lunedì 30 settembre 2019

Il nostro secondo cervello: l’intestino


Non siamo tanti pezzi messi insieme
Cervello, cuore, stomaco, reni, fegato, ossa, muscoli, pelle e molto altro ancora formano il nostro organismo: siamo davvero una serie di pezzi che funzionano indipendentemente gli uni dagli altri?
Le ultime evidenze scientifiche dimostrano il contrario. La mente e il corpo non sono separati e ogni elemento, anche la più piccola molecola, può influenzare tutto il resto dell’organismo.
Parleremo nello specifico della connessione tra la pancia e il cervello, con quella che viene definita “teoria dei due cervelli”, che evidenzia la presenza di veri e propri neuroni presenti nell’intestino.
L’intestino non sarebbe solamente un organo dal funzionamento periferico adibito soltanto a liberare il nostro corpo dalle scorie, ma un organo dotato di tessuto neuronale autonomo capace di elaborare sensazioni e fissare emozioni come gioia e dolore.

L’intestino: il centro delle emozioni
Un collegamento assai più stretto e coinvolgente di quanto si possa immaginare, nell’intestino agisce una rete nervosa di un certo livello.
Tra le pareti interne dell’intestino si trovano oltre cento milioni di neuroni che sono in grado di gestire le attività intestinali e che si collegano al cervello per l’intermediazione del sistema nervoso vegetativo, una parte del nostro cervello che non è possibile modificare con la nostra volontà.
Questa fitta rete nervosa intestinale, per dimensioni e modalità di funzionamento, è stata per l’appunto denominata dai neuroanatonomisti che l’hanno studiata di recente, «secondo cervello».
Il cervello e la pancia comunicano in entrambe le direzioni: l’ansia può influenzare il funzionamento della pancia; vicecersa, disordini intestinali possono provocare ansia.
Non era così difficile immaginarlo visto che da tempo è noto quanto possano pesare lo stress e le emozioni negative sulla salute dello stomaco e dell’intestino.
L’ormone della felicità e… della stitichezza: la serotonina
La serotonina è un neurotrasmettitore in grado di far provare benessere e sensazione di euforia. Il nostro organismo rilascia serotonina in base a ciò che proviamo attraverso i cinque sensi: per esempio, durante un bacio o mangiando un cibo in particolare i livelli aumentano.
La cosa davvero interessante è che in caso di infiammazione intestinale si verifica un eccesso di tale sostanza, tanto che manda in tilt i sistemi di riassorbimento e il risultato è la stitichezza.
Contemporaneamente, l’infiammazione intestinale attiva fortemente l’enzima che demolisce questa molecola riducendone le quantità nel sangue; con il tempo, a livello cerebrale, un forte deficit di serotonina innesca stati depressivi.
La serotonina passa nel cervello in quote superiori se il pasto è ricco di carboidrati e povero di proteine: non significa rimpinzarsi di pasta e dolci, ma di cereali integrali, legumi, verdura e frutta che sono ricche di acido folico e favoriscono il buon umore.
Il segreto sta nell’equilibrio dei diversi nutrienti, nella loro combinazione e nel tempo di assunzione.

Rimedi naturali 
Quando la nostra pancia si gonfia di gas proviamo spiacevoli sensazioni di malessere, il diaframma (muscolo della respirazione) fa fatica a muoversi e sentiamo il respiro bloccato, di conseguenza i muscoli si fanno tesi e il battito cardiaco aumenta: reazioni simili agli stati d’ansia.
Per riequilibrare l’intestino scegliamo fermenti lattici, e per coccolare la pancia una buona tisana al finocchietto gustata con calma mentre guardiamo un film o leggiamo un buon libro.
Se la tensione arriva alla zona spalle-collo-testa, possiamo aggiungere le gocce di melissa, ottime per gli stati d’ansia con somatizzazioni a carico del sistema gastrointestinale.
La fretta peggiora la tensione muscolare, scegliere di rallentare significa rispettare la prorpia salute.

Sentire qualcosa con la pancia non è, dunque, solo un modo di dire ma una verità scientifica.

I mille volti del disagio - Ciclo di incontri gratuiti





Il ciclo di incontri gratuiti promossi dall'Associazione di volontariato Insieme Onlus, con il patrocinio del Comune di Grottammare, si pone come obiettivo quello di fornire "informazioni" e "indicazioni" corrette per accrescere il proprio sapere rispetto alla salute mentale.

Nel campo della salute mentale, quasi sempre si è privi di preparazione specifica; gli incontri, con l'intervento di professionalità esperte, sono rivolti principalmente a informare, formare e supportare i familiari ma anche operatori sociali e volontari impegnati nel settore. Un’informazione semplice e alla portata di tutti, che tocchi i diversi aspetti legati ai disagi mentali. A differenza di altre malattie, la malattia mentale non concede tregua non consente una vita familiare degna di questo nome; bisogna quindi aiutare le famiglie, dando informazioni.

Migliorare la qualità della propria vita, non deve essere solo un concetto astratto ma un obiettivo concreto e possibile da raggiungere.

Durante le quattro giornate, 5,19 Ottobre e 9,23 Novembre, verranno trattati temi inerenti a:

“COME AIUTARE CHI SOFFRE DI DISTURBO DI PANICO”, rivolto soprattutto a chi vive accanto a persone che vivono questi disagi. Pur essendo animati da affetto e da desiderio di essere di aiuto non è sempre facile per i familiari e per gli amici comportarsi in modo costruttivo, sapere cosa fare in certe situazioni o come rispondere a determinate richieste. L'intento dell'incontro è quello di condividere l'esperienza e le informazioni che si sono dimostrate una valida guida per facilitare la gestione dei problemi quotidiani dichi vive accanto a chi soffre di disturbo di panico.

"ANSIA ANTICIPATORIA: COS’È E COME COMBATTERLA." Ogni individuo tende a rinchiudersi nella propria zona di comfort, per poter godere di quelle certezze utili per potersi sentire protetto e meno a rischio. Questa è una situazione normale, che coinvolge quasi tutti, ma che può poi assumere anche una forma patologica nota come ansia anticipatoria. Quante volte quando siamo preoccupati pensiamo continuamente a ciò che ci preoccupa? Il pensare e ripensare è un’esperienza normale nell’essere umano. Quando però il pensiero diventa ripetitivo e ricorrente e abbiamo la sensazione di non riuscire a fermarlo ci troviamo di fronte ad un campanello d’allarme. Il rimuginio è uno dei sintomi principali dei Disturbi d’Ansia (in particolare ansia generalizzata), ma accompagna spesso altri disturbi. È molto importante distinguere i fatti reali dalle emozioni e dai pensieri.


“DISAGIO GIOVANILE” “L'ADOLESCENZA: ASPETTI PSICOLOGICI E SOCIALI” L’adolescenza è una fase irripetibile del ciclo evolutivo: l’individuo è bersagliato da una grande quantità di stimoli da parte del mondo esterno e quindi risulta difficile definire con criteri univoci questa fase della vita per le mille peculiarità relative alle differenze individuali e sociali. Tuttavia è possibile individuare delle tendenze di comportamenti e atteggiamenti che presuppongono uno sviluppo individuale nuovo rispetto alle fasi precedenti. E’ importante individuare il più precocemente possibile eventuali segni di disagio che frequentemente vengono espressi attraverso comportamenti più o meno visibili. L'ascolto e la comprensione dei bisogni degli adolescenti, potrebbe essere un primo passo per comprendere la natura dei loro conflitti. Gli insegnanti e le famiglie andrebbero sostenuti da esperti del settore, sia per comprendere il significato che si cela dietro il disagio manifestato da un giovane che per acquisire nuove possibilità di relazione.

“MINDFULNESS: PRATICARE LA CONSAPEVOLEZZA DEL MOMENTO PRESENTE” Negli ultimi anni si parla sempre più spesso di Mindfulness, anche se non sempre con la corretta accezione. Il termine, tradotto più o meno liberamente, ci rimanda al concetto di attenzione consapevole, ma questo non è ancora sufficiente. E' stato Jon Kabat-Zin, Professore presso la University of Massachusset Medical School, a definirla, nel 1994, come “porre attenzione in un modo particolare, intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante”. La Mindfulness, quindi, è una pratica di meditazione che mira ad aumentare la consapevolezza dei propri stati mentali al fine di identificare e regolare i propri pensieri, emozioni e sensazioni, imparando a disattivare le trappole della mente stessa. Nel corso dell'incontro, partendo dalle origini della pratica della meditazione Vipassana, arriveremo, anche attraverso brevi sessioni esperienziali, alla presentazione dei protocolli MBSR (Mindfulness-Based Stress Riduction) e MBCT (Mindfulness-Based Cognitive Therapy) e dei loro molteplici benefici, così come dimostrato dagli studi scentifici, in particolare nelle aree della gestione dei Disturbi di Ansia e Depressivi.

