sabato 29 giugno 2019

Meglio non pensarci, le trappole del rimuginio e della ruminazione



Vi è mai successo di restare imprigionati per ore, se non per giorni, in un vortice di pensieri negativi che avreste tanto voluto mettere a tacere? Sebbene sia un’esperienza piuttosto comune avere idee e pensieri spiacevoli, è anche vero che alcune persone riescono ad assumere una distanza critica da essi, lasciandoli andare dopo un po’. Altri, invece, nelle stesse condizioni, sviluppano un distress profondo, restando “incastrati” in una trappola che genera ansia, tristezza e sensazione di impotenza.

Nell’articolo di oggi parliamo di rimuginio e ruminazione, due processi mentali caratterizzati da ripetitività che possono causare serie ripercussioni sul benessere emotivo della persona.

La terapia metacognitiva

Adrian Wells, psicologo inglese, ha sviluppato un modello di trattamento dei disturbi d’ansia e della depressione che prende il nome di Terapia Metacognitiva (Metacognitive Therapy, MCT). Secondo questa teoria, la metacognizione, ovvero il modo in cui gestiamo, monitoriamo e utilizziamo i pensieri, sarebbe alla base della maggior parte dei disturbi psicologici. Non sarebbero tanto i pensieri a determinare i sintomi ansiosi o depressivi, ma il modo in cui reagiamo ad essi. Alcune persone rimarrebbero imprigionate nella sofferenza perché la loro metacognizione, di fronte a certi stimoli, metterebbe in atto un particolare tipo di risposta ricorsiva (la ruminazione, il rimuginio, il monitoraggio della minaccia etc) che non fa altro che rendere più intensa l’ansia e la depressione.

Il rimuginio

Il rimuginio, chiamato anche worry, è una forma di pensiero di tipo astratto che possiede caratteristiche di ricorsività e intrusività. Generalmente nel rimuginio il contenuto del pensiero riguarda eventi futuri che possono realizzarsi e il cui esito è incerto o comunque immaginato come negativo. Spesso assume la forma “e se…?” (“e se venissi bocciato all’esame?”, “e se la mia ragazza mi lasciasse?”, “e se restassi senza soldi?”). Il worry è associato all’ansia, non è vissuto come esperienza piacevole (anzi, questi pensieri vengono vissuti come intrusivi e si cerca di scacciarli) e spesso diventa così intenso da lasciare la persona esausta.  In un primissimo istante questa modalità di pensiero ripetitivo si rivela utile: pensare e ripensare ad un problema ci dà un senso di controllo e ci illudiamo che così troveremo più soluzioni. Ma dopo poco il rimuginio si rivela per ciò che è: una strategia non funzionale, che prosciuga le nostre energie e quasi mai  ci permette di risolvere i problemi. Pensare tutto il giorno alle difficoltà economiche difficilmente farà aumentare il nostro conto in banca!

La ruminazione

La ruminazione è una forma di pensiero ripetitivo e persistente, in cui l’attenzione è focalizzata sul proprio passato, sulle perdite subite e sulla propria sofferenza. Diversamente dal rimuginio, la ruminazione è tra i fattori che causano, mantengono e aggravano la depressione. Questi pensieri spesso assumono la forma “perché…?” (“perché mi ha lasciato?”, “perché è successo a me?”). La ruminazione causa una focalizzazione su aspetti negativi della realtà che peggiora il tono dell’umore e riduce la fiducia nel futuro. Non potendo dare risposte certe a tutti questi “perché”, determina incertezza e mantiene un senso di precarietà e minaccia, tale per cui l’ansia e la depressione, invece di ridursi, aumentano. La persona si illude che, pensando e ripensando al passato, avrà una visione più chiara di ciò che è avvenuto e potrà in questo modo evitare che gli errori si ripetano o che le cose vadano male di nuovo. Una particolare forma di ruminazione è quella rabbiosa, legata ad un evento passato in cui la persona ritiene di aver subito un torto. La ruminazione rabbiosa amplifica i sentimenti di rabbia e si traduce in un desiderio di vendetta. Come è avvenuto con il rimuginio, anche la ruminazione inizialmente dona un senso di padronanza e controllo. Tutto questo dura poco: a lungo andare, ci si sente sempre più tristi, paralizzati, impotenti. A questo punto, ogni iniziativa per tirarsi fuori da una situazione dolorosa diventa più difficile.

L’aiuto della Mindfulness

Ruminazione e rimuginio consumano preziose risorse attentive, riducono la capacità di prendere decisione e bloccano l’iniziativa all’azione finalizzata. A volte esse vengono utilizzate in modo talmente automatico e massivo da dare una sensazione di perdita di controllo e impotenza. Per contrastare gli effetti deleteri di queste modalità ripetitive di pensiero, si è rivelato molto utile l’utilizzo di protocolli basati sulla Mindfulness. Questo approccio, che utilizza alcune tecniche ispirate alla meditazione vipassana, aiutano ad assumere una distanza critica dai propri pensieri, dalla quale poterli osservare senza giudicarli o reagire ad essi. Col tempo e la pratica sarà sempre più facile vedere i pensieri come prodotti dell’attività mentale, che possono essere lasciati fluire liberamente.

Articolo della dottoressa Tiziana Di Scala 
Dal Sito: 

venerdì 28 giugno 2019

Cos’è la claustrofobia, sintomi e trattamenti




La claustrofobia è la paura di trovarsi in uno spazio chiuso: ecco come e quando si manifesta, quindi le informazioni sui sintomi e sui trattamenti.
La claustrofobia è la paura di trovarsi in uno spazio chiuso e si manifesta nella maggior parte dei casi con una sensazione spiacevole più o meno intensa, con la paura di perdere il controllo della situazione e del contesto.

La claustrofobia è una delle possibili manifestazioni dell’agorafobia. Le persone che soffrono di quest’ultima sono in linea generale preoccupate da tutte quelle situazioni in cui non riescono a individuare con certezza un modo semplice per fuggire o, ancora, ottenere aiuto nel caso in cui l’ansia dovesse aumentare oltre un certo livello. Questa fobia può cogliere i soggetti che ne soffrono nelle condizioni più disparate, come in treno o sull’autobus, su qualunque altro mezzo di trasporto pubblico a porte chiuse, negli spazi aperti troppo ampi per consentire il controllo, negli ambienti molto affollati, siano essi piazze o centri commerciali, nelle condizioni di completa solitudine.

Quando si manifesta

La claustrofobia è un’esperienza molto individuale. Alcuni pazienti manifestano sintomi di leggero disagio quando si trovano in uno spazio ristretto o affollato, altri invece si sentono estremamente ansiosi e possono sperimentare un vero e proprio attacco di panico. Ecco quali sono le situazioni che con maggiore frequenza scatenano i sintomi della claustrofobia:

ascensori;

tunnel;

treni, autobus affollati o no, aerei;

stanze affollate e chiuse o con poche vie di fuga;

porte girevoli con spazi di apertura alternati;

bagni pubblici;

auto con chiusura centralizzata automatica;

lavaggio di auto automatici;

spogliatoi nei negozi;

stanza senza finestre;

vestiti stretti.

La claustrofobia, come altri disturbi d’ansia, è una condizione curabile, perciò è indispensabile riferire al medico se alcune situazioni di solito normali cominciano ad essere associate a disagio.

Attacchi di ansia: come riconoscerli e cosa fare

I sintomi della claustrofobia

Il sintomo che di solito si riconduce con facilità a una fobia è il vero e proprio attacco di panico scatenato da un ambiente chiuso. Un attacco di panico è un improvviso e molto intenso episodio di paura. Le sensazioni fisiche possono essere travolgenti e dare in concreto la sensazione di sentirsi mancare.

