sabato 19 dicembre 2020

Christmas Blues: sconfiggere la tristezza e accogliere il Natale con il sorriso





Si chiama depressione natalizia e quest’anno rischiamo di sperimentarla un po’ tutti. Perché saranno delle feste diverse da tutte le altre, all’insegna del distanziamento sociale, del rigore e delle limitazioni, con pochi cari intorno a noi e senza tavolate di amici e parenti. Eppure si possono adottare piccole strategie per limitarne gli effetti del Christmas Blues, come spiega la psicoterapeuta Maria Claudia Biscione.

Non tutti riesco a farsi coinvolgere dalla magia del Natale. C’è chi vive queste festività con inadeguatezza, provando un malessere diffuso, tanta malinconia, tristezza e nostalgia. Uno stato d’animo negativo da “Grinch” che fa sentire anche parecchia solitudine. Perché non si riesce a entrare e a sposare lo spirito “felice” che aleggia nell’aria e che gli altri invece sembrano respirare. Si chiama Christmas blues o depressione natalizia e quest’anno rischiamo di sperimentarlo un po’ tutti. Perché saranno delle feste diverse da tutte le altre, all’insegna del distanziamento sociale, del rigore e delle limitazioni, per uscire il prima possibile da questa pandemia. Un Natale con pochi cari intorno a sé, senza tavolate di amici e parenti, né brindisi fino a tardi. E ci sarà anche chi lo passerà forzatamente da solo, accontentandosi di una video chat con i parenti lontani.

“Provare a immergersi nella magia del Natale ai tempi del Covid sarà una vera sfida perché, chi più chi meno, proviamo tutti la pandemic fatigue, la stanchezza pandemica che ci fa sentire sfiduciati, confusi, nervosi e depressi”, spiega la psicoterapeuta Maria Claudia Biscione. “E questo stato vitale di basse energie potrebbe accentuare ancora di più la tendenza del Christmas Blues in ognuno di noi. Quindi a provarlo saranno non solo quelle persone che normalmente soffrono il Natale, ma anche chi generalmente lo vive con grande motivazione e allegria”. È importante quindi non farsi catturare da questa tristezza natalizia, che di solito svanisce con la fine delle feste, perché mai come ora è giusto celebrare per darsi una carica e una speranza che ci dia la spinta e la forza per arrivare fino alla fine del tunnel. E per farlo può essere d’aiuto capire meglio che cos’è questo malessere emotivo e perché quest’anno sarà differente. Ne abbiamo parlato con l’esperta, che ci ha consegnato anche dei consigli, piccole strategie per limitare gli effetti del Christmas blues.

Che cos’è il Christmas blues

“Viene chiamata anche tristezza natalizia, una crisi esistenziale momentanea e circoscritta al periodo delle festività. Crea disagio e fastidio, un malessere diffuso fatto di ansia, di stress, di insonnia, di stanchezza fisica e mentale. I motivi che attivano il Christmas Blues sono tutti collegati al fatto che il Natale è una cassa di risonanza di una serie di emozioni forti e profonde. Le feste rappresentano idealmente il momento legato alla famiglia 'perfetta', all’amore idilliaco e che funziona, alla condivisione, allo scambio, all’allegria. Una visione da film della vita, un modello idealizzato e poco reale, che però fa risuonare dentro di noi le personali e specifiche rappresentazioni di famiglia, di socialità e di amore. E questo ci porta a fare dei bilanci, creando un impetuoso confronto che può scatenare un senso di inadeguatezza, d’inferiorità e di sconforto, facendoci sentire tristi e malinconici. Inoltre questa emotività viene pure censurata perché a questo si aggiunge la felicità forzata del Natale a cui sembra obbligatorio allinearsi. Invece se ci si sente malinconici è giusto e normale esprimerlo, senza per forza cambiare umore solo perché lo dice il calendario”.
 
Perché quest’anno il Christmas blues sarà differente dagli altri anni
“In questo momento siamo tutti impossibilitati a vivere le festività natalizie come le desideriamo e le sperimentiamo di solito. Stanno venendo a mancare riti e tradizioni che a Natale diamo per scontati: dallo shopping con le amiche ai cenoni con tanti parenti, ma anche le tavolate che riuniscono gli amici e tutti i baci e gli abbracci che ci scambiamo. Per cui non solo c’è questa dimensione idealizzata con la quale dobbiamo fare i conti, ma c’è anche la nostra esperienza positiva del Natale che quest’anno ci viene impedita. La differenza rispetto al passato sta nel fatto che ognuno di noi dovrà riorganizzare l’esperienza natalizia, non solo in termini pratici ma anche emotivamente. Dovremmo fare una rivoluzione interiore, perché dovremmo riadattarci a delle regole nuove, non scelte, che porteranno a fare tante rinunce e a rivedere le nostre abitudini. E questo può creare frustrazione, tristezza, impotenza che rischiano di far vivere male anche il Natale”.
 
I sentimenti negativi del Christmas blues quindi si accentuano e quest’anno vengono portati da... un nuovo Grinch: il Covid
“Questa pandemia rischia di accentuare tutte le tendenze della tristezza natalizia. Come la nostalgia e la malinconia, attivate dal confronto con le feste passate visto che questo sarà un Natale ridotto ai minimi termini. Anche il senso di solitudine può ingigantirsi, perché oltre alla lontananza ci sono il distanziamento sociale e la mancanza di contatto, tranciando di netto un emblema delle festività che è la vicinanza fisica. Il Covid è sicuramente il nuovo Grinch, il guastafeste per definizione che fa proprio male, perché impedirà di sentire il calore virtuoso natalizio così come lo abbiamo sempre sperimentato e di cui abbiamo estremo bisogno”.

Strategia “salva felicità” per vivere un Natale sereno

Anche se non saranno le solite feste, è importante non farsi agganciare dal Christmas blues e provare a vivere il bello dell’atmosfera natalizia, che può essere fonte e stimolo da cui trarre momenti di gioia. Ecco 5 consigli della psicologa che possono ispirarti.

1) Inventa una nuova tradizione.Intristirsi perché non ci si può sedere a tavola con 20 parenti e amici non cambia le cose, anzi le peggiora. Quindi per godere del Natale è importante non continuare a pensare qualcosa che non c’è, ma creare ex novo dei riti e delle tradizioni, inventandosi modi differenti per sentirsi vicini, anche se lontani. Rendiamo virtuosa questa mancanza creando nuove regole di un sistema familiare che sì, è ridotto, ma non per questo manca di calore, di amore, di affettività, di condivisione.

2) Previeni lo stress. Per metterti al riparo dalla nostalgia e dalla malinconia rispetto al ricordo del Natale passato, valuta quali saranno le 'mancanze' che durante le feste potrebbero creare momenti di delusione e di sconforto. Anticipando la delusione dentro di te, puoi lavorare per trovare delle soluzioni per colmare i vuoti. Un esempio? Se nessuno in famiglia è un abile cuoco e quest’anno non c’è la zia a preparare il pranzo di Natale, sfrutta il delivery per mangiare comunque quello che vi piace.

3) Tira fuori la gratitudine. Questa è una grande occasione per vivere un Natale più intimo, riscoprire la vera essenza di questa festa e in generale capire cosa conta davvero nella vita. È importante essere grati per le piccole cose, quelle che spesso diamo per scontate, perché mai come ora ci stiamo rendendo conto che 'piccole' non lo sono affatto. Fai quindi un elenco mentale di cose per le quali devi ritenerti fortunato; un esercizio che aiuta ad apprezzare il “qui e ora” e la bellezza di ogni momento.

4) Accogli le tue emozioni e indagale.Sentirti triste in un periodo che altri vivono come felice non vuol dire essere 'sbagliati' né che per forza ci si debba omologare alle emozioni altrui. Ascoltare quello che provi senza giudicarti può essere prezioso, perché può aiutarti a capire da dove vengono e da dove nascono le sensazioni che ti fanno sentire giù. Cerca il confronto, perché parlare con un'amica o un amico che vive come te questo disagio regala reciproca comprensione. In questo momento può essere normale sentirsi tristi e dirlo può far bene, perché ci si sente meno soli.

5) Ricorda che essere felici è una scelta.Il Natale può essere un’occasione di ritrovare gioia e speranza, rilanciare i dadi anche in un periodo difficile. La felicità è soprattutto una decisione, uno stato mentale, e può essere 'accesa' guardando le cose da un punto di vista differente. Prova ad allargare lo sguardo, quindi, per prendere le distanze da sentimenti di autocommiserazione e sensazione di tristezza, puntando il riflettore sulle tue risorse e sulle tue potenzialità. Ricordati che questo è solo un momento di tradizione, e che passerà. 

