martedì 28 aprile 2020

Covid-19, nasce 800.833.833: il numero verde di supporto psicologico



L’emergenza Covid-19 sta mettendo a dura prova la tenuta psicologica delle persone alle prese con una situazione inedita nella sua drammaticità. Il timore del contagio, le misure di isolamento, tanto indispensabili sul piano sanitario, quanto difficili su quello umano, la solitudine, i lutti, le incertezze economiche: tutti elementi che possono far nascere attacchi di ansia, stress, paure, disagio.

Per queste ragioni da oggi, 27 aprile, sarà operativo il numero verde di supporto psicologico 800.833.833, attivato dal Ministero della Salute e dalla Protezione Civile, con il sostegno tecnologico offerto gratuitamente da TIM. Un numero scelto rendendo omaggio alla Legge 23 dicembre 1978, numero 833, che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale. Il numero sarà raggiungibile anche dall’estero al 02.20228733 e saranno previste modalità di accesso anche per i non udenti.

“È una risposta strutturata ed importante messa in atto accanto a tutti gli sforzi della sanità italiana per fronteggiare al meglio la sfida del Coronavirus – spiega il ministro della Salute, Roberto Speranza –. In questo momento è fondamentale essere vicini alle persone che hanno bisogno di un sostegno emotivo, dare ascolto alle loro fragilità, affrontare insieme le paure”.

Tutti i giorni, dalle ore 8 alle 24, professionisti specializzati, psicologi, psicoterapeuti e psicoanalisti, risponderanno al telefono alle richieste di aiuto. L’iniziativa punta ad affiancare, in questa fase di isolamento sociale, tutti i servizi di assistenza psicologica garantiti dal SSN: è sicuro, gratuito e organizzato su due livelli di intervento. Il primo livello è di ascolto telefonico e si propone di rispondere al disagioderivante dal Covid-19. L'obiettivo è fornire rassicurazioni e suggerimenti, aiutare ad attenuare l’ansia davanti ad una quotidianità travolta dall’arrivo dell’epidemia e si risolve in un unico colloquio.

Per rispondere all’esigenza di fornire un ascolto più approfondito e prolungato nel tempo, le chiamate saranno indirizzate verso il secondo livello di cui fanno parte, oltre ai servizi sanitari e sociosanitari del SSN, molte società scientifiche in ambito psicologico. Le richieste di aiuto saranno inoltrate dal primo livello anche in base alle loro specificità: ad esempio, psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza, dipendenze, psico-oncologia. I professionisti del secondo livello offriranno colloqui di sostegno, ripetuti fino a 4 volte, via telefono oppure on line. L’obiettivo è fornire consultazioni esperte attraverso un ascolto empatico del dolore e dell’angoscia connessa all’emergenza, favorendo così l’attivazione di un processo di elaborazione dell’evento traumatico. Tutto ciò consente a chi chiede aiuto l’acquisizione di competenze emotive e cognitive utili per affrontare anche il post-emergenza.

“Il volontariato di protezione civile è uno dei pilastri su cui da sempre si fonda il nostro Servizio Nazionale. Nel corso degli anni il Dipartimento ha puntato molto sulla formazione e siamo orgogliosi di poter contare sul lavoro di oltre 800mila uomini e donne preparate a fronteggiare sfide diverse e sempre impegnative. A partire da oggi, oltre alle tante attività che hanno visto al lavoro i nostri volontari nella lotta al Covid-19, saremo impegnati con le associazioni specializzate in psicologia dell’emergenza nel supporto al servizio d’ascolto psicologico. Ancora una volta i volontari di protezione civile hanno messo a servizio del Paese la loro grande passione e professionalità” spiega Angelo Borrelli, Capo Dipartimento Protezione Civile.

Il servizio coordinato dal Ministero della Salute, dalla dottoressa Mariella Mainolfi, con il supporto tecnico della dottoressa Maria Assunta Giannini, vede la partecipazione di diverse associazioni e società scientifiche di area psicologica.

Del primo livello fanno parte più di 500 psicologi dell’emergenza afferenti alle Associazioni del Volontariato della Protezione Civile: Federazione Psicologi per i Popoli, la Società Italiana di Psicologia dell'Emergenza, il Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, il Centro Alfredo Rampi.

Al secondo livello partecipano oltre 1500 psicoterapeuti volontari delle seguenti società scientifiche iscritte nell’elenco del Ministero (D.M. 2 agosto 2017) e facenti parte della Consulta CNOP: l’Associazione Italiana di Psicologia (AIP), l’Associazione Italiana Psicologia Psicoanalitica (AIPA), la Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia (FIAP), Soci Italiani European Federation for Psychoanalytic Psychotherapy (SIEFPP), la Società Italiana di Psico-oncologia (SIPO), la Società Italiana di Psicologia Pediatrica (S.I.P.Ped), la Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC), la Società Italiana Tossicodipendenze (SITD) e la Società Psicoanalitica Italiana(SPI).

Gestisci lo stress da Coronavirus con la REBT

Covi19Rebt è un progetto di: 

Felice Vecchione

Iscritto all’Ordine degli Psicologi della regione Marche. Psicoterapeuta cognitivo comportamentale esperto in CBT standard, REBT e terapia cognitivo evoluzionista. Si occupa di terapia individuale per adulti, adolescenti e bambini per ansia, panico e depressione, di coppie, sostegno genitoriale e parent training.

Carlo Dainelli

Iscritto all’Ordine degli Psicologi della regione Toscana.Psicoterapeuta cognitivo comportamentale.Advanced Certificate REBT. Esperto in terapia individuale adulti per ansia, panico e depressione, psicologia del lavoro e stress lavoro-correlato, tecniche di rilassamento e immaginazione guidata.

Roberta Cassetti

Iscritta all’Ordine degli Psicologi della regione Lazio. Psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Esperta in Training Autogeno, relazioni di coppia e genitori-figli, disagi legati al comportamento alimentare, alla sessualità, ansia e panico.



La pandemia da Covid19 ha in pochissimo tempo stravolto le nostre abitudini e le nostre vite, ci ha obbligato a ripensare a moltissime cose che davamo per scontate e a trovare forme di sopravvivenza psicologica e nuovi adattamenti. A prescindere da come proseguirà la pandemia, ci ritroveremo comunque una crescente domanda di intervento psicologico, a diversi livelli, per diversi target (es. operatori sanitari, per dirne uno) e per diversi tipi di problemi (es. disturbi post traumatici).

Contemporaneamente però, c’è da aspettarsi che la crisi economica inciderà in maniera rilevante sulla possibilità di accedere a forme di consulenza psicologica o psicoterapia da parte della popolazione generale. E non è nemmeno da escludere che continueranno ad essere necessarie misure di contenimento o distanziamento sociale anche dopo la fine della fase 1 (ad esempio per le categorie a rischio, o in caso di nuovo lockdown).

Tutto ciò mette in crisi il modello di consulenza psicologica e la psicoterapia tradizionali. Gran parte dei nuovi adattamenti a cui il nostro mondo professionale è stato costretto a causa del Covid-19 passano attraverso la rivalutazione degli strumenti tecnologici e dell’operatività smart, ma fino ad ora non abbiamo saputo dare altre risposte se non quella di mettere a disposizione consulenze telefoniche o via Skype, non discostandoci da una concezione uno a uno dell’intervento.

C’è bisogno di puntare con decisione verso forme più legate alla prevenzione primaria e secondaria, ad esempio sull’auto-aiuto, che siano contemporaneamente fruibili da un gran numero di persone, specifiche in relazione a target e problemi, agevoli, flessibili, strutturate ed infine anche economiche.

La nostra proposta ha come punto di forza quello di usare la REBT di Albert Ellis, una delle terapie più strutturate che ci siano nel panorama degli approcci esistenti. Abbiamo creato un percorso fruibile attraverso una serie di video integrati con moduli da scaricare. Un video iniziale spiega il metodo REBT, i video successivi servono a illustrare un metodo di lavoro sui singoli vissuti emotivi negativi che un fruitore potrebbe ritrovarsi ad avere, e sono integrati da moduli che possono essere scaricati e che servono come ausilio nel lavoro di elaborazione.

L’intero percorso può essere svolto in tre modalità diverse: 1) totalmente in forma di auto-aiuto; 2) come auto-aiuto parziale (auto-aiuto accompagnato da tre sessioni di monitoraggio aventi puro scopo motivazionale); 3) supportati da un professionista che accompagna nel lavoro con sessioni settimanali a distanza. Solo l’ultima di queste modalità è a pagamento.

Il materiale è anche utilizzabile (perché no?) per la conduzione di percorsi strutturati di supporto di gruppo a distanza (gruppi di utenti? associazioni?) che sono ancora tutti da inventare.

Abbiamo inteso il nostro lavoro come una sperimentazione iniziale, come un modello di intervento a disposizione di altri professionisti affinché possano adattarlo e riprogettarlo in funzione degli ambiti e delle necessità specifiche. La REBT ha ancora molto da dire. Noi intanto come professionisti, insieme all’Istituto REBT di Milano, restiamo a disposizione per collaborare a futuri sviluppi e applicazioni di questo lavoro.


Vai al sito: Gestisci lo stress da Coronavirus con la REBT


 stateofmind.it 

La Solitudine Ci Permette Di Spegnere Il Rumore Dell'Altro E Di Ascoltare Noi Stessi



Solitudine: dal dizionario ” Esclusione da ogni rapporto di presenza o vicinanza altrui desiderato o ricercato come motivo di pace o di raccolta intimità, oppure sofferto in conseguenza di una totale mancanza d’affetti, di sostegno e di conforto”.

