giovedì 26 novembre 2020

Rinunciate alle persone che non vi ritengono importanti



Rinunciate a tutte le situazioni che vi fanno stare male, rinunciate alle persone alle quali non importate più. Rinunciare non è facile, è un passo molto importante nel quale ci sentiamo insicuri e pieni di dubbi. Nonostante ciò, ci sono momenti nei quali non ci resta altra scelta se vogliamo smettere di soffrire.

È difficile lasciar andare le persone che, in passato, sono state importanti per noi. Adesso, non guardano più nella stessa nostra direzione, le loro mete e i loro obiettivi non coincidono più con i nostri. Che cosa ci donano ora? Restare legati a loro non farà che farci soffrire e ci impedirà di andare avanti. La soluzione più intelligente è, quindi, rinunciare.


Rinunciare non significa sempre essere deboli. A volte dimostra che siamo abbastanza forti da lasciar andare.

Rinunciate per rispetto nei vostri confronti

Quante volte abbiamo parlato della bellissima metafora del treno? Quel treno sul quale noi siamo i protagonisti, sul quale ci sono persone che salgono e che restano a bordo, mentre altre decidono di scendere dopo qualche stazione. Ad alcune perone dedicheremo soltanto un saluto. Con altre, invece, condivideremo il nostro viaggio ed intraprenderemo una relazione e un legame molto più profondi.

Che cosa succede con le persone che diventano importanti per noi? Vorremmo che restassero a bordo del nostro treno e che non scendessero mai più. Tuttavia, non possiamo costringere nessuno ad accompagnarci fino alla fine del nostro tragitto. Molte di queste persone scenderanno e ciò, all’inizio, farà molto male. Tuttavia, con il trascorrere del tempo, capiremo che bisogna imparare a lasciar andare, perché nessuno ci appartiene.


Afferrarsi ad una situazione che non ha futuro ci farà solo stare male. Stiamo dando tutto ciò che abbiamo per una relazione che non ha alcuna via d’uscita. C’è sempre stato detto che dobbiamo dare senza aspettarci nulla in cambio. Eppure, il problema sorge quando questa dinamica diventa un’abitudine e corriamo il rischio di farci del male, sbattendo più e più volte contro lo stesso muro.
Rinunciare a qualcuno che è stato importante per noi è molto difficile.
Rinunciare ad una persona è un atto di amor proprio. Dobbiamo concederci l’opportunità di far cicatrizzare le ferite nate da quella relazione che non è stata fruttifera. Solo in questo modo riusciremo a conoscere altre persone e a scoprire che esistono quelle che ci daranno davvero una mano, liberamente, durante tutta la nostra vita.

Non essere sicuri dei sentimenti altrui

A volte i sentimenti di una persona cambiano, ma comunque non ci abbandona. Questo accade spesso nelle relazioni di coppia dove l’amore si riduce ad affetto, nonostante ciò, si decide di restare insieme. A volte non si ha abbastanza coraggio, poiché ormai ci si è “abituati” a stare insieme. Altre volte, invece, si pensa che il proprio partner non abbia la colpa di non essere più amato.

Il problema principale di questa situazione è che entrambi i partner finiscono per soffrire. Uno dei due si ritroverà vuoto, perché il proprio partner non soddisfa più le sue necessità, mentre l’altro si sentirà incatenato, perché sta con una persona per la quale non prova più niente.

In questo modo, non è strano che le dimostrazioni d’affetto vengano spazzate via dalla frustrazione e che sorgano quei segnali inequivocabili che indicano che tutto è ormai finito:

  • Non si preoccupa più delle vostre necessità, soprattutto dal punto di vista affettivo. Le dimostrazioni di affetto fanno ormai parte del passato ed è per questo che iniziate a sentirvi soli e abbandonati.
  • Non prende in considerazione le vostre idee o i vostri criteri e quindi inizia a prendere decisioni per contro proprio. Nella maggior parte dei casi, tutto ciò ha lo scopo di soddisfare le sue necessità.
  • Siete voi a mantenere a galla la relazione, a dare tutto. Se, ad un certo punto, smetteste di dare, sapendo che non ricevereste nulla in cambio, la relazione giungerebbe alla fine.
  • Iniziate a sentirvi umiliati, criticati… Il vostro partner inizia ad allontanarsi da voi senza un motivo apparente. All’improvviso, ciò che era la vostra fonte di infelicità è diventata la vostra giuria più severa.
Quando soffrite perché avete rinunciato a qualcuno, ricordatevi che non esiste sofferenza maggiore che rinunciare a se stessi
Per qualche motivo, non siete più una priorità per quella persona speciale e ciò vi fa male. La cosa giusta da fare sarebbe che questa persona fosse sincera con voi, per non dover riconoscere questi indizi da soli, il che non è certo piacevole.

Ricordatevi che la rinuncia è un atto volontario, anche se in realtà non volete farlo. Tuttavia, dovete prendere questa decisione per evitare di soffrire ancora.

Nella vostra vita vi ritroverete spesso in situazioni nelle quali dovrete decidere di rinunciare a partner, amici e persino alla vostra famiglia. Imparare a dire addio, capire che quella separazione è positiva per voi è una realtà che capirete solo con l’esperienza.


SENSO DI COLPA: COS'È E COME GESTIRLO EFFICACEMENTE



Il senso di colpa è un'esperienza emotiva sgradevole che si prova quando si ritiene di aver trasgredito ad una norma morale facendo soffrire altre persone o negando loro il nostro aiuto.

E' considerato, infatti, un'emozione morale e sociale, perchè si basa su un confronto con gli altri e l'ambiente esterno.

E' la manifestazione dell'empatia, poichè solo un individuo capace di mettersi al posto degli altri, può immaginarne la sofferenza.

Si configura, perciò, come un'emozione sana perchè aiuta a rispettare gli obblighi della vita in società.

Quando però, il senso di colpa, diventa eccessivo e prolungato, incrementa il rischio di sviluppare patologie mentali come la depressione e l'ansia cronica.

Il meccanismo principale che innesca il senso di colpa persistente è rappresentato dal desiderio di conseguire un controllo onnipotente sugli eventi di vita. Ad esempio, una donna che minaccia il patner di suicidarsi qualora venga interrotta la loro relazione, cerca di colpevolizzare il partner manipolando la relazione e negando la libertà di scelta che ognuno dei due ha.

In questo modo, la donna acquisisce un potere illusorio di controllo sul partner che la rassicura rispetto ad una realtà per lei angosciante: l'impotenza di fronte alle decisioni altrui. Qualora il partner accetti, più o meno consapevolmente, questa manipolazione, può percepire a sua volta un vissuto di onnipotenza che induce, però, nella relazione una sensazione di coercizione la quale limita fortemente la libertà affettiva di entrambi e quindi la soddisfazione di coppia.

Proprio perchè il senso di colpa eccessivo offre l'illusione di poter eliminare l'angoscia dell'incertezza, l'individuo che lo sperimenta trova difficile moderarlo.

Per gestire efficacemente il senso di colpa è, quindi, essenziale aiutare l'individuo a prendere coscienza del senso di limite ed impotenza, intrinseco alla nostra condizione umana, lavorando sui seguenti punti:

1) Rinunciare alle proprie fantasie di onnipotenza e accettare che spetta agli altri attribuirsi le conseguenze delle propie azioni. Ciò equivale a restituire agli altri le responsabilità di ciò che fanno, dei loro pensieri ed eventualmente del loro malessere. Poichè tutti hanno la libertà di scegliere, non è possibile imputare la responsabilità delle loro scelte a qualcun altro. Il ricatto affettivo descritto nell'esempio precedente, pone in evidenza la deresponsabilizzazione della donna che tenta di attribuire al partner il peso di un'azione che potrebbe compiere lei e rispetto alla quale, è di fatto, la responsabile.

2) Accettare di vivere in un mondo in cui non possiamo controllare ogni cosa, un mondo in cui la nostra influenza è senza dubbio reale, ma limitata.

3) Potenziare l'intelligenza emotiva: le nostre emozioni dipendono dalle nostre valutazioni personali, quindi la causa di esse va ricercata in noi stessi. Ossia: l'evento che attiva la nostra reazione emotiva viene definito detonatore, mentre la causa è il nostro modo di interpretare questo evento. Ad esempio: un dipendente completa a fatica un documento richiesto dal capo, che però, si limita a dargli un'occhiata veloce. Il dipendente prova frustrazione. Il detonatore di questa emozione è senza dubbio, l'atteggiamento del capo, ma la causa della frustrazione è la valutazione che fa il dipendente circa la situazione: il suo bisogno di riconoscimento professionale non è stato soddisfatto, perciò prova frustrazione.

Questa distinzione tra causa e detonatore è fondamentale per chi desidera imparare a gestire le proprie emozioni, in particolare il senso di colpa.

Infatti, un gran numero di persone pensa di subire le proprie emozioni, perdendo tutto il potere su di loro. Al contrario, riappropriandosi della causa di ciò che si prova e lavorando sulle nostre interpretazioni degli eventi, è possibile imparare a gestire efficacemente le emozioni ed il senso di colpa.

In questo modo, si è consapevoli di avere la scelta di agire, anzichè limitarsi a reagire passivamente, giungendo così a restituire al senso di colpa la sua funzione di regolatore sociale e morale.

Un percorso di psicoterapia individuale può aiutare il soggetto sopraffatto dal senso di colpa a rinforzare la sua intelligenza emotiva ridimensionando il nucleo pervasivo del senso di colpa, identificato come uno dei principali meccanismi di innesco e mantenimento della depressione e dell'ansia.

Dal Sito: psicologionline

ATTACCHI DI PANICO IN MEZZO ALLA GENTE: ALCUNI CONSIGLI UTILI PER AFFRONTARLI




L’attacco di panico fa parte dello spettro dell’ansia, come il disturbo d’ansia generalizzata e le fobie. Si parla di disturbo di panico quando gli attacchi si verificano in maniera ricorrente e imprevedibile. Tali crisi sono eventi di alcuni minuti caratterizzati da un’ansia e una preoccupazione crescenti e un’intensa paura di morire e di impazzire, accompagnati da sintomi somatici respiratori e cardiaci quali tachicardia, palpitazioni, fame d’aria, dolore toracico e sensazione di oppressione o soffocamento. È possibile provare sentimenti di irrealtà, come depersonalizzazione o derealizzazione, che rappresentano i sintomi psichiatrici del disturbo.

