giovedì 29 ottobre 2015

Turchese per l'ansia e viola contro gli attacchi di panico, il colore che cura

Roma, 23 ott. -(AdnKronos) - Da ciò che si mangia al trucco, dagli elementi d'arredo allo sfondo del pc, dalle sfumature del mare ai verdi del bosco, dai riflessi del cristallo al muro di casa, dagli abiti al sole che ogni giorno porta luce nelle nostre vite. "Tutto intorno a noi è colore e influenza i nostri stati emotivi. Senza colore (buio) - spiega Sara Cicolani, esperta di cromoterapia emozionale - è stato accertato che il nostro umore peggiora notevolmente. Ci sono numerosi studi che dimostrano la connessione tra stati depressivi e chi lavora senza luce o tra chi indossa occhiali scuri da sole per troppe ore al giorno. Dato che il colore influenza notevolmente i nostri stati emotivi - spiega Cicolani -basterebbe veramente poco per essere sempre con una giusta dose di buon umore nonostante le mille peripezie che la vita quotidiana ci impone".


Possiamo infatti sfruttare i vari effetti che, a nostra insaputa, il colore ha sui nostri stati d'animo. "Ci sono dei colori che ci aiutano moltissimo a cambiare in poco il nostro umore e sono i cosiddetti colori caldi: giallo, oro, arancio". Ma in realtà ogni moderno malessere sembra avere un colore 'curativo'.

"Altri colori - spiega Cicolani - ci aiutano a metterci in contatto con le nostre discordanze emozionali quotidiane così tipiche di questo periodo storico tra cui la paura di non essere amati, la fame d'amore (rosa/cristallo); gli sbalzi d'umore (oro); il senso d'inadeguatezza (porpora); il sentirsi scarichi e senza energie (verde luminoso); l'ansia (turchese); avere mille paure (celeste acqua); essere facilmente manipolabili (viola scuro), essere freddi, distaccati e intolleranti (mix di viola scuro, rosso, rosa, verde); l'inclinazione a rimandare in continuazione (rosso ambrato); il senso di frustrazione (arancio chiaro); gli attacchi di panico (viola scuro, celeste acqua, oro, cristallo)".

Se invece vogliamo eliminare tutti i troppi pensieri che ci rovinano le giornate "basterà usare le tonalità del blu 'annacquato', blu chiaro, celeste acqua, turchese, azzurro.... Insomma blu non troppo scuro perché altrimenti ci deprimiamo".

E ancora, grigio per disintossicarsi dal mondo; arancio chiaro se ci si sente frustrati; verde mare contro le reazioni violente e negative; rosso ambrato per combattere l'indecisione; blu contro il mal di testa.

Se poi volessimo creare all'interno della nostra casa una stanza della meditazione"tutte le tonalità del viola e l'oro aiutano le attività meditative - spiega Cicolani - e il riconnetterci con il nostro lato spirituale". Tutti i toni del viola "dal viola scuro al porpora per la meditazione trascendentale, mentre l'oro se ci interessa una meditazione meno introspettiva e più proiettata verso l'esterno".
Focus.it

lunedì 19 ottobre 2015

10 pensieri che le persone ansiose fanno durante il giorno

Una delle cose fastidiose dell'ansia è avere a che fare con pensieri che s'infuocano e si trasformano in costanti preoccupazioni. A volte sono giustificabili ("avrò lasciato il forno acceso?"), ma spesso sono totalmente infondati ("Il mio capo mi odia?"). Il cervello, però, non conosce la differenza.
Abbiamo chiesto ai redattori di HuffPost e ai membri della nostra Facebook community che soffrono d'ansia di condividere in forma anonima alcuni dei pensieri che li opprimono e gli frullano per la testa durante il giorno. Scopri qui sotto solo alcune delle cose che spingono gli ansiosi a essere paranoici, ti potrebbe aiutare a pensarci su due volte prima di giudicare una persona che non può proprio far a meno di preoccuparsi.


1. Dire qualcosa che potrebbe offendere qualcuno
"Forse l'ho detto nel modo sbagliato. Provare così tanto a non offendere quella persona lo ha fatto risultare forse ancora più offensivo?


2. Rimanere bloccati sui mezzi pubblici
Quando un treno della metropolitana si blocca o si ferma e non ne conosco il motivo vado fuori di testa e penso di prendere un taxi, anche se so che mi costerà troppo e prenderò tempo lo stesso. Vorrei sempre avere il controllo di tutto quello che mi circonda".


3. Arrivare in ritardo
"A che ora devo lasciare il lavoro per arrivare in orario? Ci sarà traffico? Troverò il parcheggio?"