L’evento è gratuito non occorre registrarsi, alla fine dei quattro incontri, verrà rilasciato un attestato di partecipazione, durante gli incontri verrà offerto un Coffee Break

Per informazioni: Tel. 366/3623811- 342/8777135 info@insiemedap.it

Associazione INSIEME ONLUS Ansia Attacchi di Panico Agorafobia

(Progetto Finanziato dal CSV MARCHE Centro Servizi per il volontariato, con il Patrocinio del Comune di Grottammare)

Relatori:

· Moderatrice: ALESSANDRA ADDARI Giornalista

· DR. MARCO FORTI Psicologo, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Sessuologo Clinico, Practitioner EMDR

· DR.SSA MARZULLO ROSARIA LAURA Psicologa, Psicoterapeuta ad orientamento cognitivo comportamentale. Perfezionamento sul modello integrato nel disturbo border line di personalità.

· DR. LORENZO FLORI – Psicologo -Psicoterapeuta Practitioner EMDR, Consigliere Nazionale Società Psicologia e Psichiatria SIPSI.

· DR.SSA. DOROTEA RICCI – Psicologa - Psicoterapeuta Istruttrice Mindfulness


Qui trovate l'evento completo: Evento Facebook










mercoledì 25 settembre 2019

8 posti in cui il corpo immagazzina lo stress e il nesso con le emozioni


Lo stress inconscio finisce per somatizzare il corpo! Ascoltalo!
Investendo soprattutto nella sfera professionale, la società di oggi prende le distanze dall’autoconoscenza e dall’espressione delle emozioni. È difficile ammettere il proprio disagio perché è direttamente un’associazione con un segno di debolezza. Quando reprimi i tuoi sentimenti, le ferite non vengono definitivamente guarite. Diffondere le tue emozioni e bloccarle in una spirale di sofferenza ti bloccherà solo in uno stato di stress e ansiasenza fine. Questo è un fattore psichico che può scatenare malattie e affetti psicosomatici.

Una malattia si chiama “psicosomatica” quando non è coinvolta alcuna origine organica. Di origine emotiva, fu compensata solo dopo la scoperta dell’inconscio ai tempi di Sigmund Freud, che sosteneva l’interazione tra la psiche e il corpo, dopo la sua ricerca sull’isteria.

Da un eccesso emotivo che non può essere gestito, sia che si tratti di stress, lutto o ansia, appare questo fenomeno di somatizzazione: un disagio del corpo collegato a un disagio psichico. Sean Grover è uno psicoterapeuta e ha dedicato la sua carriera alla ricerca delle fonti della repressione. Fornisce informazioni sui sintomi psicosomatici causati e aggravati da fattori mentali come lo stress.

Malattia psicosomatica: cosa rivelano i tuoi dolori fisici riguardo alla tua salute mentale

Stress e mal di schiena

Secondo il dott. Gilles Mondoloni, medico osteopatico, agopuntore e autore di “Stop alla lombalgia”, sono le terminazioni nervose dei muscoli della schiena che trasmettono il messaggio di stress. Quando è saturo di tali messaggi, il muscolo tenderà a contrarsi e contrarsi, causando dolore diffuso.

I muscoli della colonna vertebrale sono particolarmente sensibili al sovraccarico stressante, poiché sono sottoposti a forti stati di stress durante la vita e portano il segno di vecchi traumi.

Paura e mal di stomaco

Probabilmente hai già sentito questa sensazione, quando hai paura, hai l’impressione che il tuo ventre sia annodato. Sapevi che c’è una spiegazione per questo?

Gli scienziati hanno misurato l’attività dei neuroni ospitati in una regione piuttosto inaspettata del nostro corpo: il nostro sistema digestivo. Con un ritmo particolare, diverse migliaia di cellule sono responsabili dei movimenti del colon, ora chiamato “secondo cervello”.

Se hai mal di stomaco, è meglio parlare con uno specialista. Secondo la psicoterapeuta Sean Grover, esprimere le emozioni riduce gli effetti dello stress sul corpo. Per saperne di più: La pancia è il nostro secondo cervello: i batteri influenzano operatività e umore

Cuore e sofferenza emotiva

Gli studi hanno dimostrato che lo stress emotivo influisce sulla salute del cuore. La sindrome del cuore spezzato indebolisce gravemente il cuore per causare sintomi simili a quelli di un infarto. Quando non è presente alcuna origine organica, chiediti se il tuo disagio non sia psicosomatico. Rilasciare la pressione a volte può farti bene.

Mal di testa e ansia

“Lo stress ti viene in testa”. Questa espressione non viene dal nulla. Esiste davvero un’origine psicologica di emicrania e mal di testa. Secondo gli studi dell’ANAES (Agenzia nazionale per la valutazione e l’accreditamento della salute) sui trattamenti non farmacologici, i “trattamenti terapeutici da stress”: rilassamento, biofeedback e terapia cognitiva sono più efficaci rispetto al placebo.

Superlavoro e dolore al collo e alle spalle

La persona sovraccarica tende a sentirsi svuotata. Non ha energia e non può riprendersi nemmeno dopo aver riposato. Il corpo, che ha esaurito tutte le sue riserve, manifesta il suo malessere attraverso schiena, collo, spalle, braccia, testa, …

Organizzati e impara a dire di no quando sei troppo occupato. Non avere paura di delegare e chiedere aiuto agli altri.

Stanchezza e umore depresso

Quando decidi di non reagire al tuo umore triste o irritabile, il corpo si difende e ti invia segnali. La repressione porta a una scissione tra l’inconscio e la coscienza, in modo da non far emergere ciò che non si desidera ascoltare. Tuttavia, il corpo ti farà sapere di smettere di essere tagliato fuori dai tuoi affetti. Evacuerà tutto attraverso una sensazione di affaticamento senza fornire una soluzione.

Nonostante la stigmatizzazione degli affetti timici, è importante promuovere una cultura di autocoscienza, poiché il contrario può peggiorare la situazione.

Intorpidimento e repressione

Le persone tendono a sopprimere le proprie emozioni quando un evento è troppo travolgente. Il corpo diventa paralizzato perché incapace di evacuare l’ipersensibilità. L’intorpidimento di solito si verifica nelle gambe, mani e braccia. Il modo migliore per superare il trauma è riconoscerlo in modo che possa essere trattato in modo proattivo.

Insonnia

L’insonnia è probabilmente il sintomo somatico riscontrato per molte condizioni psicologiche. È per questo motivo che gli psicologi sostengono una ricerca approfondita di altri segni che potrebbero essere associati ad essa, poiché è difficile distinguere tra ciò che la sta causando e le conseguenze di questo disturbo del sonno. Può essere correlato a stanchezza, irritabilità, depressione, iperattività e ansia.

Dal Sito: chedonna.it 

Ansia da primo giorno di università: le tecniche per rilassarsi


Ci siamo! Per tante matricole è finalmente giunto il momento tanto atteso e temuto: l’inizio delle
lezioni all’Università. Non farsi prendere dal panico e dalla paura è fondamentale per iniziare il
nuovo anno in tranquillità. Ecco quindi i nostri consigli per aiutarvi a gestire l’ansia da primo giorno
e trasformarla in pura energia!

Ansia da primo giorno di università: come evitare lo stress


Respira

Prenditi 5 minuti per respirare lentamente, chiudi gli occhi e non pensare a nulla. Immagina di essere il un posto che ti piace, circondato da gente che ti vuole bene, questo ti aiuterà a sentire meno pressione e ad essere più rilassato durante il primo giorno.

Concentrati

E’ davvero importante non lasciarsi distrarre da pensieri inutili durante le spiegazioni dei professori. Eliminare le possibili distrazioni significa infatti avere una maggiore concentrazione da poter sfruttare a lezione e, inoltre, avere dei buoni appunti sottomano aiuta sicuramente a ridurre al minimo le preoccupazioni.

Allontana i pensieri negativi

Molte volte l’ansia è causata dal preoccuparsi eccessivamente di pensieri e sensazioni negative,
spesso anche molto piccole. Non fasciarti la testa prima di essertela rotta e, quando senti di stare rimurginando troppo, scegli con consapevolezza di fermarti e di distrarti con qualcosa di piacevole. 
Prendi ogni cosa come viene e cerca di gestirla con la massima serenità. La negatività alimenta sé stessa, think positive!

Sii ottimista

Concentrarsi sul lato positivo delle cose aiuta enormemente a gestire ansie e preoccupazioni. L’ottimismo e la fiducia nei propri mezzi sono molte volte la chiave per superare le difficoltà che si incontrano. Adottare un atteggiamento propositivo non può che ridurre notevolmente l’ansia.


Batti la timidezza

Riuscire a farsi nuove amicizie tra i colleghi di corso renderà sicuramente meno pesante e a tratti divertente la vita universitaria. Farsi una chiacchierata tra le varie ore di lezione non può che giovare. D’altra parte, è meglio affrontare questa nuova vita in compagnia piuttosto che da soli! “Mal comune, mezzo gaudio” dicevano i Latini.