È possibile che la paura di un altro attacco sia tanto intensa che la persona si ritrova a evitare i luoghi pubblici e limitare significativamente le uscite; così, potrebbe modificare la propria vita nella paura di rivivere un evento simile, inficiando la propria socialità e qualità di vita. Tale atteggiamento di fuga e di evitamento non fa altro che rinforzare la propria vulnerabilità, portando allo sviluppo dell’agorafobia, cioè la paura di usare i mezzi pubblici, di stare in mezzo alla gente, di trovarsi in grandi spazi aperti o chiusi e, in generale, di stare da soli fuori da casa propria.

Ciò che contraddistingue il panico è l’ansia. K. Schneider definisce l’ansia come quella sensazione di tensione e malessere che sta nel fondo della vita psichica di tutte le persone. Definisce il panico, invece, come una reazione abnorme a un avvenimento, caratterizzato da una insolita intensità, da una inadeguatezza rispetto al motivo che lo ha scatenato e dall’assunzione di un comportamento esagerato per il contesto.

A causa del presunto stigma sociale, molte persone che soffrono di ansia non cercano aiuto e, per vergogna o per paura, si chiudono in sé stesse. Oggi le conoscenze del campo si sono parecchio ampliate e chiedere aiuto si rivela davvero utile per accettare il disturbo e, di conseguenza, evitare che si instaurino circoli viziosi di preoccupazioni e potere così condurre una vita “normale”.

L’ansia e il panico sono due condizioni emergenti, addirittura prevalenti, della società moderna. Colpiscono 2-3 volte di più le donne che gli uomini e si verificano soprattutto nei giovani. In Italia, secondo il Ministero della Salute il disturbo di panico colpisce 7 milioni di persone e si stima che un attacco colpisca fino al 5% della popolazione nell’arco della vita. Le statistiche potrebbero sottostimare il fenomeno, dal momento che sono molti i casi non diagnosticati per via dell’atteggiamento di chiusura delle persone affette.

Di fronte ad attacchi di panico frequenti, è opportuno che un professionista faccia una diagnosi precisa, escludendo qualsiasi causa di natura organica. Per gestire al meglio il disturbo di panico, si preferisce un approccio integrato che preveda la psicoterapia, come ad esempio la terapia cognitivo comportamentale, e in certi casi la farmacoterapia. Fondamentale è la psicoeducazione: è necessario ricevere tutte informazioni sui meccanismi clinici e psicologici della propria condizione, in modo da essere coscienti che l’attacco in sé non è pericoloso e identificare le proprie paure.

Non sempre i farmaci sono necessari, ma a volte costituiscono un ausilio nel percorso terapeutico. In questo caso sarà lo psichiatra a formulare la terapia farmacologica più efficace per il caso specifico, qualora si riveli necessaria, valutando le eventuali comorbilità e gli effetti collaterali.

Affidarsi a uno psicologo è la scelta più saggia, in modo da essere guidati in questo percorso di scoperta personale da chi, con competenza, offre strumenti potenti per gestire il problema e modificare la propria struttura di pensieri “mal-funzionanti” collegati al panico e all’ansia. Una delle tecniche più efficaci ed utilizzate nella terapia, è l’esposizione graduale: una situazione “ansiogena” viene destrutturata in step, nonché piccole sfide da affrontare gradualmente: avere successo ad uno step funge da fattore “decondizionante” per lo step successivo, riducendo la preoccupazione.

Per chi cerca di controllare un attacco, anche fuori casa, è particolarmente utile padroneggiare una respirazione lenta, dato che l’iperventilazione è uno dei sintomi quasi sempre presenti. Inoltre, andrebbero apprese delle tecniche di rilassamento, come il rilassamento isometrico, che prevede una sequenza ripetuta di tensione e distensione di un gruppo muscolare. Altri strumenti preziosi sono l’allenamento dell’attenzione, la meditazione mindfulness o il body-scan, tecniche che permettono di ristrutturare i propri pensieri grazie a una “pulizia” della mente.

Qualsiasi sia il trattamento che si decide seguire, è decisivo auto-osservarsi durante, prima e dopo gli attacchi, per identificare le situazioni e riconoscere le circostanze ad essi correlate, prevedere quali sono i comportamenti protettivi o di evitamento messi in atto, guardare come cambiano i propri pensieri con la crisi, osservare i sintomi fisici che emergono, e fermarsi a riflettere, in maniera analitica, sui processi che si sperimentano, in modo da fare chiarezza sul proprio stato psicofisico, passo per passo, in un percorso di auto-conoscenza.

Dal Sito: psicologionline

C’è sempre una canzone (d’amore): En e Xanax





Se dovessimo contare il numero esatto delle paure che noi esseri umani possiamo provare, sarebbe impossibile. Nella lista di quelle più diffuse, che gli esperti chiamano per l’esattezza, fobie, troviamo la fobia dei ragni, quella dei serpenti, la fobia di volare. Poi c’è chi ha paura del buio o dei cani o ancora di parlare in pubblico. Io, ad esempio, ho paura dell’altezza. Da piccola quando dovevo tuffarmi dagli scogli, non ci riuscivo e non ci riesco nemmeno ora che di anni ne ho ventisette: arrivo lì e mi blocco, quindi scendo tranquilla e rientro in acqua. Ed esistono mille altre fobie o paure con le quali conviviamo ogni giorno, che sono quelle più grandi e che si piazzano come ombre nelle nostre vite: la paura di restare soli, di rimanere feriti o la paura di amare, ad esempio.

Cosa c’entrano le paure in una rubrica sulle canzoni d’amore? C’entrano perché vorrei parlarvi oggi di una canzone atipica, che ha utilizzato l’ansia e la paura come terreno sul quale gettare le basi di una storia d’amore senza eguali.

“En e Xanax” nasce dalla penna di Samuele Bersani e viene pubblicata nel 2013 nell’album “Nuvola numero nove”, si ispira ad una conversazione realmente avvenuta tra l’artista bolognese e una ragazza, del quale poi si è innamorato. Viene ripresa successivamente da Comete, che, a parer mio, ha realizzato una delle cover più riuscite, sia all’interno di XFactor che fuori. È una canzone di un’intensità disarmante e cruda, che ti spara in faccia tutta la verità e parla di una storia così reale che i due protagonisti, En e Xanax più che due ansiolitici, sembrano essere i nostri vicini di casa. “En e Xanax non si conoscevano prima di un comune attacco di panico e subito filarono all’unisono.”

Esiste la paura di restare soli, la paura di essere soli. En e Xanax la provavano prima di trovarsi l’uno con l’altro, entrambi soffrivano di attacchi di panico. Non si conoscevano perché arrivano da due mondi completamente diversi, così lontani da non poter nemmeno immaginare la loro esistenza. Ma si sono trovati e si sono incastrati perché l’universo ha deciso che sarebbe dovuta andare così. E si tranquillizzano baciandosi e mescolando le loro lingue che sanno di medicina e di chiodi di garofano, perché adesso non sono più soli.

“Se non ti spaventerai con le mie paure, un giorno che mi dirai le tue troveremo il modo di rimuoverle”. Il numero uno che sommato ad un altro uno, diventa due. L’amore che fa crollare i muri delle insicurezze e che apre i nostri cuori. Guardare negli occhi l’altra persona e dire “Sono così, questa sono io, ecco che ho svuotato il sacco delle mie paure, adesso puoi dirmi anche le tue”. Non avere il timore di essere troppo brutta, di non essere abbastanza magra, di non portare vestiti alla moda, di fare vedere le cicatrici o semplicemente la paura di non essere all’altezza: questo è ciò che per me significa trovare l’amore. E perché no, non avere nemmeno paura di piangere o di farsi vedere deboli perché noi siamo un insieme di mille colori e non bisogna nascondere di avere dentro di sé anche un po’ di nero.


“In due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore e su di me puoi contare per una rivoluzione”. Il dolore che abbiamo vissuto e le cicatrici che ci sono rimaste sulla pelle e nel cuore, fanno di noi un ammasso di domande, dubbi, timori ed incertezze. Ma quando guardiamo il nostro “Xanax” (o la nostra “En”) ci dimentichiamo di tutto. Noi siamo qui e siamo pronti per fare di due paure, una certezza. Dicono che spesso sono proprio le paure che ci rendono soli e allora se non possiamo liberarcene, possiamo condividerle con la persona che amiamo. L’amore ci salva, sia in senso metaforico che nel senso più vero e nudo del termine. Come En trova il suo Xanax anche noi possiamo trovare una persona che ci insegni come trasformare le nostre debolezze e le nostre ansie in terreno fertile per far crescere qualcosa di così forte e magico. Questa volta nulla ci farà più paura perché abbiamo accanto qualcuno che ammiriamo e che riusciamo a leggere come un libro aperto: “Tu hai l’anima che io vorrei avere”.

Samuele Bersani ci ha accompagnati in questa storia come se fossimo dentro ad un film, ci insegna che anche noi possiamo trovare la nostra “ansia gemella”. E se mentre pensiamo a quella persona, alla nostra persona, ci viene un nodo alla gola o un buco nello stomaco, allora non ci resta che chiudere gli occhi e lasciarci andare, perché l’anima che vorremmo avere potrebbe essere esattamente dall’altra parte del cellulare.


Stressata o ansiosa? Come capire la differenza e agire di conseguenza





Capire la differenza tra l'essere stressata o ansiosa è importante per affrontare questo stato d'animo e ritrovare vitalità!

Non c'è da meravigliarsi se siamo tutti costantemente sotto pressione e preoccupate, soprattutto in questo delicato periodo. Capire la differenza tra l'essere stressata e ansiosa e agire di conseguenza può aiutarti a superare vecchie paure e ad affrontare la vita con rinnovata energia. Non soccombere e prova a reagire. Sia lo stress quotidiano sia l'ansia sono sentimenti che tutti proviamo. La vita è come una giostra, fatta di alti e bassi, prove da affrontare e situazioni da gestire. Spesso frasi come "sono stressata" o "sono ansiosa" vengono usate indistintamente nelle nostre conversazioni, magari confidandoci con un'amica.

