martedì 27 novembre 2018

Chi è il paziente immaginario o ipocondriaco?



Il paziente ipocondriaco assume di essere debole, sia sul piano fisico, per la facile stancabilità e vulnerabilità alle malattie, sia sul piano psicologico per la difficoltà a controllare preoccupazioni, ansia e paura di impazzire, che egli stesso considera esagerate ma da cui teme di essere sopraffatto. Qualcosa di simile accade in chi soffre di soli attacchi di panico. Sia nell’attacco di panico che nell’ipocondria la persona ha una percezione riguardo a sé e una riguardo alla realtà.

In entrambi i disturbi le persone hanno un’immagine di sé come fisicamente vulnerabili ed entrambe tentano di esercitare un controllo sulle proprie reazioni fisiologiche spontanee: o cercando informazioni su di esse o evitando, sia in modo passivo, senza più frequentare le fonti di disagio, sia in modo attivo, facendosi accompagnare verso di esse da un figura di cui si fida, come accade specificamente per l’attacco di panico con agorafobia. Tuttavia, mentre nell’attacco di panico le strategie di controllo funzionano, nell’ipocondria falliscono il tentativo di rassicurazione. Quindi, una prima questione per capire l’ipocondriaco è domandarsi: perché la credenza di essere malato è particolarmente resistente alle disconferme e al cambiamento nonostante si abbiano le competenze cognitive e le informazioni utili a contraddirle? Le ragioni vanno ricercate in fattori strettamente cognitivi come quelli

 strutturali: la credenza di essere persona debole nell’ipocondriaco è molto credibile-sostenuta storicamente dalle esperienze di apprendimento ed attaccamento-, ed epistemicamente importante (Castelfranchi, Miceli, 1995)

 funzionali: il pregiudizio confirmatorio, l’ancoraggio, la rappresentabilità, e la manipolabilità attraverso i copioni agiscono nel mantenimento delle credenze nucleari

 interattivi: si tratta di due particolari tipi di circoli viziosi ( Salkovskis, 1996). Il primo parte dallaper cezione della minaccia che incrementa risposte fisiologiche di difesa e attiva sensazioni che sono interpretate come conferma di malattia. Il secondo invece parte dai comportamenti di controllo, fare analisi ematiche ad esempio può costringere la persona a digiunare e questo indurre di nuovo sensazioni di debolezza e vulnerabilità, lette come condizioni preliminari e prodromiche della malattia temuta. Oppure se alla richiesta di prescrizioni di accertamenti specialistici il medico collude col paziente e ne aggiunge altre, più di quelle richieste e necessarie, il paziente interpreta tale collusione e prudenza del medico come prova di possibile conferma di malattia.

 motivazioniali. L’ipocondriaco avrebbe lo scopo di non essere debole, non essere malato, e adottare una regola prudenziale di responsabilità (Mancini, 1998). Poiché i primi due scopi sono rappresentatati nella mente dell’ipocondriaco in modo negativo, come assenza di un male piuttosto che come stato definito di benessere da raggiungere, ne deriva in primo luogo l’assenza dei segnali minimi entro i quali potersi rassicurare circa la propria salute e poter cambiare la credenza di essere debole e malato; in secondo luogo un alto costo di dispendio di energie con ricadute sullo stato psicofisiologico e la riattivazione di uno dei circoli viziosi di mantenimento; in terzo luogo ne deriva l’ultimo degli scopi citati, che consiste nell’adozione di una regola prudenziale, così severa da dover garantire i primi due scopi, cioè non essere debole e non ammalarsi. La regola prudenziale tenta di fare prevenzione attraverso la previsione di scenari negativi e attraverso il meccanismo del pensiero magico, per il quale avere presenti i pericoli non solo tiene alta la guardia ed implica la possibilità di prevenire ma è già di per sé è una prevenzione che azzera tutti i rischi. La regola prudenziale è attivata a sua volta anche dall’alta attenzione selettiva e sensibilità per i sintomi, che ne aggrava la percezione di pericolosità e dalla loro disfunzionale interpretazione. La responsabilità della prudenza che impedisce di accettare qualunque rischio è particolarmente presente, nei casi di ipocondria con temi ossessivi.

La percezione che riguarda la realtà invece differisce nei due disturbi. Nell’ipocondria essa riguarda lo stato di incertezza circa la salute contingente e futura, l’impatto futuro di sintomi, percepiti già come altamente pericolosi, l’evoluzione di un’eventuale malattia oggettivamente dichiarata e l’affidabilità delle fonti di rassicurazione, cioè degli accertamenti medici e dei pareri di familiari, che non bastano mai. Nell’attacco di panico invece la percezione della realtà è connotata da un senso catastrofico di pericolo e di minaccia imminenti, sia interni (‘’ho un giramento di testa, un aumento della frequenza cardiaca.. e sicuramente non lo reggerò..non avrò le forze per resistere..svenirò..impazzirò’’) che esterni (‘’ mia moglie ha avuto una diagnosi di cancro, rischio di vederla soffrire o perderla e potrei non riuscire a sopportare il suo dolore o a separarmi da lei’’), sia reali- (se per esempio in presenza di un reale fortissimo mal di testa che mette a rischio la stabilità fisica o se davvero l’ipotetico coniuge ha una diagnosi di cancro che rischia di riformulare la qualità di vita di entrambi)-, che supposti – (se per esempio si immagina che il coniuge possa avere un cancro o che il paziente stesso possa avere un cancro perché una cognata o un fratello o il migliore amico hanno appena avuto una diagnosi di cancro). Inoltre, poiché l’ipocondria è sostenuta dall’incertezza, l’emozione che si associa è prevalentemente l’ansia, invece nell’attacco di panico, sostenuto dalla percezione reale o soggettiva di pericolo e minaccia imminente, l’emozione prevalente associata è la paura. L’ipocondriaco tenta perciò di gestire l’ansia prevalentemente tramite accurate ricerche di informazioni sullo stato di salute, sull’evoluzione della malattia e sull’accuratezza degli accertamenti e terapie, mentre colui che soffre di attacco di panico tenterà di gestire la paura prevalentemente allontanandosi dalla fonte di pericolo, quindi evitando di esporsi ad essa o facendosi accompagnare ad essa. Tuttavia, mentre l’evitamento previene la paura dell’attacco di panico, cioè la paura della paura, ma non risolve e anzi mantiene attivi i meccanismi che generano l’attacco di panico in sé, invece la ricerca delle informazioni e la rassicurazione che l’ipocondriaco riceve sullo stato di salute non permette alcun vantaggio, perché il dubbio persiste. Si può sostenere che il dubbio ipocondriaco, dando per assodato il costrutto di vulnerabilità personale, abbia la funzione di controllare e prevenire la probabilità di eventi avversi futuri o di immediato futuro, ma non contingenti, riguardo la propria salute, percepiti come molto minacciosi per i propri scopi .