Dunque essa può essere pace o sofferenza. Anche lei ci mostra due lati della stessa medaglia.
In questo momento siamo chiamati alla solitudine. Allo stare soli, al ritirarci nelle nostre case e nei nostri pensieri, nelle nostre emozioni. In un momento di caos, di ribaltamento del sistema, ci è chiesto di non agire. Di rimanere fermi, nell’attesa. Attendere è difficile. Pensiamo ai bambini nell’attesa del Natale. Stare a guardare i pacchi sotto l’albero senza poterli aprire (anche se sai che non sono i tuoi, sei comunque invogliato ad aprirli) può sembrare una vera tortura.

In un momento in cui vorremmo stare tutti vicini ed abbracciarci per la paura e la confusione, ci viene detto di stare soli. Sembra un paradosso. L’essere umano, animale sociale, che vive in “branco”, ora è chiamato a restare con sè stesso. Forse questa è un’occasione per conoscerci davvero. Per capire come siamo fatti dentro, per ascoltarci e sentirci. Per spegnere il rumore dell’altro e ascoltare la nostra melodia.

Il restare fermi e soli è sempre stata considerata una punizione: pensiamo per esempio a quando  si infligge ai bambini di rimanere fermi nell’angolo, con la testa volta al muro, in silenzio. A pensare si dice. Gli adulti la vedevano come un’opportunità di crescita e comprensione, di conoscenza di sè. Bene, ora è il tempo di mostrare ai bambini ciò che predichiamo. Rimaniamo, nel qui ed ora, dentro noi stessi e impariamo la lezione. Cogliamo l’opportunità di rimanere fermi e in silenzio, per comprendere ciò che la vita ci vuole dire.

In tanti anni (chi più chi meno) non ci è mai stata offerta l’occasione di fermarci. Di ascoltarci dentro. Impegnati in mille faccende, sempre pronti a rincorrere qualcosa o qualcuno, con l’orologio al polso e l’agenda piena. Era questa la nostra vita. A forza di correre non si vedeva più l’altro, ma nemmeno noi stessi. Si andava, senza domandarsi nulla. Ci è data ora l’opportunità di domandarci tutto. Dove sto andando? Perchè ci sto andando? Come mi sento? Lo voglio fare? Sono felice? Cosa desidero?Chi sono?

Rimanere in attesa provoca sicuramente rabbia, paura, tristezza e frustrazione. Avere limitata la libertà di movimento è veramente frustrante per noi che viviamo nell’epoca in cui si può andare ovunque, in tempi anche relativamente brevi. Forse però se guardiamo solo questo lato della medaglia ci perdiamo quello migliore. Ci lasciamo abbagliare da quello che luccica di più, da quello più semplice da intuire, ma non ci concediamo di vedere l’altro lato della paura che è il coraggio, l’altra faccia della tristezza che è la gioia, la calma invece della rabbia e la soddisfazione al posto della frustrazione.

Questo tempo ha portato tutto e il contrario di tutto. Questa solitudine tanto richiesta in questi giorni possiamo scegliere noi come guardarla. Se con tristezza e rassegnazione o se con gratitudine e opportunità. É un tempo lento fatto di calma, di attesa, di lievitazione,di riposo per mente e corpo, di riflessioni sulla vita, sul mondo, su se stessi; di letture, di film, di coccole sul divano, di cibo curato, amato, di sogni ad occhi aperti, di speranze riposte, di tante domande e qualche risposta;di videochiamate, di musica sui balconi, di ringraziamenti a chi mette a rischio la propria salute per aiutare gli altri, di flash mob per sentirsi tutti più vicini. Ora che non siamo più di corsa, possiamo guardarci negli occhi.

Il rimanere chiusi, nelle nostre case, ci permette anche di sentirci protetti. Quando c’è il temporale, fulmini e tuoni invadono il cielo, il primo pensiero è quello di rintanarsi dentro casa. La tana, il grembo. Ci stanno dicendo di rimanere protetti, di chiuderci per non incontrare il pericolo. Ci stanno aiutando a proteggerci dal temporale.

Oggi è una giornata grigia, cupa. Il vento forte fa smuovere gli alberi, ciò che è fermo da sempre ora si muove. Sembra strano, eppure quando si ha tempo si osservano cose che non si sarebbero viste mai, se non ci fosse stato questo dono. E mentre osservo l’albero che si lascia cullare dal vento nonostante questo possa spezzarne i rami, vedo un uccellino, che tutto solo si appiglia sulla chioma dell’albero, proprio sulla cima e così, fiero e coraggioso, sfida il vento. Mi ha ricordato il momento che stiamo vivendo. Ognuno di noi, nella sua solitudine, sfida il vento. Medici e infermieri sulla cima dell’albero, proprio come quell’uccellino, coraggiosi e vigili, portano avanti la missione per cui sono stati chiamati. Noi possiamo essere come l’albero, che resta fermo, si lascia cullare dal vento, nella fiducia che non gli spezzerà i rami.

Buona solitudine a tutti!

Emanuela Griso


Dal Sito: eticamente.net 


La Capacità Di Saper Tacere



Il silenzio ci angoscia e, spesso, tendiamo a riempirlo in mille modi: troppe parole, musica assordante, luoghi rumorosi. Non siamo più in grado di vivere il silenzio perché non riusciamo più a coglierne le mille virtù.

E proprio per questo, alla presenza di una o più persone, tendiamo a creare montagne di parole invece di condividere i silenzi: ci imbarazza non dire nulla e di conseguenza talvolta parliamo anche se non ne sentiamo l’esigenza, lo facciamo solo per riempire il vuoto generato dal silenzio.

In realtà anche non parlando si può comunicare: gli occhi sono davvero lo specchio della nostra anima e possono dire tanto, tutto di ciò che pensiamo (forse è anche per questo che facciamo fatica a guardarci negli occhi!). Anche le nostre espressioni facciali possono comunicare, anche la nostra mimica corporea, anche solo il contatto fisico con un’altra persona può trasmettere più di mille parole.

Provate a pensare ad un abbraccio. Nessun discorso può far capire quanto sei in empatia con quella persona più di un abbraccio.

Provate a pensare agli animali. Si annusano, giocano tra loro, si cercano… in silenzio! Emanano suoni solo in occasioni rare ma la maggior parte della loro vita è avvolta dal silenzio e riescono a comunicare in modo eccellente! E trasportano anche noi in questo loro magico mondo non verbale: quante volte usate le parole con i vostri animali?

Le parole sono uno strumento meraviglioso della comunicazione umana ma spesso sono usate per allontanare, per influenzare, per riempire un vuoto. E’ necessario, ora più che mai, riconquistarci la capacità di saper tacere. Solo se si è in grado di vivere il silenzio si useranno le parole nel modo più costruttivo possibile, al contrario diventeranno uno strumento pericoloso, sterile, malsano.

Tutti dobbiamo lavorare sulla nostra capacità di saper tacere: le persone che tendono a parlare tanto dovrebbero provare a darsi un freno e a comprendere cosa suscita in loro questa assenza di parole; le persone che parlano poco non lo fanno solitamente in modo consapevole ma tendono ad essere silenziose perché sono timide e non vogliono o non riescono  ad esprimere il proprio pensiero, anche loro dovrebbero riflettere su questo “silenzio forzato”.

Il silenzio sano è il silenzio ricercato, consapevole, conquistato. E’ quel silenzio che non è una fuga ma un’occasione sacra per conoscere, comprendere, crescere.

Provate, prima di parlare, ad ascoltare davvero ciò che la persona che avete dinnanzi vi sta dicendo: dimenticate i vostri pensieri, le vostre preoccupazioni… concentratevi su di lei, su ciò che vi sta trasmettendo a parole e senza le parole.

Per esercitarvi a vivere in silenzio con un’altra persona vicino vi consiglio di provare a sperimentare questa condizione con i bambini: loro sono davvero dei maestri di vita, parlano solo se necessario, rimangono in silenzio per tanto tempo se noi riusciamo a crear loro un ambiente il meno rumoroso possibile, sviluppano fin da subito una comunicazione non verbale formidabile. Comunicazione che le mamme ri-acquisiscono di nuovo insieme a loro: pensate a quando un bambino è agitato e la mamma lo infila nella sua fascia per calmarlo… non servono parole in questo caso ma solo comprensione e azione.

Provate a stare in silenzio insieme ai vostri bambini: osservateli mentre giocano, ascoltate i loro racconti, usate le parole solo se davvero possono dare un valore in più a quel momento.

Siamo nati senza parole e lo rimaniamo per i primi anni della nostra vita, l’abilità non verbale è di conseguenza un’abilità che possiamo far rinascere in noi integrandola con il meraviglioso mondo della parola.

Scoprirete che le energie spese per colmare il vuoto di silenzio con le parole possono essere dirette alla comprensione di ciò che accade, alla nascita di intuizioni e di nuovi pensieri, al risveglio della gratitudine del momento che state vivendo.

Ripeto, le parole sono importantissime e hanno un potere curativo inimmaginabile ma talvolta abusiamo di loro creando l’effetto contrario. Ben vengano la lettura di fiabe, le parole cantate, le discussioni per comprendere e le parole come valvola di sfogo per divertirsi e avvicinarsi ma cerchiamo di dosarle, proviamo a vivere come se la nostra comunicazione principale fosse quella non verbale: non sprechiamo parole, dobbiamo considerarle preziose ed usarle con rispetto e riverenza.

