mercoledì 28 ottobre 2020

Gli “Attacchi di panico” di Francesca Sarasso, quando una canzone racconta l’intimo di un’artista



Avevamo parlato di lei, per la prima volta, cinque mesi fa, in occasione dell’uscita di Antiamore (cliccate qui). Ora torniamo ad occuparsi di Francesca Sarasso, perché la cantautrice piemontese ha da poco pubblicato un nuovo singolo, intitolato Attacchi di panico. Una canzone che, già dal primo ascolto, trasuda vita vissuta. Abbiamo così deciso di intervistare Francesca per parlare del suo nuovo singolo, ma anche del suo futuro musicale.

Quanto è autobiografica Attacchi di panico, la tua nuova canzone?
Attacchi di panico è totalmente autobiografica. Mi ci è voluto più di un anno per trovare il coraggio e la forza di scriverla. Credo sia il brano più intimo e doloroso che io abbia scritto fino ad oggi.

La musica può essere terapeutica per un’artista?
Certo. Il giorno in cui ho terminato la scrittura del pezzo è cominciata una lenta risalita che mi ha portata ad essere quella che sono oggi. Mi amo per quello che sono, anche per le mie fragilità.

Attacchi di panico arriva a cinque mesi di distanza da Antiamore, il tuo singolo precedente, che era stato annunciato come il primo tassello di un tuo nuovo progetto. Come proseguirà ora questo tuo percorso?
Il percorso proseguirà con un disco nel 2021. Ma non è detto che non esca qualche altro estratto prima dell’uscita dell’album. Chi vuole intendere, intenda!

Ci racconti come è nato il tuo amore per la musica?
È nato da bambina, guardando mio padre suonare il pianoforte. È lui che mi ha trasmesso questa passione di cui non posso fare a meno.

Oggi che musica ascolti?
Ultimamente sto ascoltando molto pop anni 80. Vorrei scrivere qualcosa con quell’impronta musicale.

Tre anni fa hai vinto il Premio della critica e il Premio per la miglior musica a Musicultura 2017. Poi hai partecipato al Premio Lunezia. Quali ricordi hai di quelle due esperienze?
Musicultura è un pezzo di cuore. Ricordo i palchi dei grandi teatri in cui ho avuto il piacere di suonare e le persone splendide che ho incontrato in quei mesi. Al premio Lunezia partecipai come autrice: fu una grande soddisfazione vedere arrivare un brano scritto da me in finalissima!

Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Vincere il David di Donatello per la miglior colonna sonora.


Dal Sito: spettakolo.it 

Gli “Attacchi di panico” di Francesca Sarasso, quando una canzone racconta l’intimo di un’artista



Avevamo parlato di lei, per la prima volta, cinque mesi fa, in occasione dell’uscita di Antiamore (cliccate qui). Ora torniamo ad occuparsi di Francesca Sarasso, perché la cantautrice piemontese ha da poco pubblicato un nuovo singolo, intitolato Attacchi di panico. Una canzone che, già dal primo ascolto, trasuda vita vissuta. Abbiamo così deciso di intervistare Francesca per parlare del suo nuovo singolo, ma anche del suo futuro musicale.

Quanto è autobiografica Attacchi di panico, la tua nuova canzone?
Attacchi di panico è totalmente autobiografica. Mi ci è voluto più di un anno per trovare il coraggio e la forza di scriverla. Credo sia il brano più intimo e doloroso che io abbia scritto fino ad oggi.

La musica può essere terapeutica per un’artista?
Certo. Il giorno in cui ho terminato la scrittura del pezzo è cominciata una lenta risalita che mi ha portata ad essere quella che sono oggi. Mi amo per quello che sono, anche per le mie fragilità.

Attacchi di panico arriva a cinque mesi di distanza da Antiamore, il tuo singolo precedente, che era stato annunciato come il primo tassello di un tuo nuovo progetto. Come proseguirà ora questo tuo percorso?
Il percorso proseguirà con un disco nel 2021. Ma non è detto che non esca qualche altro estratto prima dell’uscita dell’album. Chi vuole intendere, intenda!

Ci racconti come è nato il tuo amore per la musica?
È nato da bambina, guardando mio padre suonare il pianoforte. È lui che mi ha trasmesso questa passione di cui non posso fare a meno.

Oggi che musica ascolti?
Ultimamente sto ascoltando molto pop anni 80. Vorrei scrivere qualcosa con quell’impronta musicale.

Tre anni fa hai vinto il Premio della critica e il Premio per la miglior musica a Musicultura 2017. Poi hai partecipato al Premio Lunezia. Quali ricordi hai di quelle due esperienze?
Musicultura è un pezzo di cuore. Ricordo i palchi dei grandi teatri in cui ho avuto il piacere di suonare e le persone splendide che ho incontrato in quei mesi. Al premio Lunezia partecipai come autrice: fu una grande soddisfazione vedere arrivare un brano scritto da me in finalissima!

Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Vincere il David di Donatello per la miglior colonna sonora.


Dal Sito: spettakolo.it 

Attacchi d’ansia: quando nessuno capisce cosa succede





Gli attacchi d’ansia possono colpire chiunque e in qualsiasi momento. L’aspetto più complesso di queste crisi è che sono in pochi a comprenderle a fondo ed è per questo che molti vanno nel panico quando ne soffrono.

Anche se è vero che i disturbi dell’ansia rientrano nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), si tratta di un problema che può manifestarsi in modo molto puntuale e specifico.

Una situazione stressante, un forte impatto emotivo o persino trascorrere un lungo periodo sotto pressione possono scatenare attacchi d’ansia.

Chi ne soffre ha la sensazione di essere sul punto di morire, di sentire il proprio cuore  scoppiare. Si tratta di una situazione davvero drammatica e non fa che peggiorare se chi circonda quella persona non sa cosa sta accadendo e reagisce nel peggior modo possibile, usando frasi come “va tutto bene”, “prendi sempre tutto troppo sul serio” o “calmati, che non è niente”.

Nel nostro articolo di oggi vogliamo approfondire questa realtà così comune, in modo da conoscere le giuste strategie da utilizzare.

Attacchi d’ansia: quando il cuore sembra scoppiare

Prima di tutto, dobbiamo capire un aspetto importante: l’ansia, di per sé, è utile per gli esseri umani.

L’ansia ci mette in allerta in seguito alla vicinanza di una minaccia, così da poter fuggire o affrontarla.

L’ideale è mantenere la giusta dose d’ansia perché, in questo modo, possiamo motivarci per agire in modo più efficace nel nostro ambiente quotidiano.

Nonostante ciò, il problema si manifesta quando i livelli di ansia aumentano precipitosamente e diventano incontrollabili.

È allora che il nostro cervello capisce che c’è un problema dal quale fuggire il prima possibile e scatena quindi una reazione fisiologica: accelerazione del battito cardiaco, pressione sanguigna, adrenalina nel sangue…

Mentre il nostro cervello e il nostro corpo ci ordinano di “scappare”, la nostra mente ci invia anche pensieri negativi e catastrofici che non fanno che peggiorare la situazione.


Vediamo alcune informazioni più nei dettagli.


Sintomi degli attacchi d’ansia

I disturbi d’ansia sono collegati a diverse dimensioni e situazioni personali.

C’è chi ha paura di volare, altri possono soffrire disturbi diversi come l’agorafobia, l’aracnofobia o l’idrofobia, nei cui casi gli attacchi d’ansia sono altrettanto comuni.

Altre persone, invece, possono vivere queste sensazioni in un contesto che implica un grande impatto emotivo.

Anche se i fattori che scatenano queste situazioni sono molti e vari, in generale esiste una sintomatologia comune e facile da identificare.

Sintomi emotivi

Sentimenti di apprensione o paura intensa e incontrollabile.

Difficoltà di concentrazione.

Ci si sente tesi e molto nervosi.

Nascono pensieri fatalisti: si anticipa il peggio.

Ci si concentra solo sugli aspetti negativi, sul panico… La mente acquisisce, per così dire, la forma di un tunnel: tutto diventa buio e alla fine si vede solo la catastrofe.


Sintomi fisici

Il battito cardiaco accelera

La pressione arteriosa aumenta

Si inizia ad andare in iperventilazione

Sudorazione

Mal di stomaco e nausea

Minzione frequente o diarrea

Respirazione difficoltosa e si ha la sensazione di avere un infarto

Tremori e tic

Tensione muscolare

Mal di testa

Fatica estrema e debolezza

Gli attacchi d’ansia possono essere relazionati alla depressione

Nel caso in cui gli attacchi d’ansia siano molto frequenti, è probabile che il paziente soffra anche di una depressione repressa.

L’ansia e la depressione spesso derivano dalla stessa vulnerabilità, da quella situazione nella quale perdiamo il controllo di ciò che ci circonda, fino al punto di vivere queste esperienze così angoscianti.

