare un libro di mandala e scegliere quello che più ti attrae. Cerca di fare una scelta istintiva ma consapevole. Una volta scelto osservalo per circa 5 minuti, ti farà rilassare e gradualmente raggiungere la tua calma interiore. Poni l’ attenzione sulle emozioni e le sensazioni che il mandala, ancora non colorato, ti rimanda.
  • Mandala da colorare. Una volta scelto e osservato il tuo mandala, puoi iniziare a colorarlo con i colori che vuoi tu (pennarelli, colori a cera, colori a matita, tempera) e iniziare a…rilassarti. Noterai fin da subito i suoi benefici. Inoltre puoi anche decidere di creare tu il tuo mandala. Quindi dovrai prima creare il mandala e poi iniziare a colorarlo.
  • Quando ti sentirai rilassato, chiudi gli occhi e fai respiri profondi. Quando ti sentirai pronto puoi iniziare a colorare. Dai spazio al tuo istinto creativo. Non pensare troppo, sentiti libero di colorare come vuoi.
  • Concentrati sul disegno. Se durante la colorazione ti passeranno nella mente le tue preoccupazioni che ti creano ansia, sposta l’attenzione sui colori, sulle forme. Dedicati totalmente al tuo mandala. Quando hai finito, guarda il tuo disegno. Fai attenzione ai colori che hai usato, alle sfumature.

Scrivi su di un foglio come ti senti ora e come ti sentivi prima. Poniti dei quesiti così da indurre un’auto-osservazione: a cosa hai pensato mentre coloravi il mandala? Cosa provi nel guardare il tuo mandala?


Potrai appendere il tuo mandala nell’angolo della tua casa dove ti senti più tranquillo. Quando sarai stressato, prenditi dei momenti di pausa e guarda il mandala. Focalizzati sulle forme e i colori e libera la tua mente. Goditi la sensazione di leggerezza e libertà che esso ti regalerà. Questo stato meditativo ti aiuterà a rilassare tutto il corpo, a calmare la mente e ad avere nuove idee.

Meditazione mandalica

Gli effetti benefici dei mandala e della meditazione mandalica sono innumerevoli. Ti aiutano infatti a:

  1. Favorire il rilassamento e indurre sensazioni di tranquillità
  2. Facilitare la meditazione
  3. Prevenire e gestire lo stress emotivo
  4. Ridurre i livelli di ansia
  5. Aumentare la consapevolezza di sé
  6. Favorire l’autoconoscenza
  7. Sviluppare la capacità di concentrazione
  8. Diminuire le tensioni muscolari
  9. Migliorare la creatività
  10. Facilitare il contatto con il proprio mondo interiore
  11. Stimolare la capacità di ascolto interiore

Se ancora non conoscevi il magico mondo dei Mandala, inizia subito a sperimentare te stesso/a e la tua creatività!

Concludo questo mio articolo riportando un bellissimo estratto di Alce Nero, sciamano della famiglia Lakota Sioux nell’America del Nord.

Ogni cosa che fa il Potere del Mondo è fatta in cerchio.
La volta del cielo è rotonda, e ho sentito che la terra è rotonda come una palla, e così sono tutte le stelle.
Il vento, al massimo del suo potere, gira vorticosamente. Gli uccelli fanno il nido in forma circolare perché la loro è la nostra stessa religione. Il sole sale e scende lungo il cerchio.
La Luna fa lo stesso ed entrambi sono rotondi. Anche le stagioni formano un grande cerchio nel loro trasmutare e sempre ritornano laddove furono. La vita di ogni uomo è un cerchio dalla fanciullezza alla fanciullezza e così è ogni cosa ove si muove il potere.

