martedì 30 aprile 2019

Tocofobia: quando la paura di partorire diventa un disturbo psicologico

Molte donne, quando si avvicina la data del parto, iniziano ad avere il timore per ciò che le attende. Si tratta di una paura naturale che però in alcuni casi si manifesta anche prima di rimanere incinta tanto da far rinunciare alla gravidanza

Essere in ansia negli ultimi mesi di gravidanza è normale, si avvicina quel momento sconosciuto in cui si ha il timore che possa accadere qualcosa a sé e al futuro nascituro.
Si tratta di una sensazione che esprime una preoccupazione adattiva tipica soprattutto delle primipare.
Più allarmante, invece, è la situazione in cui una donna ha un il terrore della gravidanza tanto da evitare la maternità.
In questo caso la paura di partorire diventa un vero e proprio disturbo psicologico chiamato dagli esperti tocofobia.
Chi ne è affetto dovrebbe parlarne con un esperto per farsi aiutare a superare questo timore spesso irrazionale.
Ma vediamo insieme di cosa si tratta e come si può curare questa fobia.

Un'ansia difficile da controllare
Quando le preoccupazioni riguardanti il parto si spingono al punto di pensare di morire e di non volere mettere al mondo il piccolo ci si trova di fronte ad uno stato fobico intenso.
La tocofobia (dal greco “tokos” che significa parto e “fobia” che vuol dire paura) spesso si associa ad ansia e depressione e, secondo la letteratura scientifica, esistono due forme: primaria e secondaria. 
Il primo tipo si manifesta ancor prima di aver concepito e spesso è il motivo per il quale alcune donne rinunciano alla maternità pur desiderando un bambino.
In uno studio del 2000 di Hofberg e Brockington è stato rilevato come però queste donne spesso abbiano subito abusi infantili che hanno causato un'avversione a qualunque trattamento ostetrico e ginecologico.

La tocofobia secondaria, invece, riguarda quelle pazienti che hanno avuto precedenti esperienze negative al momento del parto o immediatamente dopo: manovre ostetriche invasive, travagli prolungati e difficili, tagli cesarei di emergenza o la sensazione di aver percepito una violenza sul proprio corpo.

Come prevenire o trattare questa fobia
Affinché la donna impari a controllare o a diminuire la paura del parto (primaria o secondaria) è fondamentale creare una buona alleanza terapeutica paziente-personale ostetrico.
Per quanto riguarda la tocofobia primaria è importantissimo parlarne con il proprio ginecologo che potrà eventualmente suggerire un percorso psicoterapeutico prima e dei corsi di preparazione al parto poi.

Per le donne che, invece, manifestano ansia in seguito ad esperienze precedenti traumatiche sono fondamentali i corsi pre-parto condotti da ostetriche e psicologhe. Si è visto che facendo esercizi di respirazione e rilassamento oltre che lavorando in gruppo su emozioni, ansie, sentimenti e preoccupazioni riguardanti questo periodo di vita, le donne riuscivano a controllare maggiormente le proprie fobie.

Come tutte le paure irrazionali il miglior modo per iniziare ad affrontarle è parlarne con qualcuno; solo così è possibile farsi aiutare ridimensionando immagini e idee catastrofiche.

Dal Sito: amando.it

giovedì 25 aprile 2019

Da Angelina Jolie a Leonardo Di Caprio, le star che soffrono di malattie mentali

Depressione, disturbo ossessivo compulsivo, disordini alimentari: molti vip hanno avuto a che fare con questi problemi mentali, ecco chi sono. Sono davvero tante le celebrità che hanno dovuto affrontare disturbi quali la depressione, le crisi d’ansia e gli attacchi di panico. Eppure stiamo parlando di star amatissime dal pubblico, che hanno dalla loro parte un grande talento e un successo incredibile. Molti di loro hanno scelto di parlare apertamente della loro malattia mentale, per sensibilizzare gli altri su argomenti che ancora oggi sono spesso dei tabù. 




Le star tra ansia e depressione.

Il fatto che queste non siano malattie “visibili”, non diagnosticabili con esami del sangue o radiografie, non le rende meno reali: ansia, attacchi di panico e depressione sono problemi che affliggono milioni di persone, e tra di loro c’è anche qualche celebrità. Ad esempio Halle Berry, la splendida attrice americana, ha confessato diversi anni fa al magazine Parade di aver sofferto di depressione, tanto da aver tentato il suicidio con il gas. In anni più recenti, l’attore Dwayne Johnson, conosciuto come “The Rock”, ha rivelato all’Express di aver trascorso un periodo difficile proprio per la depressione, quando era ancora un ragazzo. Il tentato suicidio di sua madre, l’incidente che gli ha impedito di proseguire la sua carriera nel football e una delusione amorosa sono stati alcuni dei fattori che lo hanno portato in un vortice di sofferenza. Anche Owen Wilson avrebbe sofferto di depressione: secondo i media, l’attore di Starsky & Hutch avrebbe addirittura tentato il suicidio, dopo la fine della sua relazione con Kate Hudson. Il giovane Zayn Malik, cantante dei One Direction, ha raccontato apertamente al Time i suoi problemi di ansia, dichiarando di voler essere sincero con i suoi fan e di voler far capire che non c’è nulla di cui vergognarsi. 

I vip che soffrono di disturbi mentali.

Angelina Jolie Angelina Jolie ha combattuto con diversi problemi di salute mentale: in un’intervista su WSJ ha rivelato di aver sofferto di depressione e di anoressia, quando era molto giovane. Di disturbi alimentari hanno sofferto anche molte altre star: Elton John, ad esempio, negli anni ’90 ha combattuto con la bulimia. Lady Gaga, invece, ha per anni affrontato sia la bulimia che l’anoressia e ha anche fondato un movimento “Body Revolution” per convincere le donne ad amare se stesse. Alcuni vip fanno invece i conti da tantissimo tempo con il disturbo bipolare, una malattia caratterizzata da frequenti e improvvisi cambiamenti nel tono dell’umore e da tanti altri sintomi che inficiano la vita sociale di chi ne soffre. Mel Gibson, per esempio, ha annunciato di avere un disturbo bipolare di tipo I, più insidioso e difficile da gestire. L’attrice Catherine Zeta-Jones, invece, avrebbe quello di tipo II, più leggero. Leonardo Di Caprio e David Beckham sono accomunati dal disturbo ossessivo compulsivo. Il primo pare ne avrebbe sofferto sin da bambino, e che ancora oggi di tanto in tanto debba affrontarne alcuni sintomi. Il secondo invece lo ha confessato in un’intervista televisiva del 2006, parlando di come senta il bisogno di avere sempre tutto in ordine e in fila. 

Dal Sito: donnaglamour.it

mercoledì 24 aprile 2019

HAILEY BIEBER HA RACCONTATO LA SUA BATTAGLIA CONTRO L’ANSIA: “PIANGEVO PER TUTTA LA NOTTE” E ha spiegato cosa fa per ritrovare il sorriso

Hailey Bieber ha già parlato in passato della sua salute mentale, spiegando che la sua vita "non è così fantastica come appare", ma adesso è andata nel dettaglio della sua battaglia contro l'ansia, rivelando cosa fa per sentirsi meglio.

La modella ha raccontato a Glamourche l'ansia ha raggiunto il picco un anno e mezzo fa, al punto che: "Non riuscivo a dormire".

"Ammiro che le persone si stiano facendo avanti per parlare di ansia. Tutti ne soffriamo ed è stato un tabù per tanto tempo. C'è stata un'epoca in cui in questa industria era negativo parlare di certe cose e tutti si sentivano pressati per mantenere la facciata di una vita perfetta".

"Penso di averlo fatto un po' anche io. La gente mi chiedeva come stavo e io rispondevo bene, ma in realtà piangevo nella stanza di hotel per tutta la notte. Devi essere onesto sul fatto che la vita a volte può far schifo, le cose possono essere difficili. Ma più siamo aperti sul tema, più possiamo aiutare le persone a trovare una soluzione".