Bisogna chiarire che, anche se l’ansia e la depressione sono due dimensioni diverse, a volte, come abbiamo già detto, la prima può essere un sintomo della seconda.

Nonostante ciò, per eliminare ogni dubbio, è importante parlare con il proprio medico perché possa suggerire uno specialista.

Come affrontare gli attacchi d’ansia

Per poter affrontare un attacco d’ansia, la prima cosa da fare è affrontare i sintomi emotivi e razionalizzare quella paura, quella minaccia, quella situazione di stress.

Dovete capire che non tutte le tecniche funzionano per tutti. Per riuscirci, cercate di spezzettare in piccoli frammenti quel “tutto” che vi sta facendo male e di razionalizzare ogni minaccia fino a farla sparire.

Cosa fare per aiutare una persona che soffre di un attacco d’ansia

Cercate di capire la loro situazione. Non sono pazzi, hanno bisogno di aiuto e, soprattutto, di calma e comprensione.

Chiedete loro come si sentono e portateli in un posto dove ci sia un po’ d’aria.

Sbottonate loro i vestiti troppo stretti.

Se sono in iperventilazione, offrite loro un sacchetto per potervi respirare dentro o spiegate loro di respirare come se “stessero spegnendo una candela” (con le labbra socchiuse).

Continuate a ripetere loro che “non si tratta di un attacco di cuore”, che “siete lì per aiutarli e che ora va tutto bene” (parlate con voce molto calma).

Suggerite loro di mettere una mano sull’addome e una sul cuore. In questo modo, riusciranno a regolare la respirazione.


• Se i sintomi non si attenuano e il loro battito è molto accelerato, dovete chiamare il servizio medico, soprattutto se la persona soffre di qualche problema cardiaco, diabete o obesità.

Reprimere le emozioni aumenta l'ansia




In più di un’occasione reprimere le emozioni diventa un vero calvario. Perché le emozioni sono fatte per essere espresse, per venire alla luce. Non per essere tenute nascoste.

I disturbi d’ansia si presentano quando vi è un problema di natura emotiva. Non sappiamo gestire bene le emozioni e, soprattutto, abbiamo seri problemi a esprimerle.

Trovate ridicolo piangere perfino quando siete soli? Non riuscite a urlare smorzando il suono con un cuscino? Se vi è successo, potreste avere un problema nell’esprimere le vostre emozioni.

Quali convinzioni agiscono su di voi?


Quando soffriamo di un problema emotivo, è importante individuare le convinzioni che forse ci spingono a reprimere le emozioni.

Quali possono essere queste convinzioni?

Piangere è da deboli.

Mostrare le mie emozioni è una cosa da bambini.

Devo controllarmi, sono un adulto.

Io sono forte, devo sopportare.

Più in Home

Ci sono molti pensieri che crediamo essere veri, ma che in realtà promuovono alcune azioni che vanno contro di noi.

Da piccoli esprimiamo le nostre emozioni senza vergogna. Ma a poco a poco, i nostri genitori cercano di frenarci.

Con frasi come “comportati bene”, “non fare questo o quello”, “smetti di piangere”, provocano inconsapevolmente una leggera repressione che gradualmente crescerà sempre di più.

Così, quando raggiungiamo l’età adulta, ci sentiamo come imprigionati in noi stessi. Non siamo in grado nemmeno di piangere quando siamo soli. E a quel punto arriviamo a reprimere le emozioni!

Tuttavia, anche se tutto sembra andare bene, quando appare l’ansia è un chiaro segnale di avvertimento che dobbiamo dare sfogo alle nostre emozioni.

Reprimere le emozioni causa ansia

L’ansia può sorgere in modo molto graduale. Tuttavia, si tratta di un avvertimento e, se non vi prestiamo la dovuta attenzione, alla fine diventerà aumenterà sempre di più.

Quando appare l’ansia, dobbiamo guardare noi stessi e cominciare a gestire meglio le nostre emozioni.

Questo non significa che dobbiamo reprimerle o controllarle ancora di più, bensì che permetterci di esprimerle.

Se siamo arrabbiati, perché non dirlo? Non c’è bisogno di gridare o di trasformarsi in una persona che fa ricadere la sua ira sugli altri. Si deve imparare ad ascoltarsi e a farsi valere. Con le parole giuste, è possibile far presente la propria rabbia e, dunque, non doverla tenere dentro di sé.

Se si desidera, è anche possibile non esprimerla in pubblico, ma manifestarla una volta tornati a casa prendendo a pugni un cuscino o gridandogli contro. La cosa importante è esprimerla, farla uscire e non tenerla dentro.

Non importa se in un primo momento vi vergognate, nessuno vi sta guardando! Si tratta di un processo graduale e sarà molto liberatorio per voi.

Se reprimiamo le emozioni, alla fine l’ansia comincerà a controllare la vostra vita.

Guardare la fonte del problema


A volte per smettere di reprimere le emozioni e sapere quali convinzioni stanno agendo su di noi, è necessario guardare dentro noi stessi per vedere cosa sta succedendo.

Ma perché ci risulta così difficile farlo? Perché fa male. Perché nella maggior parte dei casi abbiamo una ferita non cicatrizzata che ci causa ancora dolore.

Tuttavia, sopportare il dolore e sforzarsi di scoprire l’origine di ciò che sta causando la nostra ansia, ci assicurerà un grande successo.

Solo agendo in questo modo possiamo capire il problema e risolverlo. Essere consapevoli di quello che ci accade, renderà tutto molto più facile.

Avete problemi di ansia? Vi capita spesso di reprimere le emozioni? Porre fine a tutto questo è un processo lungo, fastidioso e faticoso, ma avrà un esito molto positivo.

Tirare fuori tutto quello vi tormenta dentro e non nascondete nulla, vi aiuterà a evitare di esplodere all’improvviso a causa dell’accumulo delle emozioni.

Non lasciamo che reprimere le emozioni ci induca in uno stato di ansia insopportabile.

I pesi che ci portiamo


Quanto pesa la vostra vita? Quanto i vostri vissuti emotivi passati gravano sul presente e sulle vostre scelte, conquiste, ricerche presenti? E’ un po’ come avere costantemente uno zaino pesantissimo sulle spalle e quindi con molta difficoltà si riesce a camminare e ci si stanca facilmente; il più delle volte anzi capita di non riuscire nemmeno a muoversi...

La verità è che il movimento è vita, il movimento è emozione: infatti l’etimologia della parola emozione è da ricondursi al latino emovère(ex=fuori + movere=muovere) letteralmente portare fuori, smuovere; quindi l’emozione altro non è se non un agitazione, uno scuotimento, una vibrazione dell’animo.

Quindi nel momento in cui i vissuti e le emozioni non trovano un buon canale di espressione il nostro zaino emotivo si riempi di sassi, ciottoli, scorie, materiale vario che alcune volte lo portiamo carico fino all’estremo delle nostre forze, mentre altre volte può capitare di svuotarlo impulsivamente, così all’improvviso.  Ma come c’è ne possiamo liberare efficacemente?  La possibilità di agire sul corporeo è un canale privilegiato per rendere consapevole l’individuo di alcuni vissuti ed emozioni che difficilmente a livello verbale potrebbero trovare un canale di espressione … dove non è efficace la parola è efficace il corpo!

Il corpo è la sede di contatto di noi con noi stessi e di noi con il mondo; oggi non è più possibile negare integrazione corpo-mente soprattutto per il benessere e la salute delle persone. Di fatti la psicoterapia corporea si basa sulla considerazione che sulla considerazione che la persona nella sua interezza non può essere artificialmente separata nelle sue parti.

L’espressione “Terapie Centrate sul corpo” indica varie terapie (Bioenergetica, il metodo Rolfing, il metodo Feldenkrais, la tecnica di G. Alexander, l’integrazione posturale, il metodo Reichiano, et ecc..) tutte condotte tramite varie esercizi applicati al corpo, visto come luogo di incontro tra mente, emozioni e spiritualità come mezzo di trasformazione e crescita. L’obiettivo è accedere alla memoria corporea per guarire eventi presenti e passati, il corpo è visto come un magazzino di esperienze. Gli approcci centrati sul corpo hanno delle caratteristiche comuni: osservano il corpo per capire il carattere, l’uso di interventi di natura fisica e la frattura mente-corpo come aspetto centrale  (Piroli, Montanari, Iannazzo 2010).

Il concetto basilare è quello dell’energia vitale che viene identificato da vari autori con vari sinonimi, la malattia è vista come un messaggio che il nostro corpo ci trasmette, senza un saldo radicamento nel corpo l’Io non ha il senso della realtà; l’Io è per prima cosa un Io corporeo.