“Il primo livello di sapienza è saper tacere, il secondo è saper esprimere molte idee con poche parole, il terzo è saper parlare senza dire troppo e male.
Si deve parlare solo quando si ha qualcosa da dire, che valga veramente la pena, o, perlomeno, che valga più del silenzio”

Hernàn H. Mamani, “La donna della luce”

Elena Bernabè



domenica 26 aprile 2020

Ansia e Insicurezza | Perché le provi? È davvero solo colpa tua?





Ansia e insicurezza sono due nemici contro cui ogni giorno combattono moltissime persone. Anche quando non si manifestano attraverso veri e propri attacchi di panico, ansia e insicurezza possono abbassare moltissimo la qualità della vita, ma perché le proviamo? È sempre e solo una questione di carattere?

Cos’è l’ansia? E cos’è l’insicurezza? Quali sono le strategie migliori per tenerle sotto controllo e impedire a questi stati d’animo negativi di influenzare negativamente il nostro rapporto con noi stessi e il nostro rapporto con gli altri?

Purtroppo nella maggior parte dei casi, le persone insicure o le persone che soffrono d’ansia si sentono colpevoli dei propri sentimenti e credono che questi stati d’animo si originino soltanto dalla loro inadeguatezza. I pensieri più frequenti nelle persone ansiose o insicure sono infatti: “Non sono capace, non sono abbastanza”.

Purtroppo a questo punto si origina un circolo vizioso: abbassando continuamente la propria autostima, le persone insicure diventano sempre più insicure e sempre più ansiose.

Lo psicologo Abraham Maslow (1908 – 1970) teorizzò però che l’ansia e l’insicurezza dipendono effettivamente da fattori caratteriali (che sono innegabili) ma dipendono anche da situazioni esterne che non dipendono dal soggetto ansioso e che spesso non possono essere cambiate dal soggetto ansioso.

Per spiegare la sua teoria, Maslow costruì la sua famosissima piramide dei bisogni: le necessità dell’uomo venivano organizzare in maniera gerarchica e si spiegava qual è il collegamento tra l’insoddisfazione dei bisogni primari e il benessere psicologico.

Quella piramide ancora oggi è uno strumento utilissimo per capire da dove arrivano ansia e insicurezza e come possiamo combatterlecon azioni concrete.

Ansia e insicurezza sono legate ai bisogni primari

La piramide di Maslow elenca una serie di bisogni dell’uomo e determina quali sono quelli primari e quali sono quelli “di rango più elevato”. La soddisfazione di tutti questi bisogni (o almeno di una gran parte di essi) assicura una vita felice.

Bisogni di base (biologici e psicologici)

In questa categoria fondamentale rientrano i bisogni primari di ogni essere vivente: aria, cibo, acqua, rifugio, calore, sonno, sesso eccetera.

Si tratta, in genere, di bisogni che nella società occidentale (e italiana, naturalmente) vengono dati quasi per scontati, dal momento che il benessere economico della nostra società assicura alla stragrande maggioranza dei cittadini casa, cibo, calore.

Si intuisce facilmente che per soddisfare questi bisogni c’è bisogno di una rendita economica costante, quindi di un lavoro o di una fonte di reddito sicura.

Naturalmente se non si riescono a soddisfare questi bisogni il benessere psicologico diminuisce in maniera consistente, per il semplice motivo che si vive in una costante situazione di allarme perché semplicemente non si sa se e come si arriverà al giorno successivo.

Bisogni di sicurezza

Protezione, ordine e sicurezza, legge, ordine, stabilità eccetera.

Chi ha soddisfatto i bisogni della categoria precedente deve avere anche la sicurezza che i suoi beni non vengano rubati, che il suo rifugio (cioè la sua casa) non venga violata, che la sua vita non sia in pericolo se semplicemente esce di casa, che il sistema politico e sociale sia stabile abbastanza da evitare carestie, guerre e altre situazioni di incertezza.

Questi bisogni vengono soddisfatti dall’esistenza di uno Stato che faccia rispettare delle leggi condivise dai cittadini (o dai sudditi, nel caso di una monarchia costituzionale).

Bisogni legati all’affetto e all’appartenenza

Famiglia, affetto, relazioni personali e sociali, lavoro di gruppo

Per quanto a prima vista possa sembrare strano, per Marlow i legami d’affetto risultano meno necessari della sicurezza e del rispetto delle leggi. Essi costituiscono comunque un aspetto fondamentale per la felicità di un individuo.

L’appartenenza è un concetto chiave in questo caso: ogni individuo è più felice se sa di far parte di un gruppo con cui condivide valori e obiettivi. Per questo motivo si è sempre detto che l’uomo è un animale sociale.

Bisogni legati all’autostima e al riconoscimento sociale

Raggiungimento di obiettivi, reputazione, status, responsabilità.

La felicità è legata anche al raggiungimento di obiettivi che sono importanti per l’individuo. Se un individuo vede migliorare la sua reputazione e il suo status all’interno della società o del gruppo di cui fa parte, riuscendo anche ad assolvere incarichi di responsabilità all’interno di essi, è un individuo felice e più sicuro, in grado di mettere a frutto i propri talenti.

Bisogni di autorealizzazione

Crescita personale e realizzazione.

Al vertice della Piramide di Marlow ci sono i bisogni di autorealizzazione. Quando a una bambina diciamo che può diventare tutto quello che vuole, a patto di impegnarsi, le si dice proprio che può realizzare le sue aspirazioni.

Soddisfacendo anche quest’ultima categoria di bisogni, secondo Marlow, si può diventare un individuo soddisfatto e pienamente realizzato.

Ansia e insicurezza sono solo colpa tua?

Dopo aver analizzato i bisogni di un essere umano bisogna chiedersi se e quali non sono soddisfatti, poiché proprio da quell’insoddisfazione potrebbe dipendere l’ansiae l’insicurezza di un individuo.

Per fare un esempio, la mancata soddisfazione dei bisogni di appartenenza e di affetto, cioè non avere vicine persone con cui si possano condividere tempo, ideali e attività, può generare moltissima insicurezza.

Allo stesso tempo, se si ha un tetto sulla testa e del cibo sulla tavola ma si dipende totalmente da qualcuno per ottenerli, l’insicurezza si alza in maniera vertiginosa, poiché se il rapporto con quella persone dovesse interrompersi, ci si ritroverebbe senza mezzi di sostentamento. Per questo motivo gli adolescenti ad un certo punto cominciano a fare lavoretti part time pur di non chiedere soldi ai propri genitori: per sentirsi indipendenti.

Se si vive e si lavora in un ambiente che non permette il miglioramento delle nostre competenze (pensiamo ai praticanti avvocato “condannati” per settimane e settimane a fare solo fotocopie e servire caffè) la frustrazione e l’ansia aumenteranno.

Il modo migliore per agire sull’ansia e sull’insicurezza, quindi, è capire cosa manca alla realizzazione dei nostri bisogni, e quali sono più importanti per noi. Per qualcuno la realizzazione sul posto di lavoro potrebbe essere molto meno importante della creazione di una cerchia di amici fidati, mentre per qualcun altro, caratterialmente più solitario, il successo sul lavoro è molto (ma molto) più importante delle relazioni sociali.

In realtà non importa l’ordine in cui i bisogni della piramide di Marlow vengono soddisfatti, e nemmeno se vengono soddisfatti del tutto o in parte: essi servono solo come guida e ispirazione per costruire una felicità su misura.

Dal Sito: chedonna.it 

La forza del cambiamento è dentro di voi



Alle volte il sentiero della vita che stiamo percorrendo non è fra i più positivi. Ci sentiamo frustrati, sfiduciati, niente va bene e non sappiamo come far cambiare le cose.

Quando ci si sente così persi, quando la depressione o problemi anche maggiori ci soffocano, rivolgersi a uno psicologo è un’opzione. Ma chi ci dà la garanzia che risolverà il nostro problema?

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“Nessuno può mettervi in una prigione psicologica, ci siete già.”

-Jiddu Krishnamurti-

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Andare dallo psicologo diventa una via di fuga, a volte anzi ci andiamo perché crediamo di essere incapaci di trovare una soluzione per noi stessi. Ma ne siete proprio sicuri?

Oggi scoprirete che spesso si va dallo psicologo per mera comodità. In realtà, la soluzione è dentro di noi. Scopritela! Imparate a conoscere lo psicologo che giace dentro di voi.

Voi vi conoscete meglio di chiunque altro

Quando andiamo dallo psicologo, questi cercherà innanzitutto di conoscervi. A meno che non sia un vostro conoscente o qualcuno della vostra stessa famiglia, lo psicologo non sa assolutamente nulla di voi.

A prescindere da quanto poco piacevole possa essere il dover raccontare tutto di se stessi ad uno sconosciuto seduto di fronte a noi, spesso questa situazione ha effetti terapeutici.

Parlare di noi stessi ci farà riflettere sulla nostra vita e ricordare momenti che credevamo di aver dimenticato.

Tutto questo sarà importante per risolvere i problemi che ci troviamo ad affrontare in quel momento. Nonostante tutto, però, lo psicologo non arriverà mai ad avere una conoscenza di voi uguale a quella che avete di voi stessi.

Anzi, forse avete intenzionalmente impedito che accada. Sono davvero poche le persone che possono dire di sapere tutto di noi, ed è anche facile che qualche informazione ci scappi.

Sentimenti, pensieri, sogni… sono tutte cose che viviamo da soli e che non possono essere condivise con nessuno. Se state passando un brutto momento, siete voi gli unici a sapere come reagirete e per quali motivi.

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“Solo chi si conosce è padrone di se stesso”

-Pierre de Ronsard-

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Ci sono cose che non vogliamo far sapere a nessuno. Forse il problema che ci affligge in questo momento è legato ad un sentimento di colpevolezza che ci imbarazza, magari proprio qualcosa che non vi sentireste di raccontare al vostro psicologo. Questo aspetto è molto importante ai fini della buona riuscita della terapia.