E’ un dubbio che lavorando in assenza di fatti nel tentativo di anticipare i fatti, senza mai incontrarli, non può trovare certezze e rassicurazioni e finché non li incontra non può probabilmente neanche mitigarne l’impatto altamente temuto.

Ciò farebbe pensare ancora una volta ad una non accettazione dei rischi di malattia, come già sosteneva Mancini (1998), e della malattia in sé, di cui chi ha una malattia reale è fattualmente costretto a prendere atto e chi ha un attacco di panico vive come soggettivamente o oggettivamente imminente ma non come rischio lontano da prevenire.

Va infine aggiunto che la resistenza al cambiamento della credenza di essere debole e malato e all’accettazione dei rischi e dell’eventuale malattia rimane tale anche quando il paziente sia consapevole dell’esagerazione delle proprie preoccupazioni e ne faccia autocritica. Infatti, l’autocritica, poiché non è orientata a smontare i contenuti della credenza in sé ma al fatto di essere esageratamente ansiosi preoccupati e impauriti, ha come effetto paradossale di riconfermare l’idea di debolezza e vulnerabilità personale, che rimane quindi fra tutte la credenza cruciale su cui lavorare.




Dal Sito: tagmedicina.it

'Mal d'autunno' per 1 italiano su 3, in agguato ansia e malumore



(AdnKronos Salute) - L'autunno è ormai arrivato e, complice il cambio d'ora, le giornate diventano più corte. Con meno ore di luce a disposizione e condizioni meteo più opprimenti, un italiano su 3 (32%) è prossimo a provare ansia e malumore. Ad angosciare maggiormente sono la perdita del senso del tempo (41%) e il timore di non riuscire a far tutto (12%). Gli esperti però invitano a non chiudersi in casa (34%): insieme a una sana alimentazione e corretta idratazione (25%), è un approccio utile contro il seasonal affective disorder (Sad). E' quanto emerge da un'indagine di In a Bottle (www.inabottle.it) condotta con metodologia Woa (Web Opinion Analysis) su circa 2.600 italiani - uomini e donne tra i 20 e i 55 anni - attraverso un monitoraggio online sui principali social network, forum e community digitali e su circa 20 tra psichiatri, psicologi e nutrizionisti, per capire come approcciare al meglio il passaggio alla stagione autunnale. Ben un italiano su 3 (32%), spiegano i promotori dell'indagine, in questo periodo dell'anno confessa complessivamente malumore (17%) e ansia (15%), mentre solo il 7% prova una certa felicità e appena il 4% rilassatezza. E se l'8% si definisce intollerante, non mancano coloro che si sentono rassegnati (17%) o tristi (12%). Ma cosa accentua i sentimenti negativi? Al primo posto quasi 4 italiani su 10 (37%) mettono la poca luce a disposizione durante il giorno. Per un italiano su 3 (31%) la 'colpa' è invece di freddo, nebbia (16%) o pioggia (11%). Il 41% dei soggetti intervistati, inoltre, è inquieto per via della perdita del senso del tempo a causa anche del cambio d'ora e della riduzione delle ore di luce. Circa 2 italiani su 10 (21%) fanno i conti con l'ansia di non riuscire a fare tutto, mentre il 21% non sopporta di dover lavorare nelle ore di buio. Il 16%, infine, lamenta di non avere tempo per la vita sociale. Così circa un quarto dei soggetti monitorati (24%) confessa di avere problemi con il sonno e di dormire poco e male. Il 27% si sente triste e ha difficoltà nel rapportarsi con le altre persone durante le normali faccende quotidiane. Il 19% ammette di trovare rifugio nel cibo mentre il 18% si scopre poco reattivo e abbastanza apatico. Infine, il 9% degli italiani indagati confessa di avere un calo del desiderio sessuale. "Umore triste, irritabilità, astenia e stanchezza, maggior ritiro sociale, difficoltà nella concentrazione, aumento dell'appetito e del sonno sono sintomi che permettono di inquadrare questo tipo di disturbo definito a 'pattern stagionale' e descritto nella quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm-5) come Disturbo depressivo maggiore ricorrente con andamento stagionale - spiega Emanuela Napoli, psicologa e sessuologa - Le persone che manifestano il Sad si dimostrano molto sensibili ai cambiamenti stagionali ed è per questo motivo che il calo della temperatura, l'aumentare delle ore di buio, la pioggia e i temporali condizionano il loro equilibrio psicofisico. La sintomatologia inizia a comparire durante la stagione autunnale per poi raggiungere il massimo dell'intensità in inverno, risolvendosi parzialmente o completamente con l'arrivo della primavera". Cosa fare allora per difendersi dal 'mal d'autunno'? Per il 34% degli esperti intervistati occorre non chiudersi in casa, ma continuare a coltivare la propria vita sociale. Per un esperto su 4 (25%) è bene non lasciarsi andare a un'alimentazione sregolata: una dieta sana deve essere accompagnata da una corretta idratazione, raccomandano. Il 16% degli esperti, infine, suggerisce l'approccio cromatico: indossare vestiti e accessori colorati fa da contrasto con il clima e i colori grigi dell’autunno e dà un certo relax e sollievo alla vista.




Dal Sito: notizie.tiscali.it

L'ipocondriaco è un malato, anche se immaginario: come vincere la paura di ammalarsi



L'ipocondria è la paura di ammalarsi che fa "ammalare" chi ne soffre: l'intervista alla psicologa Annalisa Bello.

La paura di ammalarsi può diventare una malattia che a sua volta può far “ammalare” anche i bilanci familiari. Ipocondria, nel termine popolare di derivazione greca, indica un dolore sotto la fascia addominale: è un disturbo conosciuto anche dagli antichi, che i medici chiamano “patofobia” (paura della malattia). Oggi l’ipocondria si è evoluta nell’angoscia di contrarre tutta una serie di malattie. L’ipocondriaco passa intere giornate a controllarsi, fare esami e visite specialistiche: l’atteggiamento può diventare maniacale e ossessivo tanto da avere delle ricadute pesantissime sulla propria qualità di vita. Chi è afflitto da questo disturbo si allarma quando sente parlare di malattie e si preoccupa di poter contrarre la stessa malattia che è capitata a qualcuno dei suoi conoscenti. Nella comèdie-ballet di Molière l’ipocondriaco Argante si circonda di medici inetti e furbi farmacisti contenti di alimentare le sue ansie per trarne vantaggio economico. Il protagonista è prigioniero della sua paura tanto da stravolgere anche le vite di chi gli sta intorno (vuole maritare la figlia con un medico). E’ l’ironico affresco teatrale di un problema che era molto conosciuto anche nel ‘700.