Lavorare con il corpo è un modo di mantenersi giovani e scaricare i pesi, molte popolazioni antiche come i cinesi, mongoli, giapponesi utilizzavano già dall’antichità delle discipline sul corpo per ottenere benessere fisico e psicologico come lo Yoga oppure le arti marziali; anche i Greci professavano “Mens sana in corpore sano”.

Per arrivare a noi è chiaro che leggere il linguaggio del corpo apre nuovi orizzonti di comprensione, consapevolezza e benessere. Quindi dato che ogni emozione plasma il corpo e può rimanere bloccata viene da sé che la terapia più efficace è connessa allo sblocco energetico: far fluire liberamente ed aumentare il livello innesca un inesorabile processo di ripristino.

Cosa fare? La Meditazione, lo Yoga, la Terapia Bioenergetica sono tra le strade percorribili per il benessere e la consapevolezza di sé.  Gli esercizi di Bioenergetica puntano a liberare il corpo dalla corazza favorendo l’abreazione (scarica emozionale) trattenuta dalla muscolatura. Il grounding è il principale esercizio della bioenergetica, che sta per radicamento, è aiuta le persone a sciogliere la tensione dell’addome, alle game, al bacino ed è possibile che appaiano delle vibrazioni lungo tutto il corpo.

In Bioenergetica come in tante altre discipline psico-corporee gli esercizi sono molteplici: dall’utilizzo della voce, al respiro, al lavoro sugli occhi, sul bacino, sui vari livelli corporei; la cosa fondamentale è il senso che si dà e il benessere che si ottiene da questi esercizi.


Dal Sito: mentesociale.it

Memorie traumatiche




«Per essere noi stessi, dobbiamo avere noi stessi – possedere, se necessario ri-possedere, la storia del nostro vissuto.
Dobbiamo[…] rievocare il dramma interiore, il racconto di noi stessi.
L’uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità, il suo sé.»
Oliver Sacks

Nel corso della nostra esistenza esperiamo eventi definiti come “traumatici” che mettono a dura prova le conoscenze e il controllo del nostro sistema cognitivo ed emotivo interagendo con i costrutti psicologici e la trama esistenziale, con il cervello e la personalità.

Il trauma psicologico può svilupparsi in relazione a tre differenti situazioni: avvenimenti drammatici vissuti direttamente, eventi affrontati in qualità di testimoni e infine, fatti accaduti ad altre persone legate a noi affettivamente.

Le manifestazioni psicopatologichedi un’esperienza traumatica comportano l’essere sopraffatti da emozioni molto dolorose e possono derivare da ognuno o da entrambi dei seguenti stressor:

  • un evento stressante di natura violenta (morte, lesioni, minacce all’integrità fisica e psicologica);
  • una serie di microtraumi relazionali avvenuti nelle prime fasi dello sviluppo emotivo (separazioni precoci, maltrattamento, trascuratezza psicologica, carenza di sintonizzazione affettiva) che si sono stabilmente ripetuti nel tempo.

L’emotività disorganizzante del trauma può interferire con il normale processo di elaborazione delle informazioni invadendo la memoria con un vissuto reiterante e denso di minaccia.

I ricordi possono essere, così, dissociati dalla coscienza ed essere, invece, memorizzati come percezioni sensoriali ad un livello implicito emergendo sotto-forma di percezioni terrificanti, ossessioni, preoccupazioni, reazioni ansiose, esperienze somatiche e immagini visive senza tempo, che trovano difficoltà a conciliarsi con gli schemi cognitivi preesistenti impedendo al soggetto di proiettarsi in un futuro rassicurante.

Il mondo diventa, pertanto, pericoloso e il soggetto appare incapace di integrare i diversi aspetti della propria esperienzaoscillando tra l’intrusività dei contenuti del trauma e la tendenza al loro evitamento-negazione, fino a produrre veri e propri disturbi intrisi di sofferenza e tristezza, senso di colpa, impulsi di rabbia e distruttivi, vergogna e sentimenti di vuoto.

I bambini e gli adulti traumatizzati soffrono di specifiche alterazioni dello stato di coscienza, con amensia, iperamnesia, dissociazione, depersonalizzazione e derealizzazione, ricordi improvvisi, incubi del trauma, difficoltà di orientamento nel tempo e nello spazio e disturbi sensomotori; sono incapaci di capire con chiarezza chi sono loro stessi e gli altri, hanno difficoltà a trovare persone alleate, mentre l’altro può essere fonte di gioia o dolore, ma raramente è considerato come un essere umano con propri bisogni e sentimenti (Van der Kolk, 2000).

Il trattamento terapeutico di tali sintomi implica di solito due elementi: l’esposizione ripetuta all’informazione relativa al trauma e la modificazione delle credenze non adattive. Sia l’esposizione sia i metodi cognitivi si sono rivelati efficaci. La terapia cognitiva, in particolare, ha l’obiettivo di portare il paziente ad apprendere strumenti mentali e modi di pensare che gli permettano di essere meno vulnerabile agli eventi stressanti e acquisire maggiore fiducia nelle proprie risorse.

La terapia dovrà permettere la costruzione nel tempo di ricordi dettagliati e accessibili a livello conscio ed insegnare al soggetto un repertorio di strategie per una migliore gestione dell’attivazione psicofisiologica e della sofferenza psicologica con l’obiettivo di:

  1. Modificare il comportamento manifesto (identificando e sostituendo comportamenti adattivi a comportamenti disadattivi);

  2. Sviluppare attività di autoregolazione (a livello sia dell’attivazione psicofisiologica sia del dialogo interno del paziente) che permettano di giungere all’elaborazione delle emozioni e dei sottostanti significati;

  3. Esplorare e modificare aspettative e strutture cognitive disfunzionali connesse alla gestione dello stress.


Dal Sito: sipsi.info

domenica 25 ottobre 2020

Paura del buio: quali sono le cause e come superarla da adulti


Ogni persona ha una propria paura. C'è chi teme le altezze, chi i canile malattie e chi, invece, si spaventa alla sola idea della morte. Tuttavia, la fobia ancestrale dell'uomo non è nessuna di queste. Infatti, si tratta della paura del buio, identificata con il termine tecnico di nictofobia, ovvero paura della notte, o di scotofobia, timore dell'oscurità. Così come tutte le altre fobie, compresa l'ipocondria, anche la paura del buio può essere sconfitta una volta capite le cause che l'hanno provocata.


Oggi scopriremo perché non solo i bambini ma anche gli adulti temono l'oscurità della notte, quali sono i sintomi derivati da tale fobia e individueremo i migliori consigli per eliminare dalla propria vita la paura del buio una volta per tutte.

La paura del buio nei bambini

Riconoscere quando un bambino ha paura del buio è molto semplice. Tendenzialmente, a 2 anni i bambini iniziano a sviluppare le capacità cognitive atte a immaginare delle situazioni. Così, possono cominciare a lamentare un disagio quando arriva l'ora di andare a letto, soprattutto qualora dormano da soli. I più piccoli descrivono la nictofobia come qualcosa che li tormenta durante la notte, che spesso coincide con la paura di mostri, fantasmi o altre proiezioni fantasiose. Per loro, però, esse sono reali e che si potrebbero manifestare durante il sonno. 

In questi casi, i genitori non devono mai ridicolizzare la paura del loro figlio. È importante che mamma e papà aiutino il bambino a gestire le sue emozioni cercando di capire se potrebbe essere aiutato ad affrontare il buio in qualche modo, magari con uno strumento "di supporto" come un peluche o con la lettura di alcuni libri. Si rivela molto utile anche tenere una piccola luce accesa nel primo periodo e fare giochi che stimolino la sua fantasia con figure positive. A seconda di quanti anni ha, al posto di mostri e del "lupo cattivo che viene di notte", si possono creare degli scenari dove il bambino vince sulle tenebre.


Gli adulti e la paura del buio

Benché non debba essere in nessun modo sottovalutata, la paura del buio nei bambini è più semplice, come la maggior parte delle cose, da risolvere. Quella che gli Iron Maiden chiamano nella loro canzone Fear Of The Dark si presenta anche negli adulti e può essere ricondotta acause diverse e mostrare sintomi che vanno presi seriamente in considerazione. Proprio come succede per la scotofobia dei bambini, anche quella in una persona adulta non va per nessuna ragione ridicolizzata o liquidata: sarà necessario trovare la strada giusta per affrontarla e riscoprire il piacere del sonno.

Le cause della paura del buio in età adulta

I motivi per cui alcuni adulti temono l'oscurità sono molteplici. In generale, si è notato come certe persone che non hanno mai avuto paura del buio abbiano cominciato a soffrirne in seguito a un evento traumatico accaduto, appunto, durante la notte o in un luogo con poca luce. Può essere il caso diaggressioni o di certe situazioni di pericolo mai veramente superate.