4. Temere che qualcosa possa andare storto
"Vivo nella paura costante di cosa potrebbe accadere a me e mio marito. Ho paura di finire in mezzo alla strada e non ho amici o parenti ai quali potermi appoggiare".


5. Dimenticare di fare qualcosa di importante
"Ogni santo giorno quando esco di casa controllo di aver chiuso a chiave almeno 3 volte e mi assicuro che il frigo sia ben chiuso."


6. Non poter essere sicuro di quello che sta accadendo o di quello che accadrà
"Ogni giorno, ogni minuto ho l'ansia di cosa stia accadendo. Qualcosa che è accaduto di recente o qualcosa che potrebbe accadere nei prossimi istanti".


7. Chiedersi se il tuo ragazzo è arrabbiato con te
"Perchè ci mette così tanto tempo a rispondere al mio messaggio? Sarà forse arrabbiato con me? Forse lo sto annoiando".


8. Fare un errore a lavoro e pensare che i colleghi ti giudichino
"Ho fatto un errore nell'ultima mail di gruppo. Ho subito rettificato. Adesso penseranno che sono incompetente".


9. Sembrare stupido in un contesto sociale
"Staranno ridendo di me? Spero di non aver sbagliato. Spero di non aver detto qualcosa di sbagliato. Forse non era divertente? Forse non dovevo ridere? Posso andare via adesso?".


10. Essere ansioso di essere ansioso
"Molte delle mie ansie derivano dal fatto che sono ansioso. Perchè sono ansioso? Non ho ragione di essere ansioso. Sono felice e ho una bella vita. Perchè non posso liberarmi dall'ansia? Tutti dicono che mi l'ansia mi stressa inutilmente e ne sono consapevole. Ma forse metto ansia alla gente?".


Tutto questo ti suona familiare? Ecco cosa puoi fare:
Realizza che è il tuo cervello a fare questo. Secondo lo psicologo Rick Hanson autore di "Hardwiring Happiness: The New Brain Science of Contentment" il nostro cervello possiede una propensione negativao una tendenza a far emergere il peggior risultato possibile. Questo è particolarmente frequente per chi soffre d'ansia. Se il tuo cervello sta entrando in una spirale di cattivi pensieri non piangerti addosso e non colpevolizzarti.
Accetta i tuoi pensieri. Non spazzare via i tuoi pensieri dalla tua mente, piuttosto affrontali a testa alta. "La più grande preoccupazione quando inizia a salire l'ansia è quella di creare un circolo virtuoso" dice lo psichiatra Mickey Trockel, assistente di clinica e professore di psichiatria e scienze comportamentali della Stanford University, ad HuffPost. "Quando qualcosa sta provocando in noi quelle emozioni, cerchiamo di evitare l'ansia è proprio lo star bene che rinforza la nostra ansia".
Fatti delle domande. Guarda i tuoi pensieri dalla giusta prospettiva ponendoti delle domande che ti aiutano a riformulare la tua paura. Questo metodo ti consente di distaccarti da te stesso e di parlare. "Valutare i pro e i contro di quel pensiero", spiega Peter Norton, un professore di psicologia dell'università di Houston. "Valutare per bene vi aiuterà ad avere una visione più razionale della situazione".
Impegnati in attività rilassanti. Non importa se si tratta di una piccola meditazione o una passeggiata, entrambe hanno dei benefici sulla salute mentale. Fai qualcosa che ti faccia stare sereno e distragga la tua mente dai cattivi pensieri.Questo post/articolo è comparso per la prima volta su HuffPost Us ed è stato poi tradotto dall'inglese da Valentina Trifiletti

L' Huffington Post.it 

mercoledì 14 ottobre 2015

L’era della nomofobia: senza smartphone scatta il panico

L’era della nomofobia: senza smartphone scatta il panico

Siamo drogati di polvere di bit. Nell'era della nomofobia, senza smartphone scatta il panico.

 Nell’era più tecnologica di sempre – quella postmoderna – le conseguenze legate all’iperconnessione degli individui sono sempre più gravi e lapalissiani, a causa di una società caratterizzata da sistemi di comunicazione interdigitali senza precedenti. Dunque, non stupirà che in uno studio del 2008 condotto su un campione di 2.163 persone e commissionato dal britannico Post Office Ltd all’ente di ricerca YouGov, sia stato coniato il termine inglese nomophobia. Il neologismo, sorto dall’abbreviazione “no-mobile-phone”, designa il terrore di rimanere sconnessi dalla rete
mobile. La ricerca ha rilevato che, in Gran Bretagna, il 53% dei possessori di smartphone manifesta stati d’ansia quando non può usarlo (ad es. a causa della batteria scarica o del credito in rosso oppure in assenza della copertura di rete). Nello specifico, il 58% degli uomini e il 48% delle donne soffrono di questa nuova forma di psicopatologia. Gli effetti generati da tale fobia sono molto gravi, simili ad attacchi di panico: angoscia, respiro difficoltoso, vertigini, nausea, sudorazione, tremori, tachicardia e così via.