Alcuni eventi potrebbero aver stravolto la vita di chi matura questo disturbo tanto da convincerlo che da un momento all’altro potrebbe contrarre una terribile malattia. I sintomi più ricorrenti sono dolori gastrointestinali, muscolari e palpitazioni. Spesso l’ipocondriaco non si fida fino in fondo del proprio medico e anche quando i sintomi sono legati a una lieve patologia immagina che si tratti sempre di qualcosa di più grave. Spesso questa forma di nevrosi è collegata a un disturbo d’ansia: nelle forme più gravi si può arrivare anche a deliri e allucinazioni. Dunque, il consiglio è sempre quello di non sottovalutare mai le nostre angosce: meglio affrontarle con un bravo psicologo. La patofobia non è altro che un disturbo psichico paragonabile alle malattie psicosomatiche. La fascia maggiormente colpita da questa malattia e quella dei quarantenni e cinquantenni: si tratta del 2 per cento della popolazione.


INTERVISTA ALLA DOTTORESSA ANNALISA BELLO, PSICOLOGA E PSICOTERAPEUTA


Quando si parla d’ipocondria non si può che pensare al “malato immaginario” di Molière. Ma in realtà si tratta pur sempre di un disturbo: quindi, un po’ si è malati davvero?

“L’ansia per la salute è una condizione di disagio caratterizzata da una preoccupazione eccessiva e infondata riguardo la propria salute, tanto che qualsiasi sintomo fisico, anche lieve, viene interpretato come segno di patologia. Pertanto, si associa a un importante stato di sofferenza al pari di altri disturbi di interesse organico”.

Come si diagnostica l’ipocondria? Quando c’è la certezza di essere affetti da questo disturbo? Quali sono i segnali?

“Per porre diagnosi in tal senso è necessaria la presenza di alcuni marker quali, ad esempio, la preoccupazione di avere o contrarre una grave malattia. Per ciò che concerne la presenza di sintomi somatici, si tratta, quando presenti, di sintomi di lieve intensità. Nel caso in cui, invece, è presente un’altra condizione medica o vi è un rischio elevato di svilupparla, la preoccupazione risulta eccessiva o sproporzionata. Si riscontra, inoltre, un sostenuto livello di ansia riguardante la salute e un alto livello di allarme su questi temi che portano l’individuo a mettere in atto eccessivi comportamenti correlati alla salute, come controllare di continuo il proprio corpo alla ricerca di segni di malattia piuttosto che, specularmente, evitare visite mediche e ospedali”.


A quali conseguenze porta l’ipocondria? I danni si limitano solo al portafoglio o c’è molto di più?


“Immaginiamo di avvertire dei bruciori di stomaco da qualche giorno e allarmarci pesantemente al pensiero di poter avere un tumore allo stomaco tanto da cercare immediatamente impegni piuttosto che controllare continuamente il nostro corpo alla ricerca di sospetti sintomi. Chi lamenta questo tipo di problematica è letteralmente tormentato dalla preoccupazione di avere o contrarre una grave malattia. Risulta così facilmente evincibile immaginare come, oltre al dispendio di risorse economiche dissipate in continue visite specialistiche, l’ansia per la salute, implica un netto peggioramento della qualità della vita: compromette la sfera lavorativa, relazionale, scolastica. Si cercano continuamente rassicurazioni on-line compromettendo le attività quotidiane e gli impegni”.

Cosa c’è, invece, dietro l’ipocondria? È un’ansia dovuta a un trauma o cosa? Quali sono le cause?


“Non vi è un’unica causa, piuttosto si possono individuare nella storia di vita di persone che ne soffrono eventi che ricoprono una particolare salienza episodica ed emotiva: come la presenza di una malattia che ha messo a repentaglio la vita dell’individuo e delle persone a lui care può scatenare la comparsa del disturbo. Oppure, anche un’infanzia difficile o traumatica può predisporre una persona a sviluppare tale disturbo”.


Alcuni medici di base spesso sono pigri: prescrivono medicinali anche agli ipocondriaci speranzosi in un effetto placebo. Forse bisognerebbe indirizzare il paziente dallo psicologo: dovrebbero imparare a farlo in primis i medici di base, oppure gli specialisti a cui si rivolge il paziente, vero?


“Considerando l’elevata incidenza della psicopatologia nella popolazione, sarebbe auspicabile un approccio multidisciplinare per accogliere le richieste dei pazienti che quotidianamente popolano gli ambulatori della medicina di base, avvalendosi della figura dello psicologo a vantaggio del paziente e della spesa pubblica sanitaria”.


Come si cura l’ipocondria? Come si vince questa grande paura di morire? Ci sono diverse scuole nell’ambito della psicologia: qual è la più efficace nella cura di questo disturbo, secondo lei?


“Per ciò che riguarda il trattamento psicologico, la psicoterapia ?cognitivo-comportamentale è ritenuta a oggi la forma di intervento più efficace per affrontare con successo il disturbo d’ansia da malattia”.

Possono esserci malati veri che hanno comunque un disturbo di ipocondria?


“Assolutamente, sì. Oltretutto, la presenza di una malattia organica potrebbe aggravare e alimentare la preoccupazione verso il proprio stato di salute, alimentandone il disturbo”.




Gaetano Gorgoni




Dal Sito: leccesette.it

Donne e stress: quando 24 ore non bastano più…




Troppo impegnate tra lavoro, figli e casa, 8 donne su 10 vanno in affanno. E lo stress va alle stelle

Una giornata di 24 ore non è sufficiente a portare a termine tutti gli impegni quotidiani. O, almeno, così sembra essere per l’universo femminile: tra il lavoro fuori e dentro casa, sempre più spesso le donne fanno fatica a ottemperare a tutti i compiti della giornata. E lo stress e l’insoddisfazione aumentano. È quanto emerso da un sondaggio condotto dall’Eurodap, l’Associazione europea disturbi da attacchi di panico, su donne e stress.