Poi, si è notato come gli adulti nictofobi siano spesso individui che presentano difficoltà dovute ad ansia e stress. Questi disturbi vengono così amplificati quando si trovano in una stanza buia, nonostante sia la loro familiare camera da letto e un ambiente più che conosciuto. Tale sofferenza viene incrementata se si tratta di soggetti che hanno poca fiducia nelle proprie capacità e un'autostima bassa, dovuta a un'iperprotezione ricevuta da sempre da parte dei genitori.


Infine, si può iniziare a sviluppare questa fobia dopo un trasloco, soprattutto se è il primo, quando la nostra mente percepisce ogni rumore esterno al pari di una minaccia. Non si può parlare di "mostri" come nel caso dei bambini, ma qualcosa che sfugge al nostro controllo prende il nome d'ignoto ed esso costituisce da sempre una delle più grandi paure umane.

I sintomi della nictofobia

Come già accennato, gli effetti della paura del buio sugli adulti sono particolarmente evidenti e possono diventare anche gravi se non trattati nel più breve tempo possibile. Uno dei sintomi che si presenta con più facilità è l'insonnia. Infatti, a causa del forte disagio che si prova, non si riesce ad addormentarsi in maniera serena e questo porta a non dormire non solo un numero sufficiente di ore, ma anche a trascorrere intere nottate svegli

Inoltre, gli scotofobi possono presentare attacchi di panico, sensazioni simili a quelle delle vertigini, respiro affannato e palpitazioni. Questi sintomi sono caratteristici di ogni tipo di paura e chi ne soffre di solito reagisce in modo incontrollato con comportamenti di difesa verso un nemico che non ha né forma né nome.



Come superare la paura del buio

Ogni paura può essere sconfitta: l'importante è darsi il tempo necessario per affrontarla e non protendere di ottenere risultati nel giro di pochi giorni. Se anche tu soffri di scotofobia, ti suggeriamo di seguire questi semplici consigli per cercare di affrontare e superare questo timore ancestrale.

1. Riconoscere e accettare tale fobia

Come tutte le situazioni di disagio o di disturbo, il primo passo da compiere è quello che può sembrare più banale ma che, in realtà, è il più importante. Consiste nel riconoscere che si ha una determinata problematica e, in questo caso, che si prova una paura specifica. Poi, una volta compreso che si teme l'oscurità, bisogna cercare di accettarla. Quando si accetta una fobia, si smette di metterla in ridicolo o di svalutarla: viene resa, così, reale e si può procedere alla "fase successiva".

Se sentissi di avere bisogno di un supporto per parlare e razionalizzare la tua paura, puoi consultare uno psicoterapeuta che ti potrà aiutare anche a individuare le cause e l'origine di questa fobia.



2. Affrontare il buio gradualmente

La cosiddetta "terapia d'urto" nei confronti delle paure può rivelarsi utile ma anche portare all'effetto contrario di quello sperato, ovvero aumentare il timore. Il nostro consiglio è quello di affrontare ciò che ti spaventa per gradi. Inizia con l'andare a letto e tenere una piccola luce accesa accanto a te, in modo tale che, qualora ti svegliassi di notte, la vedresti subito e ti sentiresti a tuo agio. Poi, dopo qualche settimana,prova ad allontanare quella fonte di luce dal tuo letto e magari a sperimentare durante il giorno delle attività fatte in penombra. Così facendo ti abituerai agli ambienti quasi bui e tutto ciò ti sarà d'aiuto per portare a termine il tuo obiettivo.

3. Usare delle tecniche di rilassamento

Mentre ti stai abituando a trascorrere del tempo e a dormire nella semi-oscurità, puoi ricorrere a delle tecniche di rilassamento, utili da fare in ambienti poco illuminati. Si va dalla meditazione allo yoga al mindfulness: ci sono molte discipline che coniugano l'esercizio fisico al controllo della respirazione e si rivelano perfette per la gestione di ansia e stress.

Inoltre, prima di coricarti, ti consigliamo l'aiuto di alcuni rimedi naturali, come le tisane o le erbe rilassanti a infusione, oppure la lettura di libri che favoriscono la distensione della mente, come romanzi storici, rosa o divertenti - da evitare assolutamente i gialli e i thriller. 

Vedrai che poco alla volta, la paura del buio e tutti i suoi spiacevoli effetti svaniranno e The Fear Of The Dark resterà solo una bella canzone da ascoltare di tanto in tanto.

Dal Sito: alfemminile.com 




venerdì 23 ottobre 2020

Stella d'Oriente



 

Stella d’oriente è stata scritta una notte d’estate su una spiaggia ed è un flusso di coscienza, un intimo abbandono alle proprie paure spogliandosi e mostrando le proprie fragilità in un mondo che non è quello che vorremmo. 
E’ anche un invito a credere nei propri sogni, a cercare quella stella quando la luce non c’è.
Daniele Feliciotti



 

Ansia Notturna: sintomi, cause e i rimedi per superarla






L’Ansia Notturna è una forma d’ansia che si manifesta nel momento peggiore, cioè quando il cervello avrebbe bisogno di riposo: per questo è importante superarla.

A soffrire di ansia notturna sono sia le persone che conducono una vita stressante e ansiosa durante il giorno, sia coloro che durante il giorno sembrano avere tutto sotto controllo.

Il motivo è che nel momento in cui è particolarmente stanco ed entra in modalità “riposo”, quindi tipicamente di notte, il cervello abbandona progressivamente il pensiero razionale “si lascia andare” verso il terreno inesplorato (o semi inesplorato) dell’inconscio.

È questo il motivo principale per cui le preoccupazioni che riusciamo a tenere a bada di giorno possono prendere il sopravvento di notte e manifestarsi attraverso sintomi fisici ed emotivi tipici dell’ansia. 

Imparare a gestire e superare l’ansia notturna e l’insonnia che necessariamente l’accompagna è fondamentale per riconquistare il benessere psicologico e soprattutto per riuscire a ricaricare le energie in vista di una nuova giornata.

Ansia notturna: come si manifesta?



Quando l’ansia comincia a impossessarsi del nostro cervello inevitabilmente il nostro organismo reagisce mettendo in atto delle strategie che la natura ha messo a punto da millenni per prepararci a reagire al pericolo.

Questo significa che la pressione sanguigna aumenta, si presentano tachicardia e palpitazioni. A seguito di una più veloce circolazione del sangue nel nostro corpo la temperatura corporea aumenta e, dal momento che i muscoli si contraggono (teoricamente per darci la possibilità di fuggire dal pericolo e metterci in salvo), aumenterà la sudorazione.

L’ansia prende molto spesso allo stomaco: non è affatto inusuale che gli attacchi d’ansia notturna si manifestino anche con nausee e bruciori di stomaco.

A rendere ancor più difficile da gestire un quadro già complesso può arrivare anche la nicturia. Si tratta del disturbo che colpisce coloro che durante la notte vanno ad urinare in continuazione perché sentono continuamente lo stimolo di farlo.

Quali sono le cause dell’ansia notturna?


Come in ogni occasione in cui si parla d’ansia, non è affatto facile definire in maniera concisa quali siano le cause dell’ansia notturna, per il semplice motivo che possono essere estremamente differenti a seconda della persona e del momento della vita che sta attraversando.

In linea generale l’ansia notturna è determinata da condizioni di profondo stress durante il giorno e dalla sensazione di non riuscire a gestire i propri impegni o determinate situazioni.

Durante la notte le preoccupazioni e le insicurezze che durante il giorno sono state “sfogate” attraverso l’azione non possono più essere gestite nella maniera usuale e, per questo motivo, generano episodi d’ansia.

Per quanto possa sembrare scontato, il modo migliore per risolvere l’ansia notturna è agire sulle cause che la generano.

Naturalmente non è possibile risolvere con uno schiocco di dita tutti i problemi che ci attanagliano durante il giorno, ma molto spesso cambiare prospettiva e concedersi del tempo per capire cosa non va e come si può migliorare la propria condizione può rivelarsi un vero toccasana.

Nel cominciare questo percorso è necessario tenere ben presente che riconquistare il sonno è assolutamente necessario per il proprio benessere psicologico e per non innescare un circolo vizioso in cui la mancanza prolungata di sonno e i livelli d’ansia raggiunti durante il giorno si auto alimentano peggiorando sempre di più la situazione.

Rimedi e strategie per vincere l’ansia notturna


Sarebbe molto semplice elencare una serie di erbe officinali come la camomilla e la valeriana oppure rimedi farmaceutici come la melatonina per conciliare il sonno, ma si tratterebbe di rimedi insufficienti e di breve effetto.

Prima di cominciare ad assumere rimedi naturali o farmacologici sarebbe bene tentare di riconquistare la serenità provando a modificare i comportamenti che mettiamo in atto prima di andare a dormire o l’ambiente in cui dormiamo.