I sintomi comuni degli attacchi di panico includono:

la paura di perdere il controllo o lo svenimento;

sentimenti di sventura e timore concreto per la propria incolumità;

paura di morire;

pensieri rapidi che rendono più difficile il pensiero chiaro;

battito cardiaco accelerato;

frequenza respiratoria accelerata o mancanza di respiro;

sudore intenso e tremori;

sensazione di debolezza e vertigini;

sensazione di soffocamento;

vampate di calore o, al contrario, brividi;

confusione, disorientamento e nausea.

Claustrofobia e condizioni di vita

La claustrofobia, se non adeguatamente trattata, causa una profonda modifica e peggioramento delle condizioni di vita. Gli attacchi di panico possono essere spaventosi e il timore di doverli nuovamente affrontare può cambiare la routine quotidiana. Nei casi più gravi i pazienti potrebbero non sentirsi più in grado di lasciare la propria casa.

Claustrofobia e trattamento

Il medico è il professionista che deve prendere in carico il paziente per seguire la terapia cognitivo comportamentale ed, eventualmente, farmacologica. In ogni caso l’approccio è personalizzato sulla base della condizione di salute di base del paziente.

Dal sito: greenstyle.it 

Tristi dentro allegri fuori È la depressione sorridente



Si tratta della forma più infida della malattia: chi ne soffre conduce apparentemente una vita normale

La depressione può presentarsi in tanti modi: c'è chi non riesce ad alzarsi dal letto, prova ansia e disinteresse per la vita e chi continua a sorridere, coltivare le amicizie e lavorare. E quando è così è ancora più difficile rendersi conto o far capire agli altri di aver bisogno di aiuto. Questa forma, che per certi versi appare la più infida, ha un nome: «smiling depression». Davanti agli altri si sorride mentre dentro ci si sente fragili, tristi, senza speranza. Chi ne soffre conduce una vita apparentemente normale che però nasconde un mondo interiore ben diverso da quello mostrato.

CHI È A RISCHIO

Olivia Remes dell'Università di Cambridge (UK) in un articolo pubblicato recentemente sulla rivista on line The Conversation, sostiene che questo tipo di depressione può iniziare presto nella vita e durare a lungo. Diversamente da altre, nelle quali l'insonnia è un campanello di allarme, in questa forma il bisogno di dormire in genere aumenta e l'angoscia tende a salire soprattutto di sera. Colpisce tra il 15 e il 40 per cento dei soggetti depressi, e risulta più comune nelle persone con determinati tratti come rimuginare eccessivamente sul passato e sugli errori commessi, avere difficoltà a superare situazioni imbarazzanti, essere ipersensibili alle critiche.

Secondo la ricercatrice si tratta di una depressione pericolosa perchè difficile da individuare. Espone tra l'altro a un rischio maggiore di suicidio. Queste persone sono in grado di portare avanti attivamente la propria vita, possono riuscire ad attuare i loro propositi.

COME USCIRNE

Ci sono altri motivi che rendono questa depressione più pericolosa. Apparire felici agli altri e soffrire profondamente dentro può voler dire non rendersi conto della propria condizione, non volerne prendere coscienza, pensare di non avere un problema visto che si è in grado di affrontare la routine quotidiana. Si può aver paura di essere considerati deboli ammettendo la propria difficoltà. Possono affiorare sensi di colpa per il fatto di soffrire pur non vedendone motivi veri.

L'idea di aver bisogno di rivolgersi a uno psicologo può sembrare esagerata o far pensare di essere gravemente disturbati. E questo porta a non parlarne con nessuno, a soffocare la sofferenza dietro un'immagine di sé non realistica.

Smettere di razionalizzare i problemi pensando che non siano abbastanza gravi è invece il vero inizio per rompere un ciclo negativo. È questo che porta a capire che è il momento di prendersi cura di sè, che non sempre ce la possiamo fare da soli, che è necessario chiedere aiuto e abbiamo diritto a trovarlo perchè la depressione è una condizione che stravolge la vita ma dalla quale si può uscire.

Diana Alfieri

Dal sito: m.ilgiornale.it


Emozionarsi, senza paura



Alcune emozioni sono temute, represse o giudicate poiché ritenute socialmente inaccettabili o pericolose, eppure sono indispensabili alla nostra vita e per stabilire rapporti profondi con sé stessi, con gli altri e con l’intero creato.

L’emozione è l’espressione di un messaggio che il corpo rimanda. Essa origina in primis nel nostro cervello, dove in risposta ad uno stimolo, interno o esterno, ed alla sua elaborazione si genera un pensiero ed un’attribuzione di senso. Essa porta con sé un messaggio cifrato che mediante l’accompagnamento dell’adulto e l’educazione emotivo-affettiva, sin dall’infanzia possiamo imparare a riconoscere e comprendere sia nelle manifestazioni che nel significato. Il tipo di educazione emotivo-affettiva che si riceve non è l’unica spiegazione del perché le persone hanno rapporti diversi con le emozioni: questi dipendono anche dal personale grado di maturazione raggiunto che è differente in base all’età e all’esperienza.

Sappiamo che alcune emozioni sono universali e vengono vissute allo stesso modo in tutte le culture. Alle prime appartengono tutte le emozioni primarie, approfondite anche nel kit del giornalino Big “Grandi emozioni a piccoli passi“. Sono: gioia, paura, tristezza, rabbia, disgusto e sorpresa. Tra le emozioni secondarie troviamo ansia, allegria, vergogna, senso di colpa, gelosia, nostalgia, rassegnazione, rimorso, offesa, delusione.

Pregiudizi sulle emozioni
Alcune emozioni sono temute, represse o giudicate poiché ritenute socialmente inaccettabili o pericolose. Ad esempio la rabbia, il disgusto, la paura, l’ansia, la vergogna, il senso di colpa vengono sovente collegate con una possibile perdita di controllo e con una cattiva immagine di sé. Eppure senza di loro ci rassegneremmo alle ingiustizie, resteremmo esposti al macabro, trascureremmo i pericoli, non avremmo segnali per capire quanto per noi quello che sta per accadere è importante, non metteremmo limiti all’indecenza, né saremmo consapevoli dell’entità degli effetti del nostro comportamento. Queste emozioni sono scomode poiché mettono in discussione, invitano a scoprire e riconoscere i propri limiti al fine di superarli.

Senza una sufficiente familiarità con esse si può esserne spaventati. È l’esperienza di quanti provano ansia generalizzata. Essi avvertono una serie di reazioni psicocorporee a cui non riescono ad attribuire né significato né connessioni logiche con la loro esperienza. Non essendoci comprensione né accoglienza di quanto accade, le reazioni si amplificano e la persona, non sapendo come comportarsi, ne è spaventata.

In generale si crede di dover mostrare solo alcuni tipi emozioni al fine di dare un’immagine di sé coerente, senza considerare che così facendo si propone un’immagine statica di sé e ci si costringe a non provarne molte altre che sarebbero invece coerenti con le situazioni contestuali. In questi casi il mondo affettivo-emozionale della persona diviene gradualmente sempre più ristretto e coartato.

Le emozioni ci attendono
Se è vero che esse si apprendono sin da piccoli è anche vero che affinché l’adulto accudente possa trasmettere la capacità di riconoscerle e gestirle è necessario che a sua volta l’abbia appreso. Imparare a familiarizzare con le emozioni anche da adulti si può. Esistono training sulla gestione delle emozioni e sullo sviluppo di una intelligenza emotiva che servono proprio a questo.