Donne sotto attacco

Il sondaggio,condotto su circa 500 donne, ha messo in evidenza che l’80% vive con difficoltà il fatto di dover conciliare i tanti ruoli che si trova a dover ricoprire: il 65% vive l’intera giornata pensando a quando poter cominciare il compito successivo, cercando di ottimizzare i tempi per poter portare a termine anche i lavori domestici, il 60% considera uno svantaggio l’essere donna per la mancanza di tempo per la cura di sé e per il sovraccarico di responsabilità che genera stress, ansia e tensione nell’ambito lavorativo e familiare.
Ansia e insoddisfazione

Come spiega Paola Vinciguerra, psicoterapeuta e presidente Eurodap, il pensiero comune è che una giornata di 24 ore non sia sufficiente per stare al pari con tutti gli impegni, e la frustrazione che deriva dal sentirsi inadeguate a portare avanti tutti i compiti quotidiani fa sì che si moltiplichino l’insoddisfazione e lo stress.
Il peso della routine

A incidere sulla stanchezza delle donne e sull’aumento dei livelli di stress, continua Vinciguerra, “è il peso della routine della vita quotidiana e degli affanni di quella familiare, l’impegno per la cura dei figli, della casa e infine di se stesse. Così la maggior parte si sveglia già la mattina con una sensazione di affaticamento e stanchezza, che porta a svolgere gli impegni in modo sempre più meccanico”.

In breve

5 CONSIGLI ANTI-STRESS

1) Evitare i comportamenti non salutari;

2) adottare una corretta alimentazione, che aiuta a mantenere l’equilibrio psicofisico;

3) fare ricorso a tecniche di rilassamento, concentrandosi sulla respirazione lenta e diaframmatica;

4) non pretendere troppo da se stesse, perché si rischia di sentirsi oppresse e irascibili;

5) gestire il proprio tempo in modo funzionale, trovando equilibrio tra le diverse sfere, ma ricordando di essere parte di quell’insieme.​

Dal Sito: bimbisaniebelli.it

Il cambiamento e la via di fuga



Sii come la fonte che trabocca e non come la cisterna che racchiude sempre la stessa acqua.
Paulo Coelho

L’acqua stagnante in breve tempo diventa torrida e fetida, così la nostra vita, se bloccata, andrà incontro allo stesso processo.
Lasciarsi andare ai mutamenti, senza opporre resistenza, sarebbe la naturale strada da seguire. Come l’acqua di un ruscello viaggia verso il suo percorso, fino a diventare fiume e poi mare, così noi, in continuo movimento, dovremmo evolvere verso nuove conoscenze e nuove esperienze.

Ma quali sono gli ostacoli che diventano così insormontabili da non permetterci di proseguire lungo il nostro cammino?
– La paura del cambiamento
– La mancanza di fiducia nelle nostre potenzialità.
– La paura del nuovo.
– L’attaccamento alle abitudini, anche se dannose.

Ogni cambiamento ha un simbolismo iniziatico: si deve prima “morire”, lasciando il passato per entrare in una nuova vita.

La metafora del bruco, avvolto dapprima nel bozzolo, che lo protegge come un utero materno, e poi la trasformazione in una farfalla, che vola libera, posandosi di fiore in fiore, rende bene l’idea della trasformazione, processo naturale, a cui noi tutti siamo invitati a seguire.


Ci deliziamo nella bellezza della farfalla, ma raramente ammettiamo i cambiamenti a cui ha dovuto sottostare per raggiungere quella bellezza.
Maya Angelou

Per cambiare bisogna attraversare delle sofferenze, non esiste un cambiamento indolore. Là dove la nostra resistenza diventa incancrenita, fino a diventare ciechi e sordi al richiamo di un equilibrio, il mal d’essere ci renderà ancora più aspri e deboli.

Il disagio è un sintomo che a lungo andare può diventare un vero disturbo. L’ansia, l’insoddisfazione, l’apatia, la depressione, gli attacchi di panico, non sono altro che dei segnali che ci stanno avvertendo che il nostro organismo si sta ammalando, che bisogna trovare una via di fuga.

Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare la barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione.
Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio.
Henri Laborit – Elogio della fuga

La prima causa dell’angoscia è l’impossibilità di realizzare l’azione gratificante, e sottrarsi a una sofferenza con la fuga o con la lotta è anch’esso un modo di gratificazione, di sfuggire all’angoscia.
Henri Laborit

Nel film ‘Mon oncle d’Amerique’, che consiglio di vedere, è narrata la vita di tre personaggi e la loro quotidianità e disagio, ed ognuno si muove secondo la teoria di Henri Laborit, tra scelta di cambiamento o assenza di fuga. Ognuno dei tre, in base al proprio libero arbitrio, alla propria scelta avrà un risultato: la salvezza nella fuga, la malattia per mancanza di fuga.

Attraverso degli esperimenti con i ratti, Henri Laborit, dimostrò che in condizioni di estremo stress, cioè in situazioni in cui l’animale non può lottare, né fuggire per evitare una situazione spiacevole, i ratti somatizzano fino a produrre ulcere, cosa che non avviene se possono fuggire o sfogare l’aggressività combattendo.

Alla luce di tutto questo chiediamoci se il costo da pagare, in termine di salute, mentale e fisica, non sia abbastanza alto.

Ognuno è chiamato a dover rivedere il proprio programma di vita su questa Terra, a fare il bilancio di ciò che si è vissuto, di come si è vissuto e del grado di soddisfazione o insoddisfazione rispetto ai propri desideri.

Secondo il manuale di Epitteto, una sola zona ci appartiene, ed è l’unica zona che ci permette di poter agire: i nostri pensieri, le nostre decisioni.

Se imparassimo ad usare questo grande potere che ci appartiene, il libero arbitrio, potremmo essere davvero protagonisti della nostra vita.
Impariamo a ritrovarci, a riconoscerci, ad amarci per ciò che siamo, a mutare là dove duole, dove la sofferenza si insinua creando il nostro disagio, il mal di vivere.

Non tutte le prigioni hanno le sbarre, spesso non ci accorgiamo di essere prigionieri ed evadere é più difficile. Sono i nostri preconcetti ed automatismi culturali che castrano l’immaginazione, fonte della creatività.


Mentre cerchiamo di capire, il tempo passa e la vita con lui.
Henri Laborit



Dal Sito: expartibus.it

7 modi per gestire l’ansia



Ormai siamo abituati a convivere con l’ansia. Che sia per un esame importante, per un colloquio di lavoro o per un rapporto che ci impensierisce, lei è sempre lì dietro l’angolo, pronta a prenderci alle spalle e a non lasciarci facilmente.

Quante volte ci siamo sentiti mancare il fiato, come se avessimo un peso sul torace? Sensazione, questa, che può addirittura sfociare in veri e propri attacchi di panico, la risposta fisica a qualcosa che è (solo) nella nostra testa.

Quindi è come se il nostro organismo volesse preparaci al peggio e dentro di noi cova questa sensazione a dir poco spiacevole che ci fa dormire male e vivere peggio. Combatterla è possibile, intanto iniziando a pensare che il più delle volte a generare l’ansia non è tanto quello che accade, quanto piuttosto quello che pensiamo possa accadere.

