domenica 31 maggio 2020

A new life - Storie di Panico - La storia di Marta



"Le vostre storie, il vostro coraggio, la vostra forza."

Sono Marta, ed è un piacere condividere con voi la mia storia... Il mio 2018 si può dividere in due parti... L'ha diviso il mio attacco di panico... A dire la verità erano anni che ne sentivo parlare, ma ho sempre avuto paura di informarmi su cosa esattamente fosse... Finché il 9 luglio l'ho capito sulla mia pelle... Le avvisaglie che potesse succedere qualcosa c'erano state, ma ho tentato di non ascoltarle... Finché una strana sensazione allo stomaco, un formicolio alla mano destra prima, un formicolio alla mano sinistra poi e un senso di svenimento mi hanno portata ad una ventina di minuti di crisi... Una ventina di minuti che sembravano un'eternità...


Ma non sono qua a parlare di cos'è l'attacco di panico, tanto già lo sapete e nemmeno quello che mi ha portato a tutto questo... Certo l'unica cosa che non è possibile, è dimenticarlo... Ma io per prima non ho voluto dimenticarlo, perché ho un tatuaggio che mi ricorda quel giorno e mi da tanta forza... Non si torna mai più gli stessi dopo averne sofferto, ma se ci si affida a dei professionisti seri guardi la vita in maniera diversa, ritorni a prenderti cura di te e un po’ lo ringrazi questo "scombussolamento".


Vi racconto il dopo e la mia risalita... Ho avuto modo di incontrare la mia Psicoterapeuta Patrizia, con la quale sto facendo uno dei più bei percorsi che potessi intraprendere... Ricordo quando entrai per la prima volta nella stanza di terapia… un mix di paura ed emozione... Un giorno ho letto queste bellissime parole sulla stanza e me le sono salvate sul mio diario delle frasi belle… ‘’La stanza di terapia non è solo una stanza. È come una “ scatola magica “in cui dentro accadono molte trasformazioni. È come la scatola di un mago. Dentro avvengono magie, si svelano sogni e succedono cambiamenti’’. Sono passati quasi due anni da quel giorno e posso dire di essere felice del lavoro che sto facendo su me stessa, e grata alla persona che mi ascolta e mi da consigli con una professionalità e una delicatezza immensa.


In questa mia risalita ho avuto la fortuna di avere familiari e amici che hanno capito fin da subito il periodo che stavo attraversando, aspettandomi ogni qualvolta avevo momenti di crisi e senza giudicare assolutamente il mio difficile sentire di quel periodo… Mi hanno sempre dato una spalla su cui appoggiarmi, sia quando era il fisico in crisi sia quando era l’anima che chiedeva aiuto…


E poi io, così legata ai miei studi matematici, ma con dentro al cuore un forte sentimento per il sociale… Ho fatto esperienze, che anni fa avrei voluto fare, ma alle quali avevo sempre rinunciato… per esempio i miei due ultimi dell’anno sono stati all’insegna del volontariato… Sono andata in posti dove non conoscevo nessuno, ma in realtà dopo un secondo mi sembrava di conoscere tutti da una vita… ho ascoltato racconti di persone anziane e di bambini in difficoltà… In queste due esperienze, ho conosciuto percorsi di vita difficili, culture diverse, emozioni tenute dentro per troppo tempo, sogni svaniti... Ma anche tanti sorrisi, abbracci, curiosità e nuovi percorsi di vita... Racconti di parole e sguardi che mi hanno fatto commuovere più di una volta...


Poi sentivo sempre più il bisogno di condividere le mie emozioni anche in gruppo… e allora ho fatto due corsi di autostima… La condivisione in gruppo è un qualcosa che arricchisce… Conosci nuove persone, con le quali condividi sogni e segreti di vita...


Da poco ho iniziato un corso di scrittura autobiografica… Sempre nel mio diario delle frasi belle, ho salvato questa chicca…’’La scrittura non è magia, ma evidentemente, può diventare la porta d'ingresso per quel mondo che sta nascosto dentro di noi. La parola scritta ha la forza di accendere la fantasia e illuminare l'interiorità’’... Quanta verità, da quando ho iniziato il mio percorso di terapia, ho riempito quasi tre diari… Il diario è diventato il mio rifugio dei pensieri… Scrivere mi serve per non continuare a farli girare inutilmente in testa…. Vi lascio con un’ultima frase, per me molto significativa…"La vita è anche fatta di istanti, di attimi, di decisioni veloci, di sogni realizzati, di obiettivi raggiunti che diventano immagini indelebili. Come una fotografia. Come una cicatrice, che ti ricorda tutte le volte che la guardi, che qualcosa è successo ma non è la fine, piuttosto un nuovo inizio..."


Un abbraccio, Marta



giovedì 28 maggio 2020

Disturbo Affettivo Stagionale e Disturbo Disforico Premestruale un continuum psicopatologico: il ruolo della serotonina



Il disturbo disforico premestrualee affettivo stagionale hanno in comune la periodicità nel manifestarsi, ma condividerebero anche aspetti eziopatogenetici

Gli studi di cronobiologia in ambito psichiatrico hanno evidenziano numerosi aspetti che accomunano il disturbo affettivo stagionale ed il disturbo disforico premestruale. Oggi esiste l’ipotesi che questi due disturbi potrebbero essere manifestazioni di una stessa patologia.

Fin dall’antichità è stato osservato che le variazioni climatiche influenzano lo stato di salute e l’umore. Ippocrate nel 400 a. C. descriveva una depressione legata alle stagioni. I suoi scritti e quelli di Plinio e di Aristotele nel periodo classico, testimoniano che erano anche noti una serie di sintomi che affliggevano le donne nel periodo premestruale. Attualmente la cronobiologia studia i fenomeni periodici negli organismi viventi e descrive i meccanismi molecolari legati ai cicli buio-luce, all’alternarsi delle stagioni e delle fasi lunari. E’ ormai dimostrato che la produzione di numerosi ormoni e di vari neurotrasmettitori è influenzata da questi fatti. Negli ultimi venti anni sono stati effettuati numerosi studi psichiatrici ad impronta cronobiologica.

Vi sono due disturbi dell’umore, il disturbo affettivo stagionale ed il disturbo disforico premestruale, che oltre ad avere in comune la periodicità nel manifestarsi, sembrano condividere alcuni aspetti eziopatogenetici.

Disturbo affettivo stagionale (SAD)

Il Disturbo Affettivo Stagionale è un disturbo depressivo cronico atipico i cui sintomi possono manifestarsi con una periodicità invernale, con esordio nella stagione autunnale, o estiva con esordio primaverile. Dal punto di vista clinico l’atipicità del disturbo è legata al fatto che l’umore è depresso ma reattivo. Questo vuol dire che i soggetti che ne soffrono hanno una flessione del tono dell’umore, ma sono in grado di gioire di fronte ad eventi positivi. Altri sintomi sono l’iperfagia, con la preferenza per l’ingestione di carboidrati, l’astenia, l’ipersonnia e l’aumento ponderale. Esistono diverse ipotesi eziopatogenetiche per il SAD, tutte hanno un comune denominatore rappresentato dalla durata dell’esposizione alla luce solare. La quantità di luce influisce sulla produzione endogena di melatonina e serotonina. La melatonina, detta anche ormone del sonno, potrebbe essere prodotta in eccesso in mancanza di luce solare. I livelli troppo elevati generano ipersonnia e potrebbero predisporre alla depressione. Secondo i risultati di uno studio dei ricercatori dell’Università di Copenhagen, presentati alla XII International Conference on Neuropsychopharmacology di Londra (2014), le persone che sviluppano il SAD hanno alterati livelli SERT, che è la molecola trasportatrice della serotonina.