Differenze

Tendiamo a dare a entrambi i termini lo stesso significato. E, invece, ci sono differenze fondamentali trastress e ansia. Essere stressata non è come essere ansiosa: è importante che ne diventi consapevole per sapere come agire e gestirti al meglio. Nell'ansia predomina la paura, nello stress le preoccupazioni. Se pensi di non riuscire a farcela e uno dei due stati d'animo diventa così intenso da influire sulla qualità della tua esistenza è opportuno che ti rivolgi a un professionista. Ecco le principali differenze tra stress e ansia e come capire quando è il momento di chiedere un supporto esterno.

Stress e ansia

Lo stress è fisico e l'ansia è mentale. Pensa allo stress più come una manifestazione fisiologica di ciò che percepisci, come una minaccia esterna che ti schiaccia e opprime. Se hai una scadenza sul lavoro e non pensi di riuscire a rispettarla, anche impegnandoti 24 ore su 24, sei stressata. Senti la pressione, i tuoilivelli di cortisolo aumentano e il tuo corpo reagisce con un nodo allo stomaco, il battito cardiaco accelerato, il sudore freddo. Potresti persino sentire il bisogno di piangere. L'ansia, invece, riguarda più pensieri legati alla mente con sentimenti di preoccupazione, apprensione che ti confondono e annebbiano il cervello. L'ansia è la percezione che il mondo è troppo esigente e ti chiede sempre di più, portandoti a sopravvalutare una particolare minaccia e a sottovalutare la tua capacità di affrontarla.

Effetti e strategie

Sia l'ansia che lo stress hanno effetti simili e possono essere gestiti con le stesse strategie. Entrambi nascono dal troppo lavoro, dalla rottura di una relazione o da conflitti interpersonali e possono causare problemi cardiaci, asma, ipertensione, persino colesterolo alto. Condizioni di salute che possono peggiorare ancora di più se compare anche la mancanza di sonno. Quando la notte ti svegli di soprassalto e guardi il soffitto, girandoti nel letto presa dai pensieri negativi e facendo incubi. Una differenza tra lo stress e l’ansia è la loro proiezione nel tempo. L'ansia è spesso una risposta all'idea che qualcosa di brutto potrebbe accadere, quindi è più uno sguardo terrorizzato verso il futuro. Fortunatamente puoi gestire lo stress e calmare l'ansia. In che modo?

Non devi farti sopraffare. Quando hai la sensazione che la società e gli impegni quotidiani ti richiedono troppo, la prima reazione non deve essere di lavorare di più. È inutile. Più duramente spingi e più stress provi. Quindi la risposta è riconoscere che lo stress ha un impatto su di te. Fermati, prima che ti sfugga di mano.

Assicurati che le tue esigenze più elementari siano soddisfatte. Non aspettare di provare rabbia. Entra in contatto con la tua confort zone, amiche o amici più stretti, e racconta loro quello che ti sta divorando e ti lacera dentro. Ma soprattutto concediti e assicurati di far davvero spazio a un po’ di tempo libero per rilassarti e fare le cose che ti piacciono.

Meditare. Bastano pochi minuti ogni giorno. Scarica un'applicazione di meditazione o segui un corso di yoga, anche online. Prendere consapevolezza e contatto con il tuo corpo ti aiuterà ad essere più in sintonia con l'ambiente esterno e il modo in cui agisce su di te e le tue emozioni. Meditare e fare esercizi di yoga renderà più facile rilassarti, soprattutto se senti avvicinare lo stress.

Fai qualcosa che ti appaghi ogni giorno. Trova il tempo, durante la giornata, di fare qualcosa che ti piaccia, da una corsa mattutina a una bella risata con un amico davanti a un caffè, fino a un corso di pittura. Assicurati che succeda e pianificalo nella tua lista dei preferiti: è un ottimo modo per combattere la sensazione di essere stressata.

Respira profondamente. Sembra così facile, eppure spesso ci dimentichiamo di farlo. Imposta la sveglia sul tuo telefono, e per una volta ogni due ore, fai tre respiri lentie profondi. Segnali così al tuo cervello che non ci sono minacce.

Terapeuta

Quando ci si deve preoccupare? Quando stress e ansia che devono essere temporanei, diventano cronici e influiscono sulla tua capacità di vivere la tua vita. A quel punto potrebbe essere il momento di parlare con terapeuta che possa aiutarti. Lo stress positivo non è nocivo, ma quando si mantiene nel tempo può trasformarsi in ansia, e questa può causare anche attacchi di panico che limitano enormemente la tua vita.

Dal Sito: donnamoderna.com

venerdì 20 novembre 2020

Ipocondria: come combattere la paura delle malattie





Attualmente, nel linguaggio comune, il termine ipocondria risulta essere molto utilizzato per descrivere un disagio legato alla preoccupazione persistente ed eccessiva per il proprio stato di salute. Ma qual è il suo reale significato? E come si cura?

Richiedi di essere monitorato a distanza, invitando il tuo medico di fiducia a controllare i tuoi sintomi

Che cos'è l'ipocondria? Il significato del termine

L’origine etimologica di questa parola deriva dal greco ὑποχόνδρια e letteralmente significa sotto alla cartilagine del diaframma costale. Per gli antichi greci indicava infatti la parte addominale del corpo, le viscere, la sede dei sentimenti e delle passioni umane.

Ippocrate definiva l’ipocondria come un disordine dello stomaco e della mente senza distinzione tra la sfera corporea e quella psichica. Nella storia della medicina e della psichiatria, infatti, l’ipocondria non trova una classificazione univoca: per alcuni si tratta di un disturbo organico, per altri psichico. Emil Kraepelin, psichiatra e psicologo tedesco, verso la fine dell’800 suggerì una distinzione tra hypochondria cum materia, ovvero disturbo con sintomi reali ma esasperati, e hypochondria sine materia, disturbo senza alcuna base oggettiva.

Disturbo da sintomi somatici o da ansia di malattia?

Ad oggi in ambito psicologico, secondo la classificazione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V), si parla di Disturbo da sintomi somatici e Disturbo da ansia di malattia, a seconda che vi sia o meno la presenza di sintomi.

Come si riconoscono i sintomi del Disturbo da ansia di malattia a differenza del Disturbo da sintomi somatici? La differenza tra le due tipologie di disturbo è molto sottile.

Il Disturbo da ansia di malattia non proviene principalmente dal sintomo quanto dall’ansia derivante dal senso, dal significato o dalla causa attribuita ad esso.

Secondo il DSM-V, per parlare di Disturbo da ansia di malattia devono evidenziarsi i seguenti criteri:

preoccupazione di avere o di poter contrarre una grave malattia;

assenza di sintomi somatici o presenza di essi in forma lieve;

elevato livello di ansia riguardante la salute;

controllo ripetuto del proprio corpo cercando segni di malattia o evitamento di eventuali visite mediche.

La preoccupazione per la malattia è presente da almeno 6 mesi, ma la specifica patologia temuta può cambiare nel corso del tempo.

Il Disturbo da sintomi somatici proviene, invece, dal sintomo che genera disagio comportando alterazioni significative nel quotidiano con livelli molto elevati di preoccupazione riguardo la malattia.

I criteri diagnostici identificati dal DSM-V per definire la presenza del Disturbo da sintomi somatici sono:

uno o più sintomi somatici che generano disagio o portano ad alterazioni significative nella vita quotidiana;

pensieri, sentimenti o comportamenti eccessivi correlati a sintomi somatici o associati a preoccupazioni relative alla salute, come pensieri sproporzionati e persistenti circa la gravità del proprio stato, livello costantemente elevato di ansia con eccessivo dispendio di energia.

La convinzione di essere sintomatici si protrae per più di 6 mesi con dolore predominante o persistente.

Quali sono i meccanismi psicologici legati all’ipocondria?

Chi soffre di ipocondria rivolge una costante attenzione alle proprie sensazioni corporee con lo scopo di identificare la malattia temuta. Le preoccupazioni riguardano le funzioni corporee come il controllo del battito cardiaco, le alterazioni fisiche di lieve entità come la presenza di una piccola ferita o sensazioni fisiche vaghe come percepire il cuore in affanno. È possibile che si manifesti una preoccupazione per un organo specifico o per una malattia.

Tendenzialmente l’ipocondria genera stati di angoscia ed ansia anche solo ascoltando qualcuno che si è ammalato o leggendo notizie legate alla salute.

Eventuali rassicurazioni successive a visite mediche o esami diagnostici specifici non diminuiscono lo stato di agitazione. Il dubbio insorge costantemente e spesso la persona tende a ricercare maggiori informazioni attraverso internet per avere delle prove che possano confermare le sue ipotesi.

Le relazioni sociali degli ipocondriaci sono spesso compromesse a causa della continua ricerca di confronti e pareri focalizzati sulle proprie condizioni fisiche. Lo stato di inquietudine può interferire anche con le prestazioni lavorative determinando una compromissione totale delle funzioni.

Quali sono le possibili cause dell'ipocondria?

Le ipotesi circa la natura di tale condizione sono molteplici. Sicuramente la predisposizione ad avere un’eccessiva preoccupazione per le malattie si può collegare alle esperienze pregresse della persona che ne soffre e dunque a storie negative e traumatiche legate alla salute di familiari e/conoscenti.

Anche la tendenza a mantenere il controllo pare sia connessa all’insorgenza di un quadro ipocondriaco.

Un aspetto particolarmente rilevante risiede nel rapporto con il proprio corpo percepito come fragile così come la propria identità.

La persona ipocondriaca tende ad avere un’immagine di sé caratterizzata da una debolezza non solo sul piano fisico, intesa come vulnerabilità alle malattie, ma anche come debolezza psicologica, difficoltà nel controllare e gestire le emozioni.

L’ipocondria si collega al timore ancestrale della morte e l’allontanamento delle fantasie avviene attraverso la messa in atto di comportamenti rassicuranti.

Segnali di stress, piccoli problemi gastrointestinali, palpitazioni, dolori muscolari, vengono interpretati negativamente generando un processo di autodiagnosi attraverso l’osservazione ossessiva dei sintomi riscontrati nel proprio organismo e visti come segnali di una grave malattia.