Una camera ordinata e accogliente: il disordine genera ansia, così come gli spazi ingombri di mille cose. La camera dove si dorme dovrebbe essere realizzata in tutto e per tutto “su misura” della persona che dovrà utilizzarla, circondandola delle cose che ama e che trasmettono sicurezza

Un letto comodo: acquistare un nuovo cuscino o un nuovo set di lenzuola, mettere coperte più leggere ma tenere a portata di mano un plaid di emergenza nel caso si dovesse sentire freddo, aumenterà il comfort del riposo e le probabilità di addormentarsi

Una luce accesa: il buio, esattamente come accadeva quando eravamo bambini, porta con sé suggestioni paurose e può generare un senso di soffocamento difficile da gestire. Dormire con una abat-jour accesa o con una lampada da notte potrebbe essere una buona strategia per tenere al loro posto i “mostri” che ci impediscono di dormire serenamente

Niente televisione o smartphone: la luce blu emessa dagli schermi dei device ostacola pesantemente il sonno. Sarebbe molto meglio spegnerli un po’ di tempo prima di andare a dormire e di certo non utilizzarli mentre si è a letto

Attività rilassanti: dedicare qualche minuto alle proprie attività preferite, lasciando letteralmente da parte le preoccupazioni per un po’ ci metterà nel giusto stato d’animo per iniziare una buona notte di sonno senza ansie. Si potrebbe voler fare un bagno rilassante o una piccola routine di bellezza, si  potrebbero leggere poche pagine di un libroo si potrebbe ascoltare della musica: basta che sia un’attività che ci rende felici e che ci appaghi

Sport e attività fisica: fare sport nelle ore serali non è sempre possibile, ma di certo ci permette di scaricare la tensione accumulata durante la giornata. Anche fare l’amore, ovviamente, rientra nelle attività fisiche perfetta da svolgere prima di addormentarsi!

Essere gentili verso se stessi: uno dei maggiori problemi delle persone che soffrono di ansia notturna è di essere troppo severi nel valutare quello che si è fatto durante il giorno appena trascorso. Imparare a farsi bastare quello che si è fatto, se nel farlo ci si è messo tutto l’impegno possibile, è un grande passo avanti verso l’autostima e la pace interiore. Il perfezionismo a tutti i costi spesso può diventare una vera e propria patologia.

Dal Sito: chedonna.it 

giovedì 22 ottobre 2020

Ansia e Adolescenza: diventare più grandi della paura




L’adolescenza è un momento di passaggio in cui l’ansia può essere una compagna costante. Ecco come riconoscere e soprattutto vincere le proprie paure.

I motivi per cui si prova ansia durante l’adolescenza possono essere moltissimi. Una verifica scolastica, un appuntamento romantico, il confronto con i genitori, un saggio sportivo o artistico per il quale non ci si sente abbastanza preparati possono essere tutte fonti d’ansia.

L’ansia è infatti una risposta fisiologica del nostro organismo nel momento in cui si affrontano situazioni nuove oppure prove mai affrontate prima. L’adolescenza è esattamente questo: il momento di transizione durante il quale un bambino che fino a quel momento ha vissuto sotto l’ala protettiva dei propri genitori comincia ad affrontare il mondo da solo, raccogliere sfide nuove e soprattutto a determinare il proprio percorso autonomamente, operando delle scelte che finiranno per plasmare la sua vita da adulto.

Ponendo costantemente se stesso in situazioni nuove l’adolescente sperimenterà molto più dell’adulto situazioni che potrebbero generare stati d’ansia, quindi si tratta di una situazione perfettamente normale.

È molto importante però fare in modo che l’ansia non diventi uno stato costante e che non prenda possesso di ogni aspetto della vita.

Per evitare una situazione così spiacevole si dovrà assolutamente imparare a gestire l’ansia comprendendo quali sono le fonti d’ansia come si possono gestire.

Le principali fonti d’ansia durante l’adolescenza


Gli adolescenti attraversano un momento della vita in cui la loro immagine di sé sta cambiando. Non si riconoscono più come bambini ma di certo non si sentono ancora adulti. Hanno molti dubbi in merito alle proprie capacità e soprattutto al proprio valore ma cominciano ad avere idee piuttosto chiare su come vogliono apparire e sugli adulti che vorranno diventare.

Fatte queste premesse è chiaro che gran parte delle ansie dell’adolescenza riguardino l’autostima e tutte le situazioni sociali in cui un ragazzo o una ragazza possono sentire di non essere all’altezza delle aspettative della famiglia, degli amici o delle proprie stesse aspettative.

“Mi viene l’ansia quando dovrei divertirmi”

Avere l’ansia quando si esce con gli amici è uno stato in cui si ritrovano moltissimi giovani anche se faranno molta fatica ad ammetterlo e, di certo, non ne parleranno facilmente. Il problema maggiore deriva dal fatto che, secondo quanto ci insegna la società (soprattutto quella che vediamo sui social network) quando si esce con gli amici si dovrebbe apparire vincenti, rilassati, felici e soprattutto ci si dovrebbe divertire un mondo. 

Purtroppo gli adolescenti non riescono sempre a mettersi nell’atteggiamento mentale giusto per rilassarsi e divertirsi insieme a persone che dovrebbero essere amiche e complici. Questo perché durante l’adolescenza il giudizio degli altri e soprattutto quello del proprio gruppo di appartenenza è tenuto in massima considerazione. Tutti gli adolescenti vogliono piacere ai propri amici ed essere popolari all’interno del proprio gruppo perché questo li fa sentire forti e aumenta la fiducia in loro stessi.

Quando l’ansia si manifesta durante momenti che dovrebbero essere di relax sarebbe importante capire quali sono i suoi fattori scatenanti. A generare ansia potrebbero essere le attività svolte oppure la presenza o l’assenza di certe persone. 

Imparare a disinnescare l’ansia, evitando situazioni, attività o compagnie che possono generarla può essere un ottimo primo passo per prendersi una tregua e costruirsi nuove armi per affrontare domani quelle situazioni che oggi appaiono spaventose.

“Ho l’ansia quando mangio”

La questione dell’immagine di sé comprende problematiche molto complesse che vengono affrontate durante l’adolescenza. Il rapporto con il cibo è una di queste. Provare ansia mentre si mangia nella maggior parte dei casi significa che ci si sente giudicati per quello che si sta mangiando, per quanto si sta mangiando o per come lo si sta mangiando.

La paura di fondo è sempre quella di non essere conformi a un ideale che viene posto come giusto e desiderabile. “Sono troppo grassa?”, “sono troppo magra?”, “mi sporcherò tutta mentre mangio e rideranno di me” sono i classici pensieri che si ritrova ad affrontare una persona che ha un rapporto ansioso con il cibo consumato in pubblico.

Consumare cibo insieme è però uno dei momenti di socialità più importanti in assoluto, durante il quale gli esseri umani stabiliscono e migliorano relazioni, si corteggiano, si consolano. Rinunciare a mangiare in pubblico comporterebbe una perdita enorme dal punto di vista sociale, quindi questo tipo di ansia è una delle più importanti da sconfiggere.

 “Ho l’ansia quando bevo” 

Quando si sperimentano a lungo i sintomi dell’ansia si tende a sperimentare ogni modo possibile per farli cessare almeno per un po’. Per questo motivo non è raro che durante l’adolescenza si tenti di calmare l’ansia con alcool, fumo e droghe. 

Purtroppo sul lungo periodo queste sostanze finiscono per aumentare la possibilità di vivere stati d’ansia, soprattutto quando non è possibile assumerne e si attraversano crisi di astinenza.

Molti adolescenti (soprattutto ragazze) sperimentano però frequentemente l’ansia quando bevono. Questo accade perché nel momento in cui si assume alcool si diventa meno consapevoli di quello che accade intorno e si è meno reattivi nel far fronte a possibili emergenze. La perdita di controllo, anche parziale, può generare grave malessere in una persona ansiosa, quindi è normale che, mentre sale la gradazione alcolica il corpo possa scatenare uno stato d’ansia per mantenere alta la reattività e l’attenzione a scopo protettivo. Inoltre, perdere il controllo significa mettersi potenzialmente in situazioni imbarazzanti, un’altra delle principali paure degli adolescenti.

“Ho l’ansia a scuola”

Come già accennato, la scuola è per eccellenza il luogo in cui si viene giudicati in base alle proprie capacità ma è anche il luogo in cui si creano importanti relazioni di amicizia e si comincia a rientrare nei primi “gruppi sociali”.