Nessuna paura

La timidezza è un’altra emozione che va messa da parte insieme all’ansia. Se non capisci qualcosa di quello che il professore sta spiegando, segui la regola più importante: no panic!
Non avere paura di chiedere ai tuoi colleghi o al professore stesso, durante la lezione o fissando un appuntamento con lui.

Mangia (sano)

Se ti senti scoraggiato, ricorda che puoi sempre rifugiarti nel cibo (senza esagerare ovviamente). Ti aiuterà a staccare dal ritmo incessante delle lezioni e a goderti qualche minuto di meritato riposo tra un’ora e l’altra. Assumere degli zuccheri può sicuramente aiutarti a sentirti più fresco e pieno di energie.

Organizza la mente

Tenere ordinata la mente aiuta a mantenere il controllo sulla situazione. Pensa quello che devi fare oggi e concentrati su quello. Non caricarti di troppo peso, non farà altro che alimentare la tua paura di fallire.

Divertiti

Forse la cosa più importante, divertirsi! Fa che questa nuova avventura sia un’occasione da sfruttare e non una di cui lamentarsi, d’altronde questi sono gli anni più belli. Sii fiero di te stesso e delle tue scelte e cerca di affrontare tutto con il sorriso.

Dal Sito: skuola.net

Ecco le cose da fare per tenere lontano lo stress quotidiano


Ecco alcuni rimedi antistress per vivere meglio e allontanare la pressione degli impegni quotidiani.
LO STRESS PUÒ AVVELENARCI LA VITA METTENDO SERIAMENTE A RISCHIO LA NOSTRA SALUTE: ECCO I COMPORTAMENTI DA ADOTTARE PER FRONTEGGIARLO

I ritmi vertiginosi della quotidianità mettono a dura prova i nostri nervi, e non noi non siamo fatti per sopportare periodi prolungati di stress. Lo stress corrode corpo e cervello. A questo contribuisce anche la crisi che ha reso sempre più precario il nostro lavoro. L’austerità ha imposto ritmi impossibili mettendo seriamente a rischio la salute mentale.

EVITARE IL CIBO SPAZZATURA

Sempre più giovani cercano aiuto per curare ansia e attacchi di panico, ecco perchè occorre trovare le contromisure per evitarne effetti come malattie cardiache, depressione e diabete. Spesso per vincere lo stress ci rifugiamo nel cibo spazzatura. Questo ci dà un picco istantaneo di serotonina, la sostanza chimica del corpo, ma ha un effetto temporaneo che svanisce in poco tempo. Uno dei rimedi per attutire lo stress è quello di pranzare 10 minuti lontani dalla scrivania assaporando i cibi con calma in un ambiente diverso da quello di lavoro.

FITNESS E SANA ALIMENTAZIONE, DUE RIMEDI VALIDI

Secondo una ricerca dell’American Psychological Association, un terzo degli americani cerca cibi ricchi di grassi e calorie quando è stressato. Infatti, quando si è particolarmente stressati si ricorre sempre a cibi veloci che non richiedono accurate preparazioni e questo contribuisce a peggiorare le cose. Dedicarsi al fitness dopo il lavoro ci aiuta a scaricare lo stress e a farci sentire meglio. Non è detto che bisogna per forza iscriversi in palestra, a volte possono bastare anche allenamenti gratuiti a casa che possono essere svolti in pochi minuti. Il salto sul posto o una sana pedalata nella cyclette domestica ci può aiutare a sentirci più in forma, mettendo da parte i pensieri legati al lavoro.

QUANDO CONSULTARE UN MEDICO

Dedicare un po’ di tempo a se stessi è un ottimo rimedio per evadere dalla dura realtà quotidiana. Non è normale rimanere in uno stato di stress perpetuo. Se stiamo arrivando sopra al livello di guardia allora è necessario consultare il medico di famiglia. Se abbiamo spesso palpitazioni, attacchi di panico o disturbi del sonno a lungo termine, allora siamo in presenza addirittura di un disturbo d’ansia. Per evitare di arrivare a questo punto occorre predisporre dei rimedi efficaci al fine di proteggerci dallo stress eccessivo.

MEGLIO SFOGARSI E NON TENERE TUTTO DENTRO

Se lo stress è legato al lavoro, è importante parlare con i capi e far capire che la situazione potrebbe precipitare piuttosto che tenersi tutto dentro. A lungo andare questo stato mentale di forte pressione porta a sfogarsi col fumo o con l’alcol. Ecco perchè è fondamentale cambiare stile di vita quanto prima possibile. Tenersi le cose dentro senza esternarle, aumenta il peso psicologico dello stress. Ecco perchè occorre trovare valvole di sfogo adeguate per evitare di implodere.


martedì 24 settembre 2019

L’alcolismo e il suo utilizzo per aggirare timori


L’alcolismo, diffuso non di meno nel nostro Paese, spesso costituisce una cattiva risposta a talune situazioni che generano ansia, angoscia. Ma notoriamente esistono diverse tipologie di disturbi d’ansia: qual è quella più influente nell’uso o abuso di alcol?
È l’ansia sociale a risultare quella con un effetto più diretto sul rischio di sviluppare una dipendenza da alcol. Lo indica una nuova ricerca norvegese. Il perenne stato di allarme vissuto dalle persone fobiche può essere quindi il fattore scatenante dell’abuso di bevande alcoliche. La classica sbronza, il bere fino allo stordimento, serve alle persone che soffrono di fobia sociale a trovare un palliativo alle proprie paure.
Per quanto riguarda lo studio, attraverso la somministrazione di interviste semi-strutturate a un campione di quasi tremila adulti, i ricercatori hanno valutato la correlazione tra alcolismo e disturbo d’ansia generalizzata, disturbo di ansia sociale, disturbo da attacchi di panico, agorafobia e fobie specifiche. Ciò che è emerso è proprio che il disturbo di ansia sociale è quello che aveva una più forte correlazione con l’alcolismo, nello studio ha infatti predetto la presenza di sintomi collegabili in maniera nettamente superiore, sorprendentemente, rispetto agli altri stati ansiosi.
Questi risultati suggeriscono che gli interventi tesi all’evitamento o al trattamento dell’ansia sociale potrebbero avere un ulteriore effetto benefico preventivo nella cura dell’alcolismo. 
Secondo i ricercatori, è fondamentale riconoscere che molti individui che soffrono di questa tipologia di disturbo non sono in trattamento, questo vuol dire che si ha un potenziale sottoutilizzato, non solo per la riduzione dell’enorme quantità di diagnosi di ansia sociale, ma anche per la prevenzione di problemi relativi all’alcolismo in comorbilità con tale problema. 
A tal proposito, la terapia cognitivo-comportamentale e le sue esposizioni controllate alle situazioni temute dai soggetti, ha mostrato ottimi risultati.

lunedì 23 settembre 2019

Non sai mai quanto sei forte, finché essere forte è l’unica possibilità che hai 



Bob Marley disse: “non sai mai quanto sei forte, finché essere forte è l’unica scelta che hai”. E non sbagliava, perché la verità è che non sappiamo mai fino a dove posiamo arrivare e quanto possiamo crescere, fino a quando non abbiamo la necessità di metterci alla prova.

Le avversità ti rafforzano

Uno studio condotto da psicologi del King’s College Hospital di Londra e ilRoyal Mardesen Hospital di Sutton ha analizzato come le donne con diagnosi di cancro al seno rispondevano alla malattia. Hanno così individuato cinque diverse attitudini: spirito combattivo, fatalismo, disperazione, preoccupazione ansiosa e negazione.

Questi psicologi hanno scoperto che quando le condizioni cliniche iniziali erano simili, le donne che affrontavano la malattia con un senso d’impotenza, disperazione e fatalismo avevano un decorso peggiore. Al contrario, chi aveva uno spirito combattivo e un atteggiamento resiliente aveva anche una prognosi migliore.

Hanno inoltre scoperto che chi aveva subito traumi importanti in passato e li aveva superati era più propensa a risolvere eventuali problemi che sorgessero in futuro. Questo non solo perché la sofferenza la aveva resa più forte, ma anche perché gli aveva insegnato ad avere fiducia nelle proprie capacità, gli diceva che poteva andare avanti.

A questo proposito Ernest Hemingway disse: “Il mondo spezza tutti e poi molti sono forti proprio nei punti spezzati”. Di fronte alle avversità, possiamo crollare e lamentarci di ciò che è successo o possiamo approffittare della situazione per uscirne rafforzarti.

Uno studio più recente realizzato dalle università di Buffalo e della California, conferma che ciò che non ci uccide ci rende più forti. Questi psicologi hanno analizzato come 2.398 persone di età compresa tra i 18 ei 101 anni affrontavano le situazioni di stress e gli eventi traumatici della loro vita.

Scoprirono così che coloro che avevano vissuto degli eventi negativi durante la vita avevano una migliore salute mentale e un maggiore benessere rispetto alle persone che avevano a che fare con i problemi attuali ma non avevano avuto problemi seri in passato.

Le persone che avevano vissuto gravi avversità in passato, mostravano meno angoscia, non avevano sintomi di stress post-traumatico e mostravano una maggiore soddisfazione nella vita. Inoltre gestivano anche meglio i problemi del presente.