Il disturbo disforico premestruale (PMS)

E’ un disturbo dell’umore che si manifesta tra i sintomi della sindrome premestruale. E’ caratterizzato, oltre che da umore depresso, da irritabilità e labilità emotiva. L’intensità di questi sintomi può essere tale da influenzare significativamente l’attività lavorativa e le interazioni sociali. Sono diversi i fattori eziologici chiamati in causa per spiegare l’origine di questo disturbo. Rojanski et al. (1991) in uno studio hanno registrato una riduzione complessiva dei livelli plasmatici di serotonina nella fase luteinica del ciclo ovarico in donne con PMS. Il convolgimento della serotonina è inoltre dimostrato dal il criterio ex-juvantibus, infatti nel 60% delle donne con PMS, i sintomi regrediscono con la somministrazione di antidepressivi serotoninergici (Steiner M. et al. 1995, Freeman Ew.2005).

Nel 2006, sul Giornale Italiano di Psicopatologia, sono stati pubblicati i risultati di una ricerca che si proponeva di valutare la prevalenza del SAD e della PMS in una popolazione di donne non affette da disturbi psichiatrici e di determinare la prevalenza di PMS in donne che presentavano una diagnosi di SAD. I risultati dello studio permettono di affermare che SAD e PMS presentano un profilo epidemiologico sovrapponibile e una sintomatologia analoga. Per entrambi i disturbi è riconosciuta l’efficacia terapeutica degli antidepressivi serotoninergici. Nella popolazione femminile italiana SAD e PMS si presentano frequentemente in associazione. Tutti questi dati portano a supporre una base neurobiologica comune, i due disturbi potrebbero essere manifestazioni di una stessa patologia.

Dal Sito: stateofmind.it 

Pensiero negativo e stress: ecco gli organi che si ammalano


C’è chi le chiama energie negative, chi pensieri tossici o chi semplicemente lo etichetta come stress. A prescindere dal nome usato, quando siamo intossicati, il nostro corpo secerne una serie di molecole dannose per l’organismo, tali sostanze incidono negativamente sulla salute della nostra pelle, del nostro cervello, del cuore, del fegato e su altri organi vitali, senza considerare che condizionano negativamente la nostra esistenza rendendoci mal predisposti verso la vita in generale e verso il prossimo.

I danni dello stress e della negatività sull’organismo possono tradursi addirittura con un calo della vista.

Come è chiaro, i danni fisici del nervosismo possono essere molteplici e coinvolgere gli organi e i tessuti più disparati. I cosiddetti “ormoni dello stress” hanno un impatto negativo anche sulla memoria e sui collegamenti del nostro sistema nervoso centrale.

Gli ormoni dello stress

Lo stress scatena una cascata di ormoni nel nostro organismo fino a causare uno “stato di agitazione persistente“. Nel nostro corpo, lo stress si manifesta con una secrezione psico-indotta (cioè indotta dalle nostre emozioni/sensazioni) di ormoni catabolizzati da parte delle ghiandole surrenali. Nella fattispecie, gli ormoni “direttamente” legati allo stress sono il cortisolo e l’aldosterone che, in breve, causano:
-costrizione dei vasi cutanei (la pelle diventa più pallida)
-aumento della frequenza cardiaca
-broncodilatazione
-inibizione del rilascio e dell’efficacia dell’insulina. L’insulinoresistenza dettata dallo stress potrebbe essere correlata al diabete mellito di tipo 2
-alterazione del metabolismo
-calvizie e caduta di capelli
-eccessiva dilatazione delle pupille con possibili problemi alla vista
-altri sintomi psicosamitici

I danni dello stress sul sistema muscolo-scheletrico

Quando siamo stressati il corpo si irrigidisce: la tensione muscolare è una reazione riflessa allo stressperché il fisico si mette in stato di allerta e sta in guardia contro danni e dolore. Lo stress cronico perpetua una tensione di base e quando la muscolatura è tesa per lunghi periodo possono insorgere frequenti emicranie, dolori muscolari e torcicollo.

Il corpo è più predisposto a danni fisici come slogature, atrofie e traumi. In questo contesto, le tecniche di rilassamento si sono rivelate molto efficaci nell’alleviare la tensione muscolare e diminuire l’incidenza dei disturbi legati allo stress su questo sistema.

I danni dello stress sull’apparato respiratorio

Come premesso, lo stress causa un aumento della frequenza cardiaca e broncodilatazione. Lo stress ci fa respirare più forte, questo non è un problema per la gran parte di persone, ma per chi soffre di asma o allergie, può essere una condizione davvero sgradevole. Lo stress può causare iperventilazione che può essere, a sua volta, causa di un attacco di panico in soggetti predisposti o ansiosi. Anche in questo caso si consiglia di seguire tecniche di rilassamento e respirazione.

I danni dello stress sulla pelle

Il dermatologo Dr. Papier direttore scientifico della Rochester di New York, non è sorpreso del fatto che l’attuale crisi economica ha visto un aumento di pazienti con problemi di acne, rughe e altre malattie della pelle. Lo stress ha un forte impatto sull’organismo e quello legato alle problematiche economiche non è da meno.

La salute della pelle è direttamente correlata allo stress. Come visto, sotto stress i livelli di cortisolo aumentano. Il cortisolo danneggia il collagene e provoca infiammazioni, il risultato è l’acne, macchie cutanee, psoriasi e dermatite atopica (eccessivo prurito, chiazze rosse, sfoghi cutanei).

Inoltre lo stress aggrava sintomatologie già presenti o può predisporre a malattie infettive come per l’herpes e l’herpes zoster. I danni fisici dello stress continuano con l’orticaria che può anche cronicizzarsi, forme di eczema e altri condizioni di prurito cronico come il lichen simplex che innesca una sorta di circolo vizioso: che ne soffre si gratta, causando l’ispessimento delle pelle con un conseguente aumento del prurito.

Come visto, i danni dello stress sulla pelle sono molteplici, lo stress causa un’ipersensibilità cutanea tanto che le persone particolarmente stressate, solo a leggere le parole pulci o pidocchi, potrebbero iniziare a percepire prurito e grattarsi!

Stress e calvizie

Lo stress è strettamente correlato alla caduta di capelli. Lo stress può causare un’improvvisa perdita di capelli rallentando o arrestando del tutto il processo di crescita del follicolo dei capelli. Una volta che il follicolo entra permanentemente in una fase di riposo, ci resterà per circa tre mesi, durante i quali bisognerà imparare a gestire lo stress per non inciampare in un nuovo ciclo di caduta. Di solito, i capelli ricrescono nello donne mentre nei maschi potrebbero anche permanere nella fase di riposo. Se avete problemi di caduta di capelli legata alla stress, provate a rinforzare e proteggere i follicoli con i super-alimenti che proteggono i capelli.

I danni dello stress sull’apparato gastrointestinale

Lo stress causa scompensi sul metabolismo ed è correlato a fattori psicologici che potrebbero modificare il nostro comportamento alimentare: sotto stress c’è chi mangia di più o chi non mangia perché “gli si chiude lo stomaco”. In ogni caso si va incontro a reflusso acido e bruciore di stomaco. In casi estremi lo stress può essere causa di ulcere gastriche. A livello intestinale, lo stress influenza la digestione a livello qualitativo (quali sostanze nutritive possono essere assorbite) e quantitativo (quanto veloce sarà il passaggio degli alimenti nel tratto intestinale, così può essere causa di intestino pigro o al contrario, diarrea). Può interessarvi: Intestino pigro, rimedi naturali.