A cura di: Margherita Giordano, psicologa clinica


Dal Sito: psicoadvisor.com 

Ridurre lo stress a casa: ecco come fare



L’emergenza coronavirus è un fatto senza precedenti che sta creando difficoltà e ansie a tutta la popolazione del nostro paese, trovastasi in pochi giorni a fronteggiare una situazione inedita e angosciante. Se il personale dei presidi ospedalieri è in prima linea anche sul fronte dello stress, ma una comprensibile agitazione può colpire chiunque. E questo è un problema nel problema, perché la continua tensione emotiva caratteristica dello stress induce il corpo a produrre una sostanza chiamata cortisolo, che abbassa l’efficienza degli anticorpi e crea uno stato di infiammazione che rende l’organismo più fragile e quindi più esposto.

Lo stress ci indebolisce

Quando dobbiamo far fronte a una situazione di forte stress automaticamente si attiva un particolare distretto cerebrale, chiamato “asse ipotalamo-ipofisi- surrene” che stimola le ghiandole surrenali a produrre ormoni in grado di attivare rapidamente la circolazione sanguigna, aumentare la pressione arteriosa e generare un allarme globale nel corpo. Il messaggio è chiaro: c’è un pericolo incombente, occorre stare all’erta. Se nell’immediato questo comporta un aumento della potenza fisica e della lucidità mentale, alla lunga, in assenza di pause, fa sì che il corpo modelli la sua attività come se fosse sotto costante pericolo e per farlo elimina le proteine di “signaling”, quelle che servono proprio per l’attivazione delle difese del sistema immunitario. Tutto questo chiarisce perché abbiamo bisogno di tecniche psicologiche efficaci per ridurre il carico di stress. Eccone due molto efficaci.

Il respiro che scioglie la tensione eccessiva

Le tecniche derivate dalla meditazione sono fra le migliori per combattere lo stress. La prima cosa da sapere è che tutte si avvalgono di un particolare tipo di respirazione, detta diaframmatica. L’uso del diaframma, il muscolo che separa la cavità toracica da quella addominale, si esercita appoggiando un cuscino all’altezza dell’ombelico e cercando di sollevarlo il più possibile attraverso una respirazione lenta e profonda. Una respirazione rapida, superficiale e frequente innesca la produzione del cortisolo, che come abbiamo visto è in grado di innescare stati infiammatori. Al contrario, grazie alla respirazione diaframmatica, inviamo al cervello un segnale di “pericolo scampato” che interrompe il cortocircuito di allarme continuo. Bastano 20 minuti di questa attività al giorno per potenziare in modo significativo le difese immunitarie.

Esercizio anti stress di uso immediato

Quella che ti proponiamo qui è una tecnica mutuata dallo yoga e che si esegue seduti, con la spina dorsale ben dritta, il mento rivolto verso il petto che deve essere spostato leggermente in avanti. Quando si è in questa posizione, si procede tirando fuori la lingua e respirando profondamente con la bocca. Il tempo da dedicare a questo esercizio è fra i 3 e i 5 minuti, terminato il quale bisogna inspirare trattenendo il respiro per 15 secondi circa, mentre si preme la lingua sul palato superiore. Si ripeta l’esercizio per un massimo di tre volte al giorno. Tutto il corpo trarrà grande beneficio e senso di pace da questa tecnica così particolare. A qualcuno capita di provare un leggero senso di formicolio del tutto normale durante l’esercizio; in questi casi ci si può fermare un attimo, rilassarsi, e poi riprendere allo svanire dell’effetto.

Dal Sito: riza.it

lunedì 23 marzo 2020

Vademecum psicologico coronavirus per i cittadini


Vademecum psicologico coronavirus per i cittadini – Perché le paure possono diventare panico e come proteggersi con comportamenti adeguati, con pensieri corretti e emozioni fondate

Questo breve vademecum non vuole essere esaustivo né sostituirsi ad un aiuto professionale. E’ un contributo per riflettere ed orientare al meglio i nostri pensieri, emozioni e comportamenti – individuali e collettivi – di fronte al problema Covid-19. Pochi minuti del vostro tempo per una lettura che ci auguriamo possa esservi utile.

David Lazzari – Presidente CNOP – 26 febbraio 2020


La paura è un’emozione potente e utile. E’ stata selezionata dall’evoluzione della specie umana per permettere di prevenire i pericoli ed è quindi funzionale a evitarli.