Quel che è certo è che non possiamo controllare il futuro, nostro e di chi ci sta accanto. Dunque un primo passo importante è quello di non convincerti che possa accadere qualcosa di certamente negativo senza averne certezza alcuna. Quello che dovresti fare è piuttosto concentrarti sui tuoi pensieri e le tue convinzioni in questo momento. Quelli cioè che hai sotto il tuo controllo.

2. Fai attenzione alla respirazione, cambiala ogni volta che è necessarrio

L’ansia è in grado di alterare la nostra biochimica. Come? Con picchi di cortisolo, che infatti è conosciuto anche come l’ormone dello stress. Ecco, quello che dovresti fare è, ad esempio, fare dell’attività fisica. Basterà anche una semplice passeggiata per fare in modo che si abbassi il livello di cortisolo, dunque di ansia.

3. Non pensarci, rivolgi la tua attenzione su altro

Non stai evitando il problema, così: ti stai distraendo in modo da non tenere la testa solo su quei pensieri negativi. Questo significa sforzarsi di equilibrare le attenzioni, distribuirle su diversi pensieri, facendo sì che non si focalizzi solo ed esclusivamente su quello che ti provoca ansia.

4. Cerca di non stare da solo

Stare da soli a casa, sul divano a guardare serie tv e gelato e a piangerci addosso è bellissimo, ma no, non aiuta. Non affidare tutto ai social, che possono essere tanto utili quanto nocivi. Dunque, prendi le chiavi ed esci di casa. Incontra persone, chiacchiera e sfogati.

5. Tutte le tue emozioni sono giuste: non te ne devi vergognare mai

La vita è fatta di alti e bassi, quindi non pensare di essere pazzo. Le debolezze fanno parte di noi, come anche i punti di forza. Dunque, un passo importante è quello di accettare di avere dei picchi di down: è assolutamente naturale, fisiologico.

6. Queste brutte sensazioni passeranno, torneranno ancora ma passeranno ancora una volta

Lo stress, la tensione, le difficoltà fanno parte della vita. Accettiamolo. Ma non mancano, però, i momenti di distensione, i momenti positivi in cui la vita ci sorriderà. Bisogna capire che la nostra esistenza è complessa, ma è anche fonte di tante soddisfazioni. Dunque, fazzoletti alla mano, piangi se devi piangere, ma non dimenticarti di sorridere.

7. Sei più forte dell’ansia

No, la tua vita non è tutta nera. Impara a guardare dentro alle crepe e a riconoscere la luce che entra, come diceva Cohen. Se finora l’ansia ha avuto la meglio, cercando di infilarsi prepotentemente nella tua testa, non è detto che debba essere sempre così. Svuota la testa dai film mentali negativi e alzati. Anche se non ti sembra, sei più forte dell’ansia.




Dal Sito: tpi.it

martedì 6 novembre 2018

Depressione e ansia: quali differenze



La società odierna ci sottopone a sfide giornaliere che, in particolari condizioni ambientali e predisposizioni personali, possono intaccare il nostro equilibrio mentale e renderci ansiosi e/o depressi.

Nella vita capitano dei momenti in cui ci si sente sbagliati, carenti di qualcosa e senza forza di volontà. Ci si chiude in sé stessi e non si rivelano a nessuno questi stati d’animo per timore d’essere derisi e non capiti. Guardando gli altri si ha la sensazione di essere fragili e incapaci mentre tutti sfoggiano sicurezza e capacità di integrarsi in società. Può succedere che ci si senta ansiosi nell’affrontare situazioni apparentemente semplici, che la preoccupazione ci assalga in qualunque frangente rendendoci introversi e insicuri. Altre volte ci assale la tristezza e pensieri cupi continuano a ripetersi nella nostra mente e sembra di essere in un vortice di infelicità. Non bisogna sottovalutare queste condizioni, questi sentimenti possono essere indicativi di un disagio psichico che deve essere affrontato, perché possono essere dovuti a depressione e ansia: quali differenze ci sono tra queste patologie?

Depressione e ansia: epidemiologia

La depressione e l’ansia, disturbi estremamente frequenti al giorno d’oggi, hanno avuto negli ultimi decenni un incremento tale da essere considerate le malattie del secolo. Si stima che in Italia il 5,4% delle persone soffra di depressione, mentre l’ansia colpisce il 4,2% della popolazione. Risulta che la depressione si associa all’ansia grave nel 7% dei casi. Sono malattie che colpiscono maggiormente il sesso femminile e tendono ad essere più frequenti dopo i sessantacinque anni di età anche se nessuna fase della vita risulta risparmiata.

I dati epidemiologici indicano che esiste una correlazione tra depressione e/o ansia e il livello socioeconomico. La depressione e l’ansia sono più frequenti in persone con basso grado di istruzione, nei disoccupati e in coloro che risultano inattivi. Malgrado l’elevato numero di persone affette da queste patologie, solo una minima parte fa ricorso allo specialista (lo psichiatra) e assume psicofarmaci.

Nella maggior parte dei casi, la malattia non viene diagnosticata correttamente e ciò determina una terapia non adeguata. Questi quadri clinici hanno un impatto importante nella vita delle persone, infatti i pazienti lamentano una riduzione della qualità della vita con ripercussioni sulle relazioni interpersonali, in ambito lavorativo e familiare, nei rapporti genitori figli.

La depressione e l’ansia determinano ricadute economiche notevoli in termini di:
giornate di lavoro perse: periodi in cui le persone sono in malattia perché non riescono ad affrontare il lavoro;
rendimento lavorativo: una persona depressa e/o ansiosa avrà una capacità di lavoro ridotta;
spesa sanitaria: costo a carico del servizio sanitario nazionale per visite specialistiche e terapie farmacologiche.
Nel linguaggio comune queste due condizioni sono frequentemente associate tra loro infatti si parla di “depressione ansiosa” e di “sindrome ansioso depressiva”, tuttavia sono condizioni cliniche distinte per cui analizziamo separatamente la depressione e l’ansia per individuare quali siano le differenze.

Depressione

La depressione, interessa un numero elevato di persone e si stima che la percentuale di pazienti sia destinata ad aumentare, presenta caratteristiche peculiari e non deve essere confusa con le reazioni psicologiche conseguenti a situazioni particolari e stressanti. Il paziente riferisce il suo stato d’animo in termini di tristezza, infelicità, sentirsi giù di morale.