Non v’è dubbio che le avversità rappresentano delle ottime lezioni di vita. Da un lato, ci permettono di testare le nostre risorse e, dall’altro, ci infondono fiducia. Quando abbiamo toccato il fondo, la fiducia che possiamo risalire è essenziale per continuare a lottare.

La regola del 40%

I Navy Seal (reparti speciali della marina statunitense) sono famosi per la loro preparazione fisica piuttosto impegnativa, che spesso li porta fino al limite della loro forza. Secondo loro, siamo in grado di sopportare molto di più di quanto pensiamo e andare oltre a ciò che ci proponiamo.

Questi soldati sostengono che quando la nostra mente dice “basta” in realtà abbiamo raggiunto solo il 40% della nostra capacità. Pertanto, quando crediamo che non possiamo più proseguire e siamo pronti a gettare la spugna, abbiamo ancora un ampio margine di possibilità: il 60% in più.

Naturalmente, queste cifre sono indicative, la cosa più importante è il messaggio alla base: in certe situazioni, quando stiamo per abbandonare tutto, ciò che ci ferma e demotiva non è la mancanza di energia, ma solo un blocco mentale.

La regola del 40% è uno strumento molto utile quando ci troviamo in situazioni difficili perché ci aiuta a superare i nostri limiti e cambiare prospettiva, ci dice che possiamo fare un passo in più, e poi un altro e un altro ancora…

Newt Gingrich, un politico americano, non poteva riassumerlo meglio: “la perseveranza è il duro lavoro che fai dopo esserti stancato del duro lavoro che hai già fatto”.

Naturalmente, questo non significa che dobbiamo cercare le avversità o resistere stoicamente contro venti e maree, ma quando i problemi bussano alla nostra porta, dobbiamo essere pronti ad imparare la lezione e, soprattutto, sapere che possiamo contare sulle nostre forze.

Il ritmo della respirazione influisce sulla memoria e le emozion


Respiriamo continuamente, naturalmente, ma non siamo pienamente consapevoli dell’importanza di farlo. In realtà, non respiriamo solo per prendere ossigeno, la scienza ha scoperto che l’atto di inspirare ed espirare influenza anche il funzionamento del cervello.

I neuroscienziati della Northwestern University hanno dimostrato, per la prima volta, che il ritmo della nostra respirazione genera un’attività elettrica nel cervello che può migliorare i nostri giudizi emotivi e la memoria. Questi effetti dipendono principalmente da se inspiriamo o espiriamo, così come se respiriamo attraverso il naso o la bocca.

Inspirare ed espirare influenza la nostra memoria e le emozioni

I neuroscienziati hanno scoperto questo effetto mentre analizzavano 7 pazienti con epilessia che stavano per sottoporsi ad un intervento chirurgico al cervello. Una settimana prima dell’intervento, un chirurgo ha impiantato degli elettrodi nel loro cervello per determinare l’origine delle crisi epilettiche. Ciò ha permesso di accedere ai dati elettrofisiologici e scoprire che i segnali elettrici registrati mostravano che l’attività cerebrale fluttuava con la respirazione, in particolare nelle aree in cui vengono elaborate le emozioni, la memoria e gli odori.

Questa scoperta casuale li ha portati a chiedersi se le funzioni cognitive associate a queste aree cerebrali, come l’elaborazione emotiva e la memoria, potrebbero essere influenzate dal ritmo della respirazione.

Quindi, progettarono uno studio a cui presero parte 60 persone, le quali si sottoposero a una serie di test mentre respiravano. I ricercatori scoprirono in questo modo che i partecipanti potevano identificare più rapidamente un volto che esprimeva paura quando inspiravano. Al contrario, se vedevano il viso mentre espiravano necessitavano di più tempo per riconoscere l’emozione.

Anche la memoria variava a seconda della fase della respirazione. Le persone potevano ricordare meglio un oggetto se lo vedevano mentre inspiravano, non quando espiravano. Tuttavia, queste differenze non sono state apprezzate durante la respirazione attraverso la bocca.

I ricercatori scoprirono anche che vi era una sostanziale differenza nell’attività cerebrale, nell’amigdala e nell’ippocampo, durante l’inalazione rispetto all’espirazione. Hanno scoperto che quando respiriamo, stiamo effettivamente stimolando i neuroni nella corteccia olfattiva e l’intero sistema limbico, che è il primo “passo” dell’elaborazione emotiva.

La respirazione, una strategia naturale per “sincronizzare” l’attività cerebrale

L’influenza della respirazione a livello cerebrale potrebbe spiegare il meccanismo alla base degli attacchi di panico. Quando una persona soffre di una crisi d’ansia, la sua frequenza respiratoria diventa più veloce, quindi passa più tempo a inspirare che a espirare. In questo modo, il cervello potrebbe essere molto più efficiente nel rilevare i segnali di pericolo. E questo è anche il motivo per cui possiamo controllare quella paura proprio attraverso la respirazione, inspirando ed espirando più lentamente. In questo modo inviamo al cervello il messaggio che tutto è sotto controllo e non è necessario mantenersi all’erta.

D’altra parte, questa scoperta potrebbe anche corroborare le antiche tecniche di meditazione buddista in cui viene data particolare attenzione alla respirazione. Tutto sembra indicare che, infatti, respirare lentamente e profondamente ci permette di sincronizzare le oscillazioni dell’attività cerebrale attraverso il sistema limbico. Quindi, ora lo sai: respira e fallo bene.

Dal Sito: angolopsicologia.com

Ammalarsi emotivamente per la cattiveria altrui. Succede sempre più spesso


Si sta diffondendo sempre di più nella nostra popolazione una gelosia gratuita, che fa godere le persone se altre stanno male.

Tante volte le persone così tanto cattive parlano, chiacchierano e si inventano delle storie solo per diffamare e parlare male di coloro che sono solo delle vittime.

È soltanto la cosiddetta cattiveria gratuita, tutta la cattiveria è data anche dalla tecnologia che sta avanzando e sta trascurando le cose importanti come affetto relazione e sentimento.

Sta diventando una vera e propria dipendenza da cellulare che toglie attenzione e tempo al partner, perdendo nella persona di fronte anche  la fiducia e l’autostima.

Il telefono reclama in continuazione la nostra attenzione, tra messaggi, chat, notifiche, perdiamo il filo di quel che stavamo dicendo, a risentire di tutto ciò è soprattutto la nostra relazione con interazioni sociali di bassa qualità e poca empatiche.

E si sta trascurando e ignorando chi ci sia davanti in carne e ossa ma si dà precedenza a uno schermo di un telefono a risentirne e soprattutto la storia d’amore. Ritornando alla cattiveria gratuita esce fuori soprattutto, appunto dietro a uno schermo freddo o del computer del tablet o del cellulare perché non vengono viste, rivelato il loro volto, resta anonimo ma non si rendono conto che feriscono nell’animo di alcune persone.

Nei social network non esiste ordine e nessuno si preoccupa di ferire l’altro nessuno si preoccupa di nessuno e un termine per questi individui è:  leoni da tastiera.

Anche nel mondo reale fuori dagli schermi di smartphone succede per l’invidia, l’attaccamento materialistico e nella vita attuale, nell’epoca attuale sono moltissime per sfortuna le persone che parlano male che diffondono cattiverie pettegolezzi privi di motivi, ma giudicano parlano solo perché non sanno amare perché loro stessi non sono mai stati amati. Inoltre ammalarsi emotivamente e quindi la conseguenza più scontata.

Dal Sito: nonsolodonna.net

Ansia, fobia e attacco di panico: mi manca l’aria!


Quando manca il respiro

Oggi tratteremo tre alterazioni molto frequenti con il comune denominatore del respiro chiuso: l’ansia, la fobia e l’attacco di panico.

Sono condizioni di estremo disagio per chi ne soffre, possono modificare il corso delle giornate, ma anche influire sulle scelte, come l’evitare certe situazioni che innescano il malessere.

E’ bene fare chiarezza sulle reazioni del nostro corpo, così da circoscrivere il problema e affrontarlo con strumenti efficaci di consapevolezza.

Ansia

Iniziamo col dire che l’ansia non è una reazione anormale o patologica, bensì un’emozione di base necessaria alla sopravvivenza che potremmo definire quasi un «salvavita» in quanto attiva l’organismo e lo allontana dai pericoli.

Diventa anormale quando il rischio è assente e nonostante questo, l’organismo è messo in stato di allarme.

Caratteristica specifica è la sensazione di intensa preoccupazione, avvertiamo il corpo teso per l’allarme di qualcosa che potrebbe succedere anche molti anni dopo: per questo motivo produciamo una serie infinita di pensieri catastrofici.

La differenza con la paura è che in questo caso la reazione dell’organismo è di durata breve, e cessa quando il pericolo sparisce; l’ansia diventa disturbo d’ansia quando persiste per oltre 6 mesi.