Dal Sito: d.repubblica.it

Natale ai tempi del Covid: ecco come evitare spaesamento, tristezza e solitudine



Anche l’anno del Covid-19 e dei lockdown avrà il suo Natale. E se per alcuni questo periodo è occasione di gioia e benessere, per altri porta tristezza e solitudine. Ma sentirsi spaesati e giù di morale non è anomalo, tutt’altro. “Il Natale, come l’estate, rappresenta una pausa dalle responsabilità e dal rigore lavorativo. Ci si concedono momenti di riposo, sgarri alle diete, si posticipano gli orari delle sveglie e si sta in compagnia il più possibile. Gran parte di questi momenti spensierati quest’anno non potranno essere vissuti con la stessa serenità e questo potrebbe generare un senso di smarrimento, lasciando meno spazio a sensazioni positive”, spiega a Gazzetta Active la professoressa Valentina Di Mattei, associata di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e psicologa clinica presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.

E’ normale, allora, sentirsi spaesati?
“Sì, è normale di fronte a circostanze e condizioni nuove: sarà un Natale del tutto inedito, in cui dovremo mettere da parte le tradizioni e lasciar posto a comportamenti responsabili. Tuttavia è bene enfatizzare l’effetto positivo da un punto di vista mentale di questi comportamenti solidali. Si tratta digesti individuali che vanno a beneficio di tutti, soprattutto delle persone più fragili: in questo senso riportano agli aspetti più essenziali del Natale. Inoltre, pensare a chi è stato colpito duramente da questa epidemia, con lutti o perdita del lavoro, agli operatori sanitari da mesi a rischio e sotto pressione, può aiutare a ridimensionare le proprie difficoltà”.


Come si possono superare queste difficoltà? 
“Può essere d’aiuto creare occasioni nuove di scambio e condivisione e pensare a soluzioni alternative e creative per stare insieme anche se distanti. Per esempio, fare videochiamate di gruppo per vivere insieme cene e pranzi di Natale o scartare insieme i regali ricevuti per posta può allentare la tensione e creare una nuova tradizione. La tecnologia in questo momento può essere utilizzata come strumento a nostro favore per superare la lontananza fisica. Nel rispetto delle distanze sociali e con i dispositivi di protezione, anche fare delle passeggiate all’aperto potrà aiutare a trascorrere del tempo di qualità in compagnia delle persone care”.

Perché le festività natalizie influiscono negativamente sull’umore? 
“Dicembre è un mese di bilanci emotivi relativi all’intero anno. Alcune persone riferiscono di vivere in concomitanza delle feste la “sindrome della promessa rotta”, un sentimento di delusione e fallimento legato ad aspettative disattese e traguardi non raggiunti. In aggiunta, pranzi e cene di Natale sono (in tempi normali) occasioni di convivialità in cui si rivedono parenti ed amici con i quali trascorrere insieme momenti piacevoli, sebbene in alcuni casi possano verificarsi situazioni che generano stress e tensione”.

Quali consigli dà a chi passerà le feste da solo? 
“Diverse persone, per via di questa situazione particolare, potranno ritrovarsi da sole a passare le festività, sentendosi anticipatamente demoralizzate. Nei giorni di festa, per chi si troverà costretto a passare il Natale da solo, un consiglio potrebbe essere quello di organizzare al meglio questo tempo per pensare ai propri obiettivi futuri, riorganizzando le attività per le settimane successive, prendendosi questi giorni per riflettere. Questa fase di crisi ha anche prodotto molte iniziative di solidarietà a favore delle persone più fragili. Riscoprire l’effetto benefico dell’altruismo è stato evidenziato da molti studi come chiave di successo per attraversare l’epidemia”.

Dal Sito: salute.gazzetta.it

Il dilemma della coperta corta, quando dobbiamo scegliere tra due opzioni negative





Probabilmente ti è successo in più di un’occasione. Hai freddo, quindi tiri la coperta per coprirti la testa, ma così facendo i piedi restano scoperti. Presto senti di nuovo freddo, quindi torni ad aggiustare la coperta, ma coprendoti i piedi, esponi la testa. È frustrante.

Il dilemma della coperta corta è una teoria intuitiva secondo cui è impossibile coprire contemporaneamente testa e piedi perché la coperta non è abbastanza lunga. Pertanto, siamo costretti a scegliere tra due possibilità, ma nessuna delle due ci soddisfa pienamente.

Il problema inizia quando applichiamo quel tipo di ragionamento ai conflitti più complessi della vita e presumiamo – o ci fanno credere – che abbiamo solo due opzioni e che dobbiamo decidere tra queste, anche se sono pessime o insoddisfacenti.

Una condanna permanente all’insoddisfazione e alla frustrazione

Nei dilemmi della coperta corta le due possibilità che abbiamo sono imposte; cioè, di solito derivano da limitazioni esterne. Il mondo ci pone degli ostacoli e ci presenta due soluzioni insoddisfacenti. Nessuna delle alternative è il risultato di una profonda riflessione, ma piuttosto di una limitazione. Pertanto, qualunque sia la soluzione che scegliamo, diventerà fonte di frustrazione.

Poiché nessuna delle due opzioni soddisfa davvero il bisogno di fondo, è comprensibile che la frustrazione continui a crescere. Limitarci a scegliere l’opzione meno negativa non ci lascia un buon sapore in bocca. Piuttosto, ci farà guardare continuamente indietro per riconsiderare i nostri passi.

Per questo motivo, molti problemi della coperta corta tendono a generare dubbi e rimpianti. Ci chiediamo cosa sarebbe successo se avessimo scelto l’altra possibilità. Saremmo stati altrettanto infelici? Quando questi dubbi si estendono agli aspetti importanti della nostra vita, è difficile che ci sentiamo soddisfatti e in pace con le nostre decisioni.

Il pensiero intrappolato nel circolo vizioso della dualità

Una delle principali trappole che ci tendono i dilemmi della coperta corta è rinchiudere il nostro pensiero in uno schema  in cui ci sono solo due soluzioni. Diventano un limite che ci impedisce di contemplare qualsiasi soluzione che vada oltre gli stretti limiti stabiliti.

Infatti, esporre i dilemmi della coperta corta è una strategia di manipolazione sociale abbastanza comune. È normale che ci vengano date solo due soluzioni tra cui scegliere. Destra o sinistra? Salute o economia? Sviluppo o minore contaminazione?

Il problema è che consumiamo così tante risorse cognitive per valutare i pro ei contro delle due soluzioni predeterminate che dimentichiamo di guardare oltre per trovare un percorso alternativo. Forse l’alternativa che troveremmo non sarebbe ideale, ma almeno potrebbe essere più pratica o soddisfacente delle due possibilità iniziali.

Altre volte siamo noi che creiamo e cadiamo in questo falso dilemma. A volte siamo così presi dal problema o accecati dalle emozioni che non siamo in grado di vedere oltre le possibilità evidenti. Questi tipi di situazioni possono indurci a considerare false dicotomie. Potremmo pensare, ad esempio, che possiamo solo decidere tra mantenere una relazione insoddisfacente o lasciarci e restare soli per sempre.

Quando le emozioni prendono il sopravvento, non pensiamo chiaramente e tendiamo a cercare soluzioni estreme e opposte. In pratica, i dilemmi della coperta corta rinchiudono il nostro pensiero in una scatola molto piccola. Alimentano un modo di pensare dicotomico in termini di buono o cattivo, nero o bianco, positivo o negativo. Ciechi di fronte ad altre possibilità, non siamo in grado di esplorare soluzioni alternative, quindi scegliamo di seguire il copione che altri hanno scritto per noi o che ci siamo imposti.

Rompere gli schemi

“A volte siamo eccessivamente disposti a credere che il presente sia l’unico stato di cose possibile”,scriveva Marcel Proust. Per sfuggire all’effetto della coperta corta, dobbiamo smettere di pensare che ci siano solo due soluzioni.

Invece è molto più costruttivo dirci che, finora, abbiamo visto solo le due soluzioni più ovvie o le due alternative che qualcuno ci ha proposto, ma ciò non significa che non ci siano altre strade da esplorare.

Per risolvere il problema della coperta corta dobbiamo cambiare il nostro approccio. Forse non siamo in grado di allungare la coperta, ma possiamo assumere una posizione fetale per coprirci meglio. Possiamo anche usare una seconda coperta. Oppure indossare dei calzini più spessi.

La chiave è essere consapevoli che il nostro problema può essere la lunghezza della coperta, ma il bisogno da soddisfare è proteggerci dal freddo. Cambiando l’obiettivo su cui concentrarci, usciamo dalla dicotomia apparentemente insormontabile per trovare una soluzione più soddisfacente al vero bisogno di fondo.