Le emozioni sono basilari in tutti i contesti in cui viviamo e gli studi sull’intelligenza emotiva confermano l’importante ruolo che esse svolgono nelle interazioni e nel lavoro. Senza di esse la relazionalità e la salute mentale sarebbero minacciate e con esse anche molte altre forme di interazione con il mondo circostante.

Se da un lato le emozioni possono rappresentare una sfida, al contempo sono una grande risorsa per stabilire rapporti profondi con sé stessi, con gli altri e con l’intero creato.

Dal Sito: cittanova.it 

Paola Perego e la lotta contro un male oscuro: ‘Ho preso psicofarmaci per combattere questo mostro’





Paola Perego e la lotta contro un male oscuro: ‘Ho preso psicofarmaci per combattere questo mostro’, ecco le parole della conduttrice 
monzese nella sua ultima intervista

La conduttrice monzese, Paola Perego, si è raccontata a cuore aperto in una lunga intervista rilasciata a Il Giornale.

Paola Perego: il periodo buio

In una recente intervista rilasciata a Il Giornale, la conduttrice lombarda ha raccontato un periodo particolarmente difficile della sua vita.Paola Perego  ha parlato del suo esordio nel mondo della moda e successivamente in televisione. Nel dettaglio, la conduttrice ha affermato che per anni ha sofferto di attacchi di panico e che ricorda perfettamente il primo giorno: era in una Renault 4 rossa e non riusciva a respirare bene. Per molti anni, Paola Peregonon è riuscita ad accompagnate i suoi figli in macchina per timore che comparisse ‘il mostro‘, come lo chiama lei.

La conduttrice ha poi aggiunto che, a causa di tali attacchi di panico, ha dovuto affrontare tre periodi di analisi terapeutica e ha preso psicofarmaci:

‘HO SOFFERTO PER ANNI DI ATTACCHI DI PANICO. NON PORTAVO I MIEI FIGLI IN MACCHINA PER TIMORE CHE COMPARISSE IL MOSTRO, COME LO CHIAMO IO. HO AFFRONTATO TRE PERIODI DI ANALISI TERAPEUTICA, HO PRESO PSICOFARMACI’

Oggi è in grado di parlare perché crede che sia necessario condividere per aiutare gli altri a non tenersi tutto dentro.

La conduttrice torna in TV

La conduttrice lombarda torna in tv con una nuova edizione di Non disturbare. Il programma, in onda in seconda serata su Rai Uno, prevede una serie di intervisti con alcuni personaggi del mondo dello spettacolo.

Tra gli Ospiti della prima puntata, Elena Santarelli e Paola Barale. Poi, Cristiano Malgioglio, Totò Schillaci, Pierluigi Diaco, Sabrina Salerno, Giancarlo Magalli, Marco Masini, Marisela Federici, Guillermo Mariotto, Rita Dalla Chiesa, Serena Grandi.

  Dal sito: lettoquotidiano.it

lunedì 24 giugno 2019

Guardare Friends aiuta ad alleviare l’ansia, lo rivela uno studio


Una ricerca condotta da uno psicologo ha rivelato che l’amatissima serie tv può aiutare a combattere i disturbi dovuti all’ansia.

Se siete dei fan di Friends, allora il consiglio è quello di riguardare tutte le puntate: secondo uno studio condotto dallo psicologo Marc Hekster della Summit Clinic di Londra, infatti, guardare la popolarissima serie tv può aiutare a combattere i disturbi più lievi legati all’ansia.

Nella ricerca del dottore inglese, in realtà, sono state inserite anche altre serie tv e sitcom, ma Friends sarebbe tra quelle più efficaci contro l’ansia: “Avendo lavorato per un periodo di 20 anni con coloro che provano ansia – ha dichiarato lo psicologo a Metro - posso concludere che tra gli altri fattori, è la natura ripetitiva e relazionale di programmi come Friends e una serie molto più recente come The Big Bang Theory che posso aiutare realmente”.

In sostanza, secondo il dottore Hekster guardare in modo regolare questi programmi avrebbe una sorta di effetto rassicurante, senza considerare che vedere il modo spensierato in cui i personaggi affrontano la vita e i suoi problemi aiuterebbe a farsi coraggio nell’affrontare i propri, quelli reali. “Guardare serie come questa offre una sorta di esperienza di riparazione – ha spiegato ancora il dottore londinese - Vedere personaggi anche preoccupati per qualcosa, ma che risolvono il tutto con tanta ironia, nel contesto di altre relazioni nella loro vita, può aiutare”.

“Questo è sicuramente un atto di evasione. Tuttavia, l’atto ha anche alcuni aspetti negativi. Niente di tutto ciò è reale, la vita non può essere così – ha concluso Hekster - Ma acquisire questa versione idealizzata del mondo può far sì che gli spettatori credano che i loro problemi possano essere risolti facilmente come quelli di Phoebe o di Joey, è uno standard altamente irrealistico”. Insomma, non bisogna certo pensare di poter affrontare le avversità quotidiane come lo fanno i nostri personaggi preferiti di Friends o di altre serie televisive: tuttavia, guardare le loro vicende e immedesimarsi in loro, può aiutare a farsi forza e a cercare di prendere la vita con più leggerezza.

Dal sito: 105.net

Attacchi di panico in pubblico, ecco le semplici cose da fare per gestire la crisi



Attacchi di panico in pubblico, cosa sono e i consigli degli esperti per evitare che la situazione possa precipitare

Avere un attacco di panico in pubblico è una delle esperienze più terrificanti che possa capitare ad un essere umano, come si legge in un articolo pubblicato sul sito Healthline. Sono stati individuati diversi modi per poterli affrontare adeguatamente, evitando che la situazione possa precipitare. Nell’articolo si parlano dei consigli della dott.ssa Kristin Bianchi, psicologa del Centro per l’ansia e il cambiamento comportamentale del Maryland.

“In genere – ha dichiarato la dottoressa Bianchi al sito Healthline – è più angosciante per le persone avere attacchi di panico in pubblico che in casa perché fra le mura amiche c’è un accesso più facile alle attività rilassanti e alle persone che possono darci aiuto. Inoltre, a casa, le persone possono sperimentare i loro attacchi di panico in privato senza temere che qualcun altro se ne accorga e ci chieda cosa non va“.

IL TIMORE DEL GIUDIZIO ALTRUI

Molti suoi pazienti riferiscono la paura di ‘fare una scenata’ durante un attacco di panico pubblico. Insomma c’è il timore che altri possano pensare che sei fuori di testa.  La prima cosa da fare è quella di portare con sé un kit di oggetti utili come pietre lisce, oli essenziali, un braccialetto o collana di perline da toccare o un libro da colorare per distrarsi.

LE COSE DA FARE PER GESTIRE LA CRISI

Spesso può capitare che l’attacco di panico possa arrivare in un posto affollato. Allora sarà necessario trovare un luogo privo di rumore e più tranquillo per aspettare che la crisi passi da sola. Meglio preferire un luogo dove c’è più spazio e più aria. Magari indossando delle cuffie per allontanare il rumore.

Facciamo dei respiri profondi, evitando di andare in iperventilazione. Quindi inspiriamo col naso ed espiriamo con la bocca in modo profondo. Se l’attacco di panico è così grave e non può essere gestito allora devi chiedere aiuto a qualche persona che si trova vicino a te.