Stress e cervello

Non mancano danni dello stress sul cervello, è vero che lo stress influenza la memoria e anche le capacità sociali.
Il sistema nervoso ha diverse “divisioni”, quella “centrale” che coinvolge cervello e midollo spinale e quella “periferica” che consiste nelle innervazioni date dal sistema nervoso autonomo e somatico. Il sistema nervoso autonomo ha un ruolo diretto nella risposta fisica allo stress.

A livello de cervello lo stress si esplica con cambiamenti a lungo termine della struttura celebrale. I neuroscienziati della University of California Berkeley, hanno scoperto che lo stress nei bambini piccoli può portare addirittura a difficoltà di apprendimento nonché a una grossa predisposizione di disturbi dell’umore nella vita da adulti.

Lo stress rimpicciolisce il cervello 
Lo stress può modificare la struttura del cervello fino a ingrossarne o rimpicciolirne alcune parti, si tratta delle differenze nel volume di materai grigia rispetto alla sostanza bianca, così come le dimensioni dell’amigdala e il numero di sinapsi (collegamenti). La ricercatrice Daniela Kaufer, dall’UC Berkeley ha visto come lo stress cronico (correlato a eccessivi livelli di cortisolo) può causare una sovrapproduzione di mielina con un minor numero di neuroni rispetto al normale. Lo studio è stato pubblicato sul numero di Febbraio 2014 dell’autorevole rivista Molecular Psychiatry.

Stress e disturbi psicosomatici

I disturbi somatici legati allo stress sono numerosi, ogni sintomo rileva un disagio che talvolta ha radici psicologiche piuttosto che fisiologiche. A tale scopo vi rimandiamo alla lettura dell’articolo Sintomi psicosomatici, il tuo corpo sta cercando di dirti qualcosa.

Stress e mestruazioni

Lo stress può influenzare il ciclo mestruale in diversi modi. Alti livelli di stress possono essere correlati a mestruazioni dolorose o irregolari. Possono anche esserci variazioni nella durata dei cicli. La sindrome premestruale è amplificata dai danni dello stress e può essere accompagnata da crampi, ritenzione idrica e umore negativo.

Altri danni fisici dello stress

Lo stress può danneggiare il cuore (aumento della frequenza cardiaca e restringimento dei vasi), causare ipertensione arteriosa, indebolisce le nostre difese immunitarie, può causare seri danni agli apparati genitali maschili e femminili nonché mestruazioni anomale o menopausa prematura. Nei maschi lo stress può addirittura portare a disfunzione erettile o impotenza, con scarsa produzione di testosterone e di sperma. Lo stress causa invecchiamento precoce, indebolisce la vista e ci predispone a malattie e problemi muscolari.

Secondo alcuni studi, lo stress potrebbe causare fisiopatologie ancora più gravi, fino alla produzione di cellule cancerose. In questo contesto vi invitiamo a leggere l’articolo “la mente ci guarisce più dei farmaci”

Trovare il modo per gestire lo stress

L’importante non è unicamente l’esperienza vissuta, ma come ognuno la vive. Provate a rallentare i vostri ritmi frenetici, anche le situazioni può stressanti possono essere affrontate con calma e una certa serenità d’animo. L’alimentazione può aiutarvi ad affrontare bene la vita, vi consiglio di leggere l’articolo La Dieta della Felicità, quali alimenti scegliere?.

La mente e il corpo soffrono molto per i danni causati dallo stress. E’ essenziale trovare il modo per gestire lo stress e affrontare al meglio le difficoltà che si stanno vivendo. Se ritenete che il vostro carico di stress è eccessivo da poter gestire da soli, parlatene con un amico o familiare e se questo non dovesse bastare valutate un supporto professionale. Per imparare a gestire lo stress e l’ansia di tutti giorni, potrebbe tornarvi utile la pagina dedicata ai disturbi d’ansia e ai rimedi con l’autotraining.

Ansia: dal sintomo alla malattia.





Uno studio effettuato negli Stati Uniti (1), ha dimostrato che il disturbo ansioso presenta differenze di genere sostanziali: circa il 30% delle donne ha sofferto di ansia nel corso della propria vita almeno una volta, a fronte del 18% degli uomini.

Inoltre, secondo un altro studio (2) effettuato su popolazioni di sei differenti paesi (Belgio, Francia, Germania, Italia, Olanda, Spagna), i disturbi d’ansia subentrano sin da giovani. Infatti, la percentuale più elevata (11,9%) di individui che ne soffrono almeno una volta nella vita hanno un’età compresa tra i 18 ed i 24 anni, contro il 5,3% riscontrato nei soggetti over 65.

L’ansia ha, tra l’alto, i un impatto notevole sullo stile di vita delle persone che ne soffrono, anche e soprattutto in termini lavorativi: individui che soffrono di DAG perdono in media 25 giorni lavorativi (più di chi soffre di depressione maggiore); chi soffre di attacchi di panico ne perde 25; individui agorafobici arrivano a perderne ben 32 in media!

Il termine disturbo ansioso si riferisce ad una serie di disturbi che condividono caratteristiche di paura e agitazione eccessive e i disturbi comportamentali correlati. Mentre la paura è una risposta fisica ed emotiva ad una minaccia imminente, l’ansia è l’anticipazione di un’eventuale minaccia futura e, differentemente dalla prima, è caratterizzata da un’eccitazione prolungata,

vigilanza ed apprensione; un ampio corpus di prove (3) suggerisce che i meccanismi centrali alla base dei meccanismi di paura ed ansia sono simili sia nell’uomo che negli animali e sono mediati da processi neuronali sovrapposti.

Tuttavia, ad oggi, il meccanismo alla base dell’insorgenza del disturbo ansioso non è del tutto noto. Tra i sintomi che si manifestano più frequentemente nel disturbo ansioso troviamo:

  • Irrequietezza

  • Tensione muscolare

  • Disturbi del sonno

  • Sensazione di apprensione

  • Disturbi dell’umore

  • Problemi di natura gastrointestinale

In base a quanto riportato dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) (3), pubblicato dall’American Psychiatric Association, i disturbi d’ansia possono essere di varia natura:

  • disturbo d’ansia di separazione:diffuso prevalentemente nei bambini, si sviluppa quando l’infante si ritrova a doversi separare da una figura di riferimento, come può essere un genitore.

  • mutismo selettivo: anch’esso più comune nei bambini; si sviluppa quando il soggetto manifesta difficoltà parlare con determinate figure o in situazioni specifiche, mantenendo, invece, un atteggiamento normale in presenza di coetanei o in circostanze ludiche.

  • fobia specifica: paura di specifiche condizioni (Belonefobia, aracnofobia, claustrofobia etc.)

  • fobia sociale: sintomatologia ansiosa che si manifesta in condizioni sociali che mettono sotto pressione il soggetto, come una cena con persone che poco si conoscono, o quando si deve parlare in pubblico.

  • disturbi di panico: forse lo stato ansioso più comune, caratterizzato da un insieme di sensazioni fisiche molto intense (vertigini, fame d’aria, iperventilazione, tachicardia, parestesie), associato a sgradevoli sintomi psichici (paura di morire, timore di perdere il controllo).

  • ansia indotta da sostanze/farmaci: anestetici, analgesici, broncodilatatori, litio, corticosteroidi, antidepressivi, antibiotici, possono essere artefici dell’insorgenza di problematiche di natura ansiosa; stesso discorso vale per intossicazione da sostanze (alcool, cocaina, amfetamine, cannabis, caffeina) o condizioni di astinenza (alcol, cocaina, ansiolitici, ipnotici, sedativi).

  • agorafobia: paura di rimanere in luoghi dai quali risulta difficile fuggire o spazi aperti.

  • disturbo d’ansia generalizzata (DAG): l’individuo è in un costante stato di allarme, ma non è in grado di definire la motivazione che gli crea questo disagio.