I sintomi presenti in un paziente depresso sono:
basso tono dell’umore: il tono dell’umore è la capacità che ha l’uomo di adattarsi alle varie condizioni provando piacere in situazioni positive e tristezza in quelle negative. Quando viene persa questa plasticità ad adeguarsi, si avrà una deflessione dell’umore e si tenderà a vedere negativamente la realtà. È presente perdita di interesse in generale;
anedonia: incapacità a provare piacere per qualunque attività venga svolta;
alterazione del pensiero: ci si orienta verso una bassa stima di sé, senso di colpa. Possono essere presenti episodi di autolesionismo, tentativi di suicidio che talvolta vengono messi in atto col “suicidio allargato” che coinvolge le persone care;
rallentamento psicomotorio: interessa il movimento, il linguaggio, l’espressione del viso, la capacità di prendere decisioni. Il paziente presenta una riduzione importante dell’energia psichica che lo porta a non reagire (può essere fraintesa e confusa con una mancanza di volontà);
disturbi vegetativi: si ha profonda astenia, diminuzione della libido, insonnia, riduzione dell’appetito con dimagrimento e malnutrizione.

Depressione: la diagnosi

In presenza di un quadro clinico suggestivo si fa diagnosi di depressione. Vengono individuati diverse tipologie cliniche:
disturbo da disregolazione dirompente dell’umore: si presenta nei bambini e ragazzi fino ai diciotto anni d’età, presentano scatti d’ira esagerati rispetto alle cause, umore triste riscontrato a casa o a scuola;
disturbo depressivo maggiore: colpisce prevalentemente le donne e si caratterizza per il
basso tono dell’umore e almeno cinque delle seguenti condizioni che durano da due settimane almeno e si manifestano ogni giorno: perdita di peso o alterazioni nell’alimentazione, insonnia, astenia, pensieri negativi (inadeguatezza, incapacità e senso di colpa), incapacità a concentrarsi e a prendere decisioni, pensieri suicidari;
disturbo depressivo persistente: è una patologia cronica, colpisce individui giovani che possono presentare disturbo di personalità o fare abuso di sostanze. È presente umore depresso che persiste da almeno due anni e si associa ad almeno due delle seguenti condizioni: astenia, insonnia, alterazioni dell’appetito, pensieri negativi, difficoltà a concentrarsi;
disturbo disforico premestruale: si manifesta con labilità affettiva, umore depresso e irritabile, tendenza al conflitto. Possono essere presenti sintomi fisici quali stanchezza, gonfiore, dolori articolari e muscolari. Inizia la settimana che precede il ciclo e termina i primi giorni del ciclo mestruale;
disturbo depressivo da sostanze: conseguente all’assunzione o alla privazione di sostanze;
disturbo depressivo dovuto ad altra condizione medica: la depressione è associata ad una malattia medica o all’assunzione di farmaci:
malattie neurologiche: malattia di Parkinson, malattia di Huntington, ictus, sclerosi multipla, tumori;
infezioni virali (HIV);
farmaci: interferone, betabloccanti, anticoncezionali orali, corticosteroidi;
disturbi endocrini: morbo di Cushing, morbo di Addinson, patologie tiroidee.

Sono disponibili dei test rapidi da somministrare al paziente per la valutazione del quadro clinico e dell’evoluzione (scala di autovalutazione di Zung).

Depressione: la terapia

La terapia della depressione si avvale di farmaci la cui prescrizione deve essere personalizzata tenendo conto delle variabili collegate:
al farmaco: efficacia, tollerabilità, sicurezza, formulazione;
al paziente: presenza di patologie associate e relativa interazione tra farmaci.

I farmaci prescritti per la depressione vengono suddivisi in:
inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI);
inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI);
antidepressivi specifici serotoninergici e noradrenergici;
IMAO irreversibili e reversibili;
antidepressivi triciclici (sono scarsamente usati per i notevoli effetti collaterali).


La terapia farmacologica può essere affiancata dalla terapia psicologica che si avvale di diverse opzioni (psicoterapia, terapia comportamentale).

Ansia

L’ansia si caratterizza come una reazione emotiva esagerata di allarme verso situazioni quotidiane o personali, comporta modifiche del comportamento e sintomi fisici. Il paziente lamenta di sentirsi sistematicamente preoccupato per le situazioni quotidiane e si trova in uno stato di all’erta permanente nel timore che si verifichino eventi negativi. Questa condizione di ansia e preoccupazione si accompagna a sintomi viscerali quali aumentata frequenza cardiaca, affanno, sudorazione, vertigini, gola secca, nausea, vomito e diarrea.

Ansia: la diagnosi

Il colloquio con il paziente permette allo specialista di inquadrare il quadro clinico e di porre diagnosi di ansia. Si possono somministrare al paziente dei test di autovalutazione (scala di autovalutazione dell’ansia di Zung). Si riconoscono diversi quadri clinici:
disturbo d’ansia da separazione: colpisce i bambini che temono di perdere figure affettive quali i genitori;
disturbo di panico: attacco d’ansia improvviso con sintomi vegetativi, durata variabile da pochi secondi fino a un’ora. Forma particolare è l’agorafobia (paura della piazza);
mutismo selettivo: colpisce i bambini, si manifesta in relazione a situazioni stressanti (scuola);
fobie specifiche: ansia e paura immotivata verso animali, oggetti (siringhe), altezze o aerei;
disturbo d’ansia sociale: ansia e preoccupazione al pensiero di dover affrontare situazioni in cui si è esposti al giudizio degli altri (parlare in pubblico);
disturbo d’ansia generalizzato: è presente ansia, affaticabilità, tensione muscolare. Può essere presente ansia in concomitanza di patologie organiche (ipoglicemia, ipertiroidismo, scompenso cardiaco, aritmia, asma) o assunzione di farmaci/sostanze (corticosteroidi, insulina, ormoni tiroidei, salbutamolo, caffeina).

Ansia: la terapia

La terapia dell’ansia si avvale:
della psicoterapia: terapia cognitiva e psicoterapie psicodinamiche;
farmaci: inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI), inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI), benzodiazepine.

Non sempre la depressione e l’ansia si manifestano con quadri clinici definiti. Infatti, oltre a presentare gravità variabile, si può avere una sintomatologia sfumata o l’associazione delle due condizioni con prevalenza dell’una o dell’altra. Il DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi Mentali) codifica le caratteristiche peculiari di depressione e ansia permettendo di conoscere quali differenze le caratterizzino.


L’AUTORE: Anna Ucchesu


Dal Sito: .laleggepertutti.it

Rimedi per far passare l’ansia



Soffri di ansia e vorresti imparare a gestirla e combatterla? Esistono dei rimedi naturali davvero efficaci per far passare l'ansia. Li abbiamo raccolti in questo nostro articolo.