  

Nello specifico, i nomofobici cercano di evitare l’ansia ricorrendo ad una serie di comportamenti preventivi (ad es. portando sempre con sé un caricabatterie e tenendo perennemente il credito telefonico in attivo). Così, emerge che 6 ragazzi su 10 tra i 18 e i 29 anni non vanno a letto senza la compagnia confortante dello smartphone, una coperta di Linus gravemente dannosa per il riposo. Dal canto suo, la ricercatrice Francisca Lopez Torrecillas – professoressa presso l’Università di Granada – ha svolto uno studio su giovani tra i 18 e i 25 anni ed ha riscontrato che si tratta della fascia d’età più dipendente dallo smartphone. Per la dottoressa, le cause più evidenti sarebbero bassa autostima e problemi nelle relazioni sociali. Secondo David Greenfield, professore di psichiatria all’Univeristà del Connecticut, la dipendenza da smartphone può influire sulla produzione della dopamina (il neurotrasmettirore del piacere e della ricompensa). Di conseguenza, ad esempio, all’apparire di una notifica di WhatsApp o Facebook il livello di dopamina tende a salire, nella speranza che si stia per vivere qualcosa di eccitante.

Per quanto concerne le ricerche italiane, due studiosi dell’Università di Genova – Nicola Luigi Bragazzi e Giovanni Del Puente – hanno proposto che la nomofobia venga inserita nel “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM), punto di riferimento mondiale per psicologi e psichiatri. Bragazzi e Del Puente definiscono questa fobia come “guscio protettivo o scudo” e “come mezzo per evitare la comunicazione sociale”. Secondo i ricercatori, inoltre, “come in ogni forma di dipendenza, il primo sintomo è anche in questo caso la negazione” e ciò rende più difficile l’accettazione e la cura del disturbo.
Ma la nomofobia non è l’unico concetto prezioso per analizzare le problematiche collegate alla società iperconnessa contemporanea. Negli ultimi anni, si fa un gran parlare anche di phubbing (termine nato dalla crasi di phone e snubbing, ossia snobbare, ignorare)l’atteggiamento sgarbato che induce a controllare continuamente lo smartphone alla ricerca di novità, isolandosi e trascurando la propria compagnia in carne ed ossa. Come si intuisce, si tratta di un neologismo profondamente connesso a quello di nomofobia e rappresenta uno degli effetti più dilaganti nella nostra vita quotidiana. Per combattere questo fenomeno è nato addirittura il sito www.stopphubbing.com, al fine di boicottare una tendenza emblematicamente riscontrabile nei ristoranti ed ai bar nelle uscite fra amici. 

Inside Marketing.it 

venerdì 9 ottobre 2015

Paralisi del sonno: svegli ma paralizzati, a volte con le allucinazioni.