E a proposito di soluzione, Hailey Bieber ha spiegato che per lei la meditazione è un toccasana: "Mi piace meditare, una meditazione che non c'entra con la religione. Si tratta di sapere che non devi essere comandato dai tuoi pensieri, puoi prendere il controllo e cambiare le cose".

"Ho capito che puoi risolvere molto attraverso la meditazione, l'auto-aiuto e la terapia".

La moglie di Justin Bieber ha anche dato un consiglio che puoi provare anche tu quando ti senti giù di morale. Ecco come lei ritrova il sorriso: "Guardo alle persone nella mia vita, alle cose positive e cerco di ricordarle a me stessa. Ad esempio, amo i miei genitori. Ho dei fantastici amici. Ho un marito meraviglioso".
"Tutti hanno qualcosa che va male nelle loro vite, tutti hanno qualcosa contro cui combattono. Invece di focalizzarmi su queste cose, cerco di ribaltare i pensieri e concentrarmi su altro. Come il fatto che sono in un buon posto nella mia vita, che la mia famiglia mi ama. Ribaltate i vostri pensieri".

Dal Sito: news.mtv.it 

A new life - Storie di Panico La storia di Violetta


"Le vostre storie, il vostro coraggio, la vostra forza."

Mi chiamo Violetta e ho quasi 31 anni.... Nella mia infanzia ho subito tanta violenza... A 4 anni circa mio padre mi disse che avremmo fatto un gioco e mi disse anche che non dovevo dirlo a mamma... E da lì è iniziato il mio inferno, con gli abusi sessuali... Come se non bastasse, oltre alla violenza che subivo io assistevo tutte le volte che mio padre picchiava mia madre e quando lei scappava lui mi parlava male di lei... A volte succedeva anche che mi picchiava senza un motivo valido...Da li ho iniziato ad avere le mie crisi di panico. La notte facevo fatica a dormire e facevo la pipì a letto perché avevo paura ad alzarmi. All'età di 7 anni circa, mentre c'era mio padre che abusava di me, anche il mio vicino di casa ci ha provato, senza riuscirci perché ho iniziato ad urlare. Questi abusi durarono fino all'età di quasi 10 anni con la nascita di mio fratello. In adolescenza ero una ragazzina cupa e non riuscivo a rispettare le regole, a volte ero molto aggressiva e sono arrivata anche ad alzare le mani... Fortunatamente ho trovato una famiglia che mi ha presa con se quando avevo quasi 14 anni, nonostante il primo anno è stato disastroso. Ora sono una donna con tante paure ma che grazie all'aiuto di una meravigliosa dottoressa e due psicoterapie sto prendendo in mano di nuovo la mia vita... Gli attacchi di panico ancora li ho ma da circa due anni ho imparato a gestirli... Grazie alla mia dottoressa sono sicura che un giorno tornerò a vivere... 

Violetta

Dal gruppo: D.A.P. attacchi di panico "inarrestabile voglia di vivere"  

e la Pagina: Ansia-Attacchi di Panico-Agorafobia Associazione insieme Onlus
 

 

Ansia sociale: cos’è, sintomi e cure

L'ansia sociale è un disturbo comune che interferisce con le relazioni: ecco cosa è, quali sono i sintomi e l'approccio di cura.


L’ansia sociale è la paura di essere giudicati e valutati negativamente dai colleghi, dagli amici e anche dai familiari. Il disagio causato da questo disturbo consiste in un grande senso di inadeguatezza, inferiorità e imbarazzo, nonché timore di subire un’umiliazione e depressione. I primi segnali di questo disturbo sono di natura piuttosto generica e, di solito, comprendono: ansia senza causa apparente nell’affrontare i rapporti sociali, la sensazione di stare meglio da soli e l’evitare di intraprendere iniziative o aderire ad attività che coinvolgano altre persone.

Il disturbo d’ansia sociale, che in passato era definito fobia sociale, è un problema molto più comune di quanto le stime negli anni abbiano rilevato. I dati epidemiologici dimostrano che milioni di persone in tutto il Mondo soffrono ogni giorno di questa condizione intimamente pesante e traumatica. Questo disturbo è nel complesso il terzo disagio di natura psicologica più diffuso, dopo la depressione e l’alcolismo.

Ansia sociale specifica e generalizzata

Secondo gli specialisti, questo disturbo d’ansia può manifestarsi come:

ansia sociale specifica, ad esempio con la paura di parlare di fronte ai gruppi o di partecipare ad un determinato evento o frequentare alcuni luoghi;

ansia sociale generalizzata, che si manifesta quindi in ogni occasione sociale.

Nel complesso, è molto più comune il disturbo generalizzato.

I sintomi del disturbo d’ansia sociale

Le persone con questo disturbo di natura psicologica avvertono un significativo disagio emotivo nelle seguenti situazioni:

incontro con persone nuove, mai conosciute prima;

confronto con colleghi o amici;

incontro persone autorevoli o considerate tali;

partecipazione a eventi in cui si potrebbe essere criticati o posti al centro dell’attenzione.

Le manifestazioni fisiologiche che accompagnano l’ansia sociale possono includere paura intensa, battito cardiaco accelerato, sudorazione eccessiva, gola e bocca secche, tremore alle mani, difficoltà a deglutire, sensazione di malessere dovuta all’eccessiva contrazione dei muscoli del viso e del collo.

Le persone che soffrono di questi sintomi sono perfettamente coscienti della loro irrazionalità, tuttavia non riescono a controllare la manifestazione. I pensieri e le sensazioni negative persistono nonostante i tentativi oggettivi di controllo.

Che cosa fare

La ricerca e le prove cliniche indicano che la terapia cognitivo-comportamentaleproduce significativi cambiamenti positivi e permanenti nella cura di questo tipo di ansia. Il disturbo può essere superato, ma per affrontarlo servono volontà di adesione allo schema terapeutico e persistenza.
Un programma terapeutico di successo per il disturbo d’ansia sociale fornirà le strategie necessarie e specifiche per iniziare ad accettare pensieri irrazionali, le credenze, le emozioni e le percezioni che sono associati ai rapporti interpersonali e al confronto con gli altri.

Chi soffre di questo tipo di ansia necessita di sostegno, incoraggiamento e di un ambiente familiare relativamente privo di stress: il coinvolgimento dei familiari nel percorso è necessario per favorire il successo. Di grande sostegno può essere anche la partecipazione, guidata dallo psicoterapeuta, a gruppi di terapia comportamentale. Questo approccio ha dimostrato di essere incoraggiante, positivo e di supporto al percorso individuale.

Esercizio fisico: 20 minuti al giorno riducono rischio di depressione

Alcuni rimedi naturali

Nel corso della terapia cognitivo comportamentale possono essere di supporto alcuni rimedi naturali. Ad esempio, assumere alcuni integratori a base di erbe riduce l’ansia senza interferire con il ritmo sonno-veglia, tra questi ci sono: la valeriana, la melissa e la camomilla.
Anche alcuni semplici accorgimenti sono molto utili, come ad esempio:

praticare regolarmente esercizio fisico, meglio se all’aria aperta;

svolgere alcuni esercizi di meditazione guidati da un esperto;

frequentare persone che siano di reale supporto.

Dal Sito: greenstyle.it 

martedì 23 aprile 2019

Perchè le emozioni negative si trasformano in malattie?

La nostra mente è tanto potente da permetterci di influire sul nostro stato fisico? Esistono molteplici circostanze, sia nella vita lavorativa sia in quella relazionale, in cui ci si sente obbligati a vivere a “denti stretti”, non credendo nella possibilità di cambiamento e immolandosi alla causa del sacrificio e del senso di responsabilità. Tutto ciò cosa comporta?


Negli ultimi anni abbiamo visto come la porta tra corpo e mente si apre di pari passo, essendo queste due parti relazionate in modo molto più stretto di quanto possiamo immaginare. Tutti noi ci siamo ammalati e abbiamo avuto la sensazione che la malattia fisica provocasse una sorta di “incarceramento” della nostra mente.