Fobia

«Paure di demoni immaginari, o paure indebite di cose reali»

B. Rush, 1798

La fobia è una paura eccessiva per specifici oggetti o situazioni, rappresenta un sottogruppo dell’ansia. Sono due la caratteristiche principali:

1. l’ansia nasce solo in corrispondenza di una situazione specifica e non in altre;

2. quando ne siamo affetti cerchiamo strategie per evitare quelle situazioni.

Dunque parliamo di una manifestazione emotiva sproporzionata per qualcosa che non rappresenta una reale minaccia, l’evitamento poi, non fa altro che andare a confermare la pericolosità della situazione e prepara l’evitamento successivo.

Attacco di panico

E’ l’apice della crisi d’ansia, quasi come una diga che si rompe e rovescia acqua e detriti dappertutto, uno stato di estremo malessere fisico simile all’attacco cardiaco e alla morte imminente.

I sintomi che pur troviamo nelle due condizioni precedenti, qui si fanno estremi:

– Palpitazioni

– Costrizione al petto

– Cuore in gola

– Sudorazione

– Respiro bloccato

– Vertigini, nausee

– Diarrea

– Stordimento, confusione

Reazioni fisiologiche che raggiungono l’apice per poi scemare nel giro di 15 minuti, pur restando uno stato d’ansia sottostante.

Respiro rapido

Respirare è un’attività che funziona a prescindere da cosa facciamo o pensiamo, è controllata automaticamente dal cervello; ad azionarla è il muscolo del diaframma che si trova all’altezza dell’ombelico.

Una situazione di forte stress, come può essere l’ansia, la fobia o l’attacco di panico, irrigidisce il muscolo del diaframma e i polmoni fanno uno sforzo maggiore portando il respiro nella parte alta del torace, da qui i dolori intercostali e al petto.

Il centro regolatore si trova proprio nel diaframma, un muscolo poco conosciuto che può migliorare la qualità delle nostre giornate. Saper respirare bene tiene i parametri fisiologici nella norma, e ci sono tecniche mirate per gestire l’ansia generalizzata, per situazioni particolari come le fobie, o per l’attacco di panico.

Impariamo da subito che il respiro corto, stile cagnolino, ci provoca iperventilazione e di conseguenza tutte le reazioni sgradevoli sopra elencate.

Consapevolezza

Pendere coscienza di come respiriamo apre le porte sul funzionamento del corpo, non siamo vittime del nostro cervello, nessun demone si annida nei nostri pensieri.

Chiaramente, dietro ogni fobia o ansia vive la storia del nostro passato ma nell’immediato dobbiamo imparare a respirare… tutto il resto verrà naturalmente.

Dott.ssa Sabrina Rodogno

lunedì 16 settembre 2019

Perché sono così apatica?


Dal greco a-pathos, l'apatia indica assenza di passione. È questo il significato etimologico del termine che fa coincidere la passione tutto ciò che riguarda la sfera affettiva, cioè: le emozioni, i sentimenti e i desideri.

Sintomi

I sintomi dell'apatia sono caratterizzati dalla mancanza di voglia di fare, che si manifesta sia verso attività concrete, come ad esempio gli hobby, sia verso la progettualità del proprio futuro; dallo scarso entusiasmo per le piccole e grandi cose della vita; e da un senso di vuoto.

«Anche se somiglia alla pigrizia, l'apatia non va confusa con essa poiché la pigrizia può essere un lato del carattere individuale che raramente è associato ad una sofferenza psicologica così come avviene nelle persone apatiche » dice il prof. Roberto Pani, psicoterapeutadocente di Psicologia Clinica all'Università di Bologna.

Allo stesso modo, l'apatia non va confusa con la depressione, di cui può essere uno dei tanti sintomi. «Non è detto però che l'apatia e la depressione vadano di pari passo».

Cause

Perché non si ha voglia di far niente? «Per rispondere a questa domanda, bisogna distinguere almeno tre categorie di apatia, che hanno appunto origini diverse» continua l'esperto.

1. La prima, che è la più frequente, è l'apatia che subentra in seguito a una delusione. «Alcune persone diventano apatiche per reazione ad aspettative disilluse: dentro di sé provano una grande rabbia che non sanno come esprimere se non soffocandola con l'assenza di motivazioni». Che senso ha la vita se non ho ottenuto ciò che speravo?

2. L'apatia a carattere imitativo. «È quel tipo di indolenza che connota la personalità di un individuo che è cresciuto in un contesto in cui i familiari erano privi di entusiasmo, e che quindi sono portati strutturalmente a "imitare" i comportamenti apatici appresi sin da piccoli» spiega l'esperto. Sono quelle persone che non hanno nulla da direné da fare perché credono di non provare niente o pensano che non abbia senso comunicare i propri pensieri.

3. L'apatia connessa alla depressione. «In questo caso, l'apatia è un sintomo che accompagna lo stato emotivo di profondo abbattimento: ha risvolti più gravi e significati più negativi». Si distingue dal primo tipo di apatia perché è associata ad autosvalutazione, ostilità repressa, scarsa energia e blocchi emotivi piuttosto intensi.

Come uscirne

«Innanzitutto, è importante che la persona apatica si renda conto di essere scivolata in un vuoto di azionie di emozioni, e che abbia un minimo di volontà di riacquistare l'energia» spiega il prof. Pani. Alcune persone potrebbero trovare normale la loro condizione di apatia e volersi così crogiolare in un limbo che tutto sommato funge da guscio protettivo contro la vita da "vivere pienamente".

«E poi la cura contro l'apatia dipende dal grado di gravità: se è un aspetto del carattere, è difficile aspettarsi un cambiamento — continua lo psicoterapeuta — diverso è il caso di chi diventa apatico dopo una delusione: ci sono azioni concrete che possono aiutare a uscire dallo stato passivo. Quando invece l'apatia è uno dei sintomi della depressione, è bene rivolgersi ad uno psicoterapeuta o, nei casi più seri, ad un medico psichiatra che può decidere se prescrivere farmaci specifici».

Cosa fare contro l'apatia

- Imporsi degli obiettivi, cominciando da quelli più fattibili, impegnarsi attivamente nel perseguirli.

- Cercare di riprendere un vecchio interesse, cominciando a seguirlo a poco a poco.

- Trovare il lato creativo anche nelle situazioni apparentemente più noiose, come un lavoro ripetitivo o i mestieri di casa.

- Evitare di ripetersi che il mondo sarà sempre lo stesso e non cambierà, ma convincersi che il primo passo per uscire dalla passività deve partire da noi.

Come stimolare una persona apatica

«Cercare di portarla fuori di casa, invitandola ad uscire in un contesto sociale stimolante a contatto con le altre persone: queste possono indirettamente suggerire che la vita è (ancora) ricca di cose da fare» consiglia l'esperto.

«Se una persona ha perso ogni motivazione perché è delusa da qualcosa (amicizie, amore, lavoro) è importante ascoltarla e fargli capire con garbo che il suo è un vissuto momentaneo, che passerà, lasciando spazio ad un ricordo». Se è vero che la perfezione nella realtà non esiste, è anche vero che quella stessa realtà riserva delle possibilità che sta a noi cogliere. 

L'apatia dei nostri tempi

Infine c'è una forma di apatia agevolata dalle contraddizioni dei nostri tempi.

«Da un lato la crisi economica e politica spegne ogni motivazione nel cercare lavoro o nel fare investimenti, dall'altro lato lo sviluppo dei socialnetwork propone immagini fittizie di una vita molto attiva che si scontra con una realtà all'apparenza più povera di stimoli - sostiene l'esperto - Inoltre rischiamo di illuderci di avere molti amici, mentre siamo appartati sul nostro divano, ma quando vogliamo uscire di casa non sappiamo più chi chiamare oppure tutti ci sembrano poco disponibili. E ciò può generare apatia».

Dal Sito: donnamoderna.com

Paura, come superarla e gestirla senza alcuna ansia

La paura, una risposta emotiva temuta da vincere e superare con il coraggio: scopriamo come
La paura è un emozione intensa, derivata dalla percezione del pericolo reale o supposto. Essa è una delle emozione primarie comune sia alla specie umana che animale.

L’emozione che spaventa

Ciò che normalmente ci spaventa, non è sempre negativo, anzi è un campanello d’allarme. La paura non è una emozione errata bensì, averne di fronte a un pericolo reale è alla base della sopravvivenza del genere umano.

Inoltre, essendo un emozione primaria dell’uomo, è praticamente impossibile non provarla ed essere capaci di vivere senza di essa.

E’ indispensabile imparare a gestire la paura, soprattutto quando nasce da una sensazione di pericolo.

Frasi come, ho paura di sbagliare, non sono all’altezza oppure ho paura del giudizio, sono all’ordine del giorno e condizionano l’esistenza umana in maniera invalidante.

La maggior parte delle persone rimane intrappolata nella propria campana di vetro, ma in realtà dietro questa facciata si nasconde la cruda verità, la scusa di non agire.

Quando accade questo, la paura diventa una emozione che crea uno stato d’animo limitante.