NON AVERE TIMORE DI AFFIDARSI ALL’ASSISTENZA DI UN ESTRANEO

“Non c’è un modo preciso per chiedere aiuto durante un attacco di panico – prosegue la dottoressa Bianchi – poiché la persona media per strada probabilmente non saprebbe cosa fare in risposta a una richiesta di aiuto per qualcuno che ha un attacco di panico, può essere utile annotare su una scheda in anticipo ciò che potrebbe potenzialmente essere necessario ad un estraneo in un tale evento “.

E’ molto più efficace spiegare in anticipo che stai avendo un attacco di panico e hai bisogno di assistenza. Quindi specifica che tipo di assistenza hai bisogno, come prendere in prestito un telefono, chiamare un taxi o chiedere indicazioni alla struttura medica più vicina.

AFFIDARSI AD UN BRAVO PSICOLOGO PER USCIRE DAL ‘TUNNEL’

La dottoressa incoraggia i clienti a rimanere dove sono quando si trovano in questa situazione e ad impegnarsi in qualsiasi atto di auto-cura disponibile. Gli attacchi di panico non uccidono e bisogna sempre pensare che non si sta rischiando la vita.

E’ importante, nelle ore successive, affidarsi ad un bravo psicologo che saprà valutare gli opportuni interventi e terapie da fare per desensibilizzare i pazienti e ‘destrutturare’ le paure di chi soffre di attacchi di panico.

Dal Sito: centrometeoitaliano.it 

Il mito della fenice e il fantastico potere della resilienza



Nel suo libro “Simboli della trasformazione”, Carl Gustav Jung scrive che l’essere umano e la fenice hanno molte cose in comune. Questa emblematica creatura di fuoco, in grado di risorgere maestosamente dalle ceneri della sua stessa distruzione, simboleggia anche il potere della resilienza, l’ineguagliabile abilità di rinascere molto più forti, coraggiosi e luminosi.

Se esiste un mito alla base di quasi tutte le dottrine, culture e leggende dei nostri paesi, è senza dubbio quello che fa riferimento alla fenice. Si narra che le sue lacrime fossero curative, che avesse una grande resistenza fisica, che fosse in grado di controllare il fuoco e che possedesse una saggezza infinita. Secondo Jung, era in sostanza uno degli archetipi di maggiore considerazione, perché nel suo fuoco erano contenute la creazione e la distruzione, la vita e la morte…

“L’uomo che si alza è ancora più forte di quello che non è mai caduto”

Analogamente, è interessante sapere che, sia nella poesia araba sia nella cultura greco-romana e persino in gran parte del patrimonio storico orientale, vi sono precoci riferimenti alla sua mitologia. In Cina, ad esempio, la Fenice (o la Feng Huang) simboleggia non solo la più alta espressione di integrità, potere e prosperità, ma anche il concetto di yin e yang, questa dualità che armonizza tutto ciò che accade nell’universo.

Vale comunque la pena ricordare che le prime testimonianze culturali e religiose che ruotano attorno a questa figura provengono dall’Antico Egitto, dove, a sua volta, prende forma quest’immagine che oggi associamo alla resilienza. Ogni dettaglio, sfumatura e simbolo che caratterizza questo mito ci offre senza dubbio un ottimo spunto sul quale riflettere.
La fenice e il potere di risorgere dalle proprie ceneri

Viktor Frankl, neuropsichiatra e fondatore della logoterapia, sopravvisse alla tortura dei campi di concentramento. Proprio come ha spiegato egli stesso in molti dei suoi libri, un’esperienza traumatica è sempre negativa, ma la reazione alla stessa è strettamente connessa alla persona che la vive. Sta a noi scegliere se rialzarci e riprendere in mano la nostra vita risorgendo dalle ceneri in un trionfo senza eguali; o, al contrario, limitarci a vegetare e abbatterci…

Questa ammirevole capacità di rinascita, di riprendere fiato, ritrovare la voglia di andare avanti e le forze per farlo, a partire dalle nostre sventure e dai cocci rotti che ci portiamo dentro, prima di tutto attraversa un periodo davvero buio, certamente comune a molti: la “morte”. Quando affrontiamo un momento traumatico, “moriamo un po’”, abbandoniamo una parte di noi stessi che non tornerà più, che non sarà più uguale.

Carl Gustav Jung, infatti, stabilisce la nostra similitudine con la fenice perché anche questa fantastica creatura muore, anch’essa permette che si verifichino le condizioni necessarie per morire, perché sa che dai suoi stessi resti risorgerà una versione di sé molto più forte.

Fra tutti i miti su questa figura, quello egizio ci offre, come abbiamo detto prima, ottimi spunti su cui soffermarci per

comprendere meglio la relazione fra la fenice e la resilienza. Vediamoli a seguire.

La fenice in Egitto

Nei suoi testi, Ovidio spiegava che in Egitto la fenice moriva e rinasceva una volta ogni 500 anni. Gli egizi identificavano questo maestoso airone con Bennu, un uccello associato alle piene del Nilo, al sole e alla morte. Secondo quanto spiegavano, la fenice era nata sotto all’albero del bene e del male, sapeva che era necessario rinascere periodicamente per acquisire maggiore saggezza e, con questo obiettivo, seguiva un processo molto meticoloso.

Volava per tutto l’Egitto per costruirsi un nido con gli elementi più raffinati: bastoncini di cannella, di quercia, nardo e mirra. Sistematasi nel suo nido, intonava una delle melodie più aggraziate che gli egizi avessero mai udito per poi lasciare che le fiamme la consumassero del tutto. Tre giorni dopo, la fenice rinasceva piena di forza e potere, prendeva il suo nido e lo lasciava a Eliopoli, nel tempio del sole, per iniziare così un nuovo ciclo che fosse una fonte d’ispirazione per il popolo egiziano.

La resilienza e il “nido” della nostra trasformazione

Come abbiamo potuto vedere, il mito egizio della fenice è una storia bellissima. Tuttavia, analizziamone adesso qualche dettaglio. Soffermiamoci, per esempio, sul modo in cui la fenice costruisce il suo nido. Cerca i materiali più ricchi della sua terra: delicati e resistenti allo stesso tempo, capaci di aiutarla nella sua trasformazione, nella sua ascesa.

Se ci pensiamo bene, questo processo è molto simile a quello che dà forma alla dimensione psicologica della resilienza. Perché anche noi cerchiamo questi elementi magici con i quali costruire un nido ben resistente nel quale raccogliere tutte le nostre forze.

L’essere umano deve spiegare le ali per sorvolare il suo universo interiore in cerca dei ramoscelli della sua autostima, del fiore della sua motivazione, della resina della sua dignità, della terra dei suoi sogni e dell’acqua tiepida del suo amor proprio…

Tutte queste componenti lo aiuteranno nella sua ascesa, ma non prima di essere consapevole del fatto che ci sarà una fine; una parte di noi stessi se ne andrà, si trasformerà in cenere, nei resti di un passato che non tornerà mai più.

Tuttavia, queste ceneri non verranno portate via dal vento, anzi. Faranno parte di noi per formare un essere che rinasce dal fuoco molto più forte, più grande, più saggio… Un individuo che potrebbe essere fonte di ispirazione per gli altri ma che, prima di tutto, ci permetterà di andare avanti a testa alta e con le ali ben aperte.

via La Mente Meravigliosa

Dal Sito: aprilamente.info 

giovedì 20 giugno 2019

La mia vita dentro al D.A.P






Quando ho deciso di unire tutti i miei racconti, le poesie, le mie emozioni, scritte durante il periodo buio della mia vita e farne questo piccolo libro, avevo un solo obiettivo…, aiutare chi come me aveva avuto a che fare con gli attacchi di panico.
Ho conosciuto l'inferno con gli attacchi di panico per poi risorgere più forte che mai.
Non vergognatevi mai di chiedere aiuto, noi siamo persone normalissime che per un attimo hanno smarrito la strada,
Chiedere aiuto è un grandissimo atto di forza che dovete fare esclusivamente per voi stessi.