Sei costantemente teso, preoccupato, hai paura che ti possa accadere qualcosa, e pensi in continuazione a cose negative? Hai difficoltà a rilassarti e sei molto irritabile? Allora potresti soffrire di ansia. Quando abbiamo dei disturbi d’ansia non è solo il benessere psicologico a risentirne ma anche quello fisico.

Ecco i principali sintomi dell’ansia:
Tremori;
Vertigini e mal di testa;
Nausea o problemi digestivi;
Mal di schiena;
Sudorazione eccessiva;
Difficoltà a dormire;
Asma.

Fondamentale per combattere e gestire l’ansia è capirne la causa che il più delle volte è legata ad un trauma o anche alla mancanza di autostima nell’affrontare una nuova sfida. Per affrontare al meglio questi disturbi non è importante solo capire la causa ma anche allentare la tensione con un diversivo, ad esempio, praticando lo yoga. In questa guida vogliamo aiutarti ad usare dei piccoli espedienti per controllare l’ansia e ridurre i sintomi fisici ed emotivi!

CONSIGLI SU COME GESTIRE L’ANSIA

La prima cosa da fare nel caso in cui ti senti ansioso o stressato è conoscere il perché provi ansia. In tal caso per capire cose nuove su te stesso scrivi un diario dove puoi annotare tutte le tue preoccupazioni e le emozioni. Nel diario oltre a scrivere ciò che pensi appunta anche il tuo stato d’animo. Ad esempio, oggi sono particolarmente preoccupato o arrabbiato e anche con chi e perché. Cerca di essere quanto più preciso possibile solo così potrai capire effettivamente come controllare la tua ansia. Quindi prendi carta e penna e inizia a scacciare i pensieri negativi.

Oltre al diario, nel momento in cui si presenta un attacco d’ansia fai degli esercizi di respirazione. Per farlo devi assumere una posizione comoda quindi siediti con la schiena diritta, inspira lentamente attraverso il naso e conta fino a quattro. Dopodiché devi espirare sempre dal naso e tirare fuori l’aria contando fino ad otto. Ripeti l’esercizio per circa tre minuti ed esegui questa tecnica di respirazione più volte al giorno. Imparare a controllare la respirazione: è importante per rilassarti!

8 RIMEDI CONTRO L’ANSIA

Per controllare l’ansia sicuramente devi cambiare stile di vita per iniziare ad avere delle abitudini più sane. 

Ecco 8 rimedi naturali per sconfiggere l’ansia:

Fai esercizio fisico: l’esercizio fisico è un ottimo modo per allentare l’ansia e ritrovare il benessere mentale. Fare attività fisica regolarmente ti aiuterà molto a distrarti. Ogni giorno dedica almeno trenta minuti del tuo tempo a fare ciò che ti piace e che ti rende felice. È scientificamente provato che correre fa bene e riduce stress ed ansia!

Mangia correttamente: spesso l’ansia può essere aggravata dall’abuso di sostanze stimolanti come il caffè, le bevande gassate, lo zucchero, l’alcol e anche per chi ha un’intolleranza alimentare. Quindi per eliminare la tensione bevi tanta acqua e mangia la frutta secca e la verdura. Aumenta il consumo di Omega-3 è molto indicato per ridurre lo stress.

Riposa bene: Dormire è importante e spesso chi non dorme abbastanza è affetto dall’ansia. Per ridurre l’ansia dovresti dormire almeno 8-9 ore. Se vuoi scoprire come dormire bene la notte ti invitiamo a leggere il nostro articolo!

Instaura nuove amicizie: stare con le persone è fondamentale per aiutarti a gestire lo stress. Oltre ai tuoi familiari e amici più cari inizia ad instaurare dei nuovi rapporti sociali. Vedrai quanto sarà importante il loro sostegno.

Sii positivo: fondamentale per combattere l’ansia è avere la capacità di trasformare i pensieri negativi in piacevoli. Puoi usare diverse tecniche, ad esempio, distrarti dai pensieri che ti tormentano pensando a quelli che ti rendono felici oppure cerca una soluzione positiva e rassicurante ai tuoi pensieri negativi.

Medita: La meditazione tende a sbloccare la paura, la rabbia e anche l’ansia. Meditare non serve solo a rilassare il corpo ma anche la mente. Puoi provare la meditazione guidata definita “visualizzazione”: basta pensare ad un luogo tranquillo e creare nella tua mente uno scenario rilassante. Ti aiuterò molto a rilassare il corpo e la mente. Ovviamente anche lo yoga aiuta a rilassarti: i benefici dello yoga sulla mente e sul corpo sono tantissimi!

Se credi che la tua ansia possa essere un disturbo allora dovrai prendere in considerazione l’aiuto di uno psicoterapeuta!


Dal Sito: www.teamworld.it

Quali sono i segnali per capire se siete persone ansiose


Siete (troppo) ansiosi? Vedete problemi dove non ci sono e faticate a trovare la calma o soluzioni semplici? Ecco i 4 campanelli delle persone ansiose


L’ansia viene scomodata moltissimo nel linguaggio comune e viene nominata talmente tanto che spesso ci si chiede se alla fine siamo tutti un po’ ansiosi.

D'altra parte, avere momenti in cui c’è Ansia vicino a noi ci dice che abbiamo un buon funzionamento.

Questa emozione infatti è estremamente utile per avvisarci che c’è un pericolo all’orizzonte, ci prepara alla reazione e permette di dare il meglio di sé in quella situazione.

Se però pensate di far colazione ogni mattina con caffè e ansia, vi spieghiamo quali segnali vi faranno capire se è arrivato il momento di abbassare il vostro livello d'ansia e come fare per riuscirci.

Vedete pericolo ovunque

Se vedete il pericolo ovunque - anche dove non esiste - siete decisamente nel pieno dell’ansia.

Quando ci sono situazioni, cose o persone che vi fanno scattare unsegnale di allarme provate a cogliere dati di realtà: tutti vedono quel pericolo o è solo una vostra percezione?

Rispondete a questa domanda e cercate di descrivere la situazione in modo oggettivo.

Le rinunce per paura

Chi percepisce di essere spesso in pericolo si trova a rinunciare a quelle situazioni che allontanano dalla propria zona di comfort per paura di ciò che potrà accadere.

Se vi riconoscete in questa descrizione e state pensando alle occasioni che avete perso è il momento di prendere in mano la vostra vita e affrontare i vostri timori.

Aggirare le situazioni non vi porterà a nulla di buono: rinforzerete il comportamento di evitamento e continuerete il circolo vizioso e dannoso.

La negatività

Le persone ansiose nutrono spesso pensieri negativi.