La paura, come la gioia e la rabbia sono identiche per qualsiasi essere umano in tutte le parti del mondo. Essendo emozioni di base, insite in noi sin dalla nascita, possiamo sicuramente impararle a gestire in base alle diverse situazioni in cui ci troviamo.

Di fatto essa è un emozione molto potente che turba la vita serena degli esseri umani.

Giorno dopo giorno, ora dopo ora, essa continuava il suo cammino distruttivo,  fino a quando gli individui si trovarono a vivere in un posto senza stagioni e senza emozioni.

Possiamo concludere dicendo che è importante non farsi dominare dalle proprie emozioni negative ma impararle a gestire ed ascoltare. Qualsiasi emozione se prende il sopravvento su di noi può diventare invalidante e destrutturante in quanto le diamo potere.

Spesso siamo noi stessi a darle voce, infatti quando essa nasce è piccola e debole, non si è ancora stabilizzata, non ha ancora assunto un grande potere su di noi. Basterebbe un po’ di coraggio per affrontarla e utilizzarla come nostra risorsa.

Quando provate paura ricordatevi che essa e come l’area, fatta di vento e sta in un pensiero un pò grigio e un pò nero.

Per dirla alla Martin Luther King:

“UN GIORNO LA PAURA BUSSÒ ALLA PORTA, IL CORAGGIO SI ALZÒ E ANDÒ AD APRIRE E VIDE CHE NON C’ERA NESSUNO”.

Come riconoscere e affrontare un attacco di panico


Attacchi di panico: come riconoscerli e affrontarli

Sempre più diffusi tra le persone di ogni età, gli attacchi di panico hanno sintomi confondibili con quelli dell'infarto. Ecco come accertarsi di cosa si tratta e affrontare la crisi.

Sempre più persone si presentano al pronto soccorso degli ospedali con sintomi improvvisi e violenti, che possono sembrare quelli dell’infarto: sensazione di oppressione al petto, dolore al torace, profonda inquietudine e sudorazione fredda, accompagnata a volte anche da nausea. In realtà si tratta di attacchi di panico.

L’attacco di panico è una reazione impropria del cervello che reagisce a certi stimoli entrando in “allarme pericolo di vita”, in assenza di questo reale rischio. Lo fa attivando tutte le reazioni che possono entrare in gioco quando si sta per morire in circostanze violente.

Al pronto soccorso viene effettuato innanzitutto un elettrocardiogramma per escludere che la problematica sia di natura cardiaca; viene anche misurata la pressione sanguigna e di norma, escluso che si tratti di un infarto, viene somministrato un farmaco tranquillante.

Cause

Può essere un lungo periodo di stress, ad esempio causato da un carico di lavoro eccessivo, a scatenare un attacco di panico; oppure questo stato può rappresentare la classica punta dell’iceberg di un disagio emotivo profondo che non riesce ad emergere da lungo tempo.

Come si manifesta

Ecco i principali sintomi dell’attacco di panico:

tachicardia

iperventilazione

tremore e brividi 

sudorazione fredda alternata a vampate

dolore al petto

nausea

sensazione di irrealtà (l’ambiente circostante assume contorni sfumati, sembra di essere in un sogno)

senso di morte imminente

Come comportarsi

In caso di attacco di panico, bisogna in primis escludere che si stia verificando davvero un infarto; per questo motivo è sempre bene accompagnare la persona in ospedale, dove verrà immediatamente accertata  la natura del problema.

La durata dell’episodio ci aiuta a capire di che cosa si tratti: in genere i sintomi dell’attacco di panico, infatti, durano circa una decina di minuti. 

Quando la persona interessata è giovane e non è soggetta a rischio infarto (né a ipertensione, sovrappeso, colesterolo alto, diabete, se sta sta iperventilando (respirazione corta e affannosa) le si può chiedere di respirare per circa un minuto in un sacchetto di carta, tipo quello del pane, con bocca e naso. Ripetere per quattro cinque volte, alternando un minuto di respirazione nel sacchetto, con un minuto fuori dal sacchetto.

Questa pratica dovrebbe aiutare a ripristinare una respirazione regolare, prevenendo il rischio che comporta l’iperventilazione di peggiorare la sensazione di soffocamento che si percepisce durante l’attacco di panico.

Da non fare

Evitare di chiedere alla persona di controllarsi, perché con l’attacco di panico non si fa altro che peggiorare la sua condizione psico-emotiva, in quanto la persona non è assolutamente in grado di prendere il controllo su di sé.

Evitare di farsi vedere spaventati dalla situazione e incapaci di fornire aiuto, per non peggiorare la condizione di fragilità emotiva della persona in quel momento.

Cercare di rimanere calmi e lucidi per affrontare al meglio la situazione.

Dal Sito: perugiatoday.it

venerdì 13 settembre 2019

Sorridere fa bene: i benefici per la salute


La risata è un alleato prezioso del benessere psicofisico, anche grazie alla sua capacità di contrastare la paura e il dolore e alla sua forte funzione comunicativa che ci aiuta a stare bene insieme agli altri. Si genera nella parte più antica del cervello e ha un effetto “riequilibrante”: ci permette di scaricare le tensioni accumulate, consentendoci allo stesso tempo di ricaricare le pile. A confermare quello che si è sempre saputo in termini intuitivi, diversi studi che danno un fondamento fisiologico all’effetto risata. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Katia Rastelli, psicoterapeuta di Humanitas.

 

I benefici della risata

Fra i poteri della risata vanno annoverati la riduzione della percezione del dolore, l’aumento della tolleranza allo stress e l’eliminazione della paura. Da un punto di vista scientifico questi effetti si tradurrebbero nella diminuzione dei livelli di cortisolo(l’ormone dello stress) e nel rilascio di endorfine che agiscono come una specie di ansiolitico o antidolorifico. Un riscontro, fra i tanti studi sull’ansia da ricovero ospedaliero, è quello avuto nel Pediatrico Meyer di Firenze, dove si sono studiati gli effetti della clownterapia sui piccoli pazienti. L’attività di ricerca ha dimostrato che con la terapia della risata i clown dottori riescono a ridurre la tensione che assale le bambine e i bambini prima di un intervento chirurgico: questi hanno tipicamente paura dell’anestesia, sono spaventati alla vista della mascherina e vivono momenti di tensione per la separazione dai genitori. Creare intorno a loro un ambiente allegro aiuta a ridurre l’ansia, accresce la collaborazione dei bambini con il personale sanitario e rende inutile la somministrazione di farmaci sedativi.

Il ruolo del sorriso

“La natura ha dotato l’essere umano del sorriso per la sopravvivenza: infatti, fin dai primi mesi di vita, il bambino mostra un sorriso riflesso e inconsapevole ma estremamente utile per stimolare l’accudimento nell’adulto, senza il quale il neonato non sopravviverebbe. Questo sorriso, con la crescita, assume la funzione di “collante sociale” migliorando le relazioni, utili per vivere in società. Il sorriso e la risata hanno quindi una funzione comunicativa molto forte, ci permettono di stare bene in mezzo agli altri, facendoci sentire parte di un gruppo, e vanno stimolate e rinforzate il più possibile soprattutto nei momenti difficili”, ha aggiunto la dottoressa Rastelli

La risata è “social”

Se la condivisione di momenti felici migliora il rapporto con gli altri, la risata rappresenta un gancio per entrare in relazione con le persone e per predisporle a loro volta al buonumore. La risata assolve quindi una funzione per la coesione sociale, nonché di aiuto a instaurare nuove relazioni perché rompe il ghiaccio, aiuta ad aprirsi ed entrare in confidenza con l’interlocutore. Per la risata è appropriato parlare di contagio emotivo perché questa attiva aree cerebrali che favoriscono la risonanza. Se esistono studi che risalgono a 30 anni fa sulla natura sociale della risata, altri arrivano ad affermare che le persone a più alto rischio di sviluppare comportamenti antisociali sono meno sensibili alle risate altrui. Quello che vale in una comunità allargata, è valido anche nel rapporto di coppia, dove il riso funge da termometro sensibile della bontà di una relazione. Uno studio condotto da psicologi di un’università tedesca ha evidenziato che la risata è indice importante della forza del legame di coppia: sapersi prendere in giro e ridere insieme l’uno dell’altro, in altre parole saper gestire battute e risate, è segno di una forte intesa.

mercoledì 11 settembre 2019

Per realizzarti Devi Seguire La Tua Via, Non Quella Che Hanno Scelto Per Te


Da giovane ti hanno chiesto cosa volevi fare da grande; quando dicevi che volevi andare fuori dai sentieri battuti ti hanno detto che non avresti mai combinato nulla nella tua vita, che avresti fallito. Poi sei cresciuto e hai seguito i loro consigli, 

Non lasciare che uccidano la tua spontaneità

Quando hai finalmente capitolato di fronte a quel “metti la testa a posto”, qualcosa dentro di te si è spento e hai cominciato a inventarti delle ragioni per le quali tutto sommato era pure una buona cosa rinunciare al tuo sogno.