La mancanza di consapevolezza riguardo la natura psicologica del problema comporta infatti una continua ricerca di spiegazioni che non si riveleranno mai abbastanza rassicuranti. Anche dopo un’accurata valutazione medica che attesta l’assenza di una patologia, la preoccupazione permane.

Quanto incide il momento storico nell’insorgere di questa condizione?

L’attuale periodo correlato alla presenza del Coronavirus comporta l’insorgenza di molteplici fattori di stress psicologico:

la paura di essere contagiati;

la paura di perdere i propri cari e di sentirsi impotenti;

la paura di poter essere portatori del virus e dunque responsabili di infettare gli altri;

la paura di aver contratto il virus in presenza di sintomi influenzali simili a quelli del Covid-19;

la paura di contrarre il virus all’interno di strutture sanitarie;

il timore di essere esposti a lutti improvvisi.

L’attenzione in questo caso non è rivolta al sintomo in quanto tale, ma alle possibili conseguenze. L’ipotesi di contrarre il Coronavirus genera un’angoscia costante che determina l’osservazione di sintomi e segnali fisici preoccupanti legati al virus e la messa in atto di comportamenti ossessivi per esercitare un controllo sul proprio corpo, come ad esempio misurare continuamente la temperatura.

Il processo psicologico alla base di questo meccanismo è rappresentato dal dubbio costante di aver contratto il virus seguito poi dall’immaginazione di scenari tragici, catastrofici.

Le tentate soluzioni messe in atto comportano la continua ricerca di rassicurazioni attraverso strategie fallimentari che aumentano la messa in atto di comportamenti ipocondriaci quali visite specialistiche, confronti o ricerca di informazioni in rete (cybercondria), un circolo vizioso di osservazione, controllo ed amplificazione dei sintomi.

Tra i più preoccupanti effetti sembra esserci l’insorgenza della mesofobia ovvero la paura patologica ed irrazionale nei confronti di ciò che rappresenta una potenziale fonte di contaminazione, infezione e malattia.

La linea di demarcazione tra ciò che è sano e ciò che risulta patologico è davvero molto sottile ed esiste sia una percentuale di persone precedentemente compromesse a causa di un disturbo ossessivo compulsivo, che una percentuale di nuovi casi.

Inoltre pur volendo effettuare delle distinzioni, le autorità sanitarie in questo preciso momento storico tendono a comunicare quanto sia fondamentale rispettare le norme igieniche con scrupoloso rigore. Di conseguenza è nell’equilibrio e nella moderazione delle azioni da mettere in atto che si evidenzia una differenza rispetto all’insorgenza di una vera e propria ossessione.

La pandemia ha influito moltissimo sull’aumento di questo fenomeno innalzando la soglia di ansia e preoccupazione. La condizione psicologica vissuta è caratterizzata da una profonda sofferenza e spesso ne consegue il senso di alienazione ed isolamento.

Quali sono le strategie per combattere l’ipocondria?

Il trattamento dell’ipocondria richiede un equilibrio e un’integrazione di più interventi sia di tipo psicoterapico che farmacologico, ma l’aspetto più prezioso risiede nel coraggio di poter chiedere aiuto. I meccanismi alla base del processo patologico sono complessi e affidarsi ad un professionista è essenziale. 

La psicoterapia è certamente un’efficace forma di intervento, un percorso verso la consapevolezza e il cambiamento con l’obiettivo di individuare e rompere lo schema mentale alla base dell’ipocondria, evitando il rischio di comorbidità con altre diagnosi.

Grazie anche alle nuove tecnologie, seguire un percorso di psicoterapia per superare la paura delle malattie è diventato ancora più semplice e accessibile. Si parla sempre più spesso, infatti, di psicoterapia online: un servizio di telemedicina che, a differenza della terapia tradizionale, avviene virtualmente e dunque in totale sicurezza.

Dal Sito: paginemediche.it

Come Superare la Paura: Strumenti e Metodi per Affrontarla


Come affrontare e superare le proprie paure

di Martina Truppo

Provare paura è profondamente umano: si tratta della più antica delle emozioni, e tutti noi la sperimentiamo più volte nella vita.

Le paure di ciascuno di noi possono essere più o meno intense, fino a sfociare in vere e proprie fobie, ma ciò che ci accomuna tutti è spesso la volontà di affrontarle e combatterle una volta per tutte.

Qui di seguito troverai numerosi consigli e informazioni utili per comprendere e affrontare le paure più disparate: ti spiegheremo cos’è la paura, come si manifesta e perché la proviamo, quali sono gli errori più comuni nel cercare di combatterla e i metodi più efficaci per vincerla e non farsene più condizionare.

Se vuoi cambiare la tua vita, o semplicemente smettere di rinunciare a vivere pienamente a causa della paura, troverai sicuramente utile questo articolo.

Cos’è la paura?

La paura interessa in misura variabile ogni essere umano. Il Galimberti la definisce: “Emozione primaria di difesa, provocata da una situazione di pericolo che può essere reale, anticipata dalla previsione, evocata dal ricordo o prodotta dalla fantasia”.

Sulla base di vari fattori l’essere umano effettua una “valutazione della minaccia“, che è del tutto personale e intersoggettiva. Ciò spiega come mai alcune persone cercano il pericolo attivamente, dandone una valutazione positiva. Basti pensare agli sport estremi, dove lo stesso esporsi al pericolo viene perseguito come una meta e diviene per chi pratica queste discipline uno dei moventi dichiarati all’azione, che origina piacere e non paura.

La valutazione della minaccia

La valutazione della minaccia è scandita da 5 momenti fondamentali:

Novità o prevedibilità: l’organismo si attiva di fronte a stimoli che siano nuovi, non categorizzati in altre precedenti esperienze, oppure improbabili rispetto al contesto in cui accadono;

Piacevolezza o spiacevolezza: l’organismo valuta il grado di piacere che trae dall’esperienza che sta vivendo;

Funzionalità rispetto ai bisogni: l’organismo valuta l’esperienza in base alla sua utilità o meno rispetto a quanto si sia prefisso di raggiungere, ai bisogni immediati che prova in quel momento;

Gestibilità della situazione: valutazione dell’impatto dello stimolo sugli scopi della persona e sulla sua facilità di gestirlo (coping);

Compatibilità con le norme sociali: l’organismo valuta quanto e se il nuovo elemento possa essere più o meno coerente e compatibile con i principi ed i valori dell’individuo.

Paura e cervello: cosa succede?

La risposta alla paura inizia in una regione cerebrale chiamata amigdala. Da qui, quando ci troviamo di fronte ad uno stimolo minaccioso parte una complessa reazione a catena: vengono rilasciati ormoni dello stress si attiva il sistema nervoso simpatico, coinvolto in quelle funzioni definite di «attacco o fuga».

Il cervello entra in uno stato di allerta, le pupille si dilatano, il respiroaccelera. Aumenta anche la frequenza cardiaca, la pressione e il flusso sanguigno. Viene mandato più glucosio ai muscoli, mentre organi non vitali, come il sistema gastrointestinale, vengono messi in uno stato di ridotta attività. La concentrazione è tutta sul pericolo che si sta vivendo in quel momento, tutto il corpo si prepara ad affrontarlo.

Le strategie di risposta alla paura

Quando parliamo di paura, esistono diverse tipologie di reazione che si esplicano in altrettante strategie comportamentali. La lotta e la fugasono i due opposti che esemplificano la scelta tra evitare e affrontare i problemi.

Vediamo insieme in che modo l’essere umano tenta di combattere la paura.

Immobilità: a volte la persona si blocca, come per essere meno visibile al suo aggressore;

Evitamento: nascondere l’elemento problematico o nascondersi ad esso, tapparsi gli occhi o le orecchie.

Diluizione e negazione: la prima determina un’esposizione graduale allo stimolo, la seconda un evitamento.

Frustrazione/collera: la reazione di rabbia e aggressività comporta una modificazione nell’aspetto e nel comportamento in senso negativo; divenire spaventosi serve per intimidire l’avversario. Da questo può scaturire la reazione di attacco.

Reazione di attacco: il segnale di pericolo trasforma il nostro organismo come se si trattasse di una macchina da combattimento. L’accrescimento della forza è dovuto a una combinazione di adrenalina, noradrenalina e di altri ormoni dello stress.

Sottomissione/pacificazione: si tratta del tentativo di scampare al pericolo arrendendosi e concedendo al “vincitore” tutte le facoltà di gestire ciò che verrà successivamente.

Riconversione: consiste nella ridefinizione della situazione, che viene “ristrutturata” secondo una nuova ottica più positiva o comunque differente da quella che spaventava.

Paura, ansia o fobia?

La fobia consiste in una paura sproporzionata, marcata e persistente e viene classificata come disturbo facente parte dei disturbi d’ansia (DSM-5; 2013). Al contrario, la paura è la risposta emotiva ad una minaccia imminente reale o percepita, mentre l’ansia è l’anticipazione di un’eventuale minaccia futura.

Secondo alcune teorie, le fobie sono una sorta di risposta appresa. Infatti, spesso, le persone fobiche sono cresciute in contesti di persone con paure simili, da cui le hanno assimilate.

Inoltre, la fobia si mantiene nel tempo per il processo mentale e comportamentale chiamato “evitamento”. Con questo termine intendiamo il comportamento volontario della persona, volto a evitare di affrontare la situazione o l’oggetto che causa la fobia.

Le paure più comuni

Ogni essere vivente ha paura di qualcosa. Vediamo insieme quali sono le paure più diffuse:

Acluofobiaquasi tutti, da piccoli, hanno provato questa paura, e quasi sicuramente anche tu! Questo nome complesso, infatti, cela la paura del buio e nasce per evitare di incorrere in pericoli nascosti.

Acrofobia: ossia la “paura delle altezze”, come ad esempio di trovarsi in luoghi quali grattacieli, torri, montagne ecc. È associata a sensazione di vertigini, stati di ansia e di insicurezza.

Aerofobia: la paura di volare. È molto più diffusa e può insorgere in seguito a particolari traumi. Può innescare un generale senso di inquietudine che si trasforma in fortissima paura al solo pensiero di volare.

Agorafobia: è il timore di trovarsi in spazi aperti e luoghi pubblici. Si tratta di una delle paure più invalidanti, può causare il sopraggiungere di veri e propri attacchi di panico.