  • disturbo d’ansia associato ad una condizione medica concomitante

Terapia comportamentale

Normalmente, quando si è in ansia, il respiro è accelerato, più frequente e profondo. Questa alterazione determina una serie di sintomi che prendono il nome di sindrome da iperventilazione, la quale acuisce i sintomi dell’ansia stessa.

Il primo rimedio (4), messo in atto per far fronte alla problematica sopracitata, consiste in un esercizio di natura comportamentale, la tecnica del respiro lento:

  1. Inspirare, trattenere il fiato e contare mentalmente fino a 10; non gonfiare il torace, non fare un respiro troppo profondo.

  2. Espirare e cominciare a respirare con un ritmo di 6 secondi: tre secondi per espirare e tre per inspirare.

  3. Dopo una serie di 10 respiri di 6 secondi l’uno, inspirare normalmente e trattenere il fiato contando fino a dieci

  4. Espirare e ricominciare dal secondo punto.

Terapia farmacologica

Ad ogni modo, la maggior parte dei disturbi ansiosi, viene approcciata mediante l’impiego di psicofarmaci, in particolar modo le benzodiazepineche rappresentano la terapia di elezione per la sindrome ansiosa.

Va detto, comunque, che non si rivela sempre un rimedio vincente, dato che esse vanno ad agire soltanto sulla componente sintomatologica, avendo tra l’altro, un impatto momentaneo. Inoltre, le benzodiazepine si caratterizzano per un potenziale rischio di abuso, oltre ad un’induzione di alterazioni della sfera comportamentale ed affettiva. L’uso di tali farmaci, oltretutto, è cronico, quindi un impiego prolungato determina una perdita di efficacia nel corso del tempo del principio attivo, con aumento della dose (e tutti gli eventi avversi che ne derivano) richiesta per avere un impatto farmacologico rilevante.

Esistono poi, farmaci antidepressivi, come gli SSRI e SNRI, rispettivamente inibitori della ricaptazione della serotonina e della ricaptazione di serotonina ed adrenalina, che aumentano i livelli neurali di tali neurotrasmettitori, incidendo positivamente sui disturbi legati alla sfera comportamentale.

I più impiegati per il disturbo d’ansia sono:

  • duloxetina: disturbo d’ansia generalizzata

  • venlafaxina: trattamento a lungo termine dell’ansia

  • sertralina: disturbo ossessivo/compulsivo, agorafobia, disturbo post-traumatico da stress

  • clomipramina: disturbo ossessivo/compulsivo, disturbo di panico, fobie

  • escitalopram: disturbo di panico, fobie sociali

Sono state pubblicate appositamente delle linee guida per il disturbo ansioso, le cosiddette CANMAT 2014. Tali dati supportano la terapia cognitivo comportamentale (CBT) da sola, o in associazione con farmaci, come terapia di prima linea nei pazienti affetti da ansia.

Risulta evidente, comunque, che i benefici ottenuti con la CBT, qualora risultasse funzionante nel trattamento dell’ansia, sembrano persistere molto più a lungo (1-5 anni di follow up) di quelli derivanti dalla singola farmacoterapia.

Approccio fitoterapico

La fitoterapia può essere consigliata soprattutto nei casi di ansia lieve.

Tra i fitocomplessi maggiormente impiegati meritano particolare attenzione:

  • passiflora: oltre a ridurre l’ansia, favorisce il sonno; esercita, inoltre un’azione carminativa e spasmolitica, quindi, specifica per quei disturbi d’ansia a cui va ad aggiungersi una sintomatologia di carattere gastrointestinale.

  • melissa: come la passiflora, esercita un’azione antispastica sulla muscolatura liscia gastrointestinale.

  • valeriana: gli studi inerenti a questo fitoterapico trovano impiego principalmente negli stati di tensione moderata associata a difficoltà nell’addormentamento, sfruttando le sue proprietà ipnoinducenti.

  • olio essenziale di lavanda: L’olio essenziale di lavanda, contiene linalolo ed acetato di linalile, i quali hanno un ruolo fondamentale nella riduzione a livello delle sinapsi nervose dello ione calcio, coinvolto nel processo dell’eccitazione e quindi, coinvolto nella patogenesi dell’ansia. La lavandula ha esercitato un miglioramento notevole nella qualità del sonno in quei pazienti che sono stati trattati con una classica benzodiazepina (Kasper S et al.)

Abbiamo visto, quindi, come esistono diversi approcci (farmacologico, comportamentale, fitoterapico) al trattamento del disturbo ansioso; è opportuno però tenere sempre presente che nessun trattamento è completamente scevro di effetti collaterali e perciò, è opportuno valutare quello più calzante per il singolo paziente, tenendo conto sia dell’entità del disturbo da curare, sia della storia clinica dell’individuo stesso.

Un approccio che sta prendendo sempre più corpo nel trattamento dell’ansia è la terapia metacognitiva(TMI), ovvero una terapia comportamentale, basata su un processo di autoanalisi, attraverso la quale il paziente è indotto ad esplorare una serie di ricordi e, ripercorrendoli, si riesce a ricostruire il modo in cui egli pensa, vive determinate emozioni e si interfaccia col prossimo. Grazie alla consapevolezza di questi schemi mentali, il soggetto è grado non soltanto di comprende la radice della propria sofferenza, bensì prende atto degli schemi mentali alla base del suo disagio e “manipolandoli”, dovrebbe essere in grado di minimizzarlo, se non addirittura sopprimerlo.

Uno studio effettuato nel 2016 (8) proprio su soggetti ansiosi affetti da disturbo della personalità e trattati con TMI hanno riportato cambiamento affidabili in termini sintomatologici e sul piano della regolazione emotiva; inoltre, i soggetti trattati hanno mantenuto un buon grado di controllo sul disturbo ansioso anche al termine della terapia guidata.

Dal Sito: politicamentecorretto.com

martedì 26 maggio 2020

La mia vita dentro al D.A.P. di Elisabetta Guidotti – Libri: medicina per il cuore e per la mente



La mia vita dentro al D.A.P. di Elisabetta Guidotti




La mia vita dentro al D.A.P. di Elisabetta Guidotti non è un libro che tutti potrebbero comprendere. Penserete che sto peccando di presunzione, invece, forse per la prima volta in vita mia, vi dico che non è così. Perché? Semplicemente perché non è semplice spiegare cosa sono gli attacchi di panico a chi non ne ha mai sofferto o ne ignora l’esistenza. L’autrice, Elisabetta Guidotti, sa perfettamente cosa sono e ci convive da anni. Il D.A.P., ovvero Disturbo da Attacchi di Panico, anche se enormemente diffuso, è pressoché sconosciuto. O meglio, inizi a conoscerlo solo quando hai un ‘attacco’ o qualcuno vicino a te inizia a soffrirne. La mia vita dentro al D.A.P. è una raccolta di pensieri e racconti che ha un solo file rouge dalla prima all’ultima pagina: l’amore. L’amore puro, quello che ci fa sentire bene e lo stesso che ci spinge a reagire nei momenti ‘no’. Che sia quello per un uomo, un figlio o per se stessi, poco importa, l’importante è avvertirlo e trarne linfa vitale.

“Un giorno ti alzi e vedi il mondo intorno a te girare. Nella testa solo una gran confusione; ti manca il respiro… paura, una grande paura… la tua vista sembra appannarsi… hai la sensazione di trovarti in un altro posto… il cuore che batte forte… Sensazioni orrende”



L’attacco di panico arriva, così, da un giorno all’altro. Non è vero che non ti avvisa, lo fa, ma tu sordo e preso dai tuoi mille impegni non lo ascolti. Continui per la tua strada, fino a quando non te la sbarra terrorizzandoti. Da questo momento in poi la tua vita cambia e le domande che ti sentirai rivolgere da quanti ti rimangono vicino suonano più o meno così: ‘Che ti senti?’, ‘Ma non hai nulla, perché non reagisci?’, ‘Tutti gli esami dicono che non hai niente di brutto, quindi basta, è solo nella tua testa’. Potrei andare avanti all’infinto, ma sarebbe del tutto inutile perché chi non sa cosa significa il panico non può capire.