La paura funziona bene se è proporzionata ai pericoli. Così è stato fino a quando gli uomini avevano esperienza diretta dei pericoli e decidevano volontariamente se affrontarli oppure no.

Oggi molti pericoli non dipendono dalle nostre esperienze. Ne veniamo a conoscenza perché sono descritti dai media e sono ingigantiti dai messaggi che circolano sulla rete. Succede così che la paura diventi eccessiva rispetto ai rischi oggettivi derivanti dalla frequenza dei pericoli. In questi casi la paura si trasforma in panico e finisce per danneggiarci.

Facciamo un esempio: dopo l’11 settembre il panico degli statunitensi per il volo in aereo fu tale che molti decisero di spostarsi in macchina. Nel periodo successivo sulle strade morì il doppio delle persone rispetto a quelle che viaggiavano sugli aerei catturati e abbattuti dai terroristi. Il panico si era tradotto in scelte individuali controproducenti che, aggregate, divennero un danno collettivo.

Si ha più paura dei fenomeni sconosciuti, rari e nuovi, e la diffusione del Coronavirus ha proprio queste caratteristiche.

A tutt’oggi, i decessi per influenza non da Coronavirus sono molto più frequenti. Di questi però non si ha paura perché ci siamo abituati a tal punto che molti italiani ignorano addirittura i benefici, in chiave preventiva, dei vaccini. Si ripete la differenza tra la paura dei voli in aereo e la scelta volontaria e sotto il nostro controllo di guidare un’automobile.

Per evitare che le paure siano sproporzionate e creino forme di ansia individuale e di panico collettivo proponiamo di condividere un “decalogo antipanico”. Alcune “chiavi di lettura” che possono aiutarci ad evitare due errori possibili: sopravvalutare o sottovalutare (negare) il problema.

Decalogo anti-panico

1. Attenersi ai fatti, cioè al pericolo oggettivo.

Il Coronavirus è un virus contagioso ma come ha sottolineato una fonte OMS su 100 persone che si ammalano 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi gestibili in ambiente sanitario, solo il 5 hanno problemi più gravi e tra questi i decessi sono circa la metà ed in genere in soggetti portatori di altre importanti patologie.

2. Non confondere una causa unica con un danno collaterale.

Molti decessi non sono causati solo dall’azione del coronavirus, così come è successo e succede nelle forme influenzali che registrano decessi ben più numerosi.  Finora i decessi legati al coronavirus sono stimati nel mondo sono cento volte inferiori a quelli che si stima causi ogni anno la comune influenza. E tuttavia questo 1% si aggiunge ed è percepito in modo diverso dai “decessi normali”. Finora nessuno si preoccupava di una forte variabilità annuale perché tutti i decessi venivano attribuiti all’influenza “normale”: nell’ultima stagione influenzale sono scomparsi 34.200 statunitensi e, l’anno prima, 61.099.

3. Se il panico diventa collettivo molti individui provano ansia e desiderano agire e far qualcosa pur di far calare l’ansia, e questo può generare stress e comportamenti irrazionali e poco produttivi.

4. Farsi prendere dal contagio collettivo del panico ci porta a ignorare i dati oggettivi e la nostra capacità di giudizio può affievolirsi.

5. Pur di fare qualcosa, spesso si finisce per fare delle cose sbagliate e a ignorare azioni protettive semplici, apparentemente banali ma molto efficaci (cfr. elenco qui sotto).

6. In linea generale troppe emozioni impediscono il ragionamento corretto e frenano la capacità di vedere le cose in una prospettiva giusta e più ampia, allargando cioè lo spazio-tempo con cui esaminiamo i fenomeni.

7. E’ difficile controbattere le emozioni con i ragionamenti, però è bene cercare di basarsi sui dati oggettivi. La regola fondamentale è l’equilibrio tra il sentimento di paura e il rischio oggettivo.