Gli studi effettuati negli ultimi anni ci dicono che uno stato di benessere mentale si associa ad uno stato fisico migliore, tanto dello stato reale dello stesso, quanto della percezione che abbiamo di esso. Spiegato al contrario, questo significa che siamo più inclini a contrarre malattie quando la nostra mente è squilibrata, ovvero che l’ansia e la depressione sono malattie mentali che possono contribuire alla comparsa di sintomi fisici indesiderati.

Come funziona il processo di trasformazione?

Pensiamo per un attimo a quei momenti in cui ci sentiamo ansiosi. Il nostro cuore inizia a battere più forte e più velocemente del solito, le nostre mani iniziano a tremare e, spesso, si inizia a sudare. I sintomi  compaiono perché è la nostra mente che fa muovere il nostro corpo, alterando le costanti in un modo simile a quando cominciamo a fare attività fisica.

Tuttavia, c’è una differenza molto grande: l’esercizio non si produce. Il corpo difficilmente può liberarsi di tutta quell’energia che si sta producendo e che comporta una pressione enorme sul nostro sistema nervoso. Le vene e le arterie che si diramano nei nostri muscoli si dilatano appena e, inoltre, il nostro cuore inizia a pompare moltissimo sangue.

Cosa succede allora?

Immaginate che una moltitudine di macchine circolino in autostrada e che, improvvisamente, l’autostrada finisca e tutte le macchine debbano passare per una strada secondaria. Il risultato è un collasso quasi sicuro.   È la stessa identica cosa che succede al nostro corpo.

Abbiamo un cuore che invia macchine e macchine, e il resto del corpo incapace di assorbirle. Se questa situazione persiste per poco tempo o non è particolarmente intensa, l’ingorgo poco a poco si risolve.Tuttavia, quando l’intensità è continua e molto forte, possono scaturirne gravi danni.

Una delle relazioni più evidenti è quella del funzionamento del nostro sistema cognitivo con la forza del nostro sistema immunitario. Quando la nostra mente non funziona bene, è molto comune che si rivolti contro lo stesso corpo e che potenzi internamente qualche attacco che si ripercuoterà all’esterno.

In questo senso, la nostra mente è come un computer e il nostro sistema immunitario un antivirus. Se il nostro computer funziona male, disattiva l’antivirus, rendendo l’accesso dei virus molto più facile. Questa debilitazione, inoltre, non si presenta quando soffriamo di stress, ma quando lo stress scompare.

Che ruolo svolge il nostro cervello?

Non bisogna dimenticare che, dietro le nostre idee e i nostri pensieri, esiste un collegamento chimico con il nostro sistema biologico. Una struttura fondamentale è l’ipotalamo, che svolge un ruolo molto importante nella regolazione ormonale. La peculiarità di questa piccola struttura è che è tremendamente reattiva di fronte ai nostri pensieri, che si tratti di ricordi, interpretazioni di stimoli presenti o anticipazioni di fatti futuri.

Che influenza ha la nostra condotta?

Fino ad ora abbiamo parlato di come la mente può influire in maniera diretta sul nostro corpo, ma non dobbiamo dimenticare qualcosa di altrettanto importante, quanto si verifica tramite la nostra condotta. Facciamo un esempio:

Tutti attraversiamo tappe della vita che non sono particolarmente allegre o motivanti. Difatti, anche se non abbiamo mai sofferto di depressione, alcune delle sensazioni che sperimentiamo durante questi periodi assomigliano a quelle che si producono quando si soffre di questa malattia, anche se è più comune che non siano tanto intense, né ripetitive.

Ebbene, in questi periodi una delle cose che facciamo è abbandonare alcuni aspetti della nostra cura personale; è il caso della dieta. Sacrifichiamo gli alimenti che ci piacciono meno e che solitamente sono i più sani a favore di quelli che ci danno piacere.

Perché lo facciamo? È una questione di equilibrio. Tramite il gusto, proviamo ad ottenere il piacere che ci sembra di aver perso in altri aspetti della vita.

Sfortunatamente, l’immagine delle ragazze delle serie televisive sedute sul sofà, che mangiano vaschette intere di gelato dopo una rottura amorosa, è reale. È il nostro modo nocivo per far si che l’ipotalamo restituisca alla nostra mente la sensazione di benessere che abbiamo perso. È il nostro modo per evitare che compaiano pensieri negativi. Un modo controproducente per la salute del nostro corpo.

Tuttavia, la perdita di questo equilibrio non è l’unico motivo per cui trascuriamo la nostra dieta. Un altro fattore importante è che con la tristezza perdiamo la motivazione.  Le ragioni (i pensieri) che prima ci sembravano importantissime per prenderci cura di noi stessi, adesso possono essere passate in secondo piano rispetto a ciò che ha provocato in noi tristezza e ci tormenta.

Azioni che prima ci sembravano quotidiane, adesso sembrano costarci care. Cerchiamo di semplificare la nostra routine, come andare al supermercato una volta usciti da lavoro, sostituendolo con una pizza a domicilio, di gran lunga più semplice.

Andare oltre il sintomo per comprenderne il messaggio

Se per esempio soffriamo di sinusiti ricorrenti, è possibile che ci sia una persona o una situazione in particolare che proprio non riusciamo a sopportare. Oppure se avvertiamo continuamente gli acufeni probabilmente ci stiamo facendo troppa pressione per portare avanti un determinato lavoro o una situazione. E ancora… se abbiamo la cifosi, forse è perché sentiamo un fardello troppo pesante da portare.

Malattie e stati interiori dell’uomo

Oggi, la metamedicina, può darci spiegazioni dettagliate sul motivo per cui ci è venuta una malattia piuttosto che un’altra. E, soprattutto, ci fornisce la chiave per il cambiamento interiore e la guarigione. Il termine “meta” deriva, infatti, dall’omonimo prefisso di origine greca che significa “andare oltre”.

Ed è proprio questo che fa la metamedicina: va oltre il risvolto fisico, oltre la tradizionale conoscenza medica. È inutile cercare di arrivare alla guarigione totale di una malattia senza eliminare la causa vera e propria, insieme ai possibili conflitti interiori. Questo non significa non dover agire anche a livello fisico con l’aiuto di terapie e farmaci, ma essere consci del fatto che non è il destino che sceglie con un tiro di dadi la sorte di ogni essere umano, ma che la casualità, in fatto di malattia, non esiste.

Claudia Rainville, specializzata in microbiologia medica, è l’ideatrice della Metamedicina. “Ogni sintomo è un messaggio”, diceva anni fa in uno dei suoi libri di successo. Grazie alla sue continue ricerche, è diventato uno strumento importante per tutte le persone malate. Il nostro corpo, secondo Rainville, è in grado di autoguarirsi ascoltando il significato dell’allarme che ci sta inviando per mezzo della malattia. Ecco un esempio di come le malattie possono essere ricondotte agli stati interiori dell’uomo.

Il cuore e la circolazione rappresentano l’amore e la gioia

Questa parte del corpo pompa gioia e amore nelle nostre vene. Una volta privati di questi due sentimenti, il cuore si “raffredda” e la circolazione rallenta. Anemia, angina, problemi cardiaci sarebbero collegati quindi al nostro atteggiamento che ci impedisce di godere dei piaceri della vita, focalizzandoci sui problemi.

Le orecchie rappresentano la capacità di ascolto

I problemi alle orecchie sarebbero collegati a qualcosa che accade intorno a noi che non vogliamo apprendere o che ci fa arrabbiare. Ad esempio, i bambini spesso sperimentano disturbi alle orecchie e a loro non è permesso di esprimere stati come la rabbia. Sono incapaci di cambiare le cose che li circondano.

La testa rappresenta noi stessi

Quando abbiamo mal di testa è perché c’è qualcosa che sentiamo non andare in noi stessi. Il mal di testa, ad esempio, può essere dovuto al fatto che ci “annulliamo” per accontentare gli altri o perché tendiamo alla perfezione e ci sforziamo troppo per raggiungerla. Pensare quanto si è ingiusti con se stessi, perdonarsi e focalizzarsi su altro potrebbe essere un modo per far scomparire il mal di testa.