A volte dobbiamo solo guardare oltre il problema o conflitto. Quando ci concentriamo sul bisogno, senza risposte predeterminate – o superandole – possiamo scoprire una gamma più ampia di soluzioni che possono essere più soddisfacenti e appropriate alle nostre circostanze.


Dal Sito: angolopsicologia.com 

Dolore emotivo: Ciò che non ti uccide ti rende più forte 




“Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati”disse Ernest Hemingway. Sfortunatamente, ci sono persone che non si riprendono mai dai colpi che la vita dà loro, non sono in grado di permettere che le loro ferite guariscano, e queste terminano condizionando sia il loro presente che il loro futuro.

Il dolore emotivo può diventare molto più resistente e intenso del dolore fisico. Purtroppo, ci hanno educato a evitare il dolore, invece che affrontarlo e usarlo come trampolino di lancio per la crescita. Pertanto, non è strano che quando affrontiamo situazioni che ci causano sofferenza, attiviamo delle strategie che ci fanno sentire ancora peggio e ritardano la guarigione emotiva.

10 modi dannosi di affrontare il dolore emotivo

Il dolore emotivo genera di solito risposte diverse. Se non abbiamo sviluppato le nostre risorse psicologiche di coping, è probabile che agiremo automaticamente, ripetendo comportamenti che abbiamo imparato dai nostri genitori o da chi abbiamo vicino. In questi casi, è molto facile cadere in un ciclo di negatività in cui non troviamo l’uscita.

1. Fuga. Si traduce nel tentativo di allontanarsi con ogni mezzo dall’evento doloroso, dalla situazione che ci sta causando sofferenza. Ma dal momento che il dolore emotivo ha una grande componente soggettiva, non c’è posto al mondo in cui possiamo scappare da noi stessi, quindi questa strategia di evitamento di solito non è molto efficace.

2. Repressione. È un meccanismo di difesa che attiviamo quando crediamo di non essere in grado di affrontare il dolore emotivo. Consiste nel cercare di dimenticare gli eventi, in modo tale che non causino sofferenza. Il problema, ancora una volta, è che non possiamo semplicemente dimenticare perché quei contenuti rimarranno attivi, dal momento che non li abbiamo elaborati come parte della nostra narrativa di vita.

3. Negazione. Abbiamo scelto di ignorare la sofferenza, agendo come se non esistesse. Ogni volta che sentiamo una fitta di dolore diciamo a noi stessi che non sta succedendo nulla, che tutto sta andando bene. Ovviamente, negare la realtà non la farà scomparire.

4. Proiezione. In questo caso il dolore emotivo viene proiettato sugli altri. Quando mettiamo in azione questo meccanismo ci diciamo che noi stiamo bene, che sono gli altri a soffrire. Crediamo che non riconoscendo la sofferenza, questa scomparirà come per magia.

5. Regressione. Quando il dolore emotivo è molto forte, a volte ci rifugiamo in periodi precedenti della nostra vita, in cui ci sentiamo molto più a nostro agio e al sicuro. La nostalgia, e il bisogno di guardare indietro per sentirsi bene, indicano spesso che stiamo vivendo un presente che non ci piace. Tuttavia, per superare qualsiasi tipo di dolore emotivo è essenziale guardare avanti, non rimanere bloccati nel passato.

6. Isolamento. Più profonda è la ferita, più privato è il dolore. A volte non troviamo un modo per esprimere quella sofferenza, così finiamo per isolarci, viverlo in privato e permettergli di consumarci. Il problema è che l’isolamento genera solitudine e la solitudine innesca la depressione, introducendoci in un circolo vizioso che alimenta la sofferenza.

7. Razionalizzazione. Se crediamo di essere una persona profondamente razionale, che non può essere influenzata dalle emozioni, rifiuteremo il dolore emotivo e cercheremo delle cause razionali che possano confortarci. Il problema è che spesso questo processo porta all’autocolpevolizzazione, che genera problemi ancor maggiori a livello emotivo.

8. Spostamento. In questo caso cercheremo di trovare un colpevole fuori di noi, a cui possiamo attribuire la responsabilità del nostro dolore. Ma la verità è che la ricerca del capro espiatorio ci impedisce di assumere la nostra parte di responsabilità e imparare dall’esperienza. Pertanto, quel dolore sarà stato inutile.

9. Sostituzione. In questo caso, la strategia che scegliamo per affrontare il dolore emotivo è sostituire i pensieri che ci feriscono con altri, per evitare la sofferenza. All’inizio, non ci sarebbe nulla di sbagliato in questo, il problema si presenta quando la sostituzione dei pensieri viene fatta con l’obiettivo di negare l’evento o quando usiamo affermazioni ingenue come “stai molto bene, non succede assolutamente nulla”.

10. Ripetizione. È una delle peggiori strategie che possiamo usare per affrontare il dolore emotivo perché consiste nel ripassare, più e più volte, l’accaduto. La nostra mente si trasforma in un cinema in cui proiettiamo continuamente i fatti, cercando di ricostruire anche il più piccolo dettaglio nel tentativo di trovare consolazione o una spiegazione. Ovviamente, questa strategia non fa che alimentare il problema.

3 passi per superare il dolore emotivo

1. Il dolore non è tuo amico, ma neppure il tuo nemico

Il dolore è dentro di noi, non possiamo sfuggirgli, anche se è vero che in alcuni casi è conveniente allontanarsi dalla fonte che lo causa. Ma è sempre necessario fare un profondo lavoro interiore.

Negare il dolore non è il modo migliore per affrontare la sofferenza. Il dolore emotivo è un sintomo, il segno che qualcosa non va e dobbiamo “ripararlo”. Pertanto, il primo passo per superarlo è accettarne l’esistenza e imparare a conviverci finché poco a poco scomparirà.

Quando soffriamo un’esperienza traumatica le tracce dolorose rimangono impresse nel nostro cervello. I neuroscienziati dell’Università di Harvard chiesero a delle persone che avevano subito un trauma di ascoltare una descrizione dell’accaduto, nel frattempo veniva scannerizzato il loro cervello. Scoprirono così che quando le persone non erano in grado di voltare pagina, si attivavano soprattutto l’amigdala, il nucleo della paura e la corteccia visiva, il che significa che stavano rivivendo questi eventi in modo particolarmente intenso.

Al contrario, nelle persone che erano riuscite a superare il trauma, si attivò l’area di Broca, responsabile del linguaggio. Ciò significa che queste persone trasformarono l’evento doloroso in un’esperienza narrativa che incorporarono nella loro storia di vita, così da riuscire ad alleggerirlo, almeno in parte, del suo impatto emotivo.

All’inizio, l’idea è quella di prendere atto del dolore, come potremmo prendere atto del resto delle cose che ci circondano, ma cercando di non drammatizzare ancora di più. Per esempio: “provo dolore, ne sono consapevole ed è una risposta normale che svanirà con il passare dei giorni”. Certo, non si tratta di accettare solo quel dolore, ma anche tutti i sentimenti che porta con sé, dalla rabbia alla frustrazione.

2. Accettazione radicale: a mali estremi, rimedi estremi

Lo psicologo William James scrisse: “accettare ciò che è accaduto è il primo passo per superare le conseguenze di qualsiasi disgrazia”. Se continuiamo a rimuginare sull’accaduto, non potremo mai voltare pagina.

Tara Brach ci propone di praticare l’accettazione radicale, che consiste in “riconoscere chiaramente ciò che proviamo nel presente così da poter affrontare quell’esperienza con compassione”. Questo significa accettare tutto ciò che ci accade nella vita senza opporre resistenza. Non significa rassegnarsi, ma assumere che certe cose sono successe e non possiamo cambiarle, invece di emettere continuamente giudizi di valore che ci immergono in un ciclo di negatività, come ad esempio: “non doveva andare cos씓non è giusto” o “perché proprio a me?”

Quando accettiamo un evento, per quanto doloroso, riusciamo a capire che questo evento fa parte del passato e che ciò che condiziona il nostro presente sono i pensieri e le emozioni che stiamo alimentando. Certo, non è facile, l’accettazione non arriva in un colpo solo, è un processo che richiede un arduo lavoro psicologico.

Mentre accetti che l’accaduto appartiene al passato, il tuo cervello lo elaborerà finché non riuscirai a “sconnetterlo” dal tuo presente. Quando accetti che non puoi cambiare quello che è successo, il cervello smetterà di cercare soluzioni, il che significa che smetterai di rimuginare e rivivere l’esperienza dolorosa nella tua mente.

3. Ricomporre i pezzi rotti che il dolore lascia dietro di sé

L’avversità colpisce tutti, siamo noi che dobbiamo imparare non solo a sopravvivere, ma anche ad uscire rafforzati dall’esperienza. Essere dei sopravvissuti che trascinano con sé il dolore emotivo può diventare un vero incubo.