Magari volevi fare l’insegnante mentre discendevi da una lunga dinastia di medici, oppure volevi sviluppare la tua espressione artistica, andare al conservatorio, fare le Belle Arti; qualcuno ti ha convinto che era meglio rinunciare alla tua strada se volevi diventare “qualcuno”, solo che con grande probabilità non è successo. E ti chiedi il perché visto tutto ciò al quale hai rinunciato per realizzarti.

Non ti sei di certo risparmiato nel voler raggiungere quel traguardo che avevano promesso che avresti raggiunto un giorno. Hai lottato, hai sofferto, hai arrancato, sei caduto e non ricordi nemmeno quante volte ti sei rialzato, ma tutto ciò che ti rimane è un retrogusto amaro e un pugno di mosche in mano.

Se vuoi realizzarti nella vita, devi ascoltare la tua voce

Se sei infelice per aver scelto la strada sbagliata, forse è perché hai preferito ascoltare una voce che non era la tua, hai pensato che saresti stato felice seguendo una via che non ti corrispondeva, che non c’entrava nulla con te. Oggi te ne rendi conto, come avresti potuto realizzarti in ciò che non ti rappresentava? Tutte quelle difficoltà incommensurabili che hai dovuto attraversare, e che ti buttavano giù sempre più mentre cercavi di raggiungere quel posto invidiabile che ti avrebbe assicurato di diventare “qualcuno” nel settore, davano voce a quella parte di te che ti urlava di fermarti per riflettere: “sei sicuro di volerlo davvero?

Ma non volevi rinunciare a tutti i sacrifici fatti nella speranza di avere un posto di prestigio, non volevi ammettere che quei sogni che ti avevano imposto, non erano fatti per te. Non era la tua strada, ti sei fatto violenza, hai remato controcorrente e ti chiedi come mai arrivi a così pochi risultati se fai tutta questa fatica.

“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.”
(Albert Einstein)

Forse hai scelto di remare, per paura, quando eri destinato a volare.

Realizzarti significa manifestare la tua vocazione

Per realizzarti devi accogliere la tua vocazione, quella che ti viene da seguire in modo spontaneo perché riflette ciò che sei, riflette la tua natura.

‒ Maestro, mio figlio ha riportato la pagella con un voto basso in matematica e alto in disegno.
Vado a cercare un professore esperto in matematica che lo possa aiutare?
‒ Assolutamente no, vai a cercare il maestro di disegno più bravo che ci sia!
(Alejandro Jodorowsky)

James Hillman, psicanalista, fondatore della psicologia archetipica, saggista e filosofo, spiega l’importanza della vocazionenel suo saggio Il codice dell’anima(ed. Adelphi). Per lui la vocazione è qualcosa che abbiamo già dentro di noi, è innata, non possiamo reprimere questo impulso senza farci del male. Quella vocazione, o chiamata, non aspetta altro che essere espressa.

Ciò che cerchiamo nella vita è solo di realizzare ciò che siamo, dare voce alla nostra vocazione, agire secondo la nostra natura ed esprimere la nostra unicità; ma spesso questa vocazione è ridotta in cenere, castrata da altre persone che hanno accettato di vedere bruciare i loro sogni d’infanzia nel nome di una realizzazione materiale senza felicità: la stessa illusione che hanno venduto a te e alla quale hai creduto, come molti di noi.

Dice Hillman: “I bambini cercano di vivere due vite contemporaneamente, la vita con la quale sono nati e quella del luogo e delle persone in mezzo a cui sono nati. L’immagine di un intero destino sta tutta stipata in una minuscola ghianda, seme di una quercia enorme su esili spalle. E la sua voce che chiama è forte e insistente e altrettanto imperiosa delle voci repressive dell’ambiente. La vocazione si esprime nei capricci e nelle ostinazioni, nelle timidezze e nelle ritrosie che sembrano volgere il bambino contro il nostro mondo, mentre servono forse a proteggere il mondo che egli porta con sé e dal quale proviene.

È assecondando le nostre aspirazioni autentiche, seguendo il flusso che ci porta verso la manifestazione di ciò che siamo che ci realizzeremo, che giungeremo alla “fioritura”. Forse dovremmo smettere di rinunciare ai nostri sogni per paura di disturbare quelli di qualcun altro, forse dovremmo smettere di credere che qualcuno lì fuori ne sappia di più sul nostro destino di noi stessi e del nostro daimon.

“Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi
sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve
un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo
tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon
che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del
disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro
destino”.
(James HIllman)

Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e operatrice in discipline bio-naturali


Dal Sito: eticamente.net

Emma Stone ha iniziato a recitare (da bambina) per guarire dall ansia


Emma Stone ha sofferto di attacchi d'ansia fin dall'età di 7 anni ed è stato proprio per guarirne che ha iniziato a studiare recitazione: ecco com'è andata

Emma Stone soffre di attacchi di panico e ansia da quando è bambina, e ha dovuto presto trovare un rimedio per non limitare la sua vita a causa della malattia.

La sua soluzione adottata dai genitori, che a quanto pare ha funzionato oltre le più rosee speranze, è stata quella di iscriverla a un corso di recitazione.
Ecco com'è andata.

Il primo attacco di panico 

Secondo un rapporto della CNNsu Emma Stone, l'attrice ha sofferto il suo primo attacco d'ansia a soli sette anni.

Non voleva per nessuna ragione andare a casa di un amico perché si era convinta che la casa sarebbe andata a fuoco. 

All'epoca, ovviamente, non aveva idea di cosa ci fosse dietro, o del fatto che potesse essere solo un brutto scherzo della sua testa.

Quando hai sette anni e sei in panico credi ai tuoi sentimenti e pensi che sia tutto reale.

La cura nella recitazione 

La sua famiglia fortunatamente non ha preso l'avvenuto con leggerezza e l'ha accompagnata in terapia.

Lì, Emma è stata iniziata alla recitazione, dove ha imparato a mitigare la sua ansia.

Incanalare i sentimenti in una performance, attraverso l'improvvisazione, l'ha aiutata a contenere il panico e a dargli forma e direzione, ha raccontato l'attrice, permettendole di trovare sollievo.

Dal Sito: grazia.it

Alessandro Gassmann malattia: «Se ho deciso di parlarne è perché spero serva a qualcuno!»


Questa sera su Raiuno, alle ore 21.25 andrà in onda Gli ultimi saranno i primi, il film del 2015 diretto da Massimiliano Bruno, che ha per protagonisti Paola Cortellesi e Alessandro Gassmann, due interpreti molto amati dal grande pubblico, abituato a vederli a teatro, al cinema, oltre che in tv. Un mestiere non facile quello dell’attore, che deve fare i conti con lo stress, l’ansia della prestazione, i ritmi frenetici. Di tutto questo ha parlato di recente in un’intervista, rilasciata a Domenica Inlo stesso Alessandro Gassmann, che ha confidato di non aver intrapreso la via della recitazione per vocazione.

Alessandro Gassmann malattia: «Se ho deciso di raccontare la mia lotta è perché spero serva a qualcuno!»

«Ero un ragazzo schivo e chiuso, che amava stare molto da solo e nella natura. Mi ero anche iscritto ad agraria, poi è capitato questo mestiere e non ci credevo tanto, volevo solo essere indipendente!», ha dichiarato il figlio di Vittorio Gassmann, che ancora lotta con l’ansia e la paura del palcoscenico: «Continuo a essere spaventato, non tanto al cinema, ma al teatro perché faccio fatica a entrare in scena. Ho trovato la soluzione nel fare la regia. Per un attore che riesce ce ne sono diecimila che fanno la fame!». Vittorio Gassmann ha raccontato: «Mio padre mi ha obbligato a fare l’attore ed è stato quasi costretto da sua madre a farlo. Mia nonna era un’insegnante ebrea che lo iscrisse all’Accademia Silvio d’Amico a sua insaputa!». L’interprete romano 54enne, che ha esordito a 17 anni nel film autobiografico Di padre in figlio, scritto, diretto e interpretato con il padre Vittorio, ha detto a Mara Venier di soffrire ancora di attacchi di panico, anche se il tempo lo sta aiutando: «Con l’età sto migliorando!».

Ansia e attacchi di panico: «Paura che accada di nuovo, ma…», la confessione di Alessandro Gassmann

Già in passato Alessandro Gassmann aveva parlato dell’ansia che lo attanaglia. Intervistato da Ok Salute, questi aveva specificato che la prima esperienza con gli attacchi di panico gli è capitata nel 2002: «Ero a letto, un libro in mano, all’improvviso l’ansia che sale, un sudore freddo, il cuore che batte forte, più forte, sempre più forte. Un attacco di panico. Paura che accada di nuovo. E accade. Anni di lotta, durissima lotta!».