I capelli rappresentano la forza

Tensioni e paure creano pressioni sul cuoio capelluto che non respira e causa la caduta dei capelli.

Gli occhi rappresentano la capacità di vedere

Un problema agli occhi potrebbe indicare qualcosa che non accettiamo di “vedere” in noi stessi, nel nostro passato, presente o futuro.

Le articolazioni indicano movimento

Rigidità, infiammazioni denotano resistenza al movimento, intesa come paura di ciò che ci attende e delle difficoltà, ma anche di essere ciò che siamo. Ad esempio, le spalle, i gomiti e i polsi ci permettono di far fluire dal cuore alle mani i nostri sentimenti di affetto, oltre che di liberare la nostra creatività. Qualsiasi problema collegato a essi può comportare una paura di espressione o di cambiamento.

Irritazioni ai seni nasali

Spesso sono la manifestazione di un’irritazione prodotta da una persona molto vicina. Ci si può sentire anche soffocati.

La schiena ci sostiene

Quando abbiamo problemi con essa, quindi, è perché non ci sentiamo sostenuti. La parte superiore è legata alla sensazione di mancanza di sostegno emotivo. La parte centrale, al senso di colpa, ciò che nascondiamo e non vogliamo vedere.

Gola: capacità di affermare noi stessi

Essa è collegata alla nostra capacità di difenderci verbalmente, di chiedere ciò che vogliamo o di esprimere ciò che siamo. Rappresenta però anche il flusso creativo del nostro corpo: quando ci sentiamo frustrati e incapaci di esprimerci, possono comparire in maniera frequente disturbi alla gola. La laringite è associata alla rabbia di non poter parlare. Se il dolore è accompagnato da un raffreddore è perché c’è anche confusione. Tonsilliti e problemi alla tiroide sono collegati alla frustrazione di non poter esprimere la propria creatività.

Sovrappeso

Rappresenta un bisogno di protezione legato sia a specifici timori che a una paura generale della vita. Amare se stessi e contrastare i pensieri negativi sono una buona base di partenza per risolvere i problemi legati al peso. Un corpo gonfio, a sua volta, rappresenta problemi allo stato emotivo, situazioni che ci fanno male.

Gambe: paura del progresso

Le vene varicose indicano che siamo in un posto di lavoro o in una condizione che ci affligge. Quando si verifica questa condizione, le vene perdono la loro capacità di trasportare energia. Ginocchia e collo sono legati alla flessibilità.

Risvolto emotivo di alcune malattie

  • L’anoressia e la bulimia sono la massima espressione di disgusto di sé;
  • L’artrite è causata da un atteggiamento critico costante verso se stessi o gli altri;
  • L’asma denota un amore soffocante;
  • Ascessi, ustioni, tagli, febbri, infezioni e infiammazioni indicano rabbia che si esprime nel corpo.

Questo quadro delle questioni inerenti alla somatizzazione del disagio ha permesso di evidenziare come spesso la malattia è un segnale e l’organo malato è il simbolo di un problema non risolto, di un nodo non sciolto.

Fonte: Psicoadvisor 

Dal Sito: aprilamente.info 

A new life - Storie di Panico La storia di Erika

     

"Le vostre storie, il vostro coraggio, la vostra forza."

Grazie Ansia. 

Mi chiamo Erika e ho 31 anni. Ho iniziato a soffrire di ansia due anni fa. Prima di allora ero una persona "normale" se così si può dire. Anzi, ero una persona fin troppo forte. Vi spiego il perché. A 13 anni decisi di frequentare il liceo classico. Scelsi di frequentare quella scuola non perché avessi particolari capacità intellettive o perché amassi passare le giornate sui libri, lo scelsi perché tutti mi dicevano che non sarei mai riuscita a terminarlo.Io, figlia di un operaio. Figlia di un operaio con un disturbo mentale: non avrei dovuto frequentare il classico. Infatti mi diplomai cinque anni dopo e nei tempi giusti al liceo classico, appunto. Poi presi la laurea affrontando anche la malattia fisica e la morte di mio padre. A 23 anni mi ritrovai, per ragioni parecchio complicate da spiegare, a gestire con il mio fidanzato una piccola attività. Tante persone dicevano che "saremmo durati si e no sei mesi" dentro a quell'attività. Sono passati nove anni e abbiamo ancora questa piccolo negozio. Ho superato grandi sfide. Ma poi due anni fa è arrivato qualcosa che, per la prima volta in vita mia, mi ha davvero fatto paura: l'ansia. Nel periodo più tranquillo della mia vita. Avevo la mia casa, un lavoro, un marito e una famiglia che mi voleva bene . Si però in quel periodo litigai con quella famiglia. Niente di irrisolvibile, ma credo che fu questo a innescare la bomba interiore dell'ansia. Non sto a dilungarmi sui sintomi che noi ansiosi conosciamo bene. Vi dico solo che per un anno intero ho trascinato quest'ansia con me, tra sintomi fisici, attacchi di panico e via dicendo. L'episodio più brutto lo ebbi in un supermercato mentre cercavo il pane. All'improvviso sentii la terra mancarmi sotto i piedi, il mondo intorno a me diventare più buio e irreale. Non sentivo più la parte inferiore degli arti. Ma continuai lo stesso la mia spesa, andai alla cassa sentendomi gli occhi di tutti addosso, convinta che si vedesse la mia follia stampata in faccia. Volevo solo uscite di lì e basta. Fuori respirai come non avevo mai fatto prima, ma avevo paura. In cuore mio sapevo che quello era stato un brutto attacco di panico, ma forse un po' speravo ci fosse qualcosa di fisico. Così feci tanti accertamenti e il risultato era sempre lo stesso:sana come un pesce. Per fortuna, sì, ma questo significava che dovevo per forza prendere coscienza di cosa stava succedendo e affrontare il mio disturbo d'ansia. Andai da una psicologa ma lo trovavo inutile. Poi arrivò un angelo inconsapevole che mi aiutò davvero: il mio medico. Lei mi aiutò perché mi prescrisse una cura. Una cura che io non volevo prendere. E sapete perché? Perché curarmi con degli psicofarmaci significava essere come mio padre. Quel padre che ho tanto amato quanto odiato ma che non cambierei con nessuno al mondo. Ecco qual'era il mio blocco. Il mio trauma più grande era stato la malattia mentale di mio padre. Io non dovevo prendere nessun farmaco perché esigevo perfezione nella mia persona, non una sbavatura, nulla che dovesse fare pensare alla follia. Infatti la mia ansia era anche correlata a segni di disturbo ossessivo compulsivo. Io sono guarita il giorno stesso che ho preso la mia prima pastiglia di antidepressivo. Perché mi sono arresa a me stessa, perché ho capito che non si può essere perfetti e che mio padre era così ma non vuole dire che lo sia anche io. Anzi, mio padre è riuscito a darmi lo stesso amore nonostante il suo disturbo bipolare, quindi in fondo che importanza ha? L'importante è curarsi. Fatevi sempre aiutare dagli specialisti, da chi vi ama, ma soprattutto da voi stessi, perché anche se qualcuno vi butta giù o vi dice che non potete farcela, ricordatevi che solo voi potete determinare il vostro successo. E' un mese che non assumo più antidepressivi. È un mese che sto bene solo con le mie forze. E sapete perché? Solo perché ho scavato dentro di me e ho capito cosa non andava. Abbiate il coraggio di guardarvi dentro. È fondamentale. Non so se avrò altri attacchi di panico o no. So che grazie alla mia ansia oggi sono una persona nuova e questo mi basta. Quindi posso dire Grazie Ansia!


Erika 



Dal gruppo: DAP attacchi di panico "Inarrestabile voglia di vivere" 
e la Pagina: Ansia-Attacchi di Panico-Agorafobia Associazione insieme Onlus 

venerdì 19 aprile 2019

È arrivato il momento di trasformare il rancore in perdono

Succede a tutti di arrivare a un punto nella vita in cui non tolleriamo più una persona o una cosa, come per esempio il comportamento di uno dei nostri amici o parenti.