“Prima della malattia ero un ‘iceberg’, quasi senza cuore”

In questa frase scritta da Elisabetta mi ritrovo come non mai ed è così che mi definisco anche io. Non è semplice per niente parlare di questa malattia, anche perché quando arriva il panico sono molti quelli che se la danno a gambe, mentre quelli che restano non sempre sono ‘aperti all’ascolto’. Il panico però va ringraziato perché, nella maggior parte dei casi, risveglia emozioni quasi dimenticate. 


“Combatti, non darti mai per vinto;

cadrai, non importa,

rialzati e prova di nuovo,

piangerai, non importa,

asciugati le lacrime,

un respiro profondo e vai,

fronteggia ogni cosa,

sii sicuro solo di te stesso e della tua forza.

Nel bene e nel male il bello è sempre raggiungibile, basta scorgerlo senza paure.

Perché, ciò che vale veramente, è tutto dentro di te.

Sì, alza la testa e affronta la vita!”

Le parole di Elisabetta sono una carezza per l’anima e una iniezione di coraggio per quanti si trovano sommersi dal panico, ma sono anche un valido strumento per chi non sa come aiutare una persona alla quale vuole bene. Devo essere sincera, per me questo libro è stato un duro scoglio, non per la scrittura scorrevole dell’autrice, ma per il tema trattato. Non è stato semplice sentirsi dire certe cose, ma, ad oggi, dopo averlo metabolizzato bene, lo vedo con una luce diversa. Avete presente quando non volete sentirvi dire certe cose perché in fondo al vostro cuore sapete che sono vere? Bene, questo è quello che mi è successo con La mia vita dentro al D.A.P.

PS: Elisabetta Guidotti ha creato l'Associazione Insieme Onlus Ansia-Attacchi di Panico-Agorafobia per far capire che “tutti ce la possiamo fare”.



La mia vita dentro al D.A.P



Dal Sito: librimedicinaperilcuoreeperlamente.wordpress.com

giovedì 21 maggio 2020

Smettere di parlare a qualcuno è una strategia a cui molte persone ricorrono per “esprimere” rabbia

Talvolta il silenzio viene usato come punizione. Smettere di parlare a qualcuno è una strategia a cui molte persone ricorrono per “esprimere” rabbia, disapprovazione o per rimproverare qualcuno. Quanto è efficace questo metodo per superare un problema o affinché una persona cambi? Perché scegliere di non parlare quando il rancore ti arde dentro?

Instaurare un dialogo con qualcuno non sempre è facile, soprattutto quando c’è di mezzo un conflitto, che sembra non avere alcuna soluzione. Tuttavia, se invece di affrontare direttamente l’argomento si sceglie di non rivolgere più la parola all’altro, si crea solo tensione aggiuntiva. Alla controversia irrisolta si aggiunge un limbo che può arrivare a essere una vera e propria incubatrice di veleno.

Molti, tuttavia, non hanno alcun interesse a risolvere il conflitto mediante il dialogo. In fondo, vogliono che l’altro si sottometta al loro punto di vista, dunque utilizzano il silenzio come punizione, affinché ceda. In definitiva, si tratta di un atteggiamento infantile e l’aspetto peggiore è che non porta a niente, se non a una mera gratificazione egoistica.

Ci sono molte argomentazioni che difendono l’idea per cui smettere di parlare a qualcuno sia giusto. In fondo, però, lo scopo a cui si mira è punire la persona e farle capire la propria disapprovazione senza dover parlare. Ma perché non dirlo, invece di affidarsi al silenzio? I motivi principali forniti da chi optano per questo strumento sono:

  • Preferisco smettere di parlare con una persona piuttosto che essere coinvolto in una discussione in cui ci si scambiano insulti.
  • Questa persona non mi ascolta. Le ho già chiesto di cambiare, ma non ho ottenuto alcun risultato. E allora è meglio non dire niente, anche perché… a che pro?
  • Deve chiedermi scusa per ciò che mi ha fatto (o mi ha detto, o non ha fatto, o non ha detto). Finché non l’avrà fatto, non le parlerò.
  • Perché parlare se poi tanto ci ritroviamo al punto di partenza? Meglio interrompere la comunicazione e vedere se capisce che non ho intenzione di cedere.

In tutti i casi si afferma che il silenzio è l’opzione migliore per veicolare il conflitto. Per un motivo o per l’altro, la parola si è rivelata inefficace. Si decide, dunque, di smettere di parlare a qualcuno affinché questo venga inteso come punizione e, di conseguenza, l’altro riconsideri il suo atteggiamento.

Un silenzio può avere una moltitudine di significati, alcuni dei quali davvero violenti. Smettere di parlare a qualcuno corrisponde ad assumere un comportamento passivo-aggressivo. Questo significa che si sta attaccando l’altro, ma in modo implicito. La maggior parte delle volte, questo atteggiamento risulta altrettanto o addirittura più nocivo dell’aggressione diretta, perché il silenzio rappresenta un vuoto suscettibile a qualsiasi interpretazione.

Per chi smette di parlare a qualcuno, le ragioni sono chiare. C’è anche un’aspettativa ben definita riguardo all’epilogo al quale tale situazione deve condurre.

Ma a tutti coloro che utilizzano tali stratagemmi dovremmo chiedere: siete sicuri che l’altro comprenda davvero il significato del vostro silenzio? Sareste pronti a scommettere che il modo migliore affinché cambi, o faccia ciò che voi desiderate, sia attaccarlo con la mancanza di dialogo?

Il silenzio aumenta la distanza. E la distanza non è solita essere un buon alleato per la comprensione o per restaurare legami rotti o danneggiati. Viceversa, aumenta ulteriormente il divario.

D’altro canto, smettere di parlare con qualcuno può funzionare momentaneamente. Si infligge la punizione e l’altro reagisce: torna per scusarsi, promettere di cambiare o fare ciò che noi desiderate. Tuttavia, a lungo termine, finisce per incubare piccoli rancori che possono crescere. È raro che il silenzio attenui il conflitto di fondo o che ceda il passo alla sua risoluzione, piuttosto si limita a occultarlo.

È anche vero che a volte è meglio tacere. Quando siamo molto esaltati, per esempio. L’ira porta ad esagerare e a voler ferire l’altro, anziché indurre ad esprimere davvero quello che si pensa o prova. Partendo da questi presupposti, non c’è niente di meglio che smettere di parlare per riacquistare il proprio contegno. In tali circostanze, si tratta di una decisione intelligente.

Viceversa, come abbiamo già detto, smettere di parlare per punire o affinché l’altra persona “si arrenda” raramente porta buoni risultati. A volte dobbiamo affrontare la sfida che presuppone esprimere la nostra ira o arrabbiatura, senza però ferire l’altro. La soluzione non consiste nello smettere di parlare, bensì nel cercare e trovare i mezzi per gettare dei ponti verso la comprensione. L’assenza di parole può far cedere l’altro, ma questo non significa che il conflitto scompaia. D’altro canto, può anche succedere che ciò non accada e che quella che all’inizio era una palla di neve sfoci in una valanga.