Essere totalmente sinceri è fondamentale, ma non c’è sincerità più grande di quella che professiamo a noi stessi.

Positività, cambiamento e sforzo

Chi ha detto che sarebbe stato facile? Tutto ciò per cui vale la pena lottare ha prezzo! Per prima cosa pensate sempre positivo.

Siamo di fronte ad una situazione negativa che ci sta rendendo la vita difficile e complicata. Qualcosa di inatteso, che ci sta sfuggendo di mano. Cosa fare di fronte a queste situazioni?

La nostra vita è cambiata, adesso bisogna cercare di superare e cambiare con positività anche la situazione di disagio che stiamo vivendo. Per questo è fondamentale essere pienamente coscienti di ciò che sta accandendo.

Lo psicologo può essere d’aiuto, ma siamo noi a dover credere nel problema e desiderare di superarlo.Altrimenti, lo psicologo non potrà fare nulla per noi.

Immaginiamoci questa situazione: un ragazzo o una ragazza che soffrono di anoressia. Questo disturbo spesso scaturisce da problemi più profondi; non mangiare non implica che lei o lui si vedano grassi, si tratta più che altro di un meccanismo di “autolesionismo” contro qualcosa che fa male.

La persona sa di essere magra, eppure cerca di diventarlo ancora di più. Si sta “distruggendo”, sta soffrendo per qualcosa di più complicato.

Questa persona può andare dallo psicologo, anzi potrebbe addirittura chiedere aiuto di sua spontanea volontà. Sa di avere un problema ed è intenzionata a superarlo. Ma si può lasciare l’intero problema nelle mani dello psicologo? No.

È la persona stessa che dovrà uscire dal problema. Lo psicologo può orientarla, è una figura che consiglia e consente di aprire gli occhi e di scegliere il cammino migliore.

Solo la persona affetta dal problema dovrà tirar fuori le forze necessarie per uscirne. È la sola e unica a poter prendere l’iniziativa per il cambiamento.

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“Un po’ di persistenza in più, ancora qualche sforzo, e ciò che sembrava un fallimento senza speranza può trasformarsi in un glorioso successo”

-Elbert Hubbard-

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Come avete potuto vedere, voi stessi potete diventare il vostro miglior psicologo. Essi possono orientarci, aprirci gli occhi, aiutarci… Ma non possono fare miracoli. La forza del cambiamento, lo sforzo, ricade solo su di voi.

È però importante tenere a mente che se siamo sopraffatti e disorientati, chiedere aiuto ad uno psicologo è fondamentale.

La vita continua: come rafforzare l'autostima durante una pandemia


Fermi, a casa, giorni e giorni. Privati dei soliti ritmi frenetici che fino a qualche settimana fa scandivano le nostre giornate, ci tocca schiacciare il tasto pausa da tutti i nostri impegni.

Mettere in stanby la nostra vita per poi riprendercela quando tutto sarà finito, come se fosse stato solo un brutto sogno da lasciarci rapidamente alle spalle, potrebbe essere allettante…  Ma non lo è… e dunque ci tocca fare i conti con la realtà; le nostre vite non sono in pausa! Anzi, dentro la quarantena  la vita è più intensa di prima.

Credere che la nostra vita sia in pausa ci porta a due tremendi errori: vivere questa dolorosa esperienza senza apprendere nulla e pensare che quando ne usciremo riprenderemo tutto dallo stesso punto in cui ci siamo fermati.

La vita continua, che ci piaccia o no

La sofferenza in sé non insegna nulla.  Ma il modo in cui affrontiamo questa sofferenza può rafforzarci. Non possiamo evitare ciò che sta accadendo. Ma possiamo assicurarci che tutto ciò che sta accadendo non sia in vano.

Cercare di distrarre la mente con delle banalità, per non pensare troppo alle preoccupazioni che crescono sempre di più nella nostra testa, è legittimo. Per un po’. Ma non dovrebbe essere la nostra strategia maestra. Smettiamo di fare la caccia alle streghe, di domandarci di chi è la colpa o perché è accaduto tutto questo. Ora, più che mai, abbiamo bisogno di riflettere. Fare delle congetture,  cercare il colpevole di turno ci nega in anticipo la possibilità di un cambiamento che trasforma.

E quando tutto finirà?

“Negli ultimi duecento anni o più, il mondo è andato sempre più veloce. Ma tutto ciò è stato interrotto. Viviamo in un momento unico di calma. Stiamo vivendo un momento storico di rallentamento, come se giganteschi freni fermassero le ruote della società”, dice il filosofo Hartmut Rosa.

Quella frenata improvvisa ci ha lasciato attoniti. Perché il peso dell’imprevisto si è aggiunto al disastro. Ma può servirci. Non per mettere in pausa la nostra vita, ma per rimetterla in carreggiata.

Il mondo a cui torneremo non sarà più lo stesso. Il trauma è stato troppo grande. Molte persone non saranno le stesse. Hanno perso i loro cari senza nemmeno avere la possibilità di dirgli addio. Senza poterne piangere la morte in famiglia. Altre persone hanno perso il loro sostentamento economico e con esso la stabilità e i progetti di vita.

Prima o poi tutto questo finirà, e dopo, forse e se avremo usato bene il nostro tempo, ci ritroveremo a pensare che era una pausa necessaria per recuperare un contatto più consapevole con noi stessi e quello che eravamo diventati.

Ora siamo una società che è stata lasciata nuda di fronte alla sua vulnerabilità. E questo lascia il segno. Dobbiamo tenerlo presente quando finalmente le porte si apriranno e riempiremo nuovamente le strade. E il tempo di prepararsi è adesso. Quindi dobbiamo assicurarci di non andare in pausa. Non cedere all’apatia che disattiva il nostro pensiero. Non arrenderci alla depressione che ci affonda, all’anedonia che ci disconnette.

Invece, dobbiamo continuare a combattere. Per chi amiamo. Per il mondo che vogliamo. Con le armi che abbiamo. Perchè quando si ritornerà alla normalità, dovremo essere pronti a rimetterci in  discussione

La psicologia ci insegna che quando non possiamo intervenire sugli eventi esterni possiamo intervenire sui sentimenti interni, provando a modificare il nostro punto di vista sugli eventi. È ormai riconosciuto che, alla fine, soffre meno e ha più probabilità di superare i momenti difficili chi riesce ad attribuire un significato e un senso a quello che sta vivendo e soprattutto chi riesce a proiettarsi in uno scenario futuro.

Nei momenti difficili, dunque, vince chi si sforza di costruire nonostante tutto, scenari e progetti futuri, e riesca a far diventare costruttive anche le esperienze più brutte.

Proviamo a capire se questo stop può comunque avere un significato all’interno del nostro percorso di vita: se per esempio ci impedisce di realizzare un progetto, per il quale magari ci rendiamo conto di non essere ancora pronti; se ci costringe a rimandare decisioni che comunque non volevamo prendere; se ci permette di riflettere di più su qualcosa di importante da fare; se ci permette di prepararci meglio per un altro esame di vita. Insomma proviamo a far emergere l’aspetto positivo.

 

Cerchiamo di comprendere anche meglio la paura, sfruttando la funzione protettiva che svolge e che ci spinge a evitare comportamenti a rischio per noi e per gli altri. Se è troppo forte e impedisce di realizzare qualsiasi attività forse non è solo una paura attuale ma è possibile che i rischi attuali si siano “alleati” ad altre paure e insicurezze personali o meglio, che le insicurezze personali e le paure che ci portiamo dietro amplifichino la percezione di rischi, contagi, conseguenze… anche al di là del dato reale.

E in tal caso, può essere utile richiedere il supporto di un professionista, anche attraverso in canali tecnologici oggi a nostra disposizione. Tanti psicoterapeuti hanno attivato servizi utili alla popolazione, portando avanti varie attività di supporto grazie alle videochiamate o ai canali social.

Concediamoci i momenti di sconforto, ma facciamoli poi diventare lo spunto per potenziare altri aspetti delle relazioni, per esempio quello della comunicazione emotiva: impariamo ad esprimere i nostri sentimenti più profondi, diciamo all’altro quanto ci manca, diamo valore, esprimendolo, alla bellezza dei piccoli gesti quotidiani che ci mancano.

Per concludere….Domandiamoci cosa possiamo imparare da questo, credo che abbiamo tutti molto su cui riflettere ed impegnarci.


Dal Sito: psicoadvisor.com

Resilienza ai tempi del Coronavirus



E’ la prima volta che ci troviamo a fronteggiare una “PANDEMIA” e quindi non abbiamo riscontri su cosa lascerà questa emergenza sanitaria, a livello emotivo e psichico.

Nella grande incertezza che attraversiamo possiamo mettere in campo alcuni consigli utili, per fronteggiare al meglio questo periodo.

Ognuno di noi ha gradi diversi di RESILIENZA, derivata dalla storia personale, sociale e ambientale nella quale siamo vissuti, questa capacità, che ci aiuta a fronteggiare eventi molto stressanti, una volta finita l’emergenza, ci permetterà di ritornare come eravamo prima, se non addirittura rinforzati e trasformati.

Ora ci sentiamo vulnerabili, non sappiamo quanto continuerà la capacità del virus di poterci contagiare, però possiamo concentrarci e avere fiducia nelle nostre abilità e competenze, che in genere ci aiutano a fronteggiare le situazioni difficili, che si palesano dinanzi a noi.