Molti ragazzi arrivano ad avere un vero e proprio rifiuto della scuola (una volta si parlava di paura della scuola, ma oggi questa definizione è cambiata). Il rifiuto della scuola implica che un adolescente possa sentirsi talmente sotto pressione nell’ambiente scolastico da rifiutarsi completamente di affrontarlo. Anche in questo caso si tratterebbe di una perdita enorme da ogni punto di vista, non solo da quello accademico. Chiedere l’aiuto di uno psicologo per superare questo tipo di ansia è fondamentale, dal momento che nell’età adulta potrebbe trasformarsi in una grande difficoltà nell’adeguarsi all’ambiente lavorativo.

Come superare l’ansia per vivere un’adolescenza serena


Il modo migliore per affrontare l’ansia e riuscire a superare a testa alta tutte le situazioni che scatenano il desiderio di voler fuggire o nascondersi è coltivare l’autostima e il benessere psicologico.

Si tratta di un percorso complesso, ma l’adolescenza non è un’età semplice e non ci possono essere soluzioni semplici a problemi complessi.


Coltivare la fiducia in se stessi, alimentando la propria forza interiore per riuscire a superare i momenti critici è una via d’uscita concreta dalla sensazione di essere costantemente preda dell’ansia.

Dal Sito: chedonna.it

mercoledì 21 ottobre 2020

Il modello cognitivo-comportamentale dell’ansia per la salute





L'ansia per la salute è un disturbo molto diffuso che trova nella dicotomia sano/malato uno dei fattori precipitanti e di mantenimento della sintomatologia.

Sebbene esistano numerose malattie gravi in grado arrecare danni importanti alla salute, la caratteristica della persona con ansia per la salute è quella di non trovare mai una vera soluzione alle proprie preoccupazioni.

 

Viviamo in un mondo in gran parte dominato dalla dicotomia, i cui opposti sembrano spesso essere le uniche interpretazioni accettabili. Bello/brutto, giusto/sbagliato, sono solo alcuni degli esempi di questo modo di pensare che la terapia cognitivo-comportamentale standard ha denominato bias cognitivi, ovvero errori di pensiero e di ragionamento che possono considerevolmente compromettere la qualità della vita, se rigidi e poco inclini alla messa in discussione.

L’ansia per la salute, comunemente conosciuta come ipocondria, rappresenta un disturbo molto diffuso tra la popolazione e che trova nella dicotomia sano/malato uno dei fattori precipitanti e di mantenimento della sintomatologia che tipicamente si manifesta. Infatti, una delle idee che sovente riferiscono i pazienti è che essere sani significhi ‘assenza di malattia’: secondo questo ragionamento polarizzato, per definirsi sana la persona deve scongiurare ogni segnale di una possibile malattia, percepita come evento catastrofico che difficilmente sarà in grado di fronteggiare. In sostanza, ulteriori fattori contribuiscono all’instaurarsi e al perpetuarsi del disturbo: l’illusione di poter avere controllo su tutti i possibili eventi futuri e l’intolleranza dell’incertezza, ovvero l’incapacità di assumersi rischi, anche minimi, legati alla propria salute.

Per mantenere questa illusione di controllo e acquietare la percezione di incertezza, il soggetto ipocondriaco attua uno spostamento selettivo dell’attenzione, focalizzandosi sulle sensazioni provenienti dal proprio corpo e accorgendosi pertanto di ogni minima modificazione dello stato dell’organismo. Così facendo egli avrà l’idea (illusoria!) di poter individuare tempestivamente una malattia e scongiurarne dunque l’epilogo infausto, già costruito nella sua mente sotto forma di immagini terrifiche: la stanza e il letto di ospedale, le cure dolorose, il corpo malato in balia di atroci sofferenze, lo sconforto delle persone care e così via.

Una precisazione: il soggetto con ansia per le malattie può tipicamente adottare due strategie alla lunga disfunzionali: 1) visite mediche frequenti (medico di base o altri specialisti) con richiesta di rassicurazione (sia del medico che dei familiari o degli amici) nel tentativo di controllare ogni possibilità di malattia; 2) evitamento, ovvero sottrarsi a qualsiasi stimolo riguardante le malattie poiché il solo pensare alla possibile malattia crea un forte stato di ansia che il soggetto tenta di gestire attraverso appunto l’evitamento di visite mediche, informazioni circa la salute, discorsi su morte o malati ecc.. Ovviamente né la prima né la seconda strategia risultano funzionali, anzi divengono entrambe fattori di mantenimento e di cronicizzazione della problematica.

Sebbene esistano numerose malattie gravi in grado arrecare danni importanti per la salute (la pandemiain corso ne è una prova, purtroppo, tangibile), la caratteristica della persona con ansia per le malattie è quella di non trovare mai una vera soluzione alle proprie preoccupazioni in quanto immersa in una serie di circoli viziosi che si autoalimentano e rafforzano. Leveni e colleghi (2017) affermano che l’ipocondria non è un problema di salute, bensì un problema di preoccupazione: l’attenzione selettiva ai pensieri negativi circa la possibilità di ammalarsi (e di poter fare qualcosa per impedirlo) blocca il soggetto nel suo stesso rimuginio, incrementando di conseguenza l’ansia, che a sua volta aumenterà la focalizzazione attentiva sui pensieri legati alla malattia e sui cambiamenti fisiologici del corpo, ipotesi sostenuta per giunta dal modello metacognitivo di Adrian Wells (2012). Sono proprio i cambiamenti fisiologici che avvengono di norma all’interno del nostro organismo, e che dai soggetti non ipocondriaci vengono interpretati come tipiche fluttuazioni (basti pensare al normale aumento del battito cardiaco dopo uno sforzo fisico che una volta a riposo viene ripristinato secondo la sua normale attività), ad essere considerati possibili segnali di una malattia e come tali hanno necessità di essere controllati per evitare ogni possibile esito dannoso. L’ansia aumenta e con essa si attiva la cascata di reazioni chimiche tipica dell’allerta (es: l’organismo rilascia adrenalina, il cuore pompa più sangue verso le parti distali del corpo ecc.) e il soggetto si sente in questo modo soverchiato dalla propria risposta ansiosa: la persona, in sostanza, si ritrova ‘ingannata’ dai suoi stessi pensieri e interpretazioni catastrofiche.

Secondo Salkovskis (1989) l’ansia per la salute è il risultato di un’interpretazione distorta dei segnali provenienti dal corpo: le fluttuazioni fisiche comuni vengono trattate come solide prove di una malattia più o meno grave e l’impatto emotivo conseguente varia a seconda del senso di minaccia percepito, che è dovuto principalmente all’interazione di quattro fattori: 1) percezione della probabilità che si manifesti la malattia temuta; 2) percezione della gravità e dei costi della malattia (sofferenza fisica, responsabilità per il dolore provocato alle persone care); 3) percezione della capacità di far fronte alla malattia; 4) percezione di quanto si possa influire sul decorso della malattia (mezzi di cura efficaci, nonostante capiti che la stessa terapia medica possa essere percepita come disastrosa in termini di sofferenza). L’equazione dell’ansia, utilizzata nella terapia cognitivo-comportamentale per spiegare l’intensità dei sintomi ansiosi, può essere quindi adattata per l’ipocondria, al fine di favorire una più chiara comprensione, da parte di chi ne soffre, dei meccanismi cognitivi alla base del disturbo (Fig. 1):


Fig.1: Equazione dell’ansia

Nello specifico, maggiore è la percezione della probabilità che si verifichi la malattia che si teme, la gravità e i costi associati, e minore la percezione della propria capacità di affrontare l’evento e i mezzi a disposizione per influire sul suo decorso, maggiori saranno i sintomi ansiosi esperiti dal soggetto, che a loro volta innescheranno circoli viziosi dai quale difficilmente egli riuscirà a sottrarsi, almeno fin quando l’intensità dell’ansia sarà oltre i limiti. Importante quindi, prima di qualsiasi intervento cognitivo e comportamentale, è ristabilire livelli di ansia tollerabili e gestibili affinché la persona si prepari a sfidare le sue credenze circa le malattie in modo più funzionale e con meno ostacoli.

Un altro punto da sottolineare per la comprensione dell’ipocondria è quello relativo ai concetti di probabilità e possibilità: per una persona con ansia per la salute ciò che è possibile è anche probabile, ovvero l’evento in quanto possibile è probabile che accada, sovrapponendo quindi i due concetti. Ciò che mal funziona in questo caso è un buon calcolo delle probabilità: ad esempio, la probabilità che un dolore ad un muscolo sia dato da uno strappo è più alta della probabilità che lo stesso dolore sia il sintomo di una grave malattia dell’apparato muscolo-scheletrico, ciononostante le due ipotesi vengono considerate ugualmente probabili, aumentando il rischio di una interpretazione erronea dei sintomi somatici che porta inevitabilmente a mettere in atto comportamenti di controllo e attenzione focalizzata sul corpo.