Forse basterebbe cercare delle condizioni di dialogo migliori, oppure un modo diverso di esprimere la nostra disapprovazione. Rendere l’ambiente routinario più caloroso e amorevole contribuisce a rinvigorire la comunicazione, a volte. Parlare col cuore, attenendosi sempre ai propri sentimenti, a ciò che proviamo noi e non a ciò che si crede provi l’altro, è una formula che non guasta mai. Proviamoci.


Dal Sito: aprilamente.info 


Liberatevi del passato e cominciate a vivere il presente



Ci sono persone che si concentrano sul passato e questo impedisce loro di andare avanti verso un futuro migliore. Quel passato può far male, ma per quanto lo vogliamo, non è possibile cambiarlo. Vivere la vita significa godersi il momento qui ed ora per poter trovare la strada che porta alla felicità.

Per vivere nel presente, la vostra coscienza dovrà concentrarsi sul qui ed ora. Non vi preoccuperete troppo del futuro e i sentimenti negativi non vi impediranno di andare avanti a causa del passato. Vivere nel presente significa vivere quello che vi sta accadendo proprio in questo momento.

Il passato e il futuro sono illusioni, sono nella vostra mente; tuttavia, il passato non esiste più e il futuro non è ancora stato creato. La realtà è che il domani non arriva mai, è soltanto un concetto che utilizziamo per comprendere la linea del tempo. Un tempo che è adesso, in questo preciso istante.

Se non vivete nel presente è perché vivete un’illusione. Quante volte vi siete preoccupati o addirittura vi siete sentiti male per qualcosa che non sapevate se sarebbe davvero successa? Quante volte vi siete sentiti in colpa per errori che avete commesso, anche se ormai è passato tanto tempo? Se è quello che vi succede la maggior parte delle volte, è perché vi sentite intrappolati nelle illusioni passate e future.

Vivere nel presente vi aiuterà a migliorare non solo il vostro benessere emotivo, ma anche la vostra salute fisica. Non vivere il presente, invece, li comprometterà entrambi. Lo stress mentale del vivere nelle illusioni e preoccupazioni avrà un impatto negativo nella salute fisica ed emotiva.

Quando invece vivete nel presente, fate la pace con il vostro passato e non avete la pretesa di controllare il futuro, allora vi troverete nella fase dell’accettazione. Inizierete a vedere la vita per quello che è adesso e non come avreste voluto che fosse.

Quando accettate, vi rendete conto delle cose così come sono. Potrete perdonare voi stessi per gli errori che avete commesso in passato e riuscirete a trovare la pace nel vostro cuore, consapevoli che quello che dovrà accadere, accadrà.

Ci sono persone che provano un’ansia profonda, perché si fermano per guardare indietro o perché non smettono di prevedere il futuro. Ma il motivo più grande per cui tanti faticano a vivere nel presente è perché non non smettono di parlare né di pensare. Parliamo continuamente di noi stessi, ci è molto difficile ascoltare qualcosa che non siano i nostri pensieri e ci dimentichiamo di entrare in contatto con la realtà.

A tutti noi piace inventare storie, raccontarle ed ascoltare quelle degli altri per confrontarle con le nostre. Non è una cosa sbagliata e in qualche modo la vita è fatta di storie. Il problema comincia quando avvertiamo la necessità di creare storie su ogni cosa e confondiamo tutto.La realtà non è un concetto, la realtà è adesso. Quando vi renderete conto di questo, la pace sarà già dentro di voi.

La cosa peggiore del vivere nel passato o del pensare costantemente al futuro è che si rinuncia al proprio potere interiore. Se non vivete il presente, rinunciate alla vostra vita, impedite alla vostra creatività di crescere e dimenticate che voi, e solo voi, avete l’opportunità di modellare la vostra vita per raggiungere il benessere emotivo.

Se avete bisogno di apportare dei cambiamenti nella vostra vita per stare meglio, non aspettate e fateli adesso. Solo quando comincerete a camminare, troverete la vostra strada. Se vivete nel passato, sappiate che non potete fare nulla per cambiarlo; se vi preoccupate troppo del futuro, ricordate che non vi è possibile migliorarlo, a meno che non lo facciate adesso, nel presente. Se volete vivere in pace con il vostro passato e avere un futuro migliore, accettate la realtà in cui vi trovate oggi.

Sembra complicato vivere nel presente, ma quello che dovrete fare è solamente rompere le catene del passato e smettere di prevedere quello che accadrà in un futuro. Lavorate sul presente e il passato sarà un insieme di bei ricordi, mentre il futuro sarà la strada che state percorrendo.

mercoledì 20 maggio 2020

Il distanziamento sociale e le sue conseguenze: indifferenza, diffidenza e comportamenti fobici

Il nostro Paese sta uscendo da una delle bufere più potenti degli ultimi anni. Si tratta di uno dei momenti storicamente più difficili, in cui agli italiani è stato chiesto di sostenere immensi sacrifici, molti dei quali, oltre a influire sul lavoro, sull’economia e su molto altro che sentiamo o leggiamo ogni giorno, hanno influito sulla psiche e la tenutamentale di ciascuno.

Come ben sappiamo, essere italiani significa essere calorosi, aperti e sociali e il contatto, in termini di strette di mano, pacche sulle spalle e abbracci, rappresenta uno dei tratti distintivi della popolazione.

La cena fuori tra amici, l’aperitivo pomeridiano sono attività che rappresentano l’essenza della routinedi ognuno, a lungo spazzata via da un mostro chiamato distanziamento sociale. E per quanto sperassimo che esso potesse durare il minor tempo possibile, siamo, ormai, coscienti che dovremo averci a che fare ancora per tanto tempo.

Nei due mesi appena trascorsi, numerosi sono stati gli effetti che questo ha causato, anche in minima parte, su ogni persona che si sia trovata a conviverci. Un senso iniziale di cronico sconforto, dettato dalla chiusura, si è man mano trasformato in un disagio dovuto alla possibile riapertura e ripresa delle normali attività giornaliere.

Ciò ha sicuramente influito e influiràancora sulle relazioni interpersonali, ma non solo.

Basti pensare, e molti ne avranno già avuto esperienza diretta, all’effetto di una semplice passeggiata nei pressi della propria zona, in cui si passa dal “fuggi fuggi”, all’attraversamento repentino da un marciapiede ad un altro, al controllo maniacale dei dispositivi di sicurezza individuale proprio e altrui.

Tutto questo si riflette in ognuno di noi, indubbiamente, sia in termini di indifferenza che di una sempre maggiore diffidenza nei confronti degli altri, siano essi conoscenti o sconosciuti.

Per parlarne in maniera più approfondita è servito il parere di una psicologa esperta, la dott.ssa Caterina Maugeri.

“Il distanziamento sta avendo delle terribili conseguenze soprattutto sui bambini, non soltanto in termini didattici, ma per la socializzazione, la condivisione e l’interazione con i coetanei. Sarà una lacuna che si porteranno per tanto tempo. Lo stesso vale per il popolo italiano nello specifico, che rispetto ad altri, ne risente e ne risentirà di più, perché l’istinto naturale degli italiani è quello di instaurare un contatto. Lacomunicazione non verbale è per noi una delle più importanti, soprattutto nel centro-sud“. 

Il problema è che la situazione non cambierà in quanto, pur ricominciando a riaprire con le nuove ordinanze, la regolamentazione sul distanziamento sociale non cambierà di qui a breve. Si vede che la gente è quasi spaventatanell’avvicinarsi, quindi anche se un giorno ci sarà la possibilità di allentare o annullare la distanza, non sarà così immediato. Dovrà esserci una ripresa che cambierà le nostre abitudini. Per quanto potremo venirci in contro, non ci sarà più la stessa necessità vista e vissuta dalle generazioni precedenti. Si riaprirà piano piano ma con questo nuovo approccio“.