Tuttavia, cosa succede quando non tolleriamo più noi stessi? Quando riflettiamo su come abbiamo potuto fare una cosa del genere, come abbiamo potuto accettare quel lavoro, come abbiamo potuto mangiare tanto…

Senza esserne coscienti, diventiamo il nemico di noi stessi e ciò è il risultato di una rabbia o collera verso un’altra persona. Un risentimento che non ci permette di tollerare nemmeno noi stessi.

“Se una rinuncia dà origine al rancore, allora il sacrificio non ha più un valore”
-Giovanni Guareschi-

Quando proviamo rancore, non siamo felici. Reprimiamo una rabbia che lotta per uscire allo scoperto, per essere manifestata ed essere liberata per sempre.

Tuttavia, ciò che ci sfugge è che, in questi casi, siamo proprio noi a uscirne più danneggiati. Siamo noi a vivere la vita con amarezza, infelicità e rabbia costante verso tutto e tutti.

Il rancore ci rende ostili

Forse noi non lo percepiamo, ma di sicuro abbiamo visto persone con un’espressione sempre arrabbiata stampata in volto e allora ci domandiamo: ma perché è così arrabbiato? Non è forse meglio essere felici?

A noi accade lo stesso quando proviamo rancore verso qualcuno. Diventiamo ostili senza volerlo e ciò si manifesta sul nostro volto.

L’ostilità non farà che attrarre negatività nella nostra vita. Vi siete chiesti come mai niente vi riesce bene ultimamente? Osservate bene il vostro modo di agire e troverete la risposta.

Non ci rendiamo conto che l’ostilità rema sempre nella direzione opposta a dove vogliamo andare e ciò non ha ripercussioni solo su di noi, ma anche su ciò che ci sta intorno. Le persone che amiamo di più, tutti i nostri rapporti, soffriranno gli effetti di questo nuovo modo di affrontare la vita.

Essere ostili non implica nulla di buono. Infatti, è una condizione così grave da poter scatenare malattie serie a lungo andare.

“Nessun essere umano nasce con impulsi ostili o violenti, nessuno diventa ostile o violento senza prendersi il tempo necessario per imparare a esserlo”
-Ashley Montegu-

Cosa possiamo fare per smettere di essere ostili? Prima di tutto, dobbiamo circondarci di persone positive, che sprizzino simpatia e allegria da tutti i pori.

A volte, ci vediamo sommersi dall’ostilità perché siamo circondati da persone ostili, negative e cattive che ci distruggono mentalmente senza rendercene conto.

Imparare a perdonare

Quando proviamo così tanto ostilità e risentimento, ciò che dobbiamo imparare subito è come perdonare e non solo perdonare gli altri, ma anche noi stessi.


Come abbiamo già detto, a volte siamo pieni di rancore, non sopportiamo noi stessi perché ci infastidiscono i nostri stessi comportamenti, le nostre azioni.

Perdonarsi e perdonare richiede tempo. Per questo motivo, è necessario eliminare alcune cose che possono impedirci di raggiungere il perdono che cerchiamo:

Le ferite causate dagli altri.

I rancori che non fanno che impedirci di essere felici e perdonare.

L’egoismo che scatena tristezza e che ci impedisce di rallegrarci del potere della generosità.

Pensare e vivere nel passato, il che ci impedisce di avanzare e di camminare in avanti.

Infastidirsi per le piccolezze o preoccuparsi di ciò che gli altri dicono di noi.

Tutte queste cose, e molte altre, sono la causa del vivere la vita con amarezza e del non essere in grado nemmeno di perdonare noi stessi.

Tutti commettiamo degli errori e dobbiamo poter essere in grado di librarci da tutto ciò che gli altri possono scatenare in noi. Vi hanno ferito? Riflettete sul fatto che siete voi che permettete al dolore di esistere, perché non si tratta di una ferita fisica. Non siete voi, forse, ad avere il potere di decidere chi può farvi del male e chi no?

“Non esiste vendetta più completa del perdono”
-Josh Billings-

Ricordate che non permettere agli altri di farvi del male, ignorare le provocazioni e vivere nel presente senza pensare al futuro potrà farvi vedere tutto ciò che vi circonda potenziato.

Nonostante ciò, voi sarete liberi e nessuno vi farà del male. Spesso alle persone non piace sapere che quello che viene detto sul vostro conto non vi tange, le infastidisce vedervi vivere la vostra vita ignorando ciò che dicono gli altri. Dovete vivere la vostra vita, perdonare e perdonarvi. Siate liberi e siate felici.

via lamenteemeravigliosa 

Dal Sito: aprilamente.info 

Allontana chi sa solo criticarti e avvicinati a chi sa comprenderti

“Non farti distrarre dalle critiche. Ricorda che il solo assaggio del successo che hanno molte persone è quando ne mordono un pezzo da te.” Zig Zigla

Da che mondo è mondo la gente critica, sempre e comunque in qualsiasi occasione ci saranno sempre persone pronte a seminare discordia e a trasmettere negatività.

Con la diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione, (in primis smartphone e social network) questa pratica pare ancor più frequente ed estrema. Pare infatti che il popolo di internet, sentendosi protetto da una sorta di maschera virtuale, sia ancora più predisposto alle critiche cattive, senza freni, senza ritegno.

Critiche tossiche: pareri mascherati

“Nessun uomo può giustamente criticare o condannare un altro uomo, perché nessun uomo ne conosce veramente un altro”. (Sir Thomas Browne)

Spesso coloro che criticano continuamente giustificano il loro atteggiamento sostenendo che non fanno altro che esprimere il proprio parere, un giudizio (guarda caso però questi “pareri” hanno sempre un’accezione negativa e mai costruttiva).

Critiche tossiche: strumenti di controllo dei manipolatori

I manipolatori utilizzano le critiche come uno strumento di controllo da sfruttare contro le persone più ingenue e talvolta insicure. La figura del’adulatore sa benissimo con chi può (e con chi non può) utilizzare questa forma subdola di manipolazione psicologica.

La maggior parte delle volte l’oggetto della critica è una persona indifesa che non riesce a percepire questa forma di controllo esterno. Al contrario la vittima si sente mortificata, sottomessa, privata della propria libertà ed autostima. Per scoprire come riconoscere un manipolatore ti consiglio l’articolo di approfondimento “Difendersi dai  manipolatori, cinque strategie”

“Sono una persona forte nessuno potrà mai ferirmi” Non credere di essere immune alle critiche tossiche, chiunque può vivere un periodo di precarietà, di instabilità emotiva tale da renderlo bersaglio facile delle critiche manipolanti.

Il circolo della paura: quando il giudizio degli altri ferisce nel profondo

Difficilmente si è vittime delle critiche tossiche una sola volta. Chi è stato ferito nel profondo a causa del giudizio altrui generalmente entra in un vero e proprio vortice della paura.

Tutto parte dal timore di non essere accettati. Capita spesso infatti che, quando una persona non si sente accettata, questa tenda a sopportare le critiche, ad aderire (quasi senza alcuna esitazione) alle condizioni, talvolta estreme, che gli vengono imposte dal gruppo al quale appartiene. (Se t’ interessano le dinamiche che si creano in un gruppo leggi anche La pecora nera non è cattiva è solo diversa).

Come superare le critiche tossiche per vivere meglio

Man mano il soggetto, pur di avvicinarsi agli altri, si nasconde dietro false identità, indossa delle maschere. Mettendo da parte il proprio vero io la persona perde di vista anche i propri valori, la propria essenza e di conseguenza si ritroverà ancora più sola, circondata dalla medesima falsità delle proprie maschere. Ripartono dunque le critiche, il senso di abbandono e il bisogno di essere accettati. Un circolo della paura senza fine. Gli step per riuscire ad affrontare e superare le critiche tossiche

Tratta gli altri cosi come vorresti essere trattato

Il primo passo per evitare di essere criticati è di non criticare. Spesso si è così abituati alle critiche tossiche, che ci rendiamo conto che anche noi talvolta abbiamo aderito a queste pratiche. Se sei in primis tu a criticare gli altri, come puoi pretendere di non essere giudicato? Impara a comprendere gli altri, a capirli. Sii più empatico e vedrai che il karma sarà dalla tua parte!