Possiamo avere conoscenze in vari ambiti del sapere, si può avere in generale un atteggiamento prudente, si può essere persone tenaci e determinate, ma quello più importante, in questo periodo, è la flessibilità e la capacità di adattarsi alle esigenze, che il momento richiede.

Concentrarsi sul qui ed ora, vivere alla giornata, godere delle piccole cose, lasciarsi andare allo stupore del fanciullo alla scoperta del mondo e cogliere il segreto di ogni cosa: una tavola apparecchiata, una telefonata di un amico, un film, un libro. Abbandonare per un po’ progetti a lunga scadenza, che potrebbero non avere l’opportunità di avverarsi, lasciandoci con un senso di impotenza e frustrazione.

Per quello che è possibile, mantenere la stessa routine, che avevamo prima dell’emergenza. Alzarsi alla stessa ora, fare un po’ di esercizio fisico, tipo stretching, corsa sul posto ecc. Studiare o lavorare in smart working, quando possibile. Questa routine, da una struttura alla nostra vita e ci aiuta a sentirci più competenti e meno in balia degli eventi circostanti.

Il fatto che sia un agente esterno, sconosciuto, invisibile a governare prevalentemente la nostra vita, può mettere a dura prova il nostro narcisistico voler tenere sempre tutto sotto controllo.

Ci sono persone che hanno già subito gravi stress nel passato, sulle quali questa esperienza può riattivare triggers, cioè elementi in grado di innescare emotivamente ricordi relativi all’evento traumatico passato e che può rendere più doloroso questo momento.

Il fatto che se ne parli tanto e che tante persone stanno lottando contro lo stesso nemico aiuta a non sentirsi soli e il fatto che lo si possa condividere con un numero illimitato di persone, rende il nostro peso più leggero, può farci pensare che saremo meno soggetti ad istaurare un disturbo da stress post traumatico.

Questa esperienza di Pandemia, ha spostato il Locus of control da interno ad esterno. Il senso di controllo interno, riguarda il senso di competenza sugli atteggiamenti che possiamo avere per evitare il contagio (lavarsi spesso le mani, evitare il contatto troppo ravvicinato con altri…).

Portare il locus of control da esterno ad un locus of control interno, affina il nostro senso di controllo. Per sconfiggere le paure realistiche, le misure autoprotettive sono la migliore “terapia”.

Se si prova tristezza, paura, rabbia e dolore, non vergognarsi di provarle, anzi cercare di trovare le parole per descriverle, magari anche portandole su un foglio che si potrà poi gettare via, o leggerlo magari, a qualcuno di intimo.

Ci sono stati purtroppo moltissimi decessi che non hanno avuto la funzione religiosa e la celebrazione dei funerali, questo potrà rendere più difficoltosa l’elaborazione del lutto.

Però anche la perdita del lavoro in seguito alla crisi economia che si è venuta a creare con il coronavirus, la lontananza da parenti e amici sono tutti lutti che dovremo imparare ad elaborare.

Non congelare dentro le emozioni ma permettersi di accettare di provarle.

Usare in modo adattivo la paura, che normalmente ha protetto la nostra specie, senza farci sopraffare da essa, ed anzi usarla per diventare più forti e competenti.

Questo momento di pausa forzata è stata comunque una grande opportunità per ognuno di noi, di guardarsi dentro e ridefinire i principali valori, che normalmente guidano i nostri comportamenti. Questo nel migliore dei casi potrà in un futuro farci essere persone migliori.

Questa convivenza forzata può aver fortificato certe unioni, reso più fragili altre, di sicuro ha reso manifesto chi è importante per noi e chi non lo è.

Il trauma può favorire una crescita personale positiva e molte persone una volta passata l’emergenza possono provare un senso di competenza e resilienza migliori.

Quindi stiamoci vicini, con i mezzi che abbiamo a disposizione, e prepariamoci ad una ripresa dove anche la nostra socialità dovrà adattarsi a nuove modalità.

Chissà se i neuroni specchio, che risiedono dentro ognuno di noi e che sono una delle principali risorse per farci sentire in empatia gli uni verso gli altri, non diventino un mezzo elettivo di farci sentire vicini gli uni agli altri.


Dal Sito: psicoadvisor.com

sabato 25 aprile 2020

6 consigli per come gestire gli attacchi di ansia e di panico da Coronavirus




Ansia e panico da Coronavirus, ecco alcuni consigli per gestirle con molta serenità.

In quasi due mesi di quarantena è normale che ad alcuni possa prendere l’ansia e ci sono dei modi per poterla gestire al meglio; certo è che ci possono essere dei soggetti che possono avere attacchi più importanti e meno importanti.

Come gestire gli attacchi di ansia e di panico durante questa quarantena

Tutta questa situazione molto difficile che stiamo affrontando ci porta a cambiare anche le più piccole nostre abitudini, cosa che può avere un impatto importante sulla nostra psiche e sul nostro umore.

Questa situazione può essere varia da soggetto a soggetto: c’è chi per qualche motivo si trova lontano dai genitori, dai figli o addirittura vive la quarantena in solitudine. Nello specifico ci sono 6 consigli utili per combattere questi momenti di ansia e di panico e aiutarci a vivere meglio questo periodo, aspettando che tutto passi al più presto. Vediamo quali possono essere:

Focalizzarsi su pensieri positivi e progettare a lungo termine: pensare in positivo ci può aiutare a trovare tranquillità, non pensare in forma allarmante, ma fare progetti in forma positiva e piacevole. Ad esempio pensare ad una lista di cose da fare nei prossimi mesi, un lavoro, un viaggio, senza pensare a tutte le incertezze che ci sono in giro.

Evitare di sentirsi soli e mantenere i contatti: ai giorni di oggi non uscire non significa non avere contatti con persone, il telefono e la tecnologia di oggi ci danno la possibilità di interagire con il mondo intero, tra videochiamate e social network.

Fare le cose che si ama fare: una delle prime cose è quella di imparare a fare qualche ricetta, fare giardinaggio, fare yoga o, meglio ancora, fare attività domestiche che non si aveva mai il tempo di fare.

Una cosa da fare una volta al giorno: per alleggerire ansia e preoccupazioni, decidi di sentire gli aggiornamenti una volta al giorno, decidi un orario e vedi il telegiornale sempre alla stessa ora.

Cosa importante, le notizie si devono ascoltare solo da fonti attendibili: è importante ascoltare i telegiornali da canali importanti e attendibili e non ascoltare fake news.

Iniziare un diario annotando cose belle e positive: per trovare un senso di calma e benessere basta annotare le cose belle e focalizzare la mente solo su cose positive.

Dal Sito: notizieora.it

Quando viviamo per compiacere gli altri, lo stress, l'ansia e la depressione si manifestano

La vita ci offre la possibilità di scegliere la strada più giusta per viverla nel migliore dei modi.
La cosa principale sarebbe capire che siamo noi i primi responsabili di come verrà scritta questa storia.

Capire che solo noi dobbiamo esserne i soli protagonisti, che bisogna basare le nostre scelte seguendo i nostri sogni e avere come primo obbiettivo quello di prenderci cura di noi stessi.

Tendiamo a volerci circondare di persone, desideriamo averne molte al nostro fianco, ma non sempre riusciamo a far loro la giusta priorità e la giusta importanza.

Troppo spesso infatti, lasciamo che chi ci è accanto prenda il controllo delle nostre vite, delle nostre decisioni e delle nostre azioni in modo incontrollato.

Al giorno d’oggi sembriamo aver perso i valori e i punti di riferimento, ci comportiamo non come vorremmo, ma condizionati dal voler compiacere chi ci vive accanto, mettendo da parte le nostre esigenze e adottando quelle che proprio non ci appartengono.

Tutto questo, che apparentemente sembra riempirci di orgoglio, ben presto però si trasforma in frustrazione.
Dovremmo imparare a comprendere che non dobbiamo necessariamente seguire degli schemi per essere felici, ma guadagnarci il rispetto e l’ amore di chi ci vive accanto mostrandoci per quello che realmente siamo.

Le nostre vite sono un importante percorso in continua evoluzione e solo vivendo sulla nostra pelle le nostre esperienze potremmo imparare e crescere.
I nostri errori e le nostre scoperte saranno un bagaglio prezioso che potremmo portare con noi nel nostro cammino di vita.

Invece tendiamo a fare tutto il contrario, adattandoci a fare ciò che pensiamo l’ altro voglia, preoccupandoci non di noi stessi, ma di quello che pensa la gente.

In questo modi soffochiamo le nostre emozioni e i nostri pensieri.
Questo atteggiamento prende possesso delle nostre menti e potrebbe facilmente essere causa di stress, ansia e forme di depressione… condizioni che agiranno anche sul nostro fisico condizionando i nostri pensieri e la nostra salute.

Quando non riusciamo più a pensare in modo positivo, il nostro corpo reagirà con le emozioni associate, e ci avvertirà che c’è qualcosa che non stiamo facendo nel modo migliore o che stiamo nutrendo nel modo più appropriato.

Dovremmo imparare a comprendere le reazioni e le risposte del nostro corpo ai nostri atteggiamenti e rivedere il nostro stile di vita.


Capire che dobbiamo dedicare più tempo a noi stessi e spendere anche per noi parte delle nostre energie.
Non dovremmo permettere agli altri di influenzarci nelle decisioni e fare una scala di priorità dove dar giusta collocazione alle persone e alle cose.

Rendiamoci conto che la vita e’ troppo breve per scegliere di viverla da comparse e non da protagonisti.
Vivete ogni secondo rincorrendo i vostri sogni nel modo più appassionato possibile e smettetela di vivere i sogni degli altri solo per attirarne l’ attenzione.