Fortunatamente all’interno del contesto familiare le manifestazioni affettive nei confronti dei diversi membri non sono cambiate e soprattutto i bambini in questo non dovrebbero risentirne“.

Persone distaccate con lo sguardo fisso nel vuoto dominano la scena attuale: “Il tutto si riflette sicuramente in sentimenti di indifferenza e diffidenza, ma non nei confronti dell’altro, solo per una protezione personale. Si tratta di una tendenza alla sopravvivenza e alla tutela della propria salute. Viene prima il rispetto e la tutela dell’io e della propria persona rispetto all’ approccio con l’altro e all’approccio sociale“.

Un’altra conseguenza del distanziamento potrebbe essere quella di comportamenti fobici e ossessioni per le malattie. “Gli italiani, in realtà, non vedono l’ora di tornare a uscire, e credo che se ci fosse stato un sentimento generale di paura o di ansia generato dalla pandemia non ci sarebbe stata già tutta questa confusione, prima dell’apertura programmata per il 18 maggio. Le ossessioni e le fobie si riscontrano sicuramente, ma per casi e soggetti già predisposti, già con una tendenza ipocondriaca, soggetti predisposti strutturalmente alle malattie. Quindi sicuramente andremo in contro a un forteaumento di ansie e attacchi di panico“.


Dal Sito: newsicilia.it

Fase 2: come uscire dal lockdown senza farsi travolgere dall’ansia

I meccanismi che entrano in gioco quando il timore convive con il desiderio di ripartire

Fino a questo momento il fatto di stare chiusi in casa chi ha fatti sentire al sicuro, per quanto annoiati e un po’ depressi. Ora i blocchi si stanno aprendo e ci viene restituita la facoltà di muoverci, di lavorare e di incontrare i nostri cari. Eppure, le sensazioni di ansia e di affaticamento che ci hanno fatto compagnia in queste difficili settimane non sembrano allontanarsi: temiamo semplicemente cose diverse. Insomma, la Fase 2 si sta dimostrando complicata quanto quella dell’emergenza. Scopriamo perché.

IL MOMENTO DELLA RESPONSABILITÀ – Nelle settimane di lockdown in fondo la mission era elementare: restare chiusi in casa. Organizzarsi è stato ovviamente molto complicato, ma l’indicazione di per sé era semplice e non lasciava margini di interpretazione. Ora invece ci è chiesto di assumere un comportamento molto più attivo: possiamo uscire ed incontrare gli amici, ma conservando il distanziamento sociale; possiamo andare a prendere il caffè al bar, ma solo secondo certe modalità di comportamento; possiamo fare sport all’aperto, a patto di usare fastidiosi dispositivi di protezione. Insomma, conservare le giuste condizioni di sicurezza e applicarle secondo quanto richiesto dalle diverse situazioni dipende in gran parte da noi e richiede un impegno e una vigilanza momento per momento. 


GLI ASSEMBRAMENTI – Sono i nemici numero 1 delle nostre giornate, eppure sono difficilissimi da prevenire e contrastare. Secondo la psichiatra e psicoanalista Adelia Lucattini, della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) e International Psychoanalytical Association (IPA), la tendenza ad avvicinarci ai nostri simili anche più del dovuto è anche una conseguenza della sindrome da deprivazione sensoriale di cui abbiamo sofferto durante il lockdown. Trascorrendo intere giornate chiusi in una stanza in smart working o, nel caso dei bambini e degli adolescenti, in cameretta a giocare, fare lezione online o in chat con gli amici, ha fatto sì che i nostri sensi (vista, udito, tatto) non siano stati stimolati come di consueto da luce, suoni, variazioni della temperatura. In queste condizioni, la nostra percezione dei confini corporei diminuisce e restare a lungo in queste condizioni può causare inconsueti stati di stanchezza anche nel fare le cose più semplici. Quando poi ci troviamo ad uscire finalmente dal nostro guscio, siamo aggrediti dagli stimoli esterni ai quali non siamo più abituati: diventiamo così facili prede dell’ansia e tendiamo a cercare rifugio in altri luoghi chiusi, accalcandoci insieme a un numero maggiore di persone rispetto a quanto sarebbe consigliabile, ma anche avvicinandoci inconsapevolmente agli altri più di quanto vorremmo. Ecco perché gli assembramenti non sono solo segnale di desiderio di socialità, ma anche un bisogno istintivo di vicinanza, difficile da contrastare. 


PAURA E ANSIA - Di per sé non sono un fatto negativo. La paura è un’emozione primaria, fondamentale per la nostra difesa e per la sopravvivenza, che ci spinge a stare alla larga dai pericoli. Entro certi limiti è un aiuto, ad esempio il timore del coronavirus ci può aiutare a ricordarci di lavare le mani, indossare la mascherina e attuare determinati comportamenti. Quando però l’ansia diventa eccessiva, ci porta a comportamenti poco lucidi e controproducenti. Va quindi gestita e contenuta, sulla base di dati reali, in modo da attivarci solo di fronte a una minaccia vera, concreta. 


RESILIENZA – La resilienza, in fisica, è la capacità dei materiali di resistere a un urto o a uno sforzo senza spezzarsi o incrinarsi. In psicologia è la flessibilità e la capacità umana di adattarsi alle diverse situazioni senza farsi travolgere dalle difficoltà, ma trasformandole in occasioni di crescita e in un nuovo inizio. E’ insomma la virtù che più può aiutarci in questo momento. La resilienza ci aiuta anche ad essere consapevoli che, qualunque siano le condizioni in cui ci troviamo a vivere, abbiamo sempre la facoltà di attribuire un significato alle nostre azioni, e che di questo significato siamo responsabili in prima persona.  


DIAMOCI TEMPO E CERCHIAMO I LATI POSITIVI DELLE SITUAZIONI – Facciamo appello a tutto il nostro ottimismo e sforziamoci di cogliere gli aspetti positivi delle diverse situazioni che ci troviamo a vivere: lo smart working ci lascia più tempo per gestire la casa e la famiglia, ci siamo goduti tanti momenti in compagnia dei bambini, abbiamo scoperto di essere bravi in cucina. Ora è il momento di essere generosi con noi stessi: prendiamo atto delle nostre sensazioni ed emozioni, comprese quelle negative, econcediamoci il tempo di superare tutto questo, riconquistando le nostre libertà, muovendoci con senso di responsabilità negli spazi che tornano ad aprirsi davanti a noi, oppure anche assecondando il nostro desiderio di cautela, se questo ci fa sentire più sereni.


Dal Sito: tgcom.24

Sviluppare la resilienza per superare questo difficile periodo


Ognuno di noi affronta lo stress in modo caratteristico, impiegando una determinata strategia di fronteggiamento 

Una buona gestione nello stress, in questo frangente, avrebbero ricadute positive su ogni fronte, ecco i primi 10 vantaggi che mi vengono in mente:

  1. Meno litigi in casa
  2. Più tempo da dedicare a sé stessi
  3. Meno fame emotiva
  4. Comunicazione più efficace
  5. Home di Facebook con meno notizie allarmanti
  6. Gestione domestica più efficiente
  7. Migliore qualità del sonno
  8. Maggiore concentrazione
  9. Riduzione dei pensieri ruminanti
  10. Esame della realtà più accurato

L’elenco precedente è solo parziale e non è affatto esagerato. Ecco un esempio pratico

Il caso di Maria

Ogni giorno, la conta delle vittime è elevata e questo getta tutti nello sconforto. E’ normale.

Il problema più grande di Maria sembra essere la carenza di mascherine tra il personale medico-sanitario. Preciso che Maria non è un operatore sanitario ma è talmente indignata e alterata per questa questione che ha costantemente i nervi a fior di pelle.