Ci sono persone che hanno la capacità innata di ricomporre i pezzi rotti, sono persone resilienti che dispongono di risorse straordinarie per il recupero emotivo. Altri devono sviluppare quelle abilità. Secondo lo psicologo Guy Winch, “la perdita e il trauma possono fare a pezzi la nostra vita, devastare le nostre relazioni e sovvertire la nostra stessa identità”, ma è necessario ricomporre quei pezzi.

In realtà, le esperienze traumatiche che lasciano dietro di sé una grande sofferenza sono così dolorose, tra le altre ragioni, perché fanno a pezzi le nostre convinzioni rispetto al mondo, facendoci notare che non è un posto così sicuro come pensavamo. Questa scoperta può essere piuttosto destabilizzante, perché non si tratta solo di riprendersi dal colpo subito, ma ci rende consapevoli che la vita può infliggerci colpi ancor più dolorosi.

Per curare la ferita abbiamo bisogno di tempo e di un profondo lavoro introspettivo. Infatti, molto spesso non si tratta di rimettere i pezzi rotti al loro posto, come faremmo con un vaso rotto, ma trovare nuovi modi di far combaciare quei pezzi. Questo significa che potresti trovare un nuovo significato della vita, capire in che modo questa esperienza ti ha reso più forte o addirittura sentirti incoraggiato a intraprendere nuovi progetti. Se usi il dolore come un’opportunità per crescere, invece di vederlo solo come una fastidiosa pietra sul tuo cammino, non sarà stato invano.


Dal Sito: angolopsicologia.com 


lunedì 14 dicembre 2020

Crescita personale: cos'è e a cosa serve?




Parlare di crescita personale vuol dire riferirsi a delle competenze specifiche quali la capacità di gestire le emozioni, la resilienza, l’empatia, l’adattabilità, la creatività.

Queste competenze vengono anche chiamate in gergo competenze trasversali o Soft Skills e sono utili non solo nella vita privata ma anche nella professione: la ricerca ha infatti dimostrato ampiamente che le conoscenze tecniche di settore e l’intelligenza personale costituiscono solo una parte delle qualità utili ad affermarsi nel proprio campo professionale. Vediamo allora che cosa intendiamo quando usiamo l’espressione gestire le emozioni. Per gestire qualcosa dobbiamo affinare una serie di abilità che possiamo allenare e migliorare nel tempo. Queste abilità dunque sono competenze che possono essere apprese da tutti, potenziate con l’esperienza nel corso della propria esistenza.

Gestire le emozioni vuol dire dunque: riconoscerle (dargli un nome), assumersene la responsabilità (cogliere le informazioni che contengono su noi stessi quando le esprimiamo) e legarle ai propri bisogni (utilizzarle per raggiungere i propri obiettivi nella vita). Imparare a gestirle in questo modo accresce il benessere perché permette di comprendere quello che ci accade intorno e di avere il potere di cambiare quegli aspetti che non portano nutrimento alla nostra vita. Inoltre poter dare un senso alle emozioni spiacevoli ci fornisce il vantaggio di non esserne travolti trovando la nostra personale modalità per affrontarle e farci qualcosa. Gestire le emozioni ci informa sul nostro modo di essere, sul nostro modo di guardare il mondo e sulla nostra modalità di rapportarci agli altri. Tutto questo aumenta la nostra crescita personale perché ci fornisce gli strumenti per guidare le nostre relazioni e per imparare a chiedere in maniera competente senza rischiare di ferire l’altro o di imbatterci cronicamente in situazioni che generano rifiuto e allontanamento da parte dell’altro.

Ragionare in quest’ottica significa da un lato sfruttare al meglio gli effettigenerati dall’espressione delle nostre emozioni nei diversi contesti e dall’altro imparare da questi feedback qualcosa in più su come è fatto l’altro e su quale sia il modo migliore di avvicinarsi a lui. Chiedere qualcosa all’altro utilizzando il potenziale insito nell’espressione competente delle emozioni lo dispone a darci quello che vorremmo e a comprendere il nostro punto di vista. In questo senso l’abilità di mettersi nei panni dell’altro che chiamiamo empatia smette di essere un concetto e diventa una concreta possibilità di costruire relazioni in cui c’è uno spazio reale per le persone che ne fanno parte.

Altra abilità importante è quella della resilienza che consiste nell’affrontare le avversità della vita attraversandole per uscirne trasformati traendo vantaggio da quello che ci accade. Essere resilienti non significa dunque essere intoccabili e invulnerabili alle emozioni, ma al contrario vuol dire avere la tenacia di viverle a pieno lasciandosi toccare da quello che hanno da dirci. Ogni emozione che sentiamo nel corpo comunica alla nostra mente e alla nostra anima cosa sarebbe più salutare per noi fare in quel determinato momento, imparare a farci caso e ad esserne consapevoli è uno strumento fondamentale per accrescere la resilienza.

Collegata alla resilienza è l’adattabilità che consiste nell’entrare in contatto con le situazioni della vita stando radicati nel qui e ora, un po’ come l’acqua che non essendo rigida nel suo essere, prende la forma del contenitore in cui la versiamo. L’utilità dell’adattabilità è presto detta: la vita stessa ci presenta situazioni dalle forme più diverse e affrontarle in base alla forma che assumono di volta in volta piuttosto che nella stessa rigida maniera porta benessere perché permette di utilizzare le proprie energie in modo mirato, senza disperderle trattenendo ciò che dobbiamo lasciar andare.

La creatività a questo proposito è l’abilità con cui possiamo trovare strade alternative al raggiungimento dei nostri obiettivi e dei nostri sogni. Quando un sogno non si realizza o ci blocchiamo sulla realizzazione di questo sogno con tutte le nostre forze perdendo di vista tutta una serie di altre possibilità, allora utilizzare la creatività e l’immaginazione può fare la differenza tra una vita piena di rancore e frustrazione e una vita in cui accanto alla porta principale dei sogni ci sono tante porticine cariche di altri desideri. Nel secondo caso la vita è più soddisfacente perché nel frattempo che un sogno non si realizza ci dedichiamo a un altro desiderio e dedicandoci a questo possiamo accumulare altra energia vitale che continuerà a muoverci nella direzione di progettare la nostra esistenza, anziché fermarla alla prima sconfitta.


Dal Sito: psicologionline.net

Come funziona la tua mente e perché a volte fai scelte azzardate





Ti sarà capitato spesso nel corso della vita di creare situazioni scomode o di partecipare a eventi in cui non avevi potere gestionale. La motivazione è piuttosto semplice, il nostro cervello è una macchina molto complessa costituita da una parte conscia che riusciamo a vedere analizzare e da una parte inconscia che sfugge al nostro controllo. Quante volte avrei preso decisioni azzardate? Magari a distanza di pochissimo tempo te ne sei pentito o ti sei chiesto quanto meno com’è possibile che tu abbia preso quella determinata decisione.

Non è difficile da comprendere: qualcosa dentro di te ti avrà spinto a fare la scelta più azzardata ma che in fin dei fatti desideravi fare. In particolare, durante il periodo della giovinezza tutti noi abbiamo commesso degli errori e giudicandoli a posteriori non devi valutarli per forza in modo negativo. Probabilmente, mentre prendevi quelle decisioni eri anche un periodo confuso e particolare della tua vita, appunto l’adolescenza. Con il passare degli anni, le decisioni sbagliate si sono ridotte e hai imparato finalmente a capire cosa ti spinge ma ogni tanto, ancora oggi, compi delle scelte senza comprenderne le ragioni che ci sono dietro.

Proviamo a comprendere come funziona il cervello e vediamo insieme come mai a volte sei più portato a fare scelte apparentemente di pancia

Conscio e inconscio: le due parti di cui è fatto il cervello 

Il cervello umano si può suddividere in funzioni consce oppure inconsce. Le prime sono quelle che normalmente associamo al pensiero, ovvero tutto ciò che visualizzi nella tua mente. La parte cosciente del cervello di norma riesce a considerare solo un argomento per volta: il multitasking è una pia illusione. Il pensiero infatti è piuttosto limitato perché è incapace di considerare più aspetti contemporaneamente. Se dovessimo immaginare la forma possibile della parte conscia della nostra mente sarebbe una linea retta. Prima analizzi un problema e trovi una soluzione, poi passi al problema seguente. 

L’inconscio invece è completamente diverso. infatti, può memorizzare e elaborare molte informazioni contemporaneamente. Per riuscirci però, non te lo comunicherà: apprenderai informazioni nuove senza però esserne consapevole. Anche l’elaborazione dei dati nella parte inconscia del nostro cervello avviene in gruppo, per questo motivo le scelte guidate dall’inconscio sono difficili da mettere a fuoco. Nell’inconscio si accavallano pensieri passati, esperienze vissute e considerazioni future. Per questo motivo le scelte che apparentemente sono di pancia in realtà sono dettate dal lato inconscio della nostra mente. 