Eli ღ ღ


Tutti i proventi del libro saranno devoluti all'Associazione Insieme Onlus Ansia-Attacchi di Panico-Agorafobia, attiva nelle Marche a Grottammare dal 2011 per sostenere e dare supporto a chi vive con questi disagi.

@insiemedap 

Il libro lo trovi su 
Amazon

martedì 18 giugno 2019

Quando ci ammaliamo per le cose che non diciamo




La malattia può essere un messaggio del corpo; talvolta è prodotta da un blocco emotivo che ci avvisa che stiamo andando nella direzione sbagliata, e si manifesta nel corpo per mezzo dei sintomi. Per vivere una vita piena, è sempre consigliabile imparare ad ascoltare ciò che dicono il nostro corpo e le nostre emozioni.

Tutti danno forma alle loro esperienze per mezzo del filtro dei loro pensieri. È proprio dai pensieri che nascono le emozioni; esse sono tendenzialmente positive quando analizziamo le informazioni in modo corretto e negative quando formuliamo i nostri pensieri in modo erroneo. Le emozioni del secondo tipo creano in noi blocchi emotivi che si trasformano in malessere psico-fisico.

La vera rivoluzione inizia dentro di noi.

Dimmi cosa ti fa male e ti dirò cosa devi esprimere

Il nostro corpo è saggio e parla, per questo bisogna imparare ad ascoltare cosa ci vuole dire, per poi scoprire la circostanza che ci provoca malessere e guarirla. A seconda del punto del corpo in cui si manifesta il segnale, c’è una spiegazione emotiva. Alcuni studi medici hanno confermato che possiamo prevenire o guarire un problema se individuiamo la situazione o i sentimenti che ci bloccano a livello emotivo.

Il dolore al collo rappresenta ciò che non osiamo dire, il dolore alle caviglie la voglia di avanzare o la resistenza che mostriamo quando dobbiamo accettare una realtà. I problemi gastrici parlano della convivenza e dell’abilità nel “digerire” le situazioni.

Un’altra parte del corpo che riceve molte delle nostre emozioni è la schiena. Secondo gli esperti, i disturbi della parte bassa della schiena, di solito, riflettono preoccupazioni economiche o una sensazione di mancanza di supporto. I fastidi alla parte superiore della schiena indicano che siamo carichi di oneri che non ci spettano.

I dolori alle cosce sono relativi a ciò che gli altri si aspettano da noi. Le ginocchia, invece, sono associate all’orgoglio. Se è la fronte ad essere dolorante, vuol dire che c’è qualcosa che non va nel modo in cui affrontiamo il mondo. I problemi al cuore sono legati a problematiche emotive basilari, relative agli affetti primari.

Le parole che non diciamo si trasformano in frustrazione.

Il risentimento e le malattie fisiche

La nostra vita non è altro che il riflesso del nostro stato mentale: se nella nostra mente c’è pace, armonia ed equilibrio, allora anche la nostra vita è armoniosa, pacifica ed equilibrata. Se, invece, sono i pensieri inadeguati, negativi e vendicativi a dominarci, la nostra vita sarà squilibrata, e in questo squilibrio si presenteranno le malattie fisiche.

Il risentimento è un sentimento che, se lasciato ristagnare, si aggrava e può produrre rancore. Queste sensazioni possono causare piccoli fastidi passeggeri, ma anche profondi malesseri che possono ostacolare o impedire le relazioni con la persona che ci ha offesi. Provare risentimento altera fisicamente il nostro sistema immunitario, fatto che ci rende molto più vulnerabili a malattie comuni, come la febbre o l’herpes.

La rabbia o il risentimento cronici sono considerati fattori di rischio di cardiopatia. Carsten Wrosch, dell’Università di Concordia (Canada), si è occupato di analizzare la relazione tra il risentimento e la qualità della vita.

Quando questa emozione permane per troppo tempo, predispone il terreno per modelli di instabilità biologica, un impedimento fisiologico che colpisce il metabolismo, il sistema immunitario e le funzioni degli organi e delle malattie fisiche.

Quando pensiamo a una cosa e ne diciamo un’altra, sentiamo una cosa e ne facciamo un’altra, non siamo coerenti con noi stessi per paura del rifiuto, dell’abbandono, della critica, dei giudizi e, in questo modo, nascono in noi squilibri emotivi che ci fanno ammalare.

Non dire le cose è un difetto su cui non dobbiamo mai smettere di lavorare.

La mente è meravigliosa

Dal sito: 

aprilamente.info 

Non ti arrendere: la bellissima poesia di Benedetti che ci insegna la resilienza




La vita a volte ci mette a dura prova, ci capita di non sentirci all’altezza, di provare sconforto e di gettarci nella depressione più acuta. La tentazione di gettare la spugna è forte. Allora fermiamoci un attimo, facciamo un bel respiro e impariamo a non arrenderci.

Si sa, quando si tocca il fondo, risalire può essere difficile ma se troviamo il coraggio di farlo e di affrontare le nostre paure, alla fine torneremo in gioco più forti di prima.

Ogni giorno, affrontiamo nuove sfide e ostacoli e spesso, non tutti i nostri piani, vanno come vorremmo. Se ci manca quell’incoraggiamento da parte di qualcuno, proviamo a trovare la motivazione in noi stessi, ad essere resilienti.

Ce lo insegna, ad esempio, Mario Benedetti, poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano che nella sua poesia ‘Non ti arrendere’, traccia il percorso della vita di ognuno di noi.

Ombre, paure, ma anche voglia di buonsenso e di alzarsi il volo. Prendetevi due minuti di tempo e leggete questa poesia, forse può essere il primo passo per cambiare ciò che in questo momento, non vi piace.

Non ti arrendere, ancora sei in tempo

per arrivare e cominciar di nuovo,

accettare le tue ombre

seppellire le tue paure

liberare il buonsenso,

riprendere il volo.

Non ti arrendere perché la vita e così

Continuare il viaggio

Perseguire i sogni

Sciogliere il tempo

togliere le macerie

e scoperchiare il cielo.

Non ti arrendere, per favore non cedere

malgrado il freddo bruci

malgrado la paura morda

malgrado il sole si nasconda

E taccia il vento

Ancora c’è fuoco nella tua anima

Ancora c’è vita nei tuoi sogni.

Perché la vita è tua

e tuo anche il desiderio

Perché lo hai voluto e perché ti amo

Perché esiste il vino e l’amore,

é vero.

Perché non vi sono ferite che non curi il tempo

Aprire le porte

Togliere i catenacci

Abbandonare le muraglie

Che ti protessero

Vivere la vita e accettare la sfida

Recuperare il sorriso

Provare un canto

Abbassare la guardia e stendere le mani

aprire le ali

e tentare di nuovo

Celebrare la vita e riprendere i cieli.

Non ti arrendere, per favore non cedere

malgrado il freddo bruci

malgrado la paura morda

malgrado il sole tramonti e taccia il vento,

ancora c’è fuoco nella tua anima,

ancora c’è vita nei tuoi sogni,

perché ogni giorno è un nuovo inizio

perché questa è l’ora e il miglior momento

perché non sei sola, perché io ti amo.