E’ arrabbiata con i ministri, con la protezione civile, con la popolazione e anche con lo stesso personale medico… Intanto litiga con figli e marito, scrive commenti sprezzanti su Facebook e fa molte polemiche sulla gestione adottata dallo Stato.

Maria investe le sue energie in problemi che non può cambiare. Il suo atteggiamento ha ripercussioni sull’esterno, a cominciare dalla sua famiglia che uscirà da questa pandemia più stressata del dovuto.

Maria è entrata in paranoia per la prevenzione del contagio ormai è così confusa che non sa più quali pratiche sono eccessive e quali indispensabili… passa il suo tempo a leggere articoli online e questo amplifica la percezione del pericolo.

La convivenza è un incubo, tutti sono sul sentiero di guerra e nessuno è disponibile all’ascolto, il terrorismo mediatico fa la sua parte e la sera, dopo il tg, Maria si mette a letto carica d’ansia.

La pandemia è un evento allarmante, tuttavia è stato il pessimo autocontrollo di Maria a rendere la sua vita un incubo… non la pandemia in sé.

E’ chiaro che la gestione di una pandemia non è affatto facile: tutto ciò che possiamo fare è accettare la realtà dei fatti. Tutto è successo troppo velocemente mettendo a dura prova un sistema sanitario che era già alle corde con i suoi malati ordinari.

E’ normale, molte questioni possono farci sentire impotenti ma l’impotenza non deve essere trasformata in frustrazione e poi in rabbia spostata. E’ normale anche essere preoccupati per il contagio.

La possibilità del contagio non dovrebbe renderci isterici ma più vigili e attenti nel rispettare le normative ministeriali.

Gli eventi esterni possono innescare reazioni funziona o disfunzionali, in base al modo in cui riusciamo a regolare le nostre emozioni.

La tenuta psichica

Alcune persone affrontano lo stress con calma e tranquillità, altre, invece, assumono un comportamento di massima attivazione anche in caso di minimo stress. E’ chiaro che la pandemia in corso non rappresenta un caso di minimo stress, anzi! Si tratta di un evento eclatante che colpisce in pieno l’intera collettività.

Mentre le reazioni di massa sono materia della psicologia sociale, in questo articolo parleremo delle strategie di coping individuale e, in particolar modo, di un fattore protettivo, la resilienza.

La resilienza

La resilienza, in psicologia, è definita come la capacità di resistere, superare e prosperare anche nelle più profonde avversità.

Alla base della resilienza vi è la fiducia, fiducia nelle proprie risorse e, dunque, in ciò che verrà, anche quando gli eventi avversi non sono controllabili.

Chi è resiliente riesce a spostare l’attenzione dalle preoccupazioni attanaglianti alla volontà di costruire qualità positive per potenziare le proprie capacità di resistenza e adattamento.

Soffermiamoci sul ruolo delle risorse nei momenti di stress: ogni individuo ha risorse limitate, se investiamo il 90% delle nostre risorse in comportamenti disfunzionali (rimuginare, allarmarsi, angosciarsi, ricercare colpevoli, accanirsi, polemizzare…), solo un 10% saranno destinate alla crescita e all’adattamento; ma non è solo una questione di risorse. La resilienza è una vera e propria abilità umana e, come ogni capacità, è passata per l’apprendimento.

In genere, la resilienza individuale si sviluppa a partire dai primi anni di crescita, insieme al senso di auto-efficacia… tuttavia, indipendentemente dalla tua istruzione e dai tuoi rapporti familiari, anche tu puoi imparare a essere resiliente.

Chi è la persona resiliente?

“Gli individui resilienti sono generalmente accomodanti e gentili, e hanno buone abilità sociali, sono tipicamente indipendenti e hanno una sensazione di controllo sul proprio destino, anche se esso ha inferto loro un colpo devastante. in breve, essi operano con quanto hanno a disposizione e sfruttano al meglio qualsiasi situazione in cui vengono a trovarsi” (Friborg et al., 2005; Deshields et al., 2006; Sinclair et al., 2013).

Aumentare la propria resilienza richiede tempo, uno dei vantaggi della quarantena è che ci concede più tempo da dedicare alla nostra crescita interiore. Proviamo a iniziare da qui.

Preciso che non esiste una ricetta che possa garantirti una dose di resilienza, ma ci sono dei primi passi che ti consentono di sviluppare delle buone strategie di coping utili per non lasciarsi sopraffare dallo stress.

1. Non chiuderti in te stesso

Il dolore, i sensi di colpa, il senso di perdita… sono emozioni molto forti; condividere i propri vissuti emotivi può essere molto utile in situazioni in cui la tensione raggiunge alti livelli.

2. Fai ordine in te stesso

Alla base della resilienza vi è una buona conoscenza di sé e dei propri meccanismi interiori.

Ti sei mai chiesto perché su Facebook ci sono così tanti attaccabrighe? Perché lo schermo abbassa i filtri che possiamo trovare nella vita off-line e anche perché ci sono troppe persone che non conoscono se stesse e sfogano le frustrazioni altrui sul prossimo.

In questo periodo le liti familiari sono in aumento ma ciò non è legato solo alla convivenza forzata: molto è dettato dal disordine interiore e dalla rabbia spostata.

Il disordine interiore consiste in una fitta nebbia che ti confonde, che innesca stati mentali difficili da interpretare… Questa nebbia innesca uno stato di malessere generale che si trasforma in rabbia, intolleranza e irritazione. Il risultato? I livelli di pazienza sono azzerati e qualsiasi input è vissuto come una provocazione esterna.

In pratica, uno stato di malessere individuale va a rendere più difficili le relazioni interpersonali. L’esame di realtà risulta del tutto compromesso: anche gesti neutrali possono essere letti come irritanti o minacciosi. Tutto questo perché alla base non è stato possibile elaborare un malessere. Alla base c’è stato un rifiuto della realtà che ha generato una forte intolleranza.

La vita di ognuno di noi è costellata da eventi dolorosi e ingiustizie. In questo contesto, bisogna lavorare sull’accettazione così come spiegato in questo articolo “accettazione“.

3. Lavora sulle tue risorse

Prenditi cura di te e lavora sul tuo senso di auto-efficacia. L’autostima è un pilastro fondamentale per sviluppare la resilienza.

4. Assumiti la responsabilità delle tue emozioni

Il “sono fatto così” non è una buona scusa per non migliorarsi. Assumersi la responsabilità che ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni e dei propri stati mentali, è il primo passo verso il cambiamento.

Assecondare e fomentare la crisi non migliorerà la situazione, non lo faranno neanche comportamenti aggressivi o l’over-posting si articoli allarmanti sul tuo profilo FB.

La resilienza richiede un grosso sforzo affinché la calma possa prevalere sulle pressioni emotive. Il volume delle emozioni è qualcosa che può essere regolato. La calma è legata al mondo in cui ognuno di noi sceglie di rispondere agli eventi.

Forse, fino a oggi, non hai avuto modo di sviluppare risposte più funzionali… probabilmente nella tua famiglia di origine le crisi venivano affrontate gridando e impartendo ordini. Questa soluzione, oggi, non è ne’ utile, ne’ funzionale… anzi, sta distruggendo la tua nuova famiglia.

Massimizza l’accettazione e pratica la calma. Anche le tue relazioni interpersonali potranno beneficiare di questo nuovo approccio!

5. Sposta l’attenzione

Sposta l’attenzione da “ciò che non va” a “ciò che posso fare in questo momento per migliorare la mia vita“.  Nell’articolo intitolato “il tempo in quarantena non è tempo perso” sono annoverate 10 attività che puoi svolgere in casa, si tratta di buone pratiche che ti aiutano a gestire l’ansia e l’angoscia del contagio.

Dal Sito: psicoadvisor.com