La scelta di entrare in terapia: «Dal punto di vista neurologico, ho sofferto di carenza di serotonina…»

Nel 2003 la scelta di entrare in terapia ed essere seguito da un neurologo: «Vedo il mio terapeuta una volta alla settimana, il neurologo che mi ha prescritto un trattamento, un nuovo ritrovato che incrementa la serotonina, al contrario degli ansiolitici non mi abbatte. Una pasticca la mattina di questo serotoninergico, punto. Sto proprio bene, era da tanto che non stavo così bene. Dal punto di vista analitico, il mio problema è stato definito disturbo d’ansia generalizzato. Dal punto di vista neurologico, ho sofferto di carenza di serotonina, quella che chiamano la molecola della felicità!», aveva dichiarato nel 2014 l’attore, che aveva poi concluso: «Ho dovuto farmi aiutare perché il disagio si era evoluto, era diventato troppo grande: attacchi di panico. Spiegarli non è facile. Ecco, è la stessa sensazione che provereste se entrasse nella stanza un animale feroce, all’improvviso. Vuole attaccarvi e voi non potete combatterlo. E allora monta la paura, il cuore esplode fuori dal petto, vi sembra di morire. Se ho deciso di raccontare la mia lotta con questo strano male, è perché spero che serva a qualcuno. Chi ne soffre pensa: “Oddio, sono matto”. La gente crede sia una malattia secondaria, magari un frutto dell’immaginazione. Invece no, ti sconvolge la vita. Ma vi assicuro è una cosa da cui si può guarire!». 

Dal Sito: urbanpost.it 

venerdì 6 settembre 2019

Ansia o attacco di panico? Scopriamo quali sono le differenze e come individuare lo stato di malessere


E' utile comprendere in che cosa consiste realmente l'attacco di panico e ciò che lo differenzia da un episodio di ansia acuta e, di conseguenza, riuscire ad adottare le misure opportune.

Oggi giorno, è frequente sentire parlare persone che soffrono di attacchi di panico. Quando ci si rivolge ad un terapeuta per approfondire la situazione, non è raro scoprire che il “panico”, in realtà, è stato utilizzato come sinonimo per descrivere una semplice acutizzazione d’ansia. Questa confusione sulla terminologia è incentivata dalla moltitudine di informazioni presenti sul web, utili in alcuni casi, ma spesso fuorvianti per altri. Diviene utile, quindi, comprendere in che cosa consiste realmente l’attacco di panico e ciò che lo differenzia da un episodio di ansia acuta, con l’obiettivo di acquisire maggiore consapevolezza sulla sintomatologia e, di conseguenza, riuscire ad adottare le misure opportune.

Conoscere l’attacco di panico

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), definisce l’attacco di panico come “una comparsa improvvisa di paura o disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti, periodo all’interno del quale devono verificarsi almeno 4 dei seguenti sintomi:

–Palpitazioni o tachicardia

–Sudorazione

–Tremori o grandi scosse

–Dispnea o sensazione di soffocamento

–Sensazione di asfissia

–Dolori o fastidio al petto

–Nausea o disturbi addominali

–Sensazione di vertigine o svenimento

–Brividi o vampate di calore

–Parestesie

–Derealizzazione o depersonalizzazione

–Paura di perdere il controllo o impazzire

–Paura di morire”

Per una diagnosi di disturbo di panico, Il DSM-5, afferma che è necessario:

A- aver avuto l’attacco di panico più volte, in modo ricorrente. con la comparsa di almeno 4 dei sintomi elencati precedentemente;

B- che almeno uno degli attacchi sia stato seguito da un mese (o più) di uno o di entrambi i seguenti sintomi:

– preoccupazione persistente per l’insorgere di altri attacchi

– comportamenti disadattivi correlati agli attacchi, come la messa in atto di comportamenti specifici per evitare le situazioni in cui si è verificato l’attacco, fino alla possibilità di sviluppare agorafobia.

Frequentemente si sente infatti parlare del disturbo di panico con agorafobia, qualora la persona con diagnosi di disturbo di panico, abbia sviluppato anche un’ansia marcata in almeno 2 situazioni tra cui: l’utilizzo di trasporti pubblici, il trovarsi in spazi aperti o chiusi, lo stare in fila o tra la folla, o ancora, l’esser fuori casa da soli. Questo perchè potrebbe accadere che una persona inizi ad evitare le situazioni sopracitate per il timore di non riuscire a fuggire o non essere soccorso in caso di sintomi improvvisi correlati al panico.

Al contrario, se non si sono soddisfatti tali criteri, è più facile che l’episodio sia riconducibile ad uno stato di ansia acuto. In questo secondo caso, è possibile domandarsi se l’ansia provata possa esser stata generata da una situazione specifica o, in alternativa, non possa esser ricondotta ad una qualche cosa in particolare. Come farlo? Fermandosi e facendo il punto della situazione! Per capire se l’ansia è “generalizzata” o “specifica”, dovresti registrare su un foglietto (o su un telefono cellulare), in quale tipo di situazione ti trovavi nel momento in cui è insorto l’attacco: quando e dove è avvenuto, con chi eri e cosa stavi facendo/cosa stava accadendo. Dalle risposte, potrai capire se l’ansia sia per lo più riconducibile ad una causa specifica oppure se si tratta di uno stato d’ansia generalizzato, se questi sopraggiunge frequentemente e indistintamente in svariate situazioni e soprattutto non può essere connesso a nessun oggetto specifico.

ATTACCHI DI PANICO: CONOSCERLI PER GESTIRLI

Come si alimenta il panico

Spesso, chi soffre di attacchi di panico riporta la sua grande difficoltà a gestire il problema. Il motivo è che, spesso, quando si cerca di risolvere un disagio, si mettono in atto delle soluzioni che apparentemente sembrano buone ma a lungo andare si rivelano inefficaci, se non addirittura disfunzionali. Nella maggior parte dei casi, è ciò che succede al nostro sistema reattivo-percettivo quando tentiamo di controllare uno stato d’ansia o, ancora peggio, il panico. Si attuano delle “tentate soluzioni” (reazioni, atteggiamenti o comportamenti) che apparentemente sembrano funzionare, ma con il passare del tempo si rivelano inefficaci, non facendo altro che alimentare il problema. Questo accade perché nonostante appaiano poco risolutive, vengono mantenute con ostinazione fino alla creazione di un copione della realtà rigido e disfunzionale. Ad esempio, una tentata soluzione comune a chi soffre di attacchi di panico è quella di esercitare un elevato controllo sulle proprie sensazioni psicofisiche, con l’aspettativa di monitorarle e ridurle; quando in realtà, l’unico risultato sarà quello di farle aumentare e spaventarsi ancora di più. Il classico circolo vizioso potrebbe essere così riconducibile: dalla percezione di pericolo, arriva la reazione di allarme con la sintomatologia correlata (sudore, tachicardia, tremori, paura di morire, ecc.), per poi mettere in atto quelle “soluzioni” (evitamento, fuga, controllo ecc.) che al posto di far diminuire il problema, lo esacerbano, portando così la persona a sperimentare un’amplificazione delle sue percezioni (di vulnerabilità, inefficacia, mancato controllo, senso di fallimento…) con successiva cronicizzazione del problema.

La vera soluzione? Innescare un meccanismo contro-circolare che aggiunge automaticamente nuove esperienze positive correttive nella memoria della persona, spezzando così il circolo.

Le strategie alternative correttive

Chi soffre di attacchi di panico, potrebbe mettere in atto alcune delle seguenti strategie alternative correttive:

La “congiura del silenzio”: anziché parlare del proprio malessere, come comunemente si pensa, bisognerebbe evitare di comunicare agli altri il proprio disagio poiché il continuo parlare peggiorerà il problema;

La tecnica del come peggiorare: allo scopo di capire quali comportamenti bisogna evitare per la cronicizzazione del problema, prova a riflettere su cosa potresti fare per peggiorare i tuoi sintomi. Sembra un contro senso; ma se capisci quali sono le tentate soluzioni che solitamente metti in atto per tenere a bada il problema (ad esempio, una di queste potrebbe essere il prestare troppa attenzione alle sensazioni corporee connesse all’attacco di panico), riuscirai anche ad eliminarle (se l’atteggiamento controllante sulle sensazioni viene trasformato in accettazione, aspettando che passino);

La tecnica della peggiore fantasia: prova ad immergerti ogni giorno per circa mezz’ora nelle tue paure, cercando di evocare volontariamente sensazioni e situazioni che ti creano ansia. Produrre ciò che spaventa, aiuta a diminuire la paura stessa, in virtù del cosiddetto “effetto paradosso” (con più si pensa ad una determinata cosa, con più diventa difficile ottenerla!);

Esercitati in una tecnica di rilassamento: come il rilassamento progressivo di Jackobson, che, grazie alla contrazione e alla successiva distensione di differenti gruppi muscolari, aiuta a localizzare i vari nodi di tensione per poi rilassarli. In alternativa, puoi esercitarti con il training autogeno, una tecnica di rilassamento composta da sei esercizi che, se praticati regolarmente, hanno il beneficio di placare l’ansia e lo stress, apportando un senso generale di benessere psicofisico.

 Dal Sito: tagmedicina.it