Dal Sito giornodopogiorno.org

giovedì 23 aprile 2020

Claustrofobia, la paura degli spazi chiusi




La vita dei claustrofobici subisce parecchie limitazioni. Basti ad esempio pensare che molti si rifiutano di eseguire esami diagnostici come la risonanza magnetica

Deriva dal termine latino 'claustrum' che significa 'luogo chiuso' e dal greco 'phobos', ovvero 'paura, fobia'. La claustrofobia è il terrore morboso di spazi o di luoghi chiusi, ristretti, molto affollati, dai quali la fuga sarebbe difficile o pressoché impossibile. Stanze di piccole dimensioni o prive di finestre, locali gremiti di gente, ascensori, bagni pubblici, metropolitane, generano nel claustrofobico una sensazione di oppressione ingravescente accompagnata da sintomi fisici (sudorazione fredda, tachicardia, nausea) o da veri e propri attacchi di panico. Il soggetto crede di essere in trappola e la mente, per proteggersi da quello che considera essere un pericolo, mette in atto strategie di evitamento. Si tenta, così, di non esporsi allo stimolo fobico o di farlo solo in presenza di un familiare o di una persona cara. Tutto ciò, ovviamente, si traduce in pesanti limitazioni nella vita quotidiana. Basti pensare, ad esempio, che chi è affetto da claustrofobia, rinuncia anche all'esecuzione di esami medici (risonanza magnetica) o a indossare abiti stretti.

Non sono ancora del tutto note le cause di questo disturbo. Nella maggior parte dei casi esso risulta essere l'espressione di traumi o di particolari modalità di percezione sperimentate durante l'infanzia e l'adolescenza. Qualora il naturale istinto di esplorazione venga scoraggiato, nel bambino si instaurerà un blocco della percezione del sé e delle proprie capacità. Egli sarà un adulto con poca autostima e con un'ansia spropositata nei confronti di tutto ciò che, simbolicamente, limita la sua libertà. Secondo alcune ricerche la claustrofobia è determinata da un malfunzionamento dell'amigdala, una struttura appartenente al sistema limbico capace di influenzare il processo di percezione del pericolo. Altri esperti, invece, sostengono che la fobia derivi da una disfunzione della percezione dello spazio correlata ad un meccanismo evolutivo. Da un punto di vista psicoanalitico, infine, la mania è l'esito di un grave conflitto psicologico che si esprime attraverso il processo della conversione.

sintomi della claustrofobia variano da persona a persona. Alcuni soggetti sperimentano lievi disagi in spazi ristretti. Per altri, invece, l'angoscia è insopportabile e spesso sfocia in attacchi di panico. Tra le reazioni fisiche più frequenti, si ritrovano: senso di svenimento, vertigini, tremori, nausea, bocca secca, tachicardia, brividi, sudore freddo, vampate di calore. Ancora mal di testa, confusione, formicolio, dispnea, sensazione di oppressione o di dolore al petto, pianto, fischi alle orecchie, intorpidimento, disturbi visivi. Ci sono dei claustrofobici che giurano di aver visto i muri avvicinarsi a loro e altri credono di soffocare, di perdere il controllo e addirittura di morire. Tutte queste manifestazioni non sono altro che il prodotto di quella che viene definita 'reazione di attacco di fuga'. La mente, associando i luoghi angusti e certe situazioni a minacce, prepara in automatico il corpo a combattere per garantire, così, la sopravvivenza.

Dal Sito: m.ilgiornale.it 

domenica 19 aprile 2020

Anima mia, sai cosa c’è?


C’è che alla fine vince chi sa trarre vantaggio e consapevolezza dalle sofferenze della vita.

Chi crede, ama e condivide sogni, speranze e realtà. 

Vince chi si mette in gioco e non si isola pensando che gli altri sono più “fortunati”.

Chi, nella quotidianità, ha saputo sconfiggere il più grande nemico: l’Ego. 

Vince chi ha saputo condividere il pensiero tanto nella parola che nel silenzio. 

Chi non ha saputo dire sempre di sì, ma nemmeno dispensare solo dei no.

Vince chi non ha paura di morire, perché vive e ha vissuto intensamente.

Chi non ha temuto il nemico perché sapeva che da questi avrebbe tratto energia e forza per ripartire.

Vince chi ha amato così tanto da tremare per l’emozione ma senza avere paura di lasciare libero l’altro.

Chi ha ringraziato la malattia perché da quella è ripartito con una nuova consapevolezza.

Vince chi non ha ceduto solo al desiderio del piacere manipolando gli altri per i propri fini.

Chi si alza la mattina col sorriso sapendo che la giornata può essere molto dura.

Vince chi non pensa che la sola bocca da sfamare sia la sua.

Chi smette di dire: “tanto fanno tutti così”! E apre una nuova via, nel rispetto verso gli altri.

Vince chi, se non bastano le parole, dimostra l’amore coi gesti, coi fatti.

Chi dipinge un quadro senza imbrattare tutto ciò che è fuori dalla tela.

Vince chi ogni tanto esce dalla coda e si mette in prima fila a trainare gli altri, senza sentirsi il protagonista.

Chi ha compreso e ha allungato una mano quando era necessario.

Vince chi smette di dire, con la pancia gonfia da scoppiare, che ha fatto tutto per gli altri.

Chi saluta e non si aspetta nulla in cambio.

Vince chi sa cambiare idea, quando riconosce che è cambiato anche lui.

Chi non pensa che gli altri sono tutti “matti” e accetta le loro opinioni.

Vince chi non ruba perché tanto lo fanno in molti, e ha un’idea di benessere comune.

Chi rispetta i deboli e gli animali, senza schernire la loro natura e abusando della loro umiltà.

Vince chi rema ma cambia rotta se ne vale la pena, uscendo dalla scia di chi lo precede.

Chi ha uno scopo e riconosce quello degli altri.

Vince chi non ha bisogno di rimpiangere, perché ha saputo muoversi al momento giusto.

Sai cosa c’è, Anima mia? 

Che spesso ho paura e ammetto le mie fragilità. 

Che non amo come vorrei ma come posso. 

Che sono goloso di quello che hanno gli altri e non guardo nella mia dispensa.

Che do spesso la colpa di quello che mi succede al destino, senza fare granché per cambiarlo.

Che demando agli altri parte delle mie responsabilità.

Che a volte non vivo come potrei per non rompere equilibri precari.

Che rimando spesso a domani.

Che non chiedo sempre spiegazioni, perché son certo che io solo conosco la ragione giusta.

Che guardo più facilmente ai giorni faticosi passati che a quelli belli che potrò passare.

Anima mia, per tutto questo mi scuso.

Tuttavia il mio compito non è quello di giudicare. Il Karma si occuperà di questo. Il mio compito è quello di vivere. Semplicemente amando.

Grazie!

Dr. Michele Guandalini


Dal Sito: aprilamente.info 

Maturare è imparare a trovare la soluzione e non il colpevole





Ricordate quando eravate bambini? L’infanzia è un periodo meraviglioso, ed è per questo che vorremmo sempre tornare indietro e proviamo sempre nostalgia per questa tappa. È il momento in cui scopriamo il mondo e, allo stesso tempo, ci sentiamo protetti dagli adulti.

Nell’infanzia e nell’adolescenza, sono i nostri genitori o tutori che hanno il dovere di proteggerci, di soddisfare le nostre necessità e, cosa non da poco, di prendere le decisioni al posto nostro. È per questo che crescere è un esperienza agrodolce; perdiamo le comodità e la sicurezza, ma guadagniamo qualcosa di estremamente importante: la libertà.

Con il passare degli anni, progressivamente prendiamo in mano le redini della nostra vita. La prima cosa che facciamo è lavorare, per farci carico dei nostri bisogni fondamentali; ma ci sono altri aspetti dei quali dobbiamo responsabilizzarci: i nostri legami affettivi, ad esempio, o la nostra salute mentale.

È il modo in cui gestiamo questa responsabilità che segna la differenza tra crescere e maturare. Il tempo passa inesorabilmente e tutti cresciamo, ma il modo in cui ci responsabilizziamo delle nostre emozioni ci permetterà di affermare che, oltre a crescere, siamo maturati.

Prendere delle decisioni implica sperimentare emozioni relazionate con la paura di sbagliare e con l’incertezza. Tant’è che a volte ci blocchiamo e ci è molto difficile scegliere una strada piuttosto che un’altra.

Ciò che è sicuro è che tutti commettiamo degli errori, parte del processo di apprendimento. Ricordate quando stavate imparando a contare a scuola? Inizialmente era complicato e commettevate molti errori, ma con la pratica contare diventa un’abilità basilare.

Assumersi la responsabilità di aver sbagliato comporta un complesso processo di riflessione e analisi dei fatti, e per questo a volte è più facile cercare motivazioni esterne che giustifichino i nostri errori. E proprio qui che entra in gioco la colpa. Quando abbiamo un problema, la nostra mente si crogiola nella ricerca  di un colpevole.

A volte, ad esempio, quando sbattiamo contro un qualsiasi oggetto, diamo la colpa allo stesso di trovarsi in mezzo ai piedi. Non vi è mai successo? Camminate distratti per il corridoio e improvvisamente andate a sbattere contro un oggetto che non doveva essere lì, facendovi male al piede. Senza pensarci direte “Maledetto oggetto”, non doveva stare lì.

Tuttavia, cosa succede con gli ostacoli che incontriamo sulla nostra strada, quando sono qualcosa di molto più importante che un oggetto dimenticato per sbaglio in corridoio? Potrebbe trattarsi di un esame che continuate a non passare e che avete preparato diverse volte oppure che non vi abbiano rinnovato il contratto di lavoro, che abbiate problemi a comunicare con il vostro partner o che vostro padre si arrabbi con voi quando esprimete la vostra opinione.

