Questi aspetti della mia vita sono diventati un torbido pozzo d'acqua, non riesco a vederne il fondo e ci mi ci ritrovo dentro senza averlo chiesto a nessuno. Io ti odio, è giusto che tu lo sappia, ma non per questi dettagli che con fatica, qualche volta, riesco a riavere. Ti odio per ciò che mi hai trasmesso in tutti questi anni: l'assenza di speranza. Perché quando arrivi, tutto quello che resta è l'incapacità di poterne uscire. Non voglio sedermi accanto ai miei figli, a mia madre, mio padre, mio marito o mia moglie, e pensare costantemente che un giorno tutto questo finirà, che il mondo smetterà di esistere e che io morirò. Allo stesso modo non voglio ritrovarmi sull'orlo dell'abisso a guardare il riflesso di ciò che sono. Non voglio digrignare i denti nel sonno, andare a letto con l'incubo di non risvegliarmi più o sentire un cappio stretto al collo mentre sono a tavola con le persone che amo.
Non voglio spaventare i miei figli, vergognarmi di uscire per paura di una crisi. Non voglio piangere senza un vero motivo: a proposito, anche per questo non ti sopporto. Sono io che devo decidere quando emozionarmi, sono io che devo decidere quando commuovervi, arrabbiarmi, urlare o stare in silenzio. Mi hai obbligato per tutto l'anno a vestirmi come volevi tu, a mangiare quando volevi tu, a uscire quando volevi tu. È una dipendenza che non ho deciso. Mi hai obbligato a ingurgitare pillole e farmaci in cerca di un attimo di quiete, ad andare per ospedali quando avevo solo bisogno di riposo. Perciò, per favore, 'cara ansia', almeno per questa volta lasciami sorridere.
Michele Iacovone
Urbanpost.it