Glossofobiaovvero la paura di parlare in pubblico. Questo stato di angoscia può provocare un aumento della sudorazione, alterazione della salivazione e risultare anche paralizzante.

Ofidiofobia: la paura dei serpenti, molto spesso temuti soprattutto dai bambini e dalle donne, che avvertono una sensazione di ribrezzo alla sola vista dei rettili;

Aracnofobia: un’altra fobia piuttosto comune, la paura dei ragni, sia di piccole sia di grandi dimensioni. Colpisce indistintamente sia gli uomini sia le donne, e chi ne è affetto evita spesso di frequentare luoghi dove potrebbero trovarsi ragni e ragnatele. In alcuni casi, anche solo l’immagine dei ragni può innescare la paura.

Belonefobia: la paura degli aghi e delle punture. Sono numerosissime le persone che impallidiscono di fronte all’immagine di un ago, avvertendo sudorazione fredda ed eccessiva, pallore e arrivando addirittura allo svenimento. Per tali soggetti, i prelievi ematici sono particolarmente difficili da affrontare.

La paura della paura

La paura della paura è un meccanismo psicologico molto frequente, e si tratta dello sviluppare un’intolleranza alla sola possibilità di poter provare paura, tanto da arrivare al punto di iniziare a pensarci in modo ossessivo.

Soprattutto quando una persona inizia a soffrire di attacchi di panico, ed inizia ad esperire profonda paura per le sensazioni ed emozioni ad esso connesse, comincia anche a provare la profonda paura di poter sentire nuovamente le stesse sensazioni ed emozioni.

A forza di pensarci, si finirà per ingigantire i propri pensieri connessi alla paura e ciò porterà a percepirla molto più spaventosa di quanto sarebbe realmente, tanto da arrivare a “farsela venire”.

Quando la paura si trasforma in panico

Si dice che sia proprio la “paura della paura” ad entrare in gioco quando parliamo di attacchi di panico. Diversamente dalla paura, il panico può bloccareparalizzare e, raramente, iperattivare fino a compiere azioni non ragionate.

L’attacco di panico, così come la paura, attiva tutti gli allarmi fisici: respirazione, cuore, senso di equilibrio fisico, sistema gastrointestinale, si attivano insieme in una sorta di ondata violenta.

Quando una persona soffre di attacchi di panico, non si sente fisicamente in forma, come se i sistemi del corpo non fossero perfettamente allineati e funzionanti e, quindi, il corpo e la mente rimangono sempre in allerta.

Combattere la paura: cosa fare e cosa non fare

Nei momenti di sconforto, quando abbiamo appena avuto un attacco di panico o ci siamo trovati di fronte ad un evento che ci ha impauriti, sembra impossibile pensare di combattere questa emozione.

Iniziamo a convincerci che non c’è via di scampo e che rimarremo per sempre bloccati. Spoiler: esiste una soluzione! Quantomeno, ci sono dei modi attraverso i quali tentare di affrontare la paura e vincerla. Vediamo intanto quali sono gli errori più comuni da evitare e le strategie che invece risultano efficaci.

I 4 errori più comuni nel combattere l’ansia e la paura

Iniziamo a vedere insieme quali sono gli errori più comuni messi in atto dalle persone per sconfiggere le paure. Premessa: non sentirti stupido se anche tu riconosci di esserci caduto, sono così comuni proprio perché apparentemente utiliad eliminare completamente la paura.

Provare a controllare la paurasforzarsi di controllare una paura è una battaglia persa perché la paura si manifesta attraverso dei circuiti che sono molto più primordiali di quelli del controllo consapevole. I centri cerebrali che percepiscono la paura e le danno vita leggono il tentativo di controllo come un altro pericolo, aumentando il livello di tensione.

Parlare costantemente della tua pauraparlare della tua paura è fondamentale in una fase iniziale. Condividere con qualcuno il proprio timore è utile a farlo “uscire” dalla testa, luogo in cui tende ad ingigantirsi. Tuttavia, parlare non basta se non è accompagnato da una reale motivazione ad affrontare la paura. Come un disco rotto ne citi le dinamiche, ne spieghi le evoluzioni, ma non arrivi ad affrontarla.

Evitare la pauraevitare di metterti in tutte quelle condizioni che potrebbero suscitare un certo grado di paura potrebbe farti sviluppare una “paura della paura”, data da un’assenza di esposizione.

Cercare la soluzione negli altricercare di superare la paura tramite la presenza dell’altro è qualcosa che inizialmente ci rassicura molto. Non è sbagliato chiedere aiuto, ma è controproducente pensare di poter vincere le proprie paure solo con il supporto esterno. Ad esempio, il bambino che supera la paura del buio chiedendo la presenza dei genitori finché non si addormenta o addirittura dormendo in stanza con i genitori, in realtà non sta superando la sua paura.

I passi per affrontare la paura

Affrontare le paure può paragonarsi ad un allenamentofaticoso, ma anche gratificante quando si raggiunge l’agognato traguardo.

E’ bene iniziare a piccoli passi, ponendosi obiettivi realistici volta per volta: non possiamo correre 10 km senza aver mai fatto jogging, arriveremmo stremati e con le gambe a pezzi! Vediamo insieme i passi per combattere le proprie paure.

1. La paura non si elimina, si combatte!

Iniziamo con smontare la teoria portante, e cioè che la paura non possa essere assolutamente provata. In genere la richiesta della persona è “non voglio provare mai più paura”.

Pensaci: se una cosa non la voglio assolutamente, sarò infatti costretto a temerla, a controllarla, ad ingigantire, ed evitare. Se invece la percepisco come possibile, accettabile, e gestibile, perché mai dovrei temerla, controllarla o evitarla?

2. Esposizione graduale

Hai paura di parlare in pubblico? Inizia a parlare davanti ad una persona, poi chiamane 2, poi 3 e mano a mano rafforzerai in te la credenza che in fondo non è un gran problema.

È possibile applicare questo metodo dell’esposizione graduale a ogni genere di paura. Nessuno ti chiede di buttarti da un aereo con il paracadute. Potresti però provare a vincere la paura delle vertigini tuffandoti da un trampolino in piscina. Sempre che il problema non abbia implicazioni mediche.

3. Chiediti “Di cosa ho davvero paura?”

Aiutati scrivendo tutte le risposte che ti passano per la testa, anche se ti sembrano assurde.

Ci sono paure ragionevoli tanto quanto quelle irrazionali, e nascono da ragioni che non conoscete. Avete paura del buio? Perché esattamente? Quand’è stata la prima volta che avete provato questa paura? Come reagite quando c’è un blackout?

4. Riconosci le tue risorse

La paura ti fa sentire incapace e inutile. Pensa a tutto quello che hai fatto giorno dopo giorno, e che esigeva forza e carattere.

A volte ci dimentichiamo che il semplice fatto di alzarsi la mattina e svolgere tutti gli impegni che abbiamo esige molte abilità e virtù. Pensa a tutte le cose positive che fai ogni giorno. Non essere avido nel riconoscere i tuoi valori.

5. Immagina la tua vita senza quella paura

Come sarebbe la tua vita senza questa/e paure che ti tormenta? Pensa a come cambierebbero le cose se non vivessi sotto l’ombra della paura. Stila una lista di tutto quello che potresti guadagnarci.

6. Agisci e, se necessario, chiedi aiuto

La cosa più importante non è superare la paura di colpo, ma mettersi in azione per riuscirci.

Datti una scadenza per affrontare ciò che ti fa paura. Se ti sembra impossibile esporti a ciò che ti fa paura, ti consigliamo di rivolgerti a un professionista.

Ricorda che, nella maggior parte dei casi, l’unica decisione davvero difficile da prendere è quella di affrontare la paura. Una volta che ci riuscirai, scoprirai che era tutto nella tua mente, e che la minaccia non era così grave come pensavi.

È possibile liberarsi dalla paura?

La risposta a questa domanda è No”, e per fortuna aggiungerei! La paura va vista come una reazione al pericolo, e pertanto positiva. Essa è tra le emozioni una delle più antiche, e riveste un valore adattivo enorme.

Il coraggio in realtà non andrebbe visto come la mancanza di una percezione di paura, ma semplicemente come un superamento della paura stessa, quindi la persona che viene definita coraggiosa non è necessariamente una persona che non ha paura, ma piuttosto una persona che fa in modo di imparare a gestire quella paura e a superarla.

Strumenti utili per combattere le proprie paure

Sono diversi gli strumenti che una persona può avere a disposizione per affrontare la paura. Te ne suggeriamo alcuni:

Mindfulness: grazie a tale pratica siamo in grado di connetterci con il presente, ridurre lo stato ansioso e sviluppare la capacità di osservare la paura per ciò che è. Meditare crea una zona di confort e sicurezza nella quale esplorare le nostre paure e imparare a gestire le emozioni che ci suscitano.


Yoga: l’allenamento, in particolare lo yoga unito alla meditazione, può trasformare la vita di chi li pratica e aiutare le persone a interpretare le proprie paure in modo diverso e ad affrontarle per sentirsi meglio, grazie alla tecnica delle visualizzazioni.

Psicoterapia: iniziare un percorso di psicoterapia non è facile, soprattutto quando questo esso comporta il venire a contatto con i propri timori. In particolare, la psicoterapia cognitivo-comportamentale rappresenta il trattamento più efficace per la cura della fobia specifica.

Libri per aiutarti a combattere la paura

La lettura è da sempre uno dei metodi di “terapia fai da te” più efficaci. Dunque, eccoti tre libri consigliati per provare a superare la paura:

Pronto soccorso per insicuri cronici” di Bärbel Wardetzki

Trasformare la sofferenza” di Thich Nhat Hanh

Amare senza paura” di Rhonda Britten

Ricorda sempre che nel momento in cui la paura prende il sopravvento su di te e sul quotidiano, inizia ad intaccare le tue relazioni e il tuo stile di vita, è probabile che l’aiuto di un esperto psicologo o psicoterapeuta sia la soluzione migliore.