Se non riflettiamo, se ci lasciamo trasportare dalle emozioni, la colpa è una specie di neon, che si illumina improvvisamente nella nostra mente. Fermatevi un momento a pensare in cosa aiuta la colpa? 

Quando incolpiamo qualcuno o noi stessi di quello che succede, ci stiamo concentrando sulle nostre emozioni e atteggiamenti negativi: veniamo pervasi dall’ira e dalla frustrazione, proviamo tristezza o rancore, e non andiamo avanti. Per farla breve, siamo infelici.

Tuttavia, se oltrepassiamo queste emozioni negative e andiamo avanti, ci renderemo conto che invece di cercare un colpevole, esiste qualcosa di molto più utile: intraprendere un’azione che ci aiuti a cambiare la situazione. Se cerchiamo delle soluzioni, manderemo a noi stessi un messaggio, ovvero che se qualcosa è andato male, possiamo provare a rimediare e lavoreremo per risolvere la situazione.

Sicuramente ricorderete una situazione simile a questa: siete vittime di un’ingiustizia, ad esempio, siete stati bocciati ad un esame che credevate sarebbe andato bene. Vi sentite male ripensando nella vostra testa alla situazione e ve la prendete con il professore o con voi stessi. Cercate un colpevole.

Siete stanchi di ripensare a quanto è appena successo, è qualcosa che appartiene al passato e non può essere modificato. La colpa ci blocca. 

Tuttavia, se cambiate atteggiamento e decidete di mettervi a studiare meglio le parti in cui probabilmente non eravate preparati, le vostre emozioni cambieranno. 

La prossima volta che qualcosa non andrà bene e che vi metterete a cercare dei colpevoli, pensate che la cosa migliore che potete fare è voltare pagina. Le emozioni negative sono inevitabili, ma se cerchiamo soluzioni invece che colpevoli, ci renderemo conto che sono cose passate e che bisogna continuare ad andare avanti per raggiungere i nostri obbiettivi.

sabato 18 aprile 2020

Nankurunaisa




Nankurunaisa (なんくるないさ) è un’espressione giapponese (più precisamente in dialetto di Okinawa).


Il senso di questa frase, molto popolare in Giappone ed esportata in tutto il mondo è “le cose andranno da sé”, oppure, comunemente, “con il tempo si sistema tutto”.

Possiamo leggerlo come un abbandono al fatalismo, una convinzione che è inutile che ci affanniamo, basta lasciare andare le cose come devono andare. Troppo semplice, e sopratutto lontano dalla verità.

Si tratta invece di un invito ad avere una fiducia fondamentale nell’esistenza. Nel fatto che, malgrado tutto, ogni cosa ha un senso. Ed è possibile scoprire, nel tempo, che la realtà ha una natura fondamentalmente benevola. Questo naturalmente se sappiamo guardare le cose dalla giusta distanza. Più le guardiamo dall’alto, più le vediamo nel loro significato complessivo, più ne scopriamo la perfezione. Più le vediamo da vicino, le analizziamo, le scomponiamo e più se ne perde il senso. Molte tradizioni spirituali  e filosofiche sostengono questa visione. Basti pensare all’Omnia in bonum (Tutto è per il nostro bene – Rm 8, 28) di tradizione cristiana.


Steve Jobs, in uno storico discorso fatto all’Università di Stanford, ha utilizzato un’immagine per questo. Quella di un disegno che acquista un senso solo quando finiamo di connettere tutti i punti che lo compongono.

“….non potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia che i puntini che ora vi paiono senza senso possano in qualche modo unirsi nel futuro..”

Per fare questo dobbiamo accedere ad una visione della realtà non semplice da digerire. Quella di una natura in cui tutto è perfettamente bilanciato, tutto ha un senso preciso e divino, ed in cui nulla è fuori posto. Che possiamo perderci solo dividendo, separando, immaginando che aspetti diversi siano opposti inconciliabili. Esiste infatti una via di mezzo tra l’essere attivi opassivi. Da una parte ecco il tentativo di avere tutto sotto controllo, l’illusione che il futuro dipende solo da noi, che “volere è potere” e che anche il mondo non girerà più se ci distraiamo. All’altro estremo c’è il lasciarsi andare alla deriva, rinunciando a prendere decisioni, evitando ogni responsabilità e lasciandoci invadere dal caos, tanto alla fine è il destino a decidere per noi.


Questo equilibrio lo descrivo in un altro articolo,  parlando del Wu Wei con una metafora.  Quella di una persona che in canoa è trasportata a valle in un torrente. Non può certo contrastare la corrente, ma può con la sua pagaia governarsi, scegliere il percorso migliore, evitare gli ostacoli. E lo farà meglio assecondando il flusso e non contrastandolo, usando al meglio le proprie energie per non disperderle.  Se si lasciasse semplicemente andare, tirando letteralmente i remi in barca, probabilmente sarà in breve travolto o finirà su una roccia.

Ecco quindi cosa possiamo fare: mettere in pratica il Wu Wei, riconoscere che c’è un fiume più grande di noi, ma non rinunciare a governare la nostra canoa, imparando ad adattarci, momento per momento, alle circostanze che incontriamo.

Credere di avere un controllo determinante sul nostro futuro è una illusione, come è meravigliosamente descritto da Jaco Van Dormael nel suo film capolavoro Mr. Nobody.

Ci aiuta enormemente espandere la nostra consapevolezza, essere presenti a noi stessi, evitando il delirio di onnipotenza e sviluppando una fiducia in qualcosa che non ci sovrasta, ma include noi e tutto il resto della realtà.

Dal Sito: psicologiaintegrale.it 

Come aiutare una persona ansiosa a stare meglio



L'ansia è una patologia che colpisce moltissime persone, spesso a causa di situazioni pesanti da vivere: ecco tutti i metodi per aiutare una persona ansiosa.

L’ansia è uno stato d’animo comune che, nei giorni moderni, riesce a portare giù di morale moltissime persone. La domanda che dobbiamo porci è: come si può aiutare una persona ansiosa?

Non sempre è facile comprendere, per chi non ha disturbi legati all’ansia, come una persona cara che ne soffre si possa sentire. Questo porta ad avere delle difficoltà nel fornire un aiuto concreto, eppure i metodi sono diversi: alcuni possono risultare più compatibili ad un carattere e meno utili su un altro. L’obiettivo è trovare quello giusto per il nostro soggetto per potergli permettere di stare meglio. Passiamo quindi ai metodi.

Far sentire la tua vicinanza e comprensione

L’ansia non si manifesta sotto il punto di vista fisico solo quando una persona è agitata. Infatti, spesso questo stato angoscioso si riversa in modo involontario nell’organismo, causando quelli che comunemente chiamiamo attacchi di panico. Un modo efficace per cercare di aiutare qualcuno che, purtroppo, soffre di questa dannosa patologia è far sentire loro la nostra vicinanza e comprensione.

È molto importante, per la persona, sapere di avere qualcuno accanto, anche attraverso il contatto fisico, il quale tranquillizza moltissimo. Importantissimo, però, è anche che il soggetto non si senta giudicato da te. Il giudizio che involontariamente, si potrebbe esprimere nei confronti di quella persona, magari attraverso degli atteggiamenti non voluti, potrebbe destabilizzare ancora di più il soggetto. Serve, invece, che si mostri comprensione e vicinanza al suo status mentale del momento. Bisogna far capire che sei lì per aiutarlo.

Trascorrere del tempo insieme

Importantissimo, insieme alla vicinanza nei momenti di crisi, è la vicinanza in momenti di tranquillità. Una presenza costante, infatti, sarà sempre un appoggio sicuro per chi ha questa patologia. Trascorrere del tempo insieme alla persona che soffre d’ansia è importantissimo al fine di non farla sentire abbandonata. In questo modo il soggetto ansioso saprà sempre che può contare su di qualcuno e che, nel caso di paure estreme o di attacchi di panico, basterà comporre un numero di telefono per sentire vicinanza.

Questo si può fare semplicemente dando delle attenzioni, oppure telefonando, senza un apparente motivo, solo per chiedere come sta. Importantissimo è far capire, alla persona in questione, che tu stai dando la tua più completa disponibilità. Questo accadrà dicendogli di chiamarti ogni qualvolta ne abbia bisogno, oppure di passare da te nel momento della necessità. Piccoli gesti, che però potrebbero cambiare lo stile di vita di qualcuno.

Non irritarsi

Spesso, quando una persona è in balia di un attacco di ansia, oppure è in uno status ansioso perenne, tende ad essere notevolmente più irritabile. Potremmo tranquillamente pensare che questa cosa non appartenga al carattere del nostro amico e che, perciò, non sia giustificata. In realtà, i caratteri in stati di panico si trasformano, mostrando atteggiamenti che magari vogliono solo essere di difesa. L’importante è non irritarsi. L’obiettivo è riportare la calma nella mente del nostro soggetto e, per questo motivo, non bisogna inserirealtro stress irritandoci a nostra volta. Bisogna cercare di trasmettere, invece, la nostra calmaall’altra persona, facendogli capire che è tutta una sua paura, che, in realtà, quello che lo spaventa non esiste.

Questo lo si fa mantenendo il tono di voce basso, ascoltando tutto quello che ha da dire e poi rispondere in modo pacato, facendo capire che per voi quel problema non è tale e che non c’è niente per cui effettivamente valga la pena di agitarsi. L’unica cosa certa, però, è che non ci saranno risultati immediati. Se siete bravi, se riuscite ad avere costanza, a lungo termini si vedrà il risultato. Lì per lì, quella persona potrebbe risultare solo più irritata di prima, ma è il vostro mantenersi calmi che conta.