Quante informazioni apprendi in un solo giorno? 

Ogni giorno della tua vita sei bombardato da informazioni di ogni tipo anche se non te ne rendi conto. Nel semplice tragitto casa lavoro, incontri centinaia di persone e vedi un’infinità di oggetti. Prova a pensare se ti ricordi qualche dettaglio delle persone che hai incontrato ieri in questo tragitto. Nel provarci, forse emergerà alla tua mente il ricordo di qualche particolare un po’ sfocato, che probabilmente ti ha colpito senza un motivo particolare. Oppure ti è mai capitato di ricordare un dettaglio insignificante di una conversazione con qualcuno? Anche in questo caso, l’informazione per quanto inutile ha attraversato il tuo inconscio dove è stata trattenuta per un qualche recondito motivo.

Il nostro cervello è una macchina complessa e infinita, per questo motivo è così difficile comprendere come agisce. Se ti troverai a dover affrontare situazioni create da scelte che hai compiuto ma che non comprendi fino in fondo, forse sarebbe bene fermarsi un attimo a riflettere. L’inconscio è difficile da comprendere, ma non è qualcosa di isolato dal resto della tua mente: facendo introspezione riuscirai a capire cosa realmente desideri

Ansia: i suggerimenti facili per tenerla a bada




Ansia: i suggerimenti facili per tenerla a bada

È un malessere che colpisce con maggior frequenza le donne: si può controllare ma non va sottovalutato.


Ci sentiamo sempre con il fiato sospeso, l’ambiente che ci circonda appare potenzialmente minaccioso, siamo sempre vigili e preoccupati,anche se non sappiamo con precisione che cosa sia a intimorirci: tutto questo è l’ansia, uno stato emotivo di disagio e di paura suscitato da qualcosa che percepiamo come pericoloso per noi e per i nostri cari e davanti al quale non siamo certi di poterci difendere in modo efficace. Anche se di per sé l’ansia non è uno stimolo negativo, perché spinge alla prudenza e a comportamenti responsabili, può trasformarsi in una tensione continua, logorante e un serio ostacolo alla nostra quotidianità. In questi casi è indispensabile chiedere aiuto. 

FOTOGRAFIA DELL’ANSIA – Il termine ansia viene dal latino anxia, derivante a sua volta dal verbo angere che significa stringere, soffocare. La parola stessa, dunque, descrive lo stato d’animo che vuole indicare: l’ansia è un timore interiore che costringe e toglie il fiato. Di per sé non è un fenomeno anormale, ma è semplicemente è la sensazione di allerta psicologica e fisica che proviamo in presenza di uno stimolo minaccioso: questa condizione vigile e attiva ci mantiene in guardia e ci rende pronti a mettere in atto misure efficaci per proteggerci e preservare la nostra incolumità. Quando però lo stato di tensione non si interrompe mai o diventa eccessivo, può disturbare in maniera più o meno importante le nostre azioni quotidiane e occorre fare qualcosa.

 

I SINTOMI - I sintomi dell’ansia possono essere vari e diversi: di solito coinvolgono sia la sfera cognitiva che quella fisica. Di solito il soggetto in preda all’ansia prova unsenso crescente di allarme e di pericolo, nutre pensieri negativi e pessimisti, oppure sperimenti una sensazione di vuoto mentale. Le reazioni più comuni sono il tentativo di esplorare l’ambiente alla ricerca di spiegazioni, rassicurazioni e, soprattutto, vie di fuga. A questo si accompagnano alcuni sintomi fisici, tra cui l’aumento della sudorazione, il batticuore, il respiro che diventa superficiale e affannoso, la nausea, i disturbi addominali e, nei casi più acuti, il dolore al torace e la difficoltà a respirare. 

 

COME COMPORTARSI – Se abbiamo provato con frequenza uno o più di questi sintomi, o se abbiamo sperimentato un episodio acuto, è opportuno cercare l’aiuto di uno specialista: l’ansia può essere di diversi tipi e richiedere un trattamento specifico: è quindi di pertinenza di un medico preparato. Se invece ci troviamo a dover gestire sintomi blandi o se siamo alle prese con un semplice senso di timore che ogni tanto ci assale e ci infastidisce, possiamo provare a mettere in atto qualche regola di auto-aiuto che ci aiuti   a stare meglio e, soprattutto, a non sentirci a disagio davanti ad altre persone.  

 

-    Impariamo a respirare – Dato che uno dei primi sintomi dell’ansia è proprio il fiato corto, impariamo a gestire lo stress sul filo del respiro. Esistono particolari tecniche, anche mutuate dallo yoga, per mantenere sotto controllo le emozioni sgradevoli proprio tramite la respirazione profonda e diaframmatica: alternando in modo regolare inspirazioni ed espirazioni profonde si possono controllare anche le tensioni muscolari eccessive e recuperare uno stato di benessere e di autocontrollo. 
-    Accettazione – Può sembrare strano a dirsi, ma l’ansia non va combattuta: va invece accettata e persino assecondata, entro certi limiti. Occorre esserne consapevoli e accoglierla come faremmo con un limite fisico o un’imperfezione. Diamo il giusto peso ai nostri bisogni e a quello che ci rende felici: proponiamoci obiettivi ragionevoli e cerchiamo di raggiungerli passo dopo passo anche se sappiamo che il timore ad un certo punto ci assalirà. Quando avremo trovato un modo per arrivare comunque al nostro obiettivo, a quel punto anche l’ansia scomparirà. 
-    Controllo, ma non troppo – Un ansioso di solito fa di tutto per tenere sotto controllo tutti gli aspetti di una situazione. Cerchiamo di non eccedere con questa smania: avere il dominio di ogni aspetto della vita è impossibile, anche se entro una certa misura, di sicuro è alla nostra portata. Pianifichiamo allora le situazioni e prevediamone i possibili punti critici, ma restiamo consapevoli che qualcosa può comunque andare storto: ripetiamo a noi stessi che anche in questo caso di certo saremo in grado di affrontare la situazione e di cavarcela con onore.
-    Non concediamo spazio al pessimismo: la legge di Murphy è purtroppo una tagliola sempre in agguato, ma se vediamo tutto nero, le cose hanno maggiori probabilità di andare storte. Meglio essere ottimisti e sbagliarsi che essere pessimisti e avere ragione. Concentriamoci dunque sul presente, senza lasciarci intimorire dal futuro. 
-    Situazioni ansiogene: la cautela è d’obbligo – Se conosciamo le situazioni che ci creano particolare apprensione, affrontiamole con coraggio ma sempre con cautela e in modo graduale, senza pretendere troppo da noi stessi. Ad esempio, se parlare in pubblico ci terrorizza, facciamo qualche prova davanti allo specchio o con un registratore; potremo passare poi a un piccolo auditorio con qualche amico e conoscente e poi, se siamo riusciti a prendere coraggio, affrontare la presentazione importante della quale il capo ci ha incaricati. Con un po’ di esperienza, e di fiducia in noi stessi, probabilmente l’ansia svanirà. 


Dal Sito: tgcom24.mediaset.it


mercoledì 9 dicembre 2020

Attacchi di panico notturni: cosa sono e come affrontarli




Sintomi e 
caratteristiche degli attacchi di panico notturni

Gli attacchi di panico sono un problema molto comune e si manifestano, nella maggior parte dei casi durante il giorno. Però possono giungere inaspettatamente anche nel corso della notte.

I sintomi più frequenti di questi risvegli improvvisi notturni sono un senso di profonda angoscia, tachicardia, sudorazione, mancanza di fiato, tremori, vampate di calore, dolore al petto.

Ne deriva che il soggetto avrà difficoltà a riaddormentarsi per il timore che queste sensazioni si possano ripresentare.

Ciò che distingue gli attacchi di panico notturni da quelli che si presentano di giorno è il livello di consapevolezza e di vigilanza. Di notte il soggetto si trova in una condizione di maggiore fragilità ed impotenza. In questa situazione di maggiore vulnerabilità le persone si spaventano particolarmente e possono arrivare a richiedere l’intervento medico temendo un attacco cardiaco o altre potenziali minacce di morte.

Di fatto gli attacchi di panico notturni comportano una forte angoscia ma non risultano dannosi per la salute fisica dell’individuo. In alcuni casi si sperimenta uno stato di allerta continuo, soprattutto nelle ore che precedono l’addormentamento, per la paura che i sintomi possano ripresentarsi. Si può arrivare a cercare di evitare e/o ritardare di andare a letto per non ripetere l’esperienza angosciante.

Il soggetto svilupperà in questo modo una tendenza ad avere un sonno più leggero e avrà una maggiore probabilità di risvegliarsi fino a manifestare veri e propri disturbi del sonno.