Dal Sito: voglioviverecosi.com

Disturbo narcisistico di personalità: Cos'è il narcisismo patologico





Negli ultimi tempi, grazie alla veicolazione delle informazioni tramite internet e social in generale, si parla molto di Narcisismo Patologico, di cui ne parlano tanti psicologi, psichiatri, coach, ma anche gente comune. Questo disturbo è sovrastimato nel senso che troppe persone “non del campo” parlano, spesso senza conoscere, di questo tema, veicolando informazioni errate o poco precise, così che la gente tende a fare “diagnosi” ad ex partner o familiari, senza avere una conoscenza adeguata del quadro complessivo e rimanendo incastrati in un eco di rabbia, senza però risolvere il problema.

Chi è il Narcisista patologico (vs Narcisista sano)
Come riconoscerlo
Come evitarlo

Per prima cosa, è importante sottolineare che il narcisista non necessariamente è patologico. Infatti, esso è fondamentale per una sana crescita dell'individuo come essere unico: svolge quindi un ruolo importante per lo sviluppo della personalità. Nello specifico, un sano livello di narcisismo ha le seguenti funzioni: promuovere l'autostima, il rispetto di sé, il senso di autoefficacia (credere nelle proprie abilità e capacità); permette di valorizzare la bellezza, sia esteriore che interiore; è alla base dell’empatia, poiché solo nel momento in cui riconosciamo i nostri bisogni, le nostre emozioni, allora saremo in grado di riconoscere anche quelli altrui.

Il narcisismo patologico è la mancanza di empatia
La parola “narcisismo” proviene dal mito greco di Narciso. Secondo il mito, Narciso era un bel giovane che rifiutò l’amore della ninfa Eco. Come punizione, fu destinato a innamorarsi della propria immagine riflessa nell'acqua. Incapace di consumare il suo amore, Narciso “rivolge lo sguardo rapito nello specchio d'acqua, ora dopo ora”. Infine viene mutato in un fiore che porta ancora oggi il suo nome, appunto il narciso. Il concetto di eccessivo amor proprio è stato riconosciuto e preso in esame nel corso della storia, ma solo in tempi recenti è stato definito in termini psicologici.

Quando il narcisismo diventa patologico?
Il narcisismo diventa patologico quando mira a calpestare l’altro e, in particolare, quando è caratterizzato da:
Bassa autostima: anche se il narcisista patologico sembra avere ottimi livelli di autostima, in realtà la sopravvivenza del suo “ego” dipende dai feedback esterni senza i quali avrebbe un crollo psicologico pervasivo;
Megalomania: il narcisista patologico ha la tendenza a esaltare, in modo esagerato, non solo la sua persona, ma anche i risultati che ottiene, connotandosi, così, come essere superiore agli altri;

Mancanza di empatia: è l'elemento che più lo differenzia dal narcisismo sano. Il narcisista patologico, infatti, non tiene minimamente in considerazione e soprattutto non riesce ad accedere al mondo emotivo dell'altro; per questo non si rende conto che, con i suoi comportamenti, provoca sofferenza agli altri;
Incapacità ad amare: il narcisista patologico non sa amare, non sa prendersi cura dell'altro e dei suoi bisogni; se lo fa, è solo con scopo manipolatorio, nell'intento di portare l'altro a occuparsi di lui; si tratta, quindi, di un meccanismo di seduzione con scopi di convenienza;
Spesso il narcisismo patologico è mascherato: tutti gli indizi che possono aiutare a riconoscere un narcisista patologico, possono non essere evidenti e, in alcuni casi, invece di trovarci di fronte una persona egocentrica, critica, megalomane, possiamo scontrarci con un individuo remissivo, inibito.

La sofferenza dietro la maschera narcisistica
Dietro questa maschera, però, il narcisista patologico presenta solitamente una fragile autostimache lo rende vulnerabile a quelle che lui percepisce come critiche. Spesso, i narcisisti credono infatti che gli altri li invidiano, ma sono ipersensibili alle critiche, ai fallimenti o alle sconfitte. Alla dimensione rappresentata dalla tendenza alla grandiosità, unicità e superiorità, si contrappongono, quindi, sentimenti di inferiorità, fragilità, vulnerabilità e paura del confronto. Quando si trovano di fronte all’incapacità di soddisfare l’elevata opinione che essi hanno di sé, i narcisisti possono arrabbiarsi. Talvolta sviluppano attacchi di panico, si deprimono profondamente o, addirittura, possono tentare azioni autolesive. Le caratteristiche più tipiche, riportate ai clinici, sono infatti senso di vuoto e di insoddisfazione, depressione o ipomania, ideazione suicidaria, derealizzazione, disforia.

Cause del narcisismo patologico
Le cause del narcisismo patologico non sono definite in maniera chiara e univoca. Spesso, questo quadro risulta dalla combinazione di più fattori, sociali e biologici che intervengono nel corso dello sviluppo dell'individuo. In particolare, lo sviluppo del disturbo può essere favorito dalla crescita in un ambiente familiare invalidante, caratterizzato da un’inibizione comportamentale da parte di due genitori idroesigenti.

Il disturbo narcisistico di personalità(o l’elevato narcisismo in generale) può risultare anche dalla crescita in un ambiente familiare incapace di fornire al bambino le necessarie attenzioni emotive e le conseguenti soddisfazioni dei suoi bisogni. Con il tempo, in risposta a tale atteggiamento, il soggetto risolverebbe la continua minaccia alla propria autostima, sviluppando una sorta di senso di superiorità.

Narcisismo patologico e relazioni sentimentali
La scarsa empatia del narcisista patologico, diventa centrale nelle relazioni, soprattutto sentimentali. Dall’esterno la persona con elevati livelli di narcisismo sembra “la persona ideale”, quella che tutti sognano, inserita molto bene a livello sociale e professionale. Solitamente è abile nell’apparire per quello che non è, prima forma di manipolazione che mette in atto. E’ spesso molto dotato a livello intellettuale e appare molto sicuro di sé, anche se ha bisogno di nutrire costantemente la propria autostima. In realtà, infatti, il mondo interiore del narcisista è caratterizzato da un grande vuoto, gli sono spesso mancate le gratificazioni da parte della madre. Chi soffre di narcisismo patologico ha subito dei traumi nelle relazioni di attaccamento, non è stato protetto, né gli sono state fornite delle regole (è stato spesso un bambino che ha dovuto diventare adulto molto velocemente, almeno nel contesto familiare). Una volta divenuto adulto, deve tenere sotto controllo gli altri, il mondo che lo circonda. Quando predomina il narcisismo patologicol'altro non esiste, e tutti i tentativi che il partner farà per cercare di cambiare la persona saranno inutili. Il narcisista è infatti insensibile alla sofferenza altrui, non è empatico e non sa provare sentimenti, anche se fa di tutto per apparire una persona sensibile ed empatica.

Cura del narcisismo patologico
Il trattamento di questo disturbo è centrato sulla terapia cognitiva, che spesso richiede tempi prolungati e un grande impegno, soprattutto da parte del terapeuta. Questi deve costantemente automonitorarsi e monitorare la relazione e i vari cicli interpersonali che si possono attivare con il paziente narcisista.Il trattamento del disturbo narcisistico di personalità risulta spesso molto difficile, in quanto il paziente non è solitamente consapevole della propria problematica e dell'effetto che questa provoca sulle altre persone. Le tradizionali terapie antidepressive non hanno efficacia sul narcisismo patologico. Il disturbo può essere gestito con una terapia cognitivo-comportamentale a medio-lungo termine, ma necessita di specialisti che enfatizzano l’empatia e non contestino il perfezionismo dei propri pazienti, i sentimenti di privilegio e la grandiosità.


Dal Sito: ragusanews.com 

giovedì 19 novembre 2020

Forte attacco di ansia: cosa possiamo fare?




Come gestire un attacco di ansia

L’ansia è uno stato di agitazione, di timore, legata ad un oggetto o situazione aspecifico.

A differenza dello stress che ha un focus ben definito, l’ansia è più subdola e generica e perciò è più difficile da gestire. La sensazione di inquietudine è generata da un senso di malessere generico, per qualcosa che potrebbe avvenire, ma senza un’indicazione temporale precisa, per cui spesso scatena angoscia e paura.

L’ansia è il “dono” della nostra epoca, a causa di svariati fattori di progresso economico, sociale e culturale che hanno provocato come un’arma a doppio taglio benefici e limitazioni.
Come affrontare un attacco di ansia

È fondamentale, attraverso piccoli passi quotidiani, provare a sconfiggere l’ansia.

Ecco alcuni semplici esercizi che tutti possiamo mettere in pratica per contrastare un attacco di ansia:

  • Riconosci e accetta di avere l’ansia. Prendine consapevolezza, trova un canale per farla emergere e gestirla in maniera funzionale; altrimenti scaricherà sul corpo (mal di testa, tremore, insonnia, mal di stomaco..) e impatterà nel rapporto con gli altri e sul lavoro (scatti di ira, frustrazione, stanchezza, scarso rendimento, bassa concentrazione…).
  • Accorgiti e cambia. Impara a vedere con altri occhi ciò che hai attorno, sviluppa una visione positiva, fai leva sulle tue risorse. Un esercizio in questo senso può essere quello di stilare a fine giornata un diario della positività, ovvero scrivere almeno tre cose belle, di piccola entità, che ti sono accadute durante la giornata (un sorriso, una sorpresa, un evento inatteso, una telefonata..)
  • Proteggiti e limita. Rispetto al bombardamento mediatico sugli eventi del mondo, occorre selezionare le informazioni che ricevo, filtrare le fonti da cui provengono, limitare l’accesso a pochi minuti al giorno.
  • Ricorda che il nostro cervello sbaglia, utilizza delle strategie per risparmiare tempo che ci autoingannano e si focalizza solo sulle cattive notizie, dandone un peso maggiore.
  • Fermati e respira. È un esercizio tanto semplice quanto difficile. Nel ritmo frenetico della nostra giornata concedersi una pausa, concentrarsi sul corpo, su ciò che ci sta comunicando in quel momento, focalizzarsi sul respiro. In mindufulness si dice “stare nel momento presente”. Fare un esercizio di consapevolezza corporea permette di aprire la strada anche verso forme di consapevolezza più ampie, se è qualcosa che sentiamo utile per noi.
  • Contatta e condividi. Chiamate amici, colleghi, parenti, vicini…scrivete un messaggio, sfogatevi sui gruppi facebook, partecipate a gruppi di psicoterapia, chiamate una persona di fiducia, mandate segnali di fumo. Se avete necessità di sentire o vedere una voce amica fatelo. A volte anche solo una passeggiata e una chiaccherata possono lenire l’ansia, perché in quel momento la necessità è sfogarmi, e parlarne. Condividere e sentirsi supportati da qualcuno che non ci giudica e comprende come mi sento è essenziale.
  • Prenditi cura e riduci. Prendersi cura del corpo per prendersi cura della mente, lo dicevamo anche gli antichi. È un esercizio da non sottovalutare. Mangiare bene significa coccolarsi, dedicarsi del tempo per sé. Anche se si hanno solo pochi minuti di pausa pranzo, staccate il pc e il telefono, prendete una boccata d’aria, ritagliatevi una pausa per riposare e fare qualcosa che vi fa star bene, anche solo 10 minuti.