8. Questa semplice figura permette di vedere la paura del coronavirus in prospettiva.


La figura mostra nella parte superiore i pericoli di cui si ha più paura di quanta se ne dovrebbe avere. In questi casi l’indignazione pubblica può suscitare panico e, di conseguenza, ansie sproporzionate e dannose. Nella parte inferiore, al contrario, ci sono i pericoli a cui siamo abituati e che non provocano paure.

La sproporzione tra le aree dei due cerchi mostra quanta differenza c’è tra paure soggettive e pericoli oggettivi.

(Fonte: Paolo Legrenzi, A tu per tu con le nostre paure. Convivere con la vulnerabilità, Il Mulino, 2019).

9. La figura mostra il fenomeno delle paure nel loro complesso: l’indignazione pubblica sui media accentua alcune paure, come quelle per gli attacchi terroristici e i criminali armati, e induce a sottovalutare altri pericoli oggettivi a cui siamo abituati. Le caratteristiche del panico per coronavirus lo avvicinano ai fenomeni improvvisi e impressionanti che inducono panico perché sollevano l’indignazione pubblica.

10. Siamo preoccupati della vulnerabilità nostra e dei nostri cari e cerchiamo di renderli invulnerabili. Ma la ricerca ossessiva dell’invulnerabilità è contro-producente perché ci rende eccessivamente paurosi, incapaci di affrontare il futuro perché troppo rinchiusi in noi stessi.

 

Tre buone pratiche per affrontare il coronavirus

1. Evitare la ricerca compulsiva di informazioni.

Abbiamo visto che è normale e funzionale, in chiave preventiva, avere paura davanti ad un rischio nuovo, come l’epidemia da coronavirus: ansia per sé e i propri cari, ricerca di rassicurazioni, controllo continuo delle informazioni sono comportamenti comprensibili e frequenti in questi giorni. E tuttavia la paura si riduce se si riflette sul suo rapporto con i pericoli oggettivi e quindi si sa con chiarezza cosa succede e cosa fare.

2. Usare e diffondere fonti informative affidabili.

E’ bene attenersi a quanto conosciuto e documentabile. Quindi: basarsi SOLO su fonti informative ufficiali, aggiornate e accreditate.


Al Ministero della Salute, alla Protezione Civile, e al Sistema sanitario nazionale e regionale lavorano specialisti esperti che collaborano per affrontare con grande rigore, attenzione e con le risorse disponibili la situazione in corso e i suoi sviluppi.

3. Un fenomeno collettivo e non personale.

Il Coronavirus non è un fenomeno che ci riguarda individualmente. Come nel caso dei vaccini ci dobbiamo proteggere come collettività responsabile. I media producono una informazione che può produrre effetti distorsivi perché focalizzata su notizie in rapida e inquietante sequenza sui singoli casi piuttosto che sui dati complessivi e oggettivi del fenomeno. E’ importante tener conto di questo effetto.

 

Dopo i pensieri e le emozioni, i comportamenti

L’Istituto Superiore di Sanità indica semplici azioni di prevenzione individuale.

Eccole qui riassunte:

  • Evita il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute.
  • Il lavaggio e la disinfezione delle mani sono la chiave per prevenire l’infezione.
  • Bisogna lavarsi le mani spesso e accuratamente con acqua e sapone per almeno 20 secondi, fino ai polsi. Se acqua e sapone non sono a portata di mano, è possibile utilizzare anche un disinfettante per mani a base di alcol con almeno il 60% di alcol.
  • Il virus entra nel corpo attraverso gli occhi, il naso e la bocca, quindi evita di toccarli con le mani non lavate.
  • Copri bocca e naso se starnutisci o tossisci; usa fazzoletti monouso.
  • Usa la mascherina solo se sospetti di essere malato o assisti persone malate.
  • Non prendere farmaci antivirali né antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico.
  • Contatta il numero verde 1500 se sei tornato dalla Cina da meno di 14 giorni e hai febbre o tosse.
  • Se stai male e hai sintomi compatibili con il Coronavirus, contatta telefonicamente il tuo medico di base o il 118, senza recarti direttamente in ambulatorio o in Pronto Soccorso (per ridurre eventuali rischi di contagio a terzi o al personale sanitario).
  • Rispetta rigorosamente solo i provvedimenti e indicazioni ufficiali delle Autorità di Sanità Pubblica: sono una tutela preziosa per te e per tutti.