Prevalenza e caratteristiche degli attacchi di panico nella notte

Gli attacchi di panico notturni sono molto più frequenti di quello che si possa immaginare. Si stima che il 50-70% delle persone che soffrono di disturbo di attacchi di panicosperimentino, almeno una volta, un attacco di panico notturno. Questi individui mostrano livelli di preoccupazione più intensi per le crisi notturne.

Il DSM-5 classifica gli attacchi d’ansia notturni entro la più ampia categoria degli attacchi di panico inaspettati. Cioè che si verificano indipendentemente da fattori situazionali scatenanti (APA, 2013). Gli attacchi notturni non presentano sintomi diversi da quelli diurni.

Le ricerche

Secondo alcune ricerche (the fear of loss of vigilance theory; Tsao & Craske, 2003), chi soffre di panico notturno teme le situazioni in cui si riduce l’attenzione prestata agli stimoli esterni. Come nei momenti di relax e quindi anche durante il sonno. Infatti, in tali circostanze può essere più difficile prevedere e tutelarsi da eventuali pericoli.

Altri autori (Smith, Albanese, Schmidt & Capron, 2019) hanno ipotizzato che coloro che soffrono di crisi di panico notturne manifestino maggior intolleranza all’incertezza, ovvero reggano con maggiore difficoltà situazioni imprevedibili e incerte.

In questo caso il soggetto avrebbe più paura che durante la notte possa accadere un evento inaspettato a cui non è pronto a reagire. Rispetto a chi soffre di attacchi di panico esclusivamente diurni, chi ha attacchi notturni si sente anche meno capace di agire in situazioni imprevedibili.

Inoltre, chi sperimenta attacchi notturni teme maggiormente di essere incapace di proteggersi dalle spiacevoli conseguenze di eventi dannosi. Le ricerche sottolineano in aggiunta che il soggetto che soffre di crisi d’ansia notturne risulta essere più sensibile all’ansia, preoccupandosi del giudizio o del rifiuto altrui. Questo dato potrebbe significare che gli individui che hanno attacchi di panico notturni manifestino sintomi di ansia socialee temano quindi che la persona con cui dormono possa notare e giudicare negativamente le proprie difficoltà legate al sonno.

Attacchi di panico notturni, pavor nocturnus e apnea notturna

Gli attacchi di panico notturni vanno distinti dal pavor nocturnus e dall’apnea notturna. Il Pavor Nocturnus è un disturbo del sonno molto comune nei bambini. Si verifica tipicamente nel sonno profondo e si manifesta come un risveglio improvviso. Spesso in preda a lacrime, forte ansia e sintomi vegetativi come tachicardia, sudorazione e respiro corto.

La prima differenza quindi tra attacco di panico e pavor nocturnus è l’ora in cui questi avvengono. Gli attacchi di panico in genere si presentano tra la mezz’ora e le tre ore dopo essersi addormentati, quindi nella fase del sonno non-rem.

Il terrore notturno avviene nella fase rem ed è legato ad un incubo e appena la persona si rende conto di aver fatto un brutto sogno si calma e riesce ad addormentarsi. Nell’attacco di panico ci sono solamente sensazioni angosciose, non c’è ricordo di un sogno e il soggetto non riesce facilmente a rilassarsi e riaddormentarsi.

Invece i risvegli causati da apnea del sonno non sono tipicamente caratterizzati da forte ansia. Però questo disturbo del sonno potrebbe avere un legame con  l’origine degli attacchi di panico notturni, influendo sulla frequenza cardiaca e sulla pressione sanguigna.

Possibili cause dell’attacco di panico notturno

Gli attacchi di panico notturnipossono essere condizionati dagli eventi e le situazioni che viviamo durante il giorno, dal consumo di droghe o alcol e dalla maggiore attivazione individuale legata alla presenza di un disturbo d’ansia.

Una condizione comune tra chi soffre di attacchi di panico notturno è lo stress con una conseguente maggiore produzione di adrenalina e cortisolo da parte dell’organismo. Così il soggetto vivrà una condizione di allerta continua, con una maggiore predisposizione ai risvegli in preda al panico.

Inoltre, la paura di avere altri attacchi di panico (paura anticipatoria) può ostacolare l’addormentamento, causando un peggioramento generale della qualità del sonno, lo sviluppo di disturbi del sonno e l’aumento del livello di stress.

Nonostante i ricercatori non abbiano ancora individuato con precisione le cause degli attacchi di panico notturni e diurni, è possibile identificare alcuni comuni fattori di rischio:

Fattori genetici/familiarità (membri della famiglia con una storia di attacchi di panico)

Tratti di personalità e disturbi psicologici sottostanti come ansia sociale, fobie etc…

Eventi di vita stressanti come perdita di lavoro, perdita di una persona cara, problemi familiari, separazione/divorzio etc…

Cosa fare e a chi rivolgersi per ricevere un aiuto

E’ molto difficile riaddormentarsi dopo un risveglio in preda al panico e aspettare che torni il sonno non è la soluzione migliore. Può essere invece utile alzarsi, ricorrere a tecniche di respirazione lenta e profonda o altre tecniche di rilassamento (es. yoga, training autogeno, rilassamento muscolare).

Per prevenire l’insorgere degli attacchi di panico è importante adottare uno stile di vita che consenta una migliore gestione dello stress, imparando a dedicare del tempo al piacere e alla cura personale.

E’ importante arrivare ad una corretta diagnosi, escludendo condizioni fisiche come problemi cardiaci o tiroidei, che possono presentare sintomi simili.

Una volta individuato il problema e intrapreso un trattamento adeguato, la guarigione si verifica in pochi mesi, ma potrebbe richiedere un tempo maggiore a seconda dello specifico caso.

La psicoterapia

La Terapia Cognitivo Comportamentale è il trattamento di prima scelta per il disturbo di panico e aiuta le persone a comprendere e gestire gli attacchi di panico.

La Terapia Cognitivo Comportamentale si pone l’obiettivo di modificare gli stili di pensiero disfunzionali e i comportamenti messi in atto in certe situazioni.

Può capitare che le persone nel tentativo di agevolare il sonno utilizzino strategie scorrette che non fanno altro che alimentare il problema (es. abuso di alcol e psicofarmaci o assunzione di bevande eccitanti come il caffè o drink energizzanti).

Il compito del terapeuta è guidare il paziente ad apprendere tecniche per gestire e ridurre i sintomi dell’ansia e talvolta la psicoterapia può essere coaudiuvata dall’uso di farmaci. I farmaci però dovrebbero essere utilizzati parallelamente a una terapia psicologica. La maggior parte dei pazienti trattati solo farmacologicamente ha infatti una ricaduta una volta terminata l’assunzione farmacologica.


Dal Sito: ipsico.it 

Il dono del dolore: quando cadere ti rende più forte


“Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.”
— Khalil Gibran

Il dolore è uno dei nostri più grandi maestri, ci accompagna in ogni fase della nostra vita; peccato che intorno a lui, abbiamo costruito un mito negativo che ci impedisce di capire quali doni e lezioni ci porta. Se ci pensi bene, la nostra vita comincia nel dolore, basta pensare al parto. Da lì, la nostra vita sarà costellata da grandi e piccole sofferenze, tra le quali le più insidiose saranno quelle che rimarranno invisibili agli occhi.

Si potrebbe vivere una vita priva di dolore? Forse, ma si rischierebbe di passare accanto al genere di esperienze che ci fanno crescereveramente.

Le lezioni della sofferenza: quando il dolore insegna

Quando avevo circa 4 anni, ero particolarmente attratta dal fuoco e non servivano a nulla le ammonizionidi mia madre che tentava a tutti i costi di allontanarmi da lui. Io volevo afferrare quella piccola meraviglia luminosa, volevo toccarla. Un giorno, mia madre fece qualcosa di discutibile che mi avrebbe comunque risparmiato nel futuro dei grossi guai: mi lasciò scottarmi il dito. Provai un dolore tale che me lo ricordo ancora oggi! Da quel giorno, sono rimasta molto attenta al fuoco. Mi sono ferita  ma ho anche imparato qualcosa di importante: bisogna stare attenti a ciò che crea dolore. È così che il dolore ci insegna a diventare prudenti e responsabili: quando sai che qualcosa ha il potere di ferirti e sai cosa significa soffrire,provi di evitarlo anche agli altri.

“Un’ora breve di dolore c’impressiona lungamente; un giorno sereno passa e non lascia traccia.”
— Luigi Pirandello

Il dono dietro ciò che fa male

Il dolore ha la particolarità di fissarsi bene nella nostra memoria, ricordandoci quando l’abbiamo provato e cosa lo ha provocato e questo costituisce un dono davvero prezioso per la nostra evoluzione.