Sempre per imparare a gestire l’attacco di ansia, è importante mantenere almeno durante la settimana un’igiene del sonno perché il cervello ha bisogno di ricaricare le energie e il sonno perso non si recupera (chiedetelo alle mamme di bimbi neonati o a chi lavora su turni).

Fare attività fisica, anche poca se non siamo amanti del genere. 
Muoversi attiva le endorfine, gli ormoni della felicità.

  • Ridere e sorridere. Stare in una condizione di benessere allevia il dolore percepito, abbassa la pressione sanguigna, favorisce la rigenerazione cellullare. Ridere fa bene al corpo e alla mente, ci sono molti studi che hanno dimostrato scientificamente questo dato di fatto abbastanza obiettivo. Meno scontato è che dovremmo farlo più spesso, anche per piccole cose, per farlo diventare un atteggiamento.
  • Chiedere aiuto. Se si riconosce che l’ansia è troppa, che non è gestibile, che influenza le giornate, le relazioni, le amicizie, il lavoro, che è un peso insopportabile, che vi sta rovinando, non aver paura o vergogna a chiedere aiuto ad un professionista.

Il regalo più bello e coraggioso che si possa fare per sé e iniziare un percorso di sostegno per affrontare il proprio dolore e ritrovare la serenità.

IMPARARE L’ASSERTIVITÀ PER STARE BENE




Spesso si sente parlare di assertività quale abilità chiave delle persone di successo, ma cosa significa davvero essere assertivi?


Significa riuscire ad affermare i propri diritti, desideri, bisogni ed opinioni rispettando al contempo quelli degli altri. Significa essere quel che si dice un “guerriero gentile”, in grado di combattere per le proprie idee, senza dimenticare il riguardo per l’altro.

Molti sono i vantaggi di una comunicazione assertiva:

  • Ci permette di agire per il nostro bene, come ad esempio dire di no senza sentirci in colpa, fare una richiesta con efficacia per ottenere ciò di cui abbiamo bisogno, fare una critica costruttiva quando non ci piace qualcosa.
  • Migliora le nostre relazioni rendendole più equilibrate e soddisfacenti.
  • Migliora l’autostima e la fiducia nelle nostre capacità.
  • Migliora il nostro stato d’animo, maggiore sarà il senso di auto-efficacia e migliore sarà il nostro umore.
  • Riduce l’ansia, in particolare quella sociale. Più ci esponiamo a situazioni in cui riusciamo ad affermare con efficacia i nostri diritti e ad esprimere ciò di cui abbiamo bisogno, più le nostre paure si ridurranno. Questo, inoltre, ci consente spesso di scoprire che la risposta dell’altro è più positiva di quella prevista e/o temuta.

Tra la passività e l’aggressività

L’assertività può essere vista come al centro di un continuum che va da un estremo all’altro, ovvero dalla passività all’aggressività.

Quando non si riesce ad essere assertivi, infatti, è probabile che si adotti uno stile comunicativo dell’uno o dell’altro versante. Vediamo meglio cosa significa.

Lo stile passivo si traduce in un atteggiamento inibito, arrendevole di fronte al volere altrui. Una persona che adotta tale stile non si sente capace di farsi rispettare, di esprimere liberamente le sue opinioni, ed anzi reprime i propri bisogni per soddisfare quelli degli altri. Tale comportamento è sicuramente inadeguato poiché genera frustrazione, insicurezza, ansia ed inibizione.

All’opposto, lo stile aggressivo, ricalca un atteggiamento di prevaricazione, arroganza, critica distruttiva, svalutazione e disprezzo dell’altro. Il comportamento aggressivo è una risposta esplosiva ed inadeguata in quanto molto spesso si traduce in sensi di colpa, ostilità o rancore. Genera, inoltre, posizioni di difesa in quanto viola il mondo degli altri e produce incomprensione, isolamento e solitudine.

Il giusto equilibrio è caratterizzato appunto dall’assertività, risposta che permette di mitigare insicurezza, disagio ed ansia. Consente di esprime e realizzare i propri obiettivi senza prevaricazioni, alimentando autostima e fiducia in sé e negli altri.

Allora come mai non tutti prediligono questo stile comunicativo?

Le persone sviluppano diverse modalità di comunicazione in base alle loro esperienze di vita. Se, però, il tuo modo di relazionarti non ti piace e vuoi cambiare, puoi farlo!

L’assertività, infatti, può essere appresa!

Tuttavia, prima di intraprendere un vero e proprio training specifico può essere utile conoscere alcune delle errate opinioni alla base di molti comportamenti “anassertivi”.

Alcuni miti diffusi

Il mito della modestia

Il mito della “modestia” ci spinge a credere che quest’ultima sia una virtù necessaria della quale non si dovrebbe mai fare a meno. Di conseguenza, si diventa incapaci di accettare con equilibrio il riconoscimento dei propri meriti e dei propri pregi. Ci ritroviamo a negare ogni lode e al contrario ad essere i primi critici di noi stessi. Essere concentrati sui nostri aspetti peggiori può diventare una vera e propria abitudine disfunzionale che alimenta un meccanismo di disistima di sé e (nei casi più gravi) di ansia e depressione.

È facile capire come l’adesione a questo mito possa danneggiarci! Abbiamo il diritto di riconoscere noi in primis le nostre qualità, accettare i complimenti e valorizzare noi stessi oltre che gli altri.

Il mito dell’ansia

Le persone soggette a questo mito sono convinte di non dover mai e poi mai mostrare all’altro la propria ansia, in quanto indice di debolezza. Al contrario, si nutre l’obbligo di mostrarsi sempre come “tutti d’un pezzo” pienamente padroni di sé in ogni circostanza.

Peccato non si consideri una cosa, siamo esseri umani! Ognuno di noi è soggetto ad imbarazzi, gaffe o défaillance. D’altro canto, lo sforzo per fuggire all’ansia non fa che aumentare ulteriormente il disagio. Per contro, esprimere a volte agli altri (con disinvoltura, senza vergogna o paura) la nostra emozione, può non solo abbassare il disagio percepito e generare comprensione, ma renderci più sicuri ai nostri occhi e a quelli altrui.

Il mito dell’obbligo

Questo mito può sfociare in diversi modi: nell’incapacità di dire di no, nella difficoltà di dissentire dalle opinioni altrui (a cui si desidera piacere ad ogni costo) e nella convinzione che si debba evitare di chiedere qualcosa agli altri per non arrecare disturbo.

Al contrario di questo mito, rapporti interpersonali sani e soddisfacenti prevedono la libertà di non acconsentire alle richieste altrui qualora non le ritenessimo conciliabili con i nostri impegni, così come di avanzare richieste (ragionevoli) agli amici, in caso di bisogno.

In sostanza, un primo passo verso l’acquisizione di una comunicazione davvero affermativa sarà rimuovere questi ed altri miti, false credenze e pensieri irrazionali che ci spingono verso modalità anassertive.

Spunti Applicativi sull’assertività

A conclusione di questo articolo sull’assertività non potevo non riportare i 10 diritti assertivi, ovvero quel “codice” da tenere a mente e adottare come linea guida del proprio agire.

  • Hai il diritto di esprimere in modo chiaro ed esplicito le tue opinioni, emozioni, desideri e bisogni.
  • Hai il diritto di non dare ragioni o scuse per giustificare il tuo comportamento.
  • Hai il diritto di giudicare se ritieni opportuno o meno trovare soluzioni a problemi di altri.
  • Hai il diritto di cambiare le tue opinioni.
  • Hai il diritto di commettere errori e di essere responsabile di essi.
  • Hai il diritto di dire: “Non lo so”.
  • Hai il diritto di essere libero dal giudizio degli altri prima di entrare in relazione con loro.
  • Hai il diritto di essere anche irrazionale nel prendere decisioni.
  • Hai il diritto di dire: “Non capisco” e di dire: “Non me ne occupo”.
  • Hai il diritto di dire no, senza sentire ansia o disagio.

E tu? Rispetti tutti questi diritti? Prova ad osservarti.

Se ti rendi conto di aver bisogno di un aiuto per migliorare la tua modalità comunicativa, contatta pure un professionista.

Assertivi non si nasce, si diventa!


Depressione: tipologie e caratteristiche



Sentiamo spesso parlare di depressione, o spesso diciamo che qualcuno è depresso…o, altrettanto spesso, lo diciamo di noi stessi.

Sentiamo spesso parlare di depressione, o diciamo che qualcuno è depresso senza sapere esattamente cosa sia e cosa significhi. L’obiettivo di quest’articolo è che il lettore comprenda che esistono diverse tipologie di depressione, e qui faremo riferiemento ad alcune. Diciamo "alcune" perché sono comunque classificazioni generiche, e alla fine ogni persona sa cosa sta affrontando, dunque ogni caso è a sé.

Se pensi di trovarti in ​​una di queste situazioni, quello che devi fare è cercare l'aiuto di un professionista che potrà realizzare una diagnosi precoce.


Disturbo depressivo maggiore


Il più comune è il disturbo depressivo maggiore. In questo caso si presentano i sintomi più gravi: apatia e mancanza di mobilità che possono causare ciò che è noto come malinconia. Può succedere che la persona arrivi a non voler mangiare o bere. Questa immobilità totale è nota anche come stupore depressivo.