Essere svegli, eppure non riuscire a muoversi, come se si fosse paralizzati. E vedere i "fantasmi", ovvero assistere in piena coscienza alla proiezione allucinata della propria immagine corporea: la paralisi del sonno, o ipnagogica, è un disturbo legato a un prolungamento eccessivo, o a un inizio anticipato, della fase REM, quella normalmente popolata dai sogni. Che però possono trasformarsi in incubi se ci si sveglia quando tale fase non è ancora terminata: può sembrare infatti che le immagini prodotte dalla mente prendano quasi una forma reale, tant'è che in molte culture tali allucinazioni sono da sempre state attribuite a forze soprannaturali.
Sono tre i tipi fondamentali di allucinazioni durante la paralisi del sonno: la presenza di un intruso, una pressione sul petto a volte accompagnata da esperienze di aggressioni fisiche e/o sessuale, ed esperienze di levitazione e di uscita dal proprio corpo.
Secondo un recente studio britannico pubblicato sul "Journal Of Sleep Research" su 862 intervistati, quasi il 30% dei pazienti ha dichiarato di aver sperimentato almeno un episodio di paralisi del sonno nel corso della vita, solo l'8% ha invece riferito di episodi più frequenti.
Eppure, in alcuni casi, la paralisi del sonno può essere sintomo di un disturbo più grave, la narcolessia, in cui la capacità del cervello di regolare il normale ciclo sonno-veglia subisce delle alterazioni. Generalmente la paralisi ipnagogica è correlata a situazioni cliniche come disturbo da stress post-traumatico e risulta più frequente tra i pazienti che soffrono di crisi di panico. Ciò non esclude, tuttavia, che possa manifestarsi anche in assenza di particolari disturbi. Eventi stressanti, ansia e scarsa qualità del sonno sono tutti fattori che possono incidere negativamente. A conferma di ciò il fatto che chi, come i turnisti, non ha la possibilità di godere di un riposo regolare, manifesta un rischio più alto di paralisi del sonno. Non bisogna trascurare poi il ruolo giocato dal Dna nella vulnerabilità alla paralisi notturna: alcuni studi condotti su gemelli hanno dimostrato che esiste la variante di un gene coinvolto nella regolazione del ciclo sonno veglia che può essere associato alla paralisi del sonno.
Gli studi in laboratorio
La fase REM nel ciclo del sonno è un periodo di intensa attività cerebrale, normalmente associata ai sogni: in questo periodo i muscoli sono immobili (a parte gli occhi e le vie respiratorie). Si presume che questo meccanismo di paralisi si attivi per non permetterci di agire durante i nostri sogni e di farci involontariamente del male. Tuttavia, di tanto in tanto, questo meccanismo di sicurezza non funziona, in questi casi sperimentiamo la paralisi del sonno.
Un team di ricercatori giapponesi è riuscito a indurre episodi di paralisi del sonno privando sistematicamente i partecipanti della fase REM. Hanno scoperto così che, se tale sottrazione viene ripetuta più volte, gli individui tendono a passare dalla veglia direttamente a una fase detta SOREM, bypassando le altre fasi del sonno. In seguito a questa fase Sorem, i partecipanti hanno più probabilità di avere un episodio di paralisi del sonno.
In sintesi, gli studi recenti confermano che la paralisi del sonno è strettamente legata alla fase REM ma ad oggi non ci sono ancora terapie mediche specifiche, anche se in casi gravi possono essere prescritti degli antidepressivi. La ricerca ha comunque messo in luce che mantenere un ciclo di sonno regolare può ridurre la frequenza di tali episodi, insieme a una serie di strategie di prevenzione come cambiare spesso posizione mentre si dorme, fare attenzione alla dieta e fare esercizio fisico. 
 





mercoledì 7 ottobre 2015

Il terribile calvario di Stefano Dionisi: "La depressione, il ricovero, gli anni di buio"


Il terribile calvario di Stefano Dionisi:
La depressione, gli attacchi di panico, il crollo, la rinascita. La consapevolezza che dal male oscuro non guarirai, ma puoi sopravvivere, e forse anche vivere. La storia di Stefano Dionisi, attore di Farinelli, Sostiene Pereira, Bambola, è da brividi.
Si trovava in Spagna, durante le riprese di un film: lo coglie un attacco di panico, non sa cosa fare, scappa da tutti. Lo ritrovano in un paesino disabitato dell’Estremadura e, dopo le prime cure, lo rimandano in Italia. Viene ricoverato in un ospedale psichiatrico a Pisa: inizia una lenta guarigione, poi le devastanti ricadute, cambia terapia, si trasferisce a Roma, va in analisi, ricorre a psicofarmaci. Insomma le prova tutte. Dionisi racconta la sua storia nel libro La barca dei folli (Mondadori).
L'analisi gli fa capire che la nuvola nera in cui è entrato ha origini lontane: l'abbandono del padre quando era piccolo. La madre gli sta vicino, Dionisi conosce tanti compagni di malattia, e li descrive nel libro. "Ho sperimentato così l’importanza della famiglia", dice l'attore, David di Donatello per Farinelli, "perché se gli manca il sostegno di un padre e di una madre, delle persone care, un malato psichico non ce la fa a rialzarsi, si emargina sempre di più, viene impasticcato e lasciato solo, non guarisce, diventando anche un costo per la società". Denuncia Dionisi: "Lo Stato dovrebbe aiutare le famiglie che hanno un congiunto con malattie mentali, perché i farmaci di ultima generazione sono troppo cari, perché la solitudine aumenta la disperazione, peggiora il quadro clinico, e può allontanare i familiari da chi ha già gravi problemi affettivi, che sono quasi sempre l’origine dei disturbi mentali". E la fede, conta? "Di solito ci si appiglia a Dio quando le terapie sembrano non funzionare più e si ha bisogno di alimentare la speranza, io ho chiesto di confessarmi al cappellano dell’ospedale, volevo un rapporto che mi avvicinasse al Mistero...".
Dionisi parla anche alla Stampa del suo difficile percorso verso la salute mentale: "Non si guarisce mai ma sto bene. Vivo una bella storia d' amore, ho recuperato il rapporto con mio figlio. Scrivo un nuovo libro e sono in tv (nella fiction di Canale 5 L'onore e il Rispetto e in quella di Raiuno Un medico in famiglia, Ndr)".

 Liberoquotidiano.it