Ascolta le critiche

Ascolta le critiche che ti vengono inflitte! Magari non sono cosi distruttive e potrebbero aiutarti a migliorarti. In caso contrario, ovvero se le critiche sono tossiche e fini a se stesse, ricorda che è solo il pensiero di qualcun altro, che la realtà è ben diversa!

Ricorda chi sei

Ricorda sempre chi sei, i tuoi valori le tue peculiarità. Non lasciarti sottomettere da chi non ti apprezza. Abbi rispetto per te stesso, per la tua persona.

Rispondi a tono

Ove necessario fai sentire la tua opinione. Se la tua persona viene ferita, calpestata è giusto che ti difendi! Se proprio non ci riesci a rispondere a tono, prendi le distanze e ricorda che tu siete più importante di loro!

Circondati di persone vere, che ti amano

Circondarsi di gente falsa e manipolatrice significa letteralmente “gettarsi nella fossa dei leoni”. Se proprio non riesci a trovare persone sincere, che ti apprezzano, impara a stare da solo. Concediti del tempo per riflettere, per analizzarti, probabilmente sbagli a porti…se mascheri la tua vera identità molto probabilmente avrai a che fare con persone ancora più false.

Vivere la solitudine significa mettersi in ascolto di sé. Vedere ciò che siamo, dare valore alla propria unicità. La solitudine consente di apprezzare la sorprendente ricchezza e le innumerevoli potenzialità del proprio io… allora perché non provare?! Per aumentare la propria capacità introspettiva: 10 domande da fare a se stessi, ogni sera!

via Psicoadvisor 

Dal Sito: aprilamente.info 

Ballare può ridurre l’ansia

Quando nella tua giornata ti capita di provare ansia, tu cosa fai? Cerchi di evitare la situazione che ti crea disagio? Fai dei respiri profondi? Accendi la musica e balli?
L’ultima opzione può sembrare inverosimile ma secondo alcuni psicologi e terapeuti potrebbe essere un ottimo rimedio per combattere l’ansia. 

Questa ipotesi è talmente credibile che si sente sempre più parlare di danzaterapia.

Ma partiamo dall’inizio!
Per chi soffre d’ansia è molto più semplice capire quanto mente e corpo siano collegati.
Proprio come fare una corsa ti può distrarre dai tuoi pensieri negativi, la danza in qualche modo riesce a spostare i tuoi pensieri sul presente.
Questo è già un gran traguardo per chi soffre d’ansia o pensieri ossessivi.
A differenza della corsa però oltre al movimento del corpo entra in gioco anche il livello di espressività.
Questo processo di distrazione ci porta ad uno stato d’animo più primitivo, quasi più libero. Fa sì che i nostri pensieri si semplifichino, si concentrino sul nostro corpo e sui nostri movimenti rispetto alle varie vicissitudini della vita.

Ma chi potrebbe trarre beneficio della danzaterapia?
Generalmente potrebbe essere utile per le persone che hanno disturbi legati a traumi, sia negli adulti che nei bambini.
Un esempio su tutti è il disturbo post traumatico da stress (PTSD).
Secondo numerosi studi è possibile inserire tra i beneficiari anche le persone con un comportamento timido, creando in loro un miglioramento dell’espressione di sé e aumentando la capacità di sentirsi a proprio agio in ambienti che coinvolgono l’interazione con altre persone.
Ovviamente è bene specificare che non basta andare a ballare in mezzo alla gente per togliersi la timidezza o un trauma.
Anzi in questo caso per molte persone la situazione potrebbe anche aggravarsi.
Quando si parla di danzaterapia si parla appunto di una terapia, chiamata anche psicoterapia del movimento, dove il paziente è sotto il controllo di un terapeuta e attraverso dei movimenti del corpo è possibile raggiungere l’integrazione emotiva, cognitiva, fisica e sociale.
Ciò che è importante per il paziente, in questo caso, è il rapporto di fiducia con lo psicoterapeuta.

Ma quali benefici può portare nello specifico?
I benefici includono la riduzione dello stress e la gestione dell’umore.

Nell’ambito del recupero dei disturbi alimentari, può anche aiutare a migliorare l’immagine corporea e l’autostima.
Essendo fondata nell’idea che movimento ed emozione sono interconnessi, questa espressione creativa può anche aiutare a migliorare le capacità di comunicazione per migliorare le relazioni.
Ciò non esclude, che per persone con una situazione più regolare, anche il semplice andare a ballare non possa portare benefici, anzi.
Molte persone che amano ballare e che soffrono di particolari disturbi ansiosi, ovviamente non ansia sociale, ma ad esempio disturbi ossessivi compulsivi, proprio in quei momenti riescono a vivere il cosiddetto “qui ed ora”, senza preoccuparsi di situazioni esterne.

Dal Sito: mediterranews.org 

mercoledì 17 aprile 2019

Disturbo bipolare (bipolarismo): sintomi e cura

Cosa significa bipolarismo 

Il disturbo bipolare (o depressione bipolare o bipolarismo), pur non essendo particolarmente frequente, costituisce un problema serio e invalidante. Esso merita attenzione clinica e i soggetti che ne soffrono sono spesso inconsapevoli.

Chi ne è affetto tende ad alternare fasi depressive seguite da fasi ipomaniacali o maniacali(bipolarismo).

In genere le fasi depressive della depressione bipolare tendono a durare più a lungo di quelle maniacali o ipomaniacali. Di solito durano da qualche settimana a qualche mese, mentre le fasi maniacali o ipomaniacali durano una-due settimane.

A volte, nel disturbo bipolare, la transizione da una fase all’altra è rapida e immediata. Altre volte, invece, è intervallata da un periodo di umore normale (eutimico).

Talvolta il passaggio di fase nel bipolarismo è lento e subdolo, mentre altre volte può essere brusco e improvviso.

La fase depressiva

Le fasi depressive nel disturbo bipolare (o depressione bipolare) si caratterizzano per un umore molto basso, una sensazione che niente sia più in grado di dare piacere e una generale tristezza per la maggior parte del giorno.

In linea di massima, le fasi depressive non si differenziano dagli episodi depressivi della depressione maggiore unipolare. Durante queste fasi del bipolarismo, quindi, il sonno e l’appetito possono risultare facilmente alterati; la capacità di concentrazione e la memoria possono essere molto minori.

A volte, sempre durante le fasi depressive, le persone affette dal disturbo bipolare pensano ricorrentemente al suicidio.

La fase maniacale

Le fasi maniacali nel bipolarismo, in alcuni casi, vengono generalmente descritte come l’esatto contrario di quelle depressive. Ovvero, caratterizzate da un umore alquanto elevato, dalla sensazione di onnipotenza e da un eccessivo ottimismo.

In queste fasi, i pensieri si succedono molto rapidamente nella mente del paziente affetto da depressione bipolare o disturbo bipolare al punto da diventare così veloci che risulta difficile seguirli.

Il comportamento può essere iperattivo, caotico, fino al punto di rendere il paziente inconcludente. L’energia del paziente bipolare in fase maniacale (o ipomaniacale) è talmente tanta che spesso il soggetto non sente la necessità di mangiare o di dormire. Ritiene di poter fare qualsiasi cosa, al punto da mettere in atto comportamenti impulsivi, come spese eccessive o azioni pericolose, perdendo la capacità di valutare correttamente le loro conseguenze. Son frequenti veri e propri disturbi del controllo degli impulsi (dipendenza da gioco d’azzardo, shopping compulsivo, ecc.).