Possono esserci anche pensieri negativi secondo i quali nulla andrà bene, la persona è convinta del fatto che non potrà essere curata o che perderà tutto. Questi non diventano i deliri tipici di un disturbo psicotico, ma sono idee ricorrenti che paralizzano la persona.


Distimia

Nella distimia si sta già verificando un processo che è diventato cronico, sebbene la sua intensità sia inferiore rispetto al caso precedente. Ci sono ansia, alti e bassi emotivi, perdita di senso dell'umorismo, bassa autostima e anche idee che è difficile affrontare e mettere da parte. Possono essere necessari mesi o anni prima che la persona ne diventi cosciente.

Disturbo ansioso depressivo misto

Un altro disturbo abbastanza comune è il disturbo ansioso depressivo misto, in cui fondamentalmente c'è una miscela dei due problemi: ansia e depressione. Solitamente è dovuto a specifiche situazioni di tensione familiari o lavorative.

Depressione atipica

Nella depressione atipica troviamo alcuni sintomi opposti a quelli più comuni, per esempio aumento dell'appetito e delle ore di sonno. In parte è simile al caso precedente, perché di solito ha una causa specifica.

Astenia

Nei cambi di stagione, soprattutto in primavera, compare l’astenia. È legata ai cambiamenti delle ore di sole. Potremmo dire che è simile alla depressione post-vacazionale. I cambiamenti nel ritmo del corpo producono un eccessivo affaticamento e una sensazione di lieve depressione. Di solito non richiede alcun trattamento.

Ciclotimia

Nella ciclotimia vediamo stati d'animo alterati, cambiamenti senza ragioni apparenti e quindi senza cause. È la manifestazione di un problema interno. Attenzione a non confonderlo con il disturbo bipolare, che è qualcosa di molto più grave, dove non ci sono solo sbalzi d'umore, ma anche manie, iperattività, irritazione e pensieri irrazionali.

Depressione post-parto


Si presenta dopo la nascita del bambino, generalmente a un mese dalla nascita. Colpisce tra il 15 e il 25% delle donne. A volte si risolve spontaneamente, in altri casi può evolvere in modo molto grave. Si tratta di un disturbo depressivo provocato da cause biologiche e socioculturali che può avere un impatto negativo sull'allattamento e sul legame tra la madre e il bambino.


In ogni caso, come abbiamo detto, se pensi di avere uno di questi disturbi, è giunto il momento di rivolgerti a un professionista che possa valutare cosa succede, come trattarlo e come risolverlo.

Articolo di Jaume Guinot pubblicato su MundoPsicologos.com


Dal Sito: guidapsicologi.it 

mercoledì 18 novembre 2020

Ansia e depressione da Covid-19, come comportarsi


Le restrizioni causate dall’epidemia di Coronavirus hanno fatto registrare un aumento di casi ansiosi e depressivi. Nell’articolo alcuni rimedi per superare le paure. 

Le nuove restrizioni per fasce regionali, hanno determinato un nuovo isolamento per le persone che, soprattutto in zona rossa, hanno il divieto di uscire di casa se non per motivi strettamente necessari. Non è possibile, ad esempio, far visita ad un amico, prendere un caffè in un bar o, semplicemente, passeggiare al parco. Questo, nel periodo appena trascorso, ha fatto registrare un aumento degli stadi depressivi negli over-50. I dati parlano del passaggio da uno stadio di solitudine ad uno depressivo almeno un caso su 5.

Lo studio

Uno studio condotto dall’University College di Londra e pubblicato sulla rivista The Lancet Psychiatry, ha analizzato un campione di 4200 individui e i primi dati hanno rivelato l’aumento del rischio di ammalarsi di depressione negli anni futuri, indotto proprio dalla condizione attuale. “Abbiamo visto che il sentirsi soli – ha spiegato Gemma Lewis, coordinatore dello studio – è un forte fattore di rischio per la depressione, più di quanto lo sia l’effettivo numero di contatti sociali di una persona. Quindi non è tanto importante il tempo trascorso in compagnia, ma quanto ci si sente effettivamente soli“.

I traumi più diffusi

Oltre alla depressione e all’aumento degli stati ansiosi, si sono registrati una serie di disturbi post traumatici da stress. Tra questi incubi, irritabilità, tachicardia, difficoltà del sonno, abuso di alcol e medicinali, calo dell’attenzione e attacchi di panico.

I rimedi

Per uscire da una condizione di stress emotivo e psicologico, prima che questo possa sfociare in una vera e propria patologia, è possibile ricorrere a piccoli rimedi. Innanzitutto, è necessario concedersi del tempo per metabolizzare l’accaduto in maniera obiettiva e riconoscere il disagio, senza provare vergogna per la condizione che si vive e senza aver fretta di ritornare alla normalità subito. Parlarne con qualcuno e condividere gli stati d’animo, magari con chi vive la stessa condizione, può essere un valido aiuto. Evitare di cercare ossessivamente notizie sui contagi o leggere articoli di esperienze traumatiche. Sul web girano tantissime fake news, che potrebbero alterare la verità e la percezione della realtà. Cercare, per quanto possibile, di riprendere i ritmi quotidiani e cercare nuovi hobby e opportunità per impiegare il tempo. Qualora la situazione dovesse persistere, è raccomandabile chiedere l’aiuto di un esperto, che saprà dare le giuste indicazioni per affrontare ansie e forme depressive.

Dal Sito: atuttonotizie.it

Cos'è e come funziona la Pet Therapy



„E' noto che sia di particolare beneficio anche a livello sociale e relazionale per tutti, ma in particolar modo per bambini, anziani o disabili“

"Nella medicina tradizionale l’efficacia della pet therapy come supporto al trattamento di diverse patologie è ormai data per assodata (in aggiunta alle normali terapie farmacologiche). Inoltre, è noto che sia di particolare beneficio anche a livello sociale e relazionale per tutti, ma in particolar modo per bambini, anziani o disabili". Attacca così una nota di Life Pet Care, che spiega cosa sia e come funziona la pet therapy, partendo dalle origini.

Come nasce la pet therapy

"Già gli antichi Egizi e i popoli Greci credevano molto nel potere terapeutico dell’interazione tra persone e animali.

Studi che contemplano la relazione tra persone e animali come forma terapeutica si ritrovano anche in Inghilterra, dalla fine del XVI secolo.

Ma a coniare il termine 'Pet-Therapy' in tempi recenti (nel 1953) fu Boris Levinson, psichiatra infantile. Levinson si accorse, infatti, che durante le sue sedute con alcuni pazienti autistici, la presenza del suo cane migliorava moltissimo la capacità di interazione e di relazione di queste persone. Nel tempo Levinson si impegnò per dimostrare l’efficacia di questo trattamento in termini di aumento di autostima e di empatia in soggetti affetti da autismo". 

Cosa è la pet therapy

La Pet Therapy (chiamata anche Aat: Animal-Assisted Therapy) è una modalità terapeutica dolce e priva di controindicazioni o effetti collaterali, che si basa sull’interazione e la relazione tra persone e animali. 

Negli anni è stato dimostrato che questa pratica comporta effetti benefici nel coadiuvare il trattamento di diversi tipi di patologie, specialmente nelle fasi di riabilitazione e convalescenza. I vantaggi sono numerosi anche per lo sviluppo dell’aspetto sociale, relazionale ed emotivo delle persone, siano essi bambini, anziani o disabili. 

Gli animali più amati per questa pratica sono soprattutto i cani, per la loro innata socialità e per l’affetto incondizionato che sanno donare a chi gli sta vicino. Anche i gatti si trovano spesso, grazie al calore che emanano tenendoli in collo e ai benefici, ormai comprovati, dell’effetto delle loro fusa.

Ma accanto ai cani e ai gatti, che restano gli animali più gettonati, nella pet therapy troviamo sempre di più anche altre tipologie di animali quali: coniglietti, porcellini d’india, criceti, pappagalli, ma anche cavalli, asini, capre, mucche e persino delfini!

Perché la pet therapy è efficace

Il grande beneficio della pet therapy deriva dal potere della relazione che si instaura tra essere umano e pet. Gli animali, infatti, sono dotati per loro natura di grande sensibilità e sanno donare in modo gratuito e libero amore, serenità e affetto alle persone che interagiscono con loro. 

Ma anche l’atto stesso di prendersi cura di un altro essere vivente, sia esso un cane, un gatto o un uccellino, genera nell’essere umano una crescita personale positiva, a beneficio non solo dello stato d’animo in termini di serenità e gioia, come elementi fondamentali in ottica di guarigione, ma anche perché rafforza le doti comunicative, sociali e sviluppa empatia e altruismo. 

Tutto questo avviene in modo molto naturale, semplice e spontaneo, perché nel relazionarsi con un animale l’essere umano lo fa senza pregiudizi, senza paure e senza meccanismi di difesa, che permettono l’instaurarsi di una relazione affettiva sana, facile e immediata. 

PER CHI È UTILE LA PET THERAPY?

La relazione con cani, gatti e altri pet contribuisce ad abbattere problemi di carattere psicologico quali depressione, ansia, stress, attacchi di panico, e insonnia. 

Sono infatti comprovati i benefici della pet therapy nella riduzione dei livelli di stress e ansia, in quanto migliora la circolazione sanguigna e regola la frequenza cardiaca. 

Ma l’efficacia è stata comprovata anche per i casi di autismo, disturbi dell’attenzione o dell’apprendimento, difficoltà psico-motorie e nevrosi. In particolare, la pet therapy si è rivelata particolarmente utile nel migliorare lo stato di malati di Alzheimer, come anche per altre tipologie di demenza senile. 

Bellissimi e sorprendenti sono poi spesso i risultati ottenuti con disabili, persone affette da patologie croniche, e in generale bambini e anziani in ottimo stato di salute, per quanto riguarda l’allenamento di capacità sociali e relazionali, nonché del buon umore. 

Proprio grazie a tutti questi benefici, oggi in Italia (come in altre parti del mondo) la pet therapy è una pratica sempre più diffusa e richiesta, specialmente nei centri medici, nelle case di riposo, ma anche in asili e centri sociali. 

Chi convive quotidianamente con il proprio pet, non potrà che confermare quotidianamente la bontà di queste relazioni!


Dal Sito: arezzonotizie.it