L’intero percorso dell’essere umano, le sue ricerche, i suoi progressi tecnologici sono in qualche modo legati alla sofferenza: dal fuoco per tenere distanti i predatori alle case per proteggersi dalle intemperie, allo sviluppo della medicina per curare i malanni alle religioni per provare di capirne il senso, il dolore è un tema onnipresente nelle nostre esistenze; è quindi inutile demonizzarlo perché ci serve per crescere, per evolvere, per migliorare e portarci uno scalino più su, a condizione di riuscire a superarlo.

“Si tratta di una verità spaventosa: il dolore può renderci più profondi, può conferire un maggiore splendore ai nostri colori e una risonanza più ricca alle nostre parole. Questo avviene se non ci distrugge, se non annienta l’ottimismo e lo spirito, la capacità di avere visioni e il rispetto per le cose semplici e indispensabili.”
— Anne Rice

Per superarlo, devi imparare le sue lezioni

Il dolore è utile quando è di passaggio, altrimenti rischia di farci impazzire; ecco perché bisogna fare in modo che rimanga un maestro a tempo determinato e riuscire a superarlo. Per farlo ed evitare che lo stesso tipo di sofferenza si ripresenti, bisogna imparare bene le sue lezioni.

I suoi insegnamenti si focalizzano sul farci scoprire chi siamo dentro di noi. Portandoci nelle nostre profondità, ci mette in contatto con i nostri lati d’ombra, con il nostro buio interiore, per riemergere poi più consapevoli e maturi.

“Il dolore è il gran maestro degli uomini. Sotto il suo soffio si sviluppano le anime.”
— Marie von Ebner-Eschenbach

1. Impara a lasciare andare

Spesso ci aggrappiamo alla causa del nostro malessere e non riusciamo a lasciarla andare, che sia un evento del passato, una convinzione o una persona. In questo caso, la prima cosa che dobbiamo fare è accettare che ciò che ci fa soffrire deve essere rilasciato. Accettare che alcune cose hanno una fine e non possono essere trattenute all’infinito ci aiuterà ad andare avanti per la nostra strada e permetterà finalmente alle nostre ferite di cicatrizzarsi, rendendoci più forti e consapevoli dei nostri limiti.

Staccarsi da ciò che ci fa male ha anche un grande vantaggio: ci riporta a ciò che conta davvero nella nostra vita, all’essenziale. Possiamo approfittare dei momenti bui e difficile per tagliare i legami tossiciabbandonare una strada che non sentivamo nostra, lasciar andare alcune convinzioni limitanti, in poche parole, per ritrovare quel nocciolo interiore dove siamo nudi di fronte al mondo, spogli da fronzoli ma meravigliosamente autentici. 100% noi stessi.

“Un dolore ti insegna a viaggiare a marcia indietro. Da grande a piccolo. Da ricco a povero. Dal superfluo all’essenziale.”
— Fabrizio Caramagna

2. Non identificarti con ciò che ti lasci alle spalle


Sopratutto quando conviviamo per molto tempo con le nostre ferite, tendiamo a pensare che sono parte di noi e ci identifichiamo con esse. Occorrerà perciò evitare che il dolore si cronicizzi, col rischio di farci pure il callo e di anestetizzarsi emotivamente ‒ occhio al rischio di depressione! ‒; per fare ciò bisognerà affrontarlo, riconoscerlo e tagliare il cordone, capire che non siamo il nostro dolore.

Decidendo di separarci dal dolore e lasciandolo andare abbandoniamo anche un’idea che ci eravamo fatti di noi e di un futuro che non vivremo mai, e questo può spaventare; ma chiudendo quella porta fatta di sofferenza e decidendo di andare avanti, ci apriamo a nuove possibilità dove siamo noi, e non le nostre ferite, a decidere cosa fare della nostra vita.

3. Riscopri chi sei

Capita che ci risulti difficile riuscire a capire chi siamo senza la sofferenza, perché spesso ci abituiamo alla sua presenza e ci dimentichiamo di chi eravamo senza di lei. Chi siamo? Questa è la domanda principale da farci quando il dolore interiore bussa alla nostra porta. Quali sono le nostre passioni, cosa ci dà piacere, quali sono le nostre aspirazioni nella vita, quali sono i nostri talenti?

Il dolore serve a spogliarti di tutto ciò che non è tuo: sensi di colpa, vergogna, giudizi, maschere, illusioni.Con il dolore non puoi fingere, torni ad essere solo/a te stesso/a, con le tue paure, con la tua ombra.

Quando avrai toccato il cuore del dolore, quando sarai sommerso/a nella tua oscurità, capirai chi sei. Ti riconoscerai al di là dei pensieri illusoridei sogni infranti che gli altri hanno fatto pesare sulle tue spalle, dei legami che possono graffiare il tuo cuore ma non possono attaccare il nocciolo del tuo essere. Il dolore è la guida che ti porta dentro di te per farti incontrare la persona più importante della tua vita, e quella persona sei tu.

“Il dolore non è una sconfitta, le lacrime non sono una resa, ma solo il segnale di una trasformazione che sta avvenendo in te. Qualcosa che non serviva più alla tua crescita ti ha abbandonato, e qualcos’altro che ti accompagnerà nel tuo cammino sta invece nascendo. Questo ci insegna la vita. Ogni nuova nascita è preceduta da un grande dolore. Solo chi rifiuta la vita e ogni forma di crescita interiore rende sterile e infruttuoso il potere rigenerante del dolore.”
— Manuele Dalcesti

 

Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e shamanic storyteller
www.risorsedellanima.it


Dal Sito: eticamente.net 


lunedì 7 dicembre 2020

Crisi d'ansia: scopri come riconoscerla e come gestirla






Hai mai avuto la sensazione che stavi per morire o che il tuo cuore stesse per esplodere? Questo è esattamente come si sentono coloro che hanno avuto attacchi di ansia. Scopri come identificarli in modo da poterli fermare.

Molte persone, durante il picco di stress o momenti emotivi difficili, presentano o hanno sofferto di attacchi di ansia. Riconoscere questo tipo di attacchi preventivamente è utile per attutirne l’impatto.

L’ansia è una patologia che riguarda prettamente una sensazione che in molti sostengono di provare. Nei periodi in cui si manifesta spesso è disabilitante ed impedisce il normale svolgimento della propria vita. L’ansia è un disturbo a livello emotivo che provoca una sensazione diinsicurezza, apprensione e pericolo e non è legata sempre alla paura. La paura deriva da qualcosa di reale e palpabile, mentre l’ansia non si manifesta per un motivo ben definito a volte. L’ ansia può comparire a seguito di stress eccessivo ma anche in periodi di nervosismo.

L’ansia si distingue principalmente in: attacchi di panico, ansia permanentenevrosi d’ansia. Il primo si manifesta con convulsioni periodiche, il secondo da disturbo d’ansia generalizzato e l’ultimo da danni duraturi e cronici. Questa distinzione è importante perché queste patologie vengono trattate in modo diverso.

In che modo si possono curare gli attacchi di ansia?

L’ansia si può presentare sotto forma di attacco di panico. In questo caso uno specialista potrebbe prescrivere come misura preventiva degli antidepressivi.

L’ansia nel caso in cui sia generalizzata, può essere alleviata con tranquillanti a breve termine, da non prendere mai per periodi troppo lunghi poiché creano dipendenza.
Quando l’ansia è considerata lieve?

Quando l’ansia non è oggetto di una patologia, si parla di ansia “adattativa”, cioè funzionale nella vita quotidiana. Questo tipo di ansia è ben tollerata, non è disabilitante e non causa attacchi di panico. E’ una condizione che ci permette di affrontare meglio le situazioni della vita,  è quindi ben tollerata dal soggetto che la avverte  e che riesce a gestirla senza eccessiva difficoltà. Si parla di ansia lieve per esempio, in riferimento alla sensazione di disagio che si avverte prima di un esame o di un colloquio di lavoro importante.  Questa emozione è produttiva perché partecipa alla gestione dello stress e di tutte le soluzioni che ne derivano. Questo tipo di ansia ti mantiene vigile in caso di eventi imprevisti.

Quando l’ansia è considerata moderata o grave?

Nel caso in cui si inizia a parlare di una sensazione disabilitante, una sorta di peso che grava sul petto,  l’ansia può rientrare nella categoria di gravità.  Solitamente si manifesta in periodi altamente stressanti. Può diventare una condizione cronica e quindi non essere più funzionale e a volte produttiva ma  creare un senso di apprensione e inadeguatezza. Questa sensazione crea limitazioni che possono manifestarsi come attacchi di panico,  disturbo da stress post-traumatico, fobie. Con il tempo potrebbe tramutarsi in  depressione o comportamenti di dipendenza da sostanze o relazioni.