Dominella Trunfio

via GreenMe

Dal sito: 

aprilamente.info 

sabato 15 giugno 2019

Sei un tipo ansioso? Probabilmente sei anche più intelligente



Chi ha un quoziente intellettivo più alto tende a rielaborare pensieri del passato al fine di «prevedere» quello che potrebbe accadere. Ma l'ansia spesso comporta prestazioni meno brillanti

Esiste una connessione fra ansia e ansia e livello di intelligenza. Probabilmente il legame risiede nella capacità di riuscire a intuire le possibili conseguenze negative delle situazioni e delle proprie azioni. Chi è più intelligente si preoccupa maggiormente del futuro, anche perché tende anche a rielaborare pensieri e accadimenti passati, come se volesse trarne un insegnamento per fare previsioni più affidabili rispetto a quanto potrà accadere. Tuttavia, secondo quanto indicano Alisa Williams della School Psychology dell’University of Maryland e Pauline Prince dell’Anne Arundel County Public Schools di Annapolis, in un articolo pubblicato sulla rivista Applied Neuropsychology Child , alla fine l’ansia forse aiuta sì a prevedere il futuro, ma incide negativamente sui compiti da eseguire, così che alla fine la sua azione non è del tutto positiva.

Le ricerche

La connessione tra ansia e intelligenza è stata indagata da ricerche condotte in diverse parti del mondo. Molto originale quella realizzata da due psicologi, Tsachi Ein-Dor e Orgad Tal, della School of Psychology dell’Interdisciplinary Center Herzliya in Israele: a un gruppo di studenti, selezionati perché avevano livelli di quoziente intellettivo differente gli uni dagli altri, è stato chiesto di valutare alcune opere d’arte presentate sul monitor di un computer all’interno di una stanza in cui erano stati lasciati soli. Ma si trattava di un falso compito. In realtà, dopo aver visionato le prime opere, sullo schermo è comparso un allarme che segnalava la presenza nel computer dell’università di un virus che avrebbe presto fatto danni irreparabili. I ragazzi sono stati osservati mentre uscivano dalla stanza alla ricerca di qualcuno che potesse dare loro un supporto informatico, ma lungo il percorso sono stati fermati da alcuni «ostacoli», in realtà complici dei ricercatori, come un compagno che chiedeva di riempire dei moduli, o un altro che faceva cadere pacchi di fogli nel corridoio, intralciando il loro cammino. A quel punto i comportamenti si sono differenziati: gli studenti con quozienti intellettivi meno elevati si sono lasciati distrarre, mentre quelli più intelligenti hanno risposto con un’ansia crescente e la determinazione a raggiungere al più presto il supporto informatico. Erano più ansiosi perché nella loro mente intravedevano le possibili conseguenze negative causate dal computer infettato.


Ma l'ansia gioca brutti scherzi

In un’altra ricerca, realizzata dagli stessi psicologi i ragazzi più intelligenti sono risultati anche quelli che più precocemente si allarmavano per la presenza nelle loro stanze di odori potenzialmente pericolosi, come quello di fumo. Risultati convergenti vengono da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Personality and Individual Differences . Oltre cento studenti canadesi sono stati sottoposti a indagini psicologiche che esploravano il loro livello di ansia, messo poi a confronto con i risultati dei test di quoziente intellettivo. Anche in questo caso, la correlazione è stata netta, soprattutto per quanto riguarda un certo tipo di intelligenza, quella linguistico-verbale, ossia l’abilità di comprendere le parole e di esprimersi verbalmente o di giocare con le parole. Sono proprio tali abilità che portano queste persone a immaginare ed esplorare spontaneamente le possibili conseguenze di situazioni e comportamenti, arrivando a realizzare una condizione di «ruminazione» mentale che è una delle caratteristiche dell’ansia. Ed è proprio grazie a tali ruminazioni che si riesce a stare lontano dai pericoli, ma pagando il prezzo di vedere rischi laddove non ci sono. Secondo quanto riportato da Alisa Williams e Pauline Prince nel loro articolo, gli individui ansiosi, pur essendo spesso più intelligenti, finiscono poi per avere in pratica prestazioni meno brillanti di quanto potrebbero realizzare. «Quando sono sotto pressione nello svolgere un compito, la loro intelligenza fluida risulta ridotta» dicono le due psicologhe, «probabilmente perché la memoria di lavoro è monopolizzata dai pensieri ansiosi, come le preoccupazioni e la ruminazione, elementi caratteristici dell’ansia, che comportano un eccessivo soffermarsi su immagini e pensieri negativi, collegati al timore di fallire. Così queste persone non riescono del tutto a mettere la loro intelligenza e i loro pensieri al servizio del compito che dovrebbero svolgere». 


Dal sito: 

corriere.it 

Martina Hamdy: «A un passo dalla laurea ho superato gli attacchi d’ansia»



«Con l’inizio dell’università e della mia carriera in tv il mio equilibrio psicofisico è saltato. Per fortuna ho reagito subito e ora gli impegni non mi spaventano più»

È stato il passaggio dal liceo all’università a dare avvio ad attacchi d’ansia e panico. Senza quasi rendermene conto, è come se fossi passata bruscamente dall’età del divertimento e della spensieratezza a quella adulta. Le scuole superiori erano la mia comfort zone, con gli stessi compagni di classe per cinque anni, i medesimi professori, una routine rassicurante. All’università, con la necessità di gestire la preparazione degli esami, le tante ore di studio e gli orali, l’atmosfera si è fatta più difficile da reggere.
Due cambiamenti mi hanno provata

Qualche anno fa l’ambiente nuovo, le maggiori responsabilità, le tante ore in più di impegno (sia in aula che a casa) e dinamiche diverse, a un certo punto hanno creato uno squilibrio psicofisico. Come se non bastasse, poi, avevo anche cambiato lavoro: da modella, abituata a scatti e posati, ero entrata a far parte del cast delle presentatrici del meteo trasmesso sulle reti Mediaset. Non si trattava più di avere a che fare con la macchina fotografica, ma di dover parlare a un vasto pubblico, con la conseguente emozione della diretta. La combinazione di queste due rilevanti novità ha causato una sorta di corto circuito adrenalinico incredibile. Mi sentivo incapace di gestire il turbine di emozioni che erano entrate, di forza, nel mio quotidiano. Il mio corpo ha cominciato a farsi sentire, con forti campanelli d’allarme causati dall’ansia crescente.

I segnali del corpo

I sintomi erano quelli degli attacchi di panico: un profondo senso di oppressione al petto, quasi come se stessi per soffocare, tachicardia, sudorazione eccessiva (non osavo stringere la mano ad alcuno!), mal di testa improvvisi. Una situazione mai provata prima. Non avendo alcuna intenzione di andare avanti a stare male così, da brava Capricorno ho deciso di reagire e di riottenere quell’equilibrio necessario per vivere in modo corretto le emozioni e, perché no, anche gli ostacoli che mi si ponevano di fronte, giorno dopo giorno. Non era da me farmi condizionare a tal punto da non essere più in grado di gestire le situazioni! Ecco quindi che non ho perso tempo e ho preso subito appuntamento dal mio medico di base, spiegando sintomi, sensazioni, disagi per filo e per segno.