La terapia cognitivo-comportamentale si avvale di numerose tecniche che aiutano il paziente a mettere in discussione le proprie credenze negative di malattia, invitandolo a sfidarle sia da un punto di vista delle distorsioni cognitive che in termini di esperimenti comportamentali; questo permette di spezzare i circoli viziosi più robusti e far comprendere al paziente che la sua sofferenza non è data da una problematica medica, bensì psicologica, un problema cioè di ansia e di preoccupazione al quale può far fronte con impegno e strumenti validi. La persona con ansia per la salute tende infatti a sovrastimare la possibilità che un sintomo sia il segno di una malattia (sovrastimando inoltre la gravità) e al contempo a sottostimare la propria capacità di far fronte all’evento: la terapia cognitivo-comportamentale offre un modo efficace per ridimensionare le interpretazioni catastrofiche e restituire senso di efficacia personale nel superamento del proprio disturbo, spesso eccessivamente invalidante in diverse aree della vita (sociale, familiare, relazionale, lavorativa).

Dal Sito: stateofmind.it 

lunedì 19 ottobre 2020

PANDEMONIO


Alessia Spina soffre di attacchi di panico da molto tempo.
Quattro anni fa ha deciso di incontrare persone che soffrono come lei,
a volte amici, a volte perfetti sconosciuti.
Ha ascoltato le loro storie, imparato dalle loro storie e infine, raccolto parole e immagini:
PANDEMONIO è il risultato, un libro fotografico sugli attacchi di panico.
Pan: dio greco metà uomo metà caprone, spaventa i viandanti con ululati terribili.
È da qui che nasce l'accezione di "panico":
un terrore improvviso, una paura incontrollata che assale.
Un dio che assomiglia a un demone,
un dio che si moltiplica e diventa “tutti i demoni”: PANDEMONIO.
Un ATTACCO DI PANICO è un PANDEMONIO.
Un mostro che spinge giù, in profondità, che costringe a guardare sotto, dentro.
E nel frattempo viene a galla una nuova forza;
la forza di essere fragili, la forza più autentica.
Pur se nel mentre sembra di morire, di attacchi di panico NON SI MUORE.
Un evento positivo mascherato da evento negativo.
Una ribellione del corpo a situazioni di comodo ormai scomode.
Una richiesta di aiuto dell’IO.
Un segno che è necessario cambiare qualcosa.
Vincere l’inganno del dio Pan che, mentre spaventa i viandanti, spaventa anche se stesso,
non è impossibile.
Nessun mostro è invincibile.
Il libro è un lavoro sulla vulnerabilità, che si è abituati a nascondere sotto il tappeto come
fosse sporco di cui vergognarsi.
Eppure non esiste altra cosa al mondo che possa rendere più umani della vulnerabilità
stessa.
Un meccanismo innescato da una società che esige compulsivamente e ininterrottamente
forza, potere, risolutezza, impassibilità, freddezza, velocità.
Un congegno che induce al panico ogni qual volta si tende a perdere il controllo.
Quello stesso panico che può salvare e resuscitare sensibilità e natura umana.


Se aprite il link qui di seguito potete supportare il progetto, aiutarla a raggiungere la pubblicazione e ricevere una copia del libro a casa 






domenica 18 ottobre 2020

Incubi ricorrenti? Ecco come difendersi




I brutti sogni sono comuni anche tra gli adulti e in alcuni casi causano problemi di salute come stati d’ansia e depressione.

Chi non ha mai sperimentato l’ansia e la paura generati da un brutto sogno? Gli incubi sono fenomeni ricorrenti non soltanto da bambini. Più della metà della popolazione adulta dichiara di fare brutti sogni occasionalmente. Una situazione che si è acutizzata durante il lockdown, quando ansia e depressione hanno condizionato l’umore delle persone. Del resto i sogni immagazzinano le emozioni che viviamo quando siamo svegli e prendono forma dagli eventi reali, distorcendoli e adattandoli al nostro stato d’animo.

Ma che cos’è un incubo? Secondo la definizione medica, si tratta di un sogno vivido, realistico e disturbante, che può provocare emozioni contrastanti, dall’ansia al vero e proprio terrore. I brutti sogni, soprattutto se ricorrenti, hanno ripercussioni anche sulla qualità della vita: causano insonnia, stati d’ansia e, in casi estremi, depressione. Secondo uno studio del 2017 dell’Università di Toronto, il disturbo comportamentale della fase REM potrebbe essere un campanello d’allarme che segnala con anni di anticipo l’arrivo di una malattia neurodegenerativa come il Parkinson. Una scoperta che non deve allarmare, ma che può essere una buona base di partenza per i medici per dare vita a un percorso di prevenzione personalizzato.

Esistono però alcuni comportamenti utili per limitare il più possibile i brutti sogni. Per prima cosa è bene stabilire una routine per il riposo. Andare a dormire sempre alla stessa ora, evitare di bere e di mangiare prima di mettersi a letto, provare a fare attività rilassanti, come yoga e meditazione, sono tutti comportamenti utili per conciliare il sonno. Quella di non mangiare prima di dormire dovrebbe essere poi una regola di base: mangiare può infatti attivare il metabolismo, rendendo così il cervello più soggetto agli incubi. L’ideale sarebbe poi cominciare con le attività rilassanti già dal pomeriggio. Fare attività fisica, dedicare tempo al giardinaggio, allo yoga e al tai-chi, permette di abbassare i livelli di stress, riducendo la tensione a livello muscolare, con effetti positivi sul riposo.

Una tecnica consigliata dagli esperti è quella di tenere un quaderno vicino al comodino sul quale al mattino scrivere subito i dettagli dell’incubo appena fatto. Scrivere le preoccupazioni aiuta infatti a toglierle dalla mente, come rivelano gli psicoterapeuti che seguono i pazienti in cura per lo stress. Per favorire la memoria, è utile poi scrivere su quello stesso foglio un finale alternativo e positivo, in questo modo se l’incubo dovesse ripresentarsi lo farà in veste di sogno più piacevole. Come si suol dire, provare per credere.


Dal Sito: cdt.ch

Le malattie mentali non sono un tabù: le celebrità che ne soffrono






Problemi di salute mentale: le celebrità si raccontano

Parlare di malattie mentali, per alcuni, è come parlare del nulla: non emergono dai raggi, nemmeno dalle analisi del sangue, spesso non c’è alcuna evidenza fisica. Eppure ci sono. E sono reali.

Ogni anno, il 10 ottobre, l’importanza di investire nel settore delle malattie mentali – per diagnosticare i disturbi, curare, seguire e supportare chi ne è affetto – è al centro della Giornata Mondiale della Salute mentale, nota a livello internazionale come World Mental Health Day indetto dall’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Malattie mentali: ne soffrono tutti, anche le celebrità
Attacchi di panico, disturbo ossessivo compulsivo, bipolarismo, depressione, ansia, sono solo alcune delle malattie mentali che colpiscono milioni di persone: tra queste anchecelebrità. Perché i disturbi mentali non fanno distinzione di sesso, età, razza, status. Colpiscono tutti, indistintamente.

Il perché tanti volti noti abbiano sentito il bisogno di parlare apertamente del loro disagio è semplice:

  • ne soffrono tutti;
  • non bisogna vergognarsene;
  • si possono superare.

Tre tasselli fondamentali che vanno ad aggiungersi all’importanza di condividere i propri disagi, farsi aiutare da professionisti, avere quindi il coraggio di chiedere aiuto.

L’importanza di sensibilizzare le persone
In questi ultimi anni si sono fatti tanti passi avanti nel settore delle malattie mentali: oggi andare dallo psicologo – per esempio – non è più un tabù rispetto al passato. Le malattie mentali vengono trattate quasi al pari di quelle fisiche, maggiori sono le persone, le celebrità, i volti noti, che accendono i riflettori su questa tematica. Insomma c’è una maggiore apertura verso questo argomento. Ma la strada è ancora lunga.

Come detto, in questi anni abbiamo assistito ad una vera e propria mobilitazione mondiale affinché chi soffre di malattie mentali non si senta solo/a. Vittima di una condizione incurabile, in quanto la via di uscita c’è. E qualora si tratti di una strada lunga, è fondamentale renderla meno tortuosa.

Le malattie mentali al Cinema
Anche la settima arte, così come la Musica, la letteratura, non si è mai sottratta a questa tematica: tanti i titoli che hanno affrontato l’argomento. A riguardo ti segnaliamo un film che abbiamo visto in anteprima e che abbiamo deciso di farti conoscere perché portatore di un messaggio molto importante: “Quello che tu non vedi” di Thor Freudenthal racconta la storia di un ragazzo, Adam, affetto da schizofrenia. Una malattia mentale che cerca di nascondere e nel tentativo di apparire come una persona “normale”, vedrà scivolare tra le sue mani tante opportunità. L’incontro con Maya lo aiuterà a capire che non è la sua condizione mentale a definirlo.