Quando possiamo parlare di un attacco di ansia?

Riconoscere un attacco di ansia non è semplice, questo attacco ha una durata variabile, da pochi minuti a un’ora quel che è certo è che chiunque abbia provato questa condizione l’ha definita come un’esperienza traumatica. Dopo la sua comparsa il soggetto potrebbe avvertire forte dolore al petto o dolore addominale, sensazione di vuoti di mente, perdita di controllo e lucidità, brividi, sensazione di essere fuori dal corpo, ed inoltre si potrebbero manifestare anche palpitazioni, perdita di respiro, pallore, irrequietezza.

Quando si verifica questo disturbo, il soggetto potrebbe avvertire la necessità di fuggire o sentirsi  fisicamente paralizzato. Questa sensazione può crescere e diventare un attacco di di panico. Quest’ultimo può essere avvertito anche dai bambini che lo manifestano diversamente dagli adulti.

Come affrontare al meglio un attacco di ansia?

Se ti senti nella morsa dell’ansia o un tuo caro ti dice di provare questa sensazione, l’unico modo che si ha di alleviare questa ansia, è quello di adottare alcuni riflessi. Innanzitutto, è essenziale focalizzarsi sulla temporaneità dell’attacco. Un attacco non dura per sempre, un pò come una contrazione da parto, bisogna respirare profondamente restando concentrati sul fatto che durerà poco. Esistono degli esercizi di respirazione “tattici” ritenuti molto validi.
Questi esercizi solitamente prevedono la concentrazione sul respiro per quattro secondi su inspirazione ed espirazione. Inspirare 4 secondi, trattenere per 4 secondi ed espirare per altri 4 secondi. È importante fare questo esercizio di respirazione finché non si ritorna ad avere coscienza del proprio corpo.

Nel caso in cui si nota che questi attacchi sono regolari, è fondamentale consultare un professionista della salute. L’ansia frequente può anche essere collegata a carenze rilevate dagli esami del sangue.


Dal Sito: chedonna.it 

martedì 1 dicembre 2020

Non importa quanto dolore o delusione stai attraversando ora, ricorda che tutto passa





“I dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci.”

“Il fallimento è l’opportunità di ricominciare in modo più intelligente.” Lo dice Harry Ford…E a quanto pare non ha per niente torto! Quando si parla di una seconda possibilità normalmente pensiamo agli altri, a perdonare ciò che qualcuno ci ha fatto e dargli la possibilità di fare ammenda. Tuttavia, la verità è che spesso ci risulta più facile dare a qualcuno una seconda possibilità che darla a noi stessi.

Spesso non sono i nostri genitori, gli insegnanti o gli amici i nostri giudici più severi, ma noi stessi.

In un certo senso, questo è un atteggiamento normale, e non c’è nessuno che conosca meglio di noi i nostri limiti e le debolezze, che sappia se ci siamo sforzati abbastanza o se potevamo fare di meglio. Normalmente non possiamo sfuggire al nostro giudice interiore. E non è una cosa negativa, perché ci spinge ad andare oltre i nostri limiti e crescere come persone.

Tuttavia, ci sono dei momenti in cui il nostro giudice interiore è troppo rigido! Succede quando superiamo la sottile linea che c’è tra la critica costruttiva e i giudizi malsani e distruttivi: smettiamo di analizzare gli errori e iniziamo a incolparci. E’ il momento in cui molti decidono di gettare la spugna, pensano di avere fallito, che tutto è finito e la battaglia è persa.

La causa principale di ogni sofferenza è identificarsi con i pensieri invece di osservarli con distacco e lasciarli andare

Quando sperimentiamo un fallimento, la mente tende a creare pensieri catastrofici creando un’identità attorno alla sofferenza (nota come il complesso della vittima). Il momento in cui iniziamo a credere a pensieri auto-vittimizzanti e auto-commiseranti è il momento preciso in cui sperimentiamo un’intensa sofferenza. Ma quando osserviamo e diventiamo consapevoli di questi pensieri e non ci identifichiamo con essi, non soffriamo.

Vale sempre la pena darsi una seconda possibilità

Quando viviamo una delusione e ci comportiamo come dei giudici inflessibili è probabile che stiamo danneggiando qualcuno, ma anche noi stessi.

L’esempio più emblematico è quello di una persona che ha avuto una relazione e le cose non sono andate come sperava. Di conseguenza, si chiude all’amore. Questa non è una situazione che la rende felice perché la decisione non nasce da ragionamenti logici, ma dalla delusione e dalla paura di tornare a soffrire.

Ovviamente, non siamo sempre consapevoli del fatto che l’ostacolo più grande da superare per essere felici di nuovo siamo noi stessi. La nostra mente è contorta e spesso ci tende delle trappole nelle quali cadiamo facilmente.

Perché siamo troppo esigenti con noi stessi

Quando abbiamo fissato degli obiettivi molto ambiziosi accontentarci di qualcosa di inferiore ci risulta difficile. Per questo, quando sbagliamo ci sentiamo così male che siamo tentati di rinunciare pensando che non siamo in grado di realizzare ciò che ci siamo prefissati. Dopo tutto, o lo si ottiene alla prima o niente. Questo modo di pensare polarizzato è il motivo principale che ci impedisce di provare di nuovo.

Perché restiamo ancorati al passato

Ci sono persone che vivono molto bene nella loro zona di comfort, dove si sentono al sicuro. Molte volte si tratta di vivere incatenati al passato, a ricordi che non possono tornare e che anche se molto gratificanti, non sono il presente e ci trattengono. Darci una seconda possibilità spesso significa voltare pagina e andare avanti e questo punto di vista ci può spaventare.

Perché pensiamo che non lo meritiamo

Se da bambini ci è stata inculcata l’idea che non siamo capaci di fare niente e non ci meritiamo le cose buone che ci accadono, è più probabile che getteremo la spugna al primo tentativo considerando inutile riprovarci. Ricordiamoci che denigrarci serve solo a danneggiare la nostra autostima facendoci sentire dei miserabili.

Come fare a darci una seconda possibilità?

Mantenendo la calma

Forse hai bisogno di tempo per guarire dal colpo subito e ritrovare l’equilibrio psicologico. Va bene, ma non rimandare il recupero a tempo indeterminato. Muoviti al tuo ritmo ma avanza, anche se lentamente, perchè quando la prossima occasione busserà alla tua porta sarai pronto ad approfittarne dandoti una seconda possibilità.

Aprendoci alle opportunità

Tutti commettiamo errori e questo ci rende umani, quello che conta è cosa iniziamo a fare da questo momento in poi. Ci lasciamo sopraffare o riproviamo di nuovo? Il semplice fatto di essere aperti a nuove possibilità ci consente di individuarle quando si presentano, ma se continuiamo ad avere una mentalità negativa queste ci sfuggiranno senza rendercene conto.

Imparando dagli errori

Hai sbagliato? Non succede nulla, rifletti sulle decisioni che ti hanno portato a questo punto e cerca di prendere una strada diversa la prossima volta. Gli errori sono occasioni per imparare e fare meglio in futuro. Dopo tutto, l’esperienza è sempre un plus.

PER CONCLUDERE

Niente è impossibile! Fai un inventario di ciò che pensi in maniera negativa della tua vita, delle tuoi progetti, delle relazioni, della salute o della carriera; e prometti di sbarazzarti di questi pensieri negativi. Non si tratta di illuderti o ingannarti, ma di creare in te un atteggiamento di apertura verso le possibilità, invece, di continuare ad alimentare le impossibilità. In pratica: devi semplicemente aprirti verso le nuove idee.

Non devi fare nulla di diverso nella tua vita, ma solo cambiare alcune immagini mentali. Questo nuovo modo di pensare, alla fine, porterà a nuovi e sorprendenti comportamenti…fidati!

Ricorda, dove ci sono difficoltà con cui convivere  e condizioni insoddisfacenti da superare, là la virtù fiorisce al suo meglio e manifesta il suo massimo splendore. Di sicuro ti sarà capitato di combattere per risollevarti con una forza che non pensavi di avere. Anche se adesso stai vivendo un momento difficile sappi che quello che stai vivendo è solo un momento, non una situazione che durerà per sempre….perchè tutto in questa vita è impermanente, anche le situazioni da cui ti sembra non ci sia via d’uscita.

Se temi di non farcela potrebbe essere utile chiedersi con sincerità se si è certi di potercela fare da soli. Se la risposta è no allora sarà ancora più utile chiedere aiuto ad un professionista. Solo le persone ostinate resistono e persistono nelle disperate circostanze che le affliggono, negando a se stesse il dono d’essere aiutate.

A cura di Ana Maria Sepe, psicoanalista


Dal Sito: psicoadvisor.com