Scarico la tensione con lo sport

La mia dottoressa mi ha tranquillizzata, rassicurandomi del fatto che non era nulla di grave e che, con alcuni semplici accorgimenti, avrei potuto ricominciare a vivere in totale serenità. Diciamo che il primo passo verso la «guarigione» l’ho fatto proprio prendendo coscienza del problema, prima che diventasse un ostacolo insormontabile. Mettendo in pratica i suoi consigli, oggi seguo una dieta equilibrata, evito bevande alcoliche e pasti irregolari e veloci, assumo integratori quando serve e, soprattutto la sera, sorseggio tisane per facilitare il giusto bilanciamento del ritmo sonno-veglia; in più, faccio molta attività sportiva, dalla corsa alla camminata veloce. Proprio lo sport, tra l’altro, mi ha aiutata notevolmente a scaricare la tensione che si accumula durante settimane intense di dirette televisive o in preparazione di esami particolarmente ostici. So che ci sono tanti ragazzi che convivono con problemi come il mio. A loro consiglio di parlarne subito con il proprio medico, così da non lasciare che l’ansia sedimenti troppo fino a diventare insostenibile.

Dal sito: ok-salute.it 

giovedì 13 giugno 2019

Ipocondria: come combatterla e come aiutare un ipocondriaco

Come si combatte l'ipocondria? E come possiamo aiutare un ipocondriaco a superare la malattia?


Ipocondria: cos'è e quali sono i sintomi

"Quell’agente patogeno, mille volte più virulento di tutti i microbi, l’idea di essere malati." (Marcel Proust)

Ipocondria come combatterla? Per prima cosa dobbiamo tutti metterci in testa che è una malattia. Che si presenta per cause ben precise e sintomi che non dobbiamo mai sottovalutare. E poi dobbiamo chiederci come aiutare un ipocondriaco: sia un nostro famigliare, ma anche un nostro amico o un collega di lavoro.

L'ipocondria è una malattia che colpisce quelle persone che vivono in ansia la propria salute. La patologia si presenta attraverso il disturbo da sintomi somatici e il disturbo da ansia da malattia. Nel primo caso il paziente sente di provare dei sintomi che associa a particolari malattie, mentre nel secondo caso ha paura di ammalarsi. E poi esiste anche la cybercondria o ipocondria digitale, l'ansia che deriva dall'abitudine di cercare online informazioni sulle malattie.

Il disturbo da sintomi somaticicolpisce tra il 4 e il 6% della popolazione. Quali sono i sintomi da tenere d'occhio? 

L'ipocondriaco è sempre attento a monitorare le sue condizioni di salute, in ogni momento della giornata.

L'ipocondriaco cerca in rete e sui libri informazioni inerenti al disturbo, riconoscendosi in malattie che non sono quelle di cui soffre.

Cerca confronti e pareri, ma anche rassicurazioni.

Va spesso dal medico, da specialisti, fa esami che non sempre sono necessari.


Mentre i fattori di rischio che aumentano le possibilità di essere ipocondriaci sono i seguenti: 

scarsa scolarizzazione

storia famigliare di malattie croniche

storia di abusi sessuali o altri traumi

donne

storia di malattia cronica nell'infanzia

basso livello socioeconomico

presenza di disturbi fisici o psichici


Come curare l'ipocondria e aiutare chi ne soffre

Chi soffre di ipocondria può essere aiutato con trattamenti psicoterapici o con farmaci. La psicoterapia cognitivo-comportamentale è sicuramente consigliata, proprio come i farmaci di modulazione della neurotrasmissione serotoninergica, anche se questi ultimi non sono privi di effetti collaterali che devono comunque essere tenuti in considerazione.

Per aiutare un ipocondriaco, ecco i consigli degli esperti: 

non rimproveratelo, non umiliatelo, perché il disturbo è reale

incoraggiatelo a seguire un percorso terapeutico

no ai test fai da te per calmare l'ansia 
non sminuite le sue preoccupazioni, ma parlate con loro

evitate che si rinchiudano in sé stessi

Dal sito: scienzaesalute.blogsfere.it

Maturità 2019: come affrontare ansia e paura


Maturità 2019: come affrontare ansia e paura

Maturità 2019 alle griglie di partenza, e come tutti gli anni milioni di studenti sono alle prese con l’esame di stato che chiude il ciclo del liceo e apre le porte all’università per alcuni e al lavoro per altri, o almeno così dovrebbe essere anche se come sappiamo la situazione del mercato professionale è ben più complicata. La maturità può definirsi un momento speciale per ogni studente, un periodo in cui tutto solo deve affrontare il primo vero esame della vita e allora come affrontare ansia e paura senza degenerare in malesseri a tal punto d’invalidare qualsiasi impegno? Gli esperti dell’Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico (Eurodap) si occupano di questo problema ogni anno e cercano di dare consigli e suggerimenti per poter superare l’esame senza stressarsi troppo. Per non fallire facendosi sopraffare da stanchezza, afa, e paura è opportuno ripetere ad alta voce anche in gruppo, fare delle sintesi o mappe concettuali per organizzare i concetti d’assimilare.

Maturità 2019: simulare la prova d’esame per superare l’ansia

Simulare la maturità 2019 e la stessa prova d’esame è un test che aiuta molto per superare l’ansia, agevola l’apprendimento e fa prendere confidenza con la dura prova. Molto importante poi sono le ore di sonno che non dovrebbero essere meno di 8 ma neanche più di 9 questo per affrontare l’impegno di studio quotidiano ben riposati e freschi. Ovviamente non si può fare a meno di tenere in considerazione anche la dieta da seguire durante la preparazione degli esami: un regime alimentare leggero composto da cibi freschi, genuini e poco calorici che non appesantiscono e che facilitano la digestione. La dieta è dunque elemento determinante per affrontare sia lo studio che l’esame stesso: tra i pasti da considerare soprattutto la colazione in cui dovrebbe essere presente latte, marmellata e fette biscottate, ma anche miele. Molto importanti anche gli snack a metà mattina e pomeriggio come barrette di cereali o yogurt infine da non sottovalutare i liquidi è consigliabile infatti bere molto e spesso.

Dal sito: consulenzabenessere.com

Bianca Guaccero ricorda i momenti più duri: crisi di panico a 14 anni

Una Bianca Guaccero che fa cadere ogni muro tra sé e il pubblico, ogni tabù tra il passato e il presente, raccontandosi in maniera intima e profonda nel suo libro. Un progetto editoriale, Il Tuo Cuore è Come Il Mare, che sta presentando in questi giorni in giro per l’Italia.

Di recente, in un’intervista su Radio 2, alla trasmissione I Lunatici, la conduttrice di Detto Fatto ha spiegato come è nato questo libro, approfondendo anche i momenti più duri che è stata costretta ad affrontare.

Le difficoltà

Il libro, scritto in forma di lettera indirizzata a sua figlia, è stata anche una sorta di catarsi. Scrivendo e ricordando la Guaccero ha affrontato i momenti più duri della sua vita. Eppure da quegli ostacoli sono nate quelle che definisce straordinarie perle.

“La perla si forma perché quando entra un parassita all’interno della conchiglia che protegge il mollusco all’interno, lui per difendersi crea strati e strati di madreperla. La madreperla serve al mollusco per difendersi dall’attacco del parassita” ha raccontato a I Lunatici. “La mia metafora arriva direttamente dalla natura e mi sembra straordinaria per descrivere quelle che sono le crisi dell’animo umano. Io nei periodi di crisi ho trovato e riscoperto tante cose belle, sia legate alla vita che all’animo umano. Le crisi sono grandi opportunità, nelle crisi siamo tutti più umani. Nella tristezza, nel dolore, c’è una grandissima dose di umanità che viene fuori“.