Divertirsi insieme

Molto efficace, sicuramente, è il divertirsi insieme con attività che possano svagare l’animo della persona. L’obiettivo è quello di distrarre il più possibile la persona ansiosa. Si consigliano, principalmente, attività all’aria aperta, come fare attività fisica all’aperto, magari correndo o facendo semplice esercizio fisicoche, di per sé, è un metodo riconosciuto e affermato per combattere l’ansia e lo stress.

Da evitare assolutamente, nelle attività divertenti, l’assunzione di alcool, che, al contrario di ciò che si pensa, non fa dimenticare i problemi, ma li ingigantisce solo. Infatti, chi soffre d’ansia potrebbe avere moltissimi effetti collateralidall’assunzione di sostanze che alterano lo stato mentale, come l’alcol.

Mostrarsi orgoglioso quando ci sono dei miglioramenti

Come detto in precedenza, i miglioramenti non sono immediati, ma a lungo andare verranno sicuramente fuori. Quando lo faranno, bisogna mostrarsi orgogliosi il più possibile. Questo sarà uno stimolo essenziale per la persona che farà in modo che non si abbatta, nonostante il percorso sia difficile. Chi aiuta è uno dei motivi per il quale la persona aiutata cerca di combattere contro questa patologia.

Farsi vedere felici dei progressi ottenuti è importantissimo e porterà, sicuramente, ad un ulteriore slancio di qualità al fine di arrivare al risultato desiderato. Vedersi gratificati per i propri sforzi non è qualcosa che fa piacere solo a soggetti ansiosi, ma a tutti. Quindi, è anche altrettanto fondamentale il non perdere mai la speranza, che è un appiglio importantissimo. Se ci si mostra scoraggiati, si può buttare giù la persona in modo definitivo: se non ci crede fino in fondo chi aiuta, il soggetto ansioso non potrà farcela.

Essere sempre sé stessi

Se siete lì pronti ad aiutare qualcuno, significa che quel qualcuno è importante per voi. Ciò vuol dire che vi conoscete a vicenda, che conoscete le sfaccettature del carattere e i modi di fare propri dell’uno e dell’altro. È quindi essenziale non incorrere in cambiamenti di personalità ed essere sempre se stessi. Bisogna rimanere il punto d’appoggio fisso che la persona conosce, non bisogna cambiare, questo le destabilizzerebbe. Bisogna mostrarsi disponibile, affettuoso e presente, ma certamente non va dimostrato ciò che non si è. Sarebbe solo deleterio sia per la persona cara che per il rapporto tra chi aiuta e il soggetto in difficoltà. Riuscire a dare una parvenza di normalità, in questa battaglia, è essenziale per tutti.

Non essere insistente

Se si vuole aiutare qualcuno di vicino a migliorare la sua vita, uscendo dalla schiavitù generata dall’ansia, sicuramente è perché c’è un grande affetto di mezzo. Questo, però, non vuol dire costringere una persona a fare ciò che non vuole, quindi è importante non essere insistente. Il miglioramento, come accennato in precedenza, è essenziale al fine della guarigione, ma può avvenire solo se la persona con i disturbi è convinta di voler guarire. Convincere qualcuno a farsi del bene, però, non sempre risulta chiaro e lineare. L’importante, però, è non usare man forte o, in qualsivoglia modo, costringere qualcuno a reagire in un modo che non gli appartiene. Bisogna rassicurare la persona, non convincerla a fare qualcosa che non vuole fare. C’è bisogno che lui sappia che può contare su qualcuno, ma non che sia costretto ad agire come qualcun altro decide.

Psicoterapia

Tutto quello che è stato detto in precedenza è giusto e reale, ma bisogna essere consapevoli del fatto che essere seguiti da un professionista è sempre la cosa migliore. La psicoterapia è un processo graduale che porta al miglioramento massimo delle facoltà mentali di una persona. Andare in psicoterapia significa riconoscere innanzitutto di avere un problema di ansia, ma soprattutto significa lottare per risolverlo.

Nel suo piccolo, chi vuole aiutare qualcuno deve essere consapevole del fatto che questa è la strada che si deve intraprendere e, senza forzare la mano, c’è bisogno di farlo capire anche alla persona ansiosa. L’ansia, prima di essere uno stato mentale, è innanzitutto una patologia. Dalle patologie si guarisce attraverso le terapie. E chi più di uno psicoterapeuta può guarire da una patologia della psiche?

Rimedi naturali contro l’ansia

Quando si parla di rimedi naturalibisogna partire sempre da un presupposto: non si tratta di medicinali specifici. Per assumere medicinali non ci si può basare su consigli letti online, per quanto possano essere validi: solo un medico abilitato può dirvi cosa prendere e se prendere qualcosa che vi possa aiutare. Perciò tutto quello che è scritto qui si basa su rimedi totalmente naturali, che non hanno bisogno di prescrizione medica,  ma che possono essere utili.

Per rimedi naturali si intende delle sostanze biologiche che possono avere degli effetti positivi sul nostro organismo, aiutandolo, magari, a rilassarsi. Esistono delle erbeparticolari che possono essere utili a supportare il nostro corpo in stati di ansia pesanti, dandogli una mano a rilassarsi. La più famosa tra queste piante è sicuramente la camomilla, utilizzata molto spesso sono strumento per addormentarsi. La camomilla, infatti, in molti casi, aiuta a rilassare i muscoli e a conciliare il sonno. Di nuovo, non bisogna intenderla come un farmaco per l’insonnia, ma solo come una sorta di tisana dagli effetti benefici.

Altre tisane o erbe utili per questi problemi sono:

Tè verde;

Il luppolo, con proprietà terapeutiche spesso sconosciute;

Melissa;

Lavanda;

Valeriana.

Queste sono solamente erbe che possono, in alcuni casi, recare beneficio al nostro stato psicofisico.

Floriterapia: Fiori di Bach

In caso di stati di ansia molto imponenti, si è trovato che alcune terapie a base floreali possono avere buoni risultati. Questa prende il nome di floriterapia e si basa sul consumo di bacche o fiori. Il suo risultato si vede nella sua azione in diverse tipologie di ansia, derivati, magari, da stati transitori difficili, momenti pesanti e logoranti per la nostra psiche.

L’utilizzo in particolare di Fiori di Bach può portare alla conoscenza del Rescue Remedy. Si tratta di un “elisir” che prevede l’unione di 5 fiori che il dottor Edward Bach mise per iscritto nel 1934. Edward Bach lo utilizzò come strumento in diverse situazione di emergenza, iniziando da problemi di dolore fisico, come dopo alcuni incidenti, passando poi a problematiche di carattere psichico.

I benefici sono diversi: calma, serenità, sollievo quasi immediato. Inoltre, cosa molto importante, aiuta a ridimensionare il nervosismo e la paura, riuscendo quasi a rilassare i nervi. Come detto in precedenza, questi sono rimedi naturali, che non necessitano di prescrizione medica: non si tratta di farmaci, ma solo di erbe reperibili senza problemi.

Il Rescue Remedy moderno prevede, quindi, l’assunzione di diverse erbe, tutte con benefici differenti, ma che mischiate insieme aiutano l’organismo sotto diversi punti di vista:

Agrimony: è una pianta adatta per stati di ansia caratterizzati da problemi interiori, quasi inconsci, che tendiamo a tenere per noi e a non voler manifestare. Aiuta ad affrontare i problemi, regalando una sensazione di serenità e ottimismo;

Walnut: aiuta contro l’ansia derivante da un momento stressante o da un trauma derivato da un cambiamento di vita. Dona una sensazione di costanza, decisione e coraggio, che sono utili a prendere in mano le redini della propria vita;

White Chestnut: combatte l’ansia provocata da pensieri ai quali non si riesce a trovare una soluzione, che portano a rimuginarci sopra in perpetuo. Il fiore in questione aiuta a tenere a bada dei pensieri ossessivi, donando una sensazione di rilassamento;

Aspen: è il fiori che agisce contro inquietudine provocata da paure indefinite. Riesce ad infondere coraggio, aiutando a trovare lo spirito giusto per combattere questa paura interna;

Elm: contro ansia provocata da eccessive responsabilità, che colpisce principalmente chi non si tira mai indietro, ma che poi finisce con il chiedere troppo a se stesso. Aiuta a gestire lo stress e a ricaricare energicamente il corpo;

Impatiens: rimedio perfetto contro l’ansia provocata dall’attesa. Ne soffre chi non riesce ad aspettare, neppure davanti ad un semaforo, che ha sempre fretta. Il fiore aiuta a tranquillizzare la mente e ad aiutare a comprendere di non poter accelerare il fluire delle cose;

Scleranthus: si focalizza sull’ansia derivante dal dover prendere una posizione di fronte a due possibilità. Chi ne soffre oscilla da un estremo all’altro, in una perpetua indecisione. Aiuta a mantenere la mente lucida, ricostituendo la scala dei valori e delle necessità;

Red Chestnut: si occupa dell’ansia provocata dal pensiero che possa accadere qualcosa di brutto ai propri cari. Si focalizza su chi considera la vita come una continua minaccia, ma che non si preoccupa tanto del suo benessere, quanto di quello di tutte le persone che gli sono attorno. Il fiore aiuta a gestire questi pensieri e la sensazione di iperprotettività.

Con l’utilizzo di questo “elisir”, si è scoperto che ha un fattore positivo anche in persone malate di altre patologie, magari conseguenze dell’ansia stessa, come tachicardiae attacchi di panico.



Dal Sito: bigodino.it