La fase disforica

In molti casi, tuttavia, la fase (ipo)maniacale del disturbo bipolare (bipolarismo) non si caratterizza per un eccesso di euforia e di grandiosità. Si evidenzia invece un umore disforico, caratterizzato primariamente da un senso costante di rabbiosità e ingiustizia subita. Questo si traduce in irritabilità e intolleranza e, spesso, in aggressività espressa, sempre senza valutare correttamente le conseguenze dei propri comportamenti.

I disturbi bipolari comprendono il Disturbo Bipolare di I tipo, il Disturbo Bipolare di II tipo, il Disturbo Ciclotimico e il cosiddetto Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato, categoria diagnostica che raccoglie tutti quei soggetti con sintomi insufficienti per porre la diagnosi di uno dei disturbi sopra citati.

Disturbo bipolare sintomi

Vediamo i sintomi del bipolarismo. Per porre diagnosi sicura di mania, deve presentarsi un distinto periodo di anormale e persistente elevazione del tono dell’umore, con caratteristiche di espansività o irritabilità. I disturbi dell’umoredevono essere abbastanza gravi da compromettere le attività di studio, di lavoro o le capacità di relazione sociale.

Sintomi maniacali

Durante un episodio maniacale, diversi dei seguenti sintomi del disturbo bipolare sono presenti:

Aumento dell’autostima o grandiosità

Ridotto bisogno di sonno

Aumentata produzione verbale con difficoltà a frenarla

Volubilità nel cambiare opinione (il paziente non si accorge che i suoi pensieri cambiano facilmente)

Facile distraibilità (il paziente può porre attenzione a particolari insignificanti ignorando elementi importanti

Aumento delle attività finalizzate

Agitazione mentale o fisica

Aumentato coinvolgimento in attività che possono avere conseguenze pericolose (p.e. spendere molto denaro o intraprendere attività sessuali inusuali per la persona)

Sintomi depressivi

Per la diagnosi di depressione è necessario un periodo di almeno due settimane con perdita di interesse o di piacere in tutte o buona parte delle attività.

La depressione bipolare deve essere abbastanza grave da produrre una modificazione nell’appetito, nel peso corporeo, nel sonno o nella capacità di concentrarsi così come deve essere presente un sentimento di colpa, di inadeguatezza o disperazione. Possono anche essere presenti pensieri di morte o suicidio.

Durante un episodio depressivo, diversi dei seguenti sintomi del disturbo bipolare sono presenti:

Costante depressione del tono dell’umore o disperazione

Grave riduzione di interessi o di piacere in tutte o nella maggior parte delle attività

Perdita o incremento del peso corporeo o dell’appetito

Aumento o riduzione del sonno

Agitazione o rallentamento

Affaticamento o perdita di energia

Sentimenti di inadeguatezza, di colpa e/o perdita dell’autostima

Incapacità di concentrarsi e di prendere decisioni

Pensieri di morte o suicidio

Bipolarismo, instabilità umorale e altri disturbi

Talvolta una persona che soffre di depressione bipolare (o bipolarismo) può sperimentare solo episodi di mania o solo episodi di depressione alternati a periodi di normalità del tono dell’umore.

Quando è presente solo la mania la malattia prende comunque il nome di disturbo bipolare. Invece, se è presente solo la depressione, la malattia è in genere chiamata depressione maggiore.

Occorre tenere in considerazione, tuttavia, che l’instabilità del tono dell’umore tipica del bipolarismo può anche riscontrarsi in molti disturbi di personalità, soprattutto nel disturbo borderline.

La diagnosi differenziale è pertanto molto delicata e non basta riscontrare l’alternanza di fasi umorali per essere certi che si tratti di vero e proprio disturbo bipolare. Suggeriamo la lettura anche di questo articolo sulle differenze tra disturbo bipolare e disturbo borderline di personalità.

Disturbo bipolare cura

La cura del disturbo bipolare è centrata principalmente sulla farmacoterapia, a base di farmaci stabilizzanti dell’umore e antidepressivi (triciclici o SSRI), sotto attenta e continuativa supervisione medico-specialistica.

Tra gli stabilizzanti il litio è spesso usato nel trattamento della mania in fase acuta, ma la sua indicazione principale riguarda l’azione di prevenzione delle crisi sia maniacali che depressive. L’acido valproico e la carbamazepina sono ugualmente usati nella cura del disturbo bipolarein fase di mania acuta così come nella prevenzione delle ricadute.

Antipsicotici o neurolettici, sono usati nel trattamento della mania nella fase acuta e meno nella fase di mantenimento. Altri farmaci come le benzodiazepine sono anche usati nel trattamento acuto della mania.

Gli antidepressivi sono utilizzati nelle fasi depressive per la cura della depressione bipolare: è importante ricordare sempre che generalmente gli antidepressivi richiedono dalle 2 alle 6 settimane per risultare efficaci. In alcuni casi gli antidepressivi possono indurre un viraggio dalle fase depressiva alla fase maniacale e questa evenienza richiede naturalmente una attenzione particolare.

Sfortunatamente per alcuni pazienti può essere necessario del tempo prima di trovare la terapia efficace.

Importanza della psicoterapia del disturbo bipolare

Le ricerche scientifiche hanno dimostrato che, per avere una maggiore stabilità dell’umore, è necessario associare ad un trattamento farmacologico (che rimane fondamentale), una psicoterapia, meglio se di orientamento cognitivo-comportamentale. Quest’ultima è poi indispensabile nella cura del bipolarismo qualora questo sia secondario a un disturbo di personalità.

I protocolli psicoterapeutici per il disturbo bipolare prevedono solitamente diversi punti di intervento e di azione:

aiutare la persona a seguire la terapia farmacologica; è infatti dimostrato che, se non sono seguite, le persone tendono a “dimenticare” di assumere la terapia. Occorre mantenere ed aumentare la motivazione della persona ad assumere la terapia;

aiutare la persona a riconoscere rapidamente i sintomi iniziali delle due fasi, in modo che sappia come comportarsi e come impedire il precipitare della situazione;

imparare a discutere e modificare i propri stili di pensiero irrazionali e disfunzionali;

imparare strategie più efficaci per affrontare le difficoltà quotidiane, come gestire la propria rabbia, o migliorare le proprie abilità comunicative;

lavorare specificatamente sulla fase depressiva, secondo le modalità tipiche della terapia cognitivo comportamentale

Dal Sito: ipsico.it 

lunedì 15 aprile 2019

Presentazione Libro


L'Associazione INSIEME Onlus, 
Ansia-Attacchi di Panico-Agorafobia
è lieta di invitarti alla presentazione del libro:
"La mia vita dentro al D.A.P. " Disturbi da Attacchi di Panico
di Elisabetta Guidotti - Racconti e Pensieri

27 Aprile 2019 ore 17.30
Teatro dell'Arancio
Piazza Peretti - Grottammare (AP) -

"Dopo aver dedicato anni ad aiutare chi, come lei, stava attraversando le tempeste del “Male di vivere”, fondando l’associazione Insieme Onlus, ha deciso di mettere la sua esperienza su carta e di condividere con chi soffre, ma anche solo con chi voglia semplicemente capire, il suo messaggio di amore e speranza."

Presenta: Americo Marconi
Voce Narrante: Marta Rosati

Per informazioni: info@insiemedap.it - 366/3623811
www.insiemedap.it

===INGRESSO LIBERO===

Con il patrocinio del Comune di Grottammare
In collaborazione con I Luoghi della Scrittura e
il CSV Marche

LINK EVENTO: Evento Facebook 

domenica 14 aprile 2019

Manipolazione e senso di colpa: La tecnica preferita dalle persone che si offendono per tutto

Da bambini ci è stato insegnato a scusarci. Ci hanno detto che era un segno di buona educazione, ed è probabile che in più di un’occasione, durante la nostra infanzia, ci siamo scusati senza essere pienamente consapevoli di cosa avevamo fatto di male. Di conseguenza, dentro di noi cominciò a crescere il seme della colpa.


Ma se scopri che spesso ti scusi senza sapere bene perché, semplicemente perché sai che in qualche modo le tue parole, atteggiamenti o azioni hanno infastidito qualcuno, è probabile che questa persona ti stia manipolando emotivamente, facendo leva sul tuo senso di colpa.