L’uso regolare di queste azioni elementari riduce significativamente i rischi di contagio per sé, chi ci è vicino e la collettività tutta.

 

A chi si deve badare nella marea delle notizie

E’ stata chiamata “infodemia” il contagio e la diffusione delle notizie: guardando la tv, aprendo i giornali o andando in rete si viene sommersi da una marea di informazioni di ogni tipo sul Coronavirus: veri esperti e finti esperti, specialisti improvvisati, persone che riportano il “sentito” dire o il “sentito” letto. In questo campo ragionare con il “buonsenso” porta a conclusioni spesso errate.

Va bloccato o ignorato uno stato di “allarme psicologico permanente” che si traduce in “indignazione pubblica”. Si tende così a aumentare la percezione dei rischi e siamo spinti a cercare ossessivamente informazioni più rassicuranti. I media però sono fatti per attirare l’attenzione e ci espongono per lo più a cronache allarmanti facendo cresce la sproporzione tra pericoli oggettivi e paure personali.

Conclusione: riduci la sovraesposizione alle informazioni dei media. Le semplici informazioni sopra riportate sono sufficienti. Una volta acquisite le informazioni di base su che cosa succede e che cosa fare, è sufficiente verificare gli aggiornamenti sulle fonti affidabili sopra indicate.

Si hanno così tutte le informazioni necessarie per proteggersi, senza farsi sommergere da un flusso ininterrotto di “allarmi ansiogeni”. E’ bene proteggere anche i bambini. Se ci interrogano, daremo sempre la nostra disponibilità a parlare serenamente di quello che possono aver sentito e li spaventa correggendo un quadro statisticamente infondato.

E’ meglio non esporli alle informazioni allarmistiche di cui sopra.

 

Agisci collettivamente per un fenomeno collettivo

Anche se tu ti sei fatto un’idea corretta del fenomeno e non provi alcuna paura infondata, è bene cercare di aiutare gli altri raccontando in parole semplici il nostro decalogo e le raccomandazioni qui elencate.

Devi supplire cioè all’indignazione e panico pubblici suscitati da molti canali media e social fornendo le semplici informazioni sopra indicate e ragionando con calma e pazienza invece di ignorare o, peggio, disprezzare chi non sa e si rifiuta di pensare.

Bisogna ricordarsi delle parole di Alessandro Manzoni in relazione alla peste di Milano del Seicento: “Il buon senso se ne stava nascosto per paura del senso comune”.

Andiamo a scalzare il senso comune ma non con il buon senso di Manzoni ma con la scienza e la razionalità. La psicologia permette di capire in modo razionale anche quel che non si presenta come tale ma che va capito e rispettato.

Agire tutti in modo informato e responsabile e aiutarsi reciprocamente a farlo, aumenta la capacità di protezione della collettività e di ciascuno di noi.

 

Non ti vergognare di chiedere aiuto

Se pensi che la tua paura ed ansia siano eccessive e ti creano disagio non avere timore di parlarne e di chiedere aiuto ad un professionista.  Gli Psicologi conoscono questi problemi e possono aiutarti in modo competente.

Tutti possiamo avere necessità, in certi momenti o situazioni, di un confronto, una consulenza, un sostegno, anche solo per avere le idee più chiare su ciò che proviamo e gestire meglio le nostre emozioni, e questo non ci deve far sentire “deboli”.

Non è debole chi chiede aiuto per aumentare le proprie risorse e quelle dei suoi cari.

 

(Ringraziamo il Prof. Paolo Legrenzi, docente emerito di psicologia all’università Ca’ Foscari di Venezia ed esperto di psicologia delle emozioni e delle decisioni, per la collaborazione).

Dal Sito: psy.it