Tornando al discorso delle celebrità, ci teniamo a riportati le loro condivisioni affinché possano essere per te o per persone a te vicine, una fonte d’ispirazione non tanto per come hanno condotto il loro percorso di guarigione e accettazione del disagio, ma per farti capire che, nella Vita, le cose di cui bisogna vergognarsi sono decisamente altre.

Non sei solo/a, e non lo sarai mai se decidi di dar voce a quello che hai dentro.

Di seguito ti riportiamo alcune testimonianze delle celebrities che hanno deciso di condividere con il pubblico i loro disturbi:

Demi Lovato

La cantante e attrice statunitense Demi Lovato è una delle celebrità che tratta più spesso l’argomento della salute mentale, parlandone con sincerità ed orgoglio, e intraprendendo numerose iniziative in sostegno alle malattie mentali e di chi ne soffre. L’artista nei suoi discorsi esorta spesso politici e Capi di Stato in carica d’impegnarsi nel sostenere e supportare le istituzioni e le strutture che si occupano del problema. Uno dei tanti suoi discorsi è quello avvenuto alla Democratic National Convention.

Ad aprile 2020, Demi ha pubblicato sul suo profilo Instagram un postdove supporta il lancio di un fondo per la salute mentale, scrivendo:

«Così tante persone sono state lasciate sole con i loro pensieri, le loro ansia, i con coloro che abusavano di loro, e ora stanno combattendo con l’incertezza di questo periodo. Ecco perché sto aiutando a lanciare il #TheMentalHealthFund per supportare le organizzazioni che stanno incontrando la crescente domanda di consulenza per crisi causate dal COVID-19. Non siete soli»

Anche attraverso la Musica, Demi Lovato coglie l’occasione per affrontare l’argomento: il brano più recente in questione è quello realizzato insieme a Marshmello “Ok not to be ok“, e proprio in relazione a questa canzone, l’artista aveva dichiarato:

«Fin da giovanissima ho avuto a che fare con pensieri suicidi e depressione. Ho sempre parlato a gran voce per sensibilizzare sull’argomento della salute mentale perché è possibile vedere la luce quando inizi il lavoro su di te. Sono la prova vivente che non devi arrenderti a questi pensieri. Ho passato molte giornate in cui ho avuto difficoltà, ma per favore lasciate che questa canzone sia un inno per chiunque ne abbia bisogno adesso. Potete superare tutto quello che state passando. Io sono qui per voi sempre, non siete soli e io vi amo. Prendetevi cura di voi, e ascoltate i vostri cari. Ricordate, va bene non stare bene»

Demi Lovato soffre di un disturbo bipolare e di depressione.

Bebe Rexha

La cantante statunitense Bebe Rexha, classe 1989, nel 2019 ha fatto sapere ai suoi fan di soffrire didisturbo bipolare tramite un tweet sul suo profilo ufficiale pubblicato nel 2019.

«Sono bipolare e non me ne vergogno più. Questo è tutto. (piangendo a dirotto)»

«Per tantissimo tempo, non capivo perché mi sentissi così male. Perché avevo momenti bassi che mi facevano non voler uscire di casa o vedere altre persone e perché sentissi degli alti che non mi lasciavano dormire, che non mi permettevano di smettere di lavorare o creare musica. Adesso so perché»

Justin Bieber 

Justin Bieber si è aperto al suo pubblico dichiarando di aver passato un periodo difficile, in cui è stato depresso, ma non solo. L’artista ha ammesso di aver fatto uso di droghee di aver dovuto fare i conti con un atteggiamento e un comportamento spesso violento e irresponsabile. Justin ha definito quel periodo un “dark place”: un luogo buio, oscuro dal quale è uscito.

La condivisione di quegli anni così drammatici e difficili, è avvenuta attraverso una commovente e sincera lettera pubblicata sul suo profilo Instagram. Leggi qui il testo e la traduzione della lettera di Justin Bieber ai suoi fan.

Ed Sheeran

Il cantante britannico Ed Sheeran ha rivelato in una recente intervista di aver attraversato un periodo molto difficile nella sua vita, e di aver sofferto di ansia e attacchi di panico. I disturbi hanno iniziato ad emergere in concomitanza con l’inizio della sua carriera, quando la sua popolarità iniziava a crescere esponenzialmente. Nel corso della sua prima tournée mondiale, l’artista ha raccontato di aver cercato di spegnere questo suo disagio ricorrendo, erroneamente, all’uso di alcol e droghe:

«non ho visto la luce del sole per ben quattro mesi. Rimanevo sveglio a bere e fare uso di droghe tutta la notte sull’autobus, poi mi addormentavo. Salivo sul palco, facevo il concerto, bevevo di nuovo e mi riaddormentavo»

Un angelo in carne ed ossa ha preso Ed Sheeran per mano portandolo verso la celebre luce fuori dal tunnel: si tratta di Cherry Seaborn, oggi moglie e madre della loro primogenita, Lyra Antarctica.

Selena Gomez

Selena Gomez ha dichiarato di essere bipolare: si tratta di un disturbo dell’umore. Chi ne soffre alterna euforia e stati di depressione, irritabilità e totale apatia.

Secondo l’OMS a soffrirne sono circa 45 milioni di persone in tutto il Mondo. L’argomento bipolarismo è molto vasto e non siamo nella sede giusta per affrontarlo in maniera esaustiva, ma in linea generali si parla di sbalzi di umore e/o di periodi in cui si è “normali” (passateci il termine anche se non corretto…) a episodi maniacali e depressivi.

Halsey

Halsey non ha mai fatto mistero dei problemi, sia fisici che mentali, che hanno reso non facile la sua Vita. All’anagrafe Ashley Nicolette Frangipane, classe 1994, la cantante statunitense soffre di endometriosi e di disturbo bipolare. Di quest’ultimo ne parla in questo interessante video “Una conversazione sul disturbo bipolare”:

Ashton Irwin

Ashton Irwin affronta l’argomento della salute mentale nei testi delle canzoni del suo album in uscita Superbloom, il suo primo album da cantante solista. I testi dei primi tre brani pubblicati “Skinny Skinny“, “Have U Found What Ur Looking For?” e “Scar” trattano tutti di problemi di salute mentale o di disturbi mentali di qualsiasi tipo.

Significato di Skinny Skinny:

«Dobbiamo combattere contro l’oscurità comune che mette in ombra la nostra abilità di vivere sinceramente, di vivere senza dubitare di noi stessi, e senza autodistruzione e amore verso noi stessi così come siamo. Mentre scrivevo questa canzone ho pensato a me stesso e a tutti i giovani che combattono con l’immagine del proprio corpo, in particolar modo con il dismorfismo del corpo. È qualcosa che non ho mai affrontato in forma creative e mi sento forte nel dire che “Skinny Skinny” va direttamente in quel posto doloroso nella mia mente»

Significato di Have U Found What Ur Looking For?

«Questa è la genesi del mio disco Superbloom. La canzone parla del superare la resistenza della mente, e affrontare ogni paura che abbiamo mai avuto»

Significato di Scar

«Questa canzone ha un importante messaggio che mi piacerebbe condividere prima che la sentiate. Per favore resistete. Per favore non mollate, per favore non lasciate andare, per favore ricordate che siete amati. Per favore non commettete suicidio»

Greta Thunberg

Impossibile non citare anche la giovane e coraggiosa attivista svedese Greta Thunberg che soffre di disturbo pervasivo dello sviluppo, la sindrome di Asperger, che le è stata diagnosticata all’età di 13 anni. I sintomi che presenta sono i seguenti: disturbo ossessivo-compulsivo, mutismo selettivo e disturbo da deficit di attenzione/iperattività. Greta ha parlato personalmente del suo disturbo definendolo orgogliosamente “un superpotere”:

«Ho la sindrome di Asperger e questo significa che a volte sono un po’ diversa dalla norma. E, date le giuste circostanze, essere diversi è un superpotere. A volte, la diagnosi mi ha limitato. Prima di iniziare gli scioperi scolastici per il cambiamento climatico non avevo energie, non avevo amici e non parlavo con nessuno. Stavo seduta in casa da sola, con il mio disturbo alimentare»

La vita e il percorso di Greta Thunberg sono raccontati nel film-evento I Am Greta – Una forza della natura al cinema il 2, 3 e 4 novembre 2020.

Michele Merlo

«Volevate la realtà? Eccola. Questa è la mia faccia dopo un attacco di panico, dopo 20 gocce di tranquillante. Questo è ciò che l’ansia e la depressione fa a una persona. Questa è la REALTÁ che non va di moda nei social»

Questo l’inizio di un lungo post pubblicato da Michele Merlo su Instagram in cui si racconta senza filtri e senza paure. L’argomento ansia e depressione viene affrontato da Merlo anche nel suo libro “cuori stupidi“.


Dal Sito: teamworld.it