Le crisi di panico

La catarsi di Bianca continua: dopo la stesura la presentazione al pubblico sta diventando un confronto importante, per lei e per chi legge il suo libro. Ad esempio uno degli argomenti che spesso si trova ad affrontare sono le crisi di panico con cui ha dovuto combattere in giovane età. “Sto approfittando di questi gironi per girare l’Italia e presentare il libro. Le presentazioni diventano quasi delle sedute, c’è un confronto con la gente, è molto bello quando le persone mi dicono che grazie a questo libro si sono sentite meno sole“.

Poi ha aggiunto: “Io a 14 anni soffrivo di attacchi di panico, se qualcuno ne avesse parlato, se ci fosse stato meno tabù in questo senso, forse mi sarei sentita meno fuori dal mondo“.

Un nuovo sole

Questo è un momento della vita in cui la Guaccero ha potuto fare i conti con queste realtà che l’hanno toccata da vicino, anche perché quel buio e quei momenti sono distanti. Bianca sta vivendo una magnifica serenità, di cui è tanto grata.

Parte di questa felicità è sicuramente dovuta al successo di Detto Fatto. “Detto Fatto l’ho definito un miracolo, per me è stato un dono immenso, in un momento in cui affrontavo una fase delicata della mia vita. È arrivato questo sole a riscaldarmi il cuore e l’anima, mi ha ributtato nella gioia, nella vita, nella quotidianità, nel contatto con il pubblico” ha raccontato. Un’esperienza formativa, che le ha permesso di iniziare un nuovo capitolo della sua vita. “Mi ha cambiato vita, mi sono trasferita a Milano, mi ha allontanato dai pensieri, dalle cose, da una situazione. È come se mi avesse trovata e mi avesse portata su un arcobaleno. Sogni? Mi piacerebbe cantare. Ma visto che non voglio rubare il mestiere a nessuno, mi piacerebbe tantissimo trovare un autore che scriva una canzone per me. Una canzone che racconti una storia“.

Dal sito: thesocialpost.it 


lunedì 10 giugno 2019

Giorgia, la depressione e la salvezza: "Per rinascere devi morire"

La cantautrice romana si racconta e parla dei momenti difficili della sua vita e di come ha fatto a uscirne


"Per rinascere devi morire. Quindi c'è sempre una sofferenza nel cambiamento o nel rialzarsi ma quella sofferenza è preziosa perché ti dà la linfa".

Così la cantautrice romana, in un'intervista rilasciata a Tg2000 in cui ha parlato anche dell'uscita del dvd album Oronero Live.

"Ho avuto momenti in cui volevo lasciarmi andare, in cui non speravo di farcela. Invece poi la vita è magica, la vita e il cielo, sono energie superiori. Ti senti dare quasi dei calci nel sedere e senti una voce che ti dice 'devi vivere', perché sei qua, devi farlo".

cielo, tendi una mano dai

Un post condiviso da GiorgiaOfficial (@giorgiaofficial) in data: Ott 28, 2017 at 4:15 PDT


Non lo cita espressamente ma il riferimento è alla perdita del compagno Alex Baroni, morto nel 2002 in un incidente stradale. Un dolore di cui la musicista ha spesso parlato e che è stato lo spunto anche di canzoni come Per sempre, Gocce di memoria, Marzo.

difficile a volte accettare gli accadimenti convivere con l'ingiustizia la stanchezza la propria faccia che il tempo scava come il vento la roccia, e dentro quel tempo aspettare di trovare uno straccio di risposta.

Un post condiviso da GiorgiaOfficial (@giorgiaofficial) in data: Nov 12, 2017 at 6:22 PST

"Ognuno ha i suoi pusher di energia che può essere un lavoro, può essere un amore - ha detto - Nel mio caso io in realtà da quando sono diventata mamma ho ripreso tutta una serie di emozioni, entusiasmo, voglia, che nel mio lavoro cominciavo a sentire poco rispetto a quando avevo vent'anni. Ogni mamma è una macchina. Io direi proprio che ogni donna è una macchina".

"Credere nella luce delle idee", ha proseguito Giorgia è "un credere nella capacità dell'umanità di essere buona, di essere sana e di essere salva. Forse questo è un tempo in cui ci vuole molta forza e molto coraggio per avere fiducia nell'altro, però la fiducia come la fede sono esercizi che si fanno nei momenti difficili. È anche un grande atto di volontà. La fede è anche una scelta, è scegliere di vedere le cose notando che esiste anche una parte sana e salva e su quella bisogna fare leva e forza".

Dal sito: repubblica.it 

EMDR: metodo innovativo in psicoterapia per traumi, ansia, depressione e stress

In questi ultimi anni le tecniche psicoterapeutiche per aiutare le persone che hanno subito dei traumi e psicopatologie come la depressione, ansia, fobie, dipendenze, ansia e panico  si sono evolute e specializzate. La tecnica d’elezione, riconosciuta e comprovata da numerosi studi sulle neuroscienze è l’ EMDR: traducibile come Eyes Movement Desensitization and Reprocessing, traducibile con “desensibilizzazione e ristrutturazione attraverso il movimento degli occhi”. E’ una tecnica psicoterapeutica innovativa, che serve a far rielaborare eventi più o meno traumatici, ma anche altri eventi negativi.


Le persone che hanno subito un trauma, e che quindi poi sviluppano sintomi come ansia, depressione fobie , etc, purtroppo sperimentano che qualcosa nella loro vita è cambiato e che il ricordo di tali esperienze traumatiche influenza il loro benessere. Tale esperienze poi nel presente spesso si trasformano in fobie, ossessioni, o attacchi di panico o altri disturbi psicologici che invalidano e limitano pesantemente la persona nella loro vita e nelle relazioni.
L’EMDR è una tecnica usata fondamentalmente per accedere, neutralizzare e portare a una risoluzione adattiva i ricordi di esperienze traumatiche che stanno alla base di disturbi psicologici attuali del paziente. Queste esperienze traumatiche possono consistere in:
•    Piccoli/grandi traumi subiti nell’età dello sviluppo
•    Eventi stressanti nell’ambito delle esperienze comuni (lutto, malattia cronica, perdite finanziarie, conflitti coniugali, cambiamenti)
•    Eventi stressanti al di fuori dell’esperienza umana consueta quali disastri naturali
•    (terremoti, inondazioni) o disastri provocati dall’uomo (incidenti gravi, torture, violenza)

Come avviene una seduta EMDR?
Dopo aver individuato il problema specifico, si usa un protocollo definito attraverso il quale il terapeuta guida il paziente nella descrizione dell’evento e gli fa scegliere gli elementi disturbanti. 
In seguito si fa richiesta al paziente circa i suoi pensieri e le sue convinzioni nel momento in cui richiama alla mente il ricordo più spiacevole. È in questo momento che il terapeuta aiuta l’elaborazione attraverso la stimolazione sensoriale bilaterali degli emisferi cerebrali. È un processo neurofisiologico naturale, legato all’elaborazione dell’informazione.
Durante questi movimenti il paziente rivive i diversi elementi del ricordo iniziale e il terapeuta, ad intervalli regolari, interrompe i movimenti al fine di accertarsi che il paziente elabori adeguatamente i ricordi. Tutto ciò serve per far elaborare in maniera rapida le informazioni riguardanti l’esperienza negativa fino ad arrivare alla risoluzione adattiva.
L’efficacia di tale tecnica è sostenuta da numerosi rigorosi studi ed è stata inserita dal 2013 come linea guida dall’ OMS   nell’ “assesment e la gestione dei disturbi specifici legati allo stress”.

Dott. Francesco Fisichella 
Psicologo Psicoterapeuta

Dal sito: legnanonews.com