Se ti chiedi spesso: cosa avrò fatto di sbagliato? In che modo l’avrò offeso? O ti scusi sempre con la stessa persona usando frasi come: “scusa se qualcosa che ho detto o fatto ti ha offeso”, probabilmente sei vittima di manipolazione.

Ed è anche probabile che dietro questa situazione ci sia una persona molto sensibile, che si offende per tutto ma cerca di incolpare gli altri. Questa persona di solito non sa gestire la differenza di opinioni o le critiche costruttive, quindi reagirà mettendosi sulla difensiva e cercando di minare la tua sicurezza.

I sottili segnali della manipolazione emotiva basata sul senso di colpa

– Punti sensibili. Ci sono persone che si arrabbiano ogni volta che tocchiamo determinati argomenti, punti sensibili che, indipendentemente da come li affrontiamo, generano sempre un’intensa risposta emotiva. Naturalmente, ci sono momenti in cui la cosa più saggia da fare è non toccare questi tasti, ma se le conseguenze ci riguardano direttamente, allora non avremo altra scelta che affrontare il problema o correremo il rischio che si trasformi in un “elefante in una stanza” terminando per generare una situazione di tensione che colpisce tutti. In questi casi, dobbiamo essere consapevoli che non siamo stati noi a provocare l’ira, l’altra persona si è arrabbiata perché non è in grado di affrontare determinate situazioni.

– Farti sentire male. Le strategie per farti sentire male possono essere molto diverse. Ci sono quelli che possono smettere di parlarti come punizione, evitando la tua presenza e/o rispondendo con monosillabi. Altri possono attaccarti direttamente, sostenendo che li hai fatti sentire male con le tue parole o azioni. Non c’è dubbio che tutti siano liberi di esprimere le proprie opinioni e sentimenti. In realtà, non c’è niente di sbagliato nel ricevere un feedback, sempre che l’obiettivo non sia quello di manipolarti per farti scusare facendoti sentire una cattiva persona.

– Rifiutarsi di affrontare il problema. Alcune persone, quando si sentono ferite, rifiutano di affrontare il problema. In alcuni casi è conveniente lasciare loro lo spazio di cui hanno bisogno per elaborare l’accaduto, ma altre volte è semplicemente una strategia per farti sentire in colpa. In pratica, rifiutandosi di parlare del problema diventano la tua vittima. Quando chiudono le vie del dialogo e della soluzione si condannano al ruolo di martire, facendoti assumere il ruolo del boia così che ti senti perennemente colpevole. Queste persone pretendono una “resa totale” e alle loro condizioni, non smetteranno finché non ti assumerai tutte le responsabilità per quello che è successo, anche se non ti appartengono.

– Minare la fiducia in te stesso. A volte, quando una persona si sente sopraffatta, reagisce mettendosi sulla difensiva e attaccando. È una reazione normale. Ma se ti trovi spesso in questa situazione e qualcuno ti attacca per farti sentire colpevole o inferiore, nel fondo quella persona sta cercando di manipolarti per ottenere il controllo facendoti sentire male, minando la tua sicurezza e la tua autostima.

Per offendere qualcuno si deve essere in due

Diamo per scontato che quando qualcuno si sente offeso, la colpa è nostra. L’abbiamo offeso con le nostre parole, atteggiamenti e/o comportamenti. In realtà, è vero solo in parte. Ogni offesa implica l’esistenza di “punti sensibili” nell’altro. Pertanto, ciò che può essere un’offesa per alcune persone, per altri non lo è.

Questo non ci scusa. Non dobbiamo diventare dei kamikaze della verità, dicendo la prima cosa che ci viene in mente pensando che l’altro dovrebbe elaborarla nel migliore dei modi. In ogni conflitto ci sono sempre due parti, quindi non è giusto attribuire la responsabilità solo a una di esse per farla sentire colpevole.

Siamo responsabili delle nostre parole, ma non di quello che intendono gli altri. Dobbiamo sforzarci di trasmettere il nostro messaggio nel miglior modo possibile, ma non siamo responsabili dei “punti sensibili” degli altri e, soprattutto, non siamo obbligati a tacere quando qualcosa ci riguarda direttamente solo perché l’altra persona è molto suscettibile. Dopo tutto, chi “troppo ingoia alla fine si strozza”.

Certo, il problema si presenta quando chi cerca di manipolarti è qualcuno che ti sta vicino, qualcuno importante di cui ti fidi. È difficile cadere nella rete della manipolazione di uno sconosciuto, ma quando ci sono di mezzo i sentimenti è più facile cedere. Se vedi che le tue parole possono aver ferito una persona che ami, è probabile che il tuo primo impulso sia quello di scusarti, anche se non sai bene perché.

Tuttavia, in questo modo perdi un’opportunità preziosa perché la vostra relazione cresca e, invece, contribuisci alla manipolazione e ai comportamenti infantili che finiscono per logorare qualsiasi tipo di relazione.

Le scuse devono essere un atto consapevole di assunzione della nostra responsabilità, né più né meno

Ci saranno stati dei momenti in cui sicuramente avremo sbagliato e ferito qualcuno, e abbiamo dovuto scusarci assumendo la nostra parte di responsabilità. Ma ci sono anche delle situazioni in cui non dobbiamo assumerci la responsabilità per la suscettibilità degli altri, se siamo sicuri di essere fedeli alla nostra essenza e di esprimerci nel modo più assertivo possibile.

Khalil Gibran disse: “un uomo deve essere abbastanza grande da ammettere i suoi errori, abbastanza intelligente da approfittarne e abbastanza forte da correggerli”. Questo significa che chiedere scusa deve sempre essere un atto consapevole, l’espressione di un processo riflessivo sull’accaduto, non un atto automatico con il quale dare potere all’altro perché ci manipoli emotivamente.

Infatti, si è visto che le scuse non sono poi così efficaci come pensiamo e spesso non servono a riparare una relazione danneggiata. Gli psicologi della Ohio State University hanno isolato i tre ingredienti essenziali perché le scuse siano efficaci:

1. Riconoscimento della responsabilità. Si tratta di riconoscere che abbiamo commesso un errore, per il quale dobbiamo innanzitutto essere consapevoli di cosa abbiamo fatto di sbagliato, non valgono le scuse generiche.

2. Offrirsi di riparare il danno. Significa riconoscere che siamo disposti a fare qualcosa per correggere il nostro errore. In un certo senso, è una dichiarazione di buona volontà ma, ancora una volta, deve essere basata sulla convinzione che abbiamo commesso un errore.

3. Esprimere pentimento. Si tratta di esprimere un pentimento sincero, che permetta all’altra persona di vedere che siamo profondamente dispiaciuti per l’accaduto.

Come affrontare questi tentativi di manipolazione?

1. Non pensarci troppo. 

Ruminare quello che è successo è una delle cose peggiori che puoi fare. Non solo influenzerà il tuo umore, facendoti sentire più irritabile, frustrato e/o arrabbiato, ma è anche più probabile che termini assumendo una colpa che non ti appartiene o sviluppi un atteggiamento negativo nei confronti dell’altro. Pertanto, evita di pensare eccessivamente all’accaduto.

2. Chiedi chiarimenti. È utile chiedere dei chiarimenti su quello che è successo. Puoi dire all’altra persona: “vedo che sei arrabbiato. Puoi spiegarmi perché ti senti così?” Puoi anche scusarti così:“mi dispiace che le mie parole abbiano provocato questa tua reazione, però mi piacerebbe sapere il motivo.”

3. Difendi il tuo diritto di esprimerti. È conveniente che ti assuma la tua parte di responsabilità. Ad esempio, potrebbe essere che il modo di esprimere quella verità non fosse il più appropriato, o che hai generalizzato troppo esprimendo un’idea. Ma per fermare sul nascere qualsiasi tentativo di manipolazione è importante che all’altra persona sia chiaro che hai il diritto di esprimerti per difendere le tue esigenze e/o punti di vista.

Dal Sito: aprilamente.info