Andrà male, Non sono in grado, Mi giudicheranno, Rideranno di mesono solo alcuni dei pensieri più comuni.

Ricordate che la qualità dei pensieri influenza in modo importante la nostra vita quindi attenzione a dare troppa voce alla negatività.

Il controllo sul futuro

Un tratto tipico delle persone ansiose è la pretesa di avere il controllo delle situazioni e del futuro.

Mettetevi l’anima in pace, non potete avere nessun controllo su ciò che non è ancora accaduto, alcuni eventi sono del tutto imprevedibili e non ci sarà mai la certezza che andrà tutto come previsto.

La resistenza al cambiamento o la paura del fallimento sono i due elementi che possono crearci più dolore.

Lasciate andare e starete meglio.

Di: ELISA CASTELLANO

Dal Sito: GRAzia.it

Training autogeno: come controllare l’ansia e lo stress prima che siano loro a controllarti



Da quando ci svegliamo la mattina fino a quando andiamo a dormire, le emozioni sono alla base di ogni nostro atteggiamento e, seppur contribuiscano alla nostra sopravvivenza e sicurezza, non sempre sono positive e piacevoli. D’altro canto anche l’ ansia, sebbene sia vissuta come un’emozione negativa, ha una funzione adattiva: rende consapevole della possibilità che accadano eventi spiacevoli, contrari ai propri desideri e contemporaneamente che è necessario fare qualcosa per evitare questa evenienza. I problemi avvengono quando diventa cronica o troppo intensa, sproporzionata rispetto all’occorrenza di un reale pericolo. In altre parole, le persone che hanno paure inappropriate e irrazionali, sperimentano forti sentimenti di ansia anche quando il pericolo non sussiste o è minimo, sperimentando uno o più sintomi, come:
Respiro corto, affannoso, superficiale; rantoli; oppressione al petto e nodo alla gola; senso di soffocamento; balbuzie;
Sudorazione; prurito; vampate di caldo o freddo; rossore facciale;
palpitazioni; tachicardia; senso di svenimento; aumento o calo della pressione;
Inappetenza; nausea; vomito; dolori o fastidi addominali;
Brividi e tremori; spasmi delle palpebre; movimenti involontari e ripetitivi; sussulti; impulsi a camminare; rigidità; insonnia.

Come l’ansia anche lo stress molto spesso viene visto come qualcosa di negativo, pur rappresentando una risposta del tutto naturale dell’organismo a stimoli interni ed esterni. E’, infatti, la base della nostra sopravvivenza, qualcosa che l’essere umano conosce da più di milioni di anni. Durante la preistoria i nostri antenati si trovavano a dover combattere per proteggere la propria vita ed erano per questo sottoposti a una scelta tra una reazione di attaccare o di scappare.
Nel primo caso, il corpo aveva bisogno di più energia disponibile e, pertanto, erano prodotti due ormoni, l’adrenalina e il cortisolo, che aumentavano la pressione sanguigna, facevano sì che si avvertisse meno dolore da un punto di vista fisico (funzione analgesica) e azzeravano le funzioni temporaneamente meno necessarie come la capacità digestiva o immunitaria. Se lo stimolo non rappresentava più una minaccia, si produceva maggiore morfina. In questo modo si rallentava la produzione di adrenalina e cortisolo, favorendo la riduzione della pressione sanguigna e il rallentamento delle pulsazioni. Analogamente, gli “uomini moderni”, nel caso corressero il pericolo di subire un attacco e avessero il desiderio di restare illesi, potrebbero scegliere se scappare, contrattaccare il nemico, cercare aiuto e così via. Oggi, quindi, si funziona pressoché allo stesso modo dei cavernicoli. Ciò che è cambiato, però, sono i fattori di stress: non più tigri che possono attaccare, ma problemi economici, lavorativi o semplicemente una vita più frenetica. L’ulteriore differenza è che spesso non si può fuggire o attaccare la fonte dello stress con l’esito di esserne esposti per tempi protratti. Pertanto, si corre il rischio di produrre ormoni dello stress, che non si riesce a smaltire, con l’aumento conseguente di disagi e possibili malattie. Il problema non è, pertanto, l’ansia o lo stress in sé, ma quando queste condizioni si protraggono nel tempo.

L’aspetto positivo è che molte ansie e stress sono auto-generate da ogni uomo si può apprendere a eliminarli. Se ci si convince di aver perso il controllo, che i pensieri e sentimenti stanno dominando e schiacciando la propria vita, allora questa convinzione acquisisce talmente tanta forza da apparire reale. In realtà, ognuno è in grado di modificare ciò che pensa, prova e fa.

Tra i metodi scientificamente validi che abbiamo a disposizione, possiamo scegliere di controllare l’ansia e lo stress attraverso l’apprendimento delTraining Autogeno. Con questa tecnica si impara a vivere da “dentro” a “fuori“, ovvero a gestire i propri pensieri, per non reagire semplicemente al mondo esterno e ai suoi stimoli.

Si tratta di una disciplina, proposta per la prima volta nel 1932 dello psichiatra e neurologo tedesco Johannes H. Schultz, attualmente inserita in protocolli evidence-based per il trattamento di:
Ansia e patologie stress correlate;
Disturbi del sonno;
Dissuefazione dal fumo;
Bruxismo;
Patologie con base psicosomatica (es. pressione alta, emicrania, asma, ulcera gastrica, eczema cutaneo, etc);
Percezione del dolore;
Disturbi di concentrazione o di memoria etc.

Il nome fornisce indicazioni sul metodo stesso, ovvero mediante un costante allenamento(training) basato sull’applicazione graduale di esercizi di concentrazione psichica passiva si giunge ad auto-generare (autogeno) una migliore armonia psico-fisica. Tuttavia non è solo uno strumento di rilassamento, bensì una tecnica che produce reali modificazioni sia fisiologiche sia psichiche. Il principio cardine è, infatti, che da un pensiero si può generare una sensazione e quindi un cambiamento corporeo. In altre parole anche in assenza di stimoli concreti, si possono produrre reazioni fisiche attraverso la rievocazione di immagini mentali.
Nella pratica gli esercizi proposti sono in grado di favorire un rilassamento della muscolatura striata e liscia, vasodilatazione e aumento del flusso sanguigno negli organi interni, miglioramento delle funzioni cardiovascolari e respiratorie e leggera vasocostrizione dell’area encefalica.
I benefici sono numerosi: in primo luogo si prevengono disturbi di natura psicosomatica come la gastrite, l’emicrania o la tachicardia, si migliora la memoria e la concentrazione, si superano più facilmente i momenti di stanchezza, aumentano le prestazioni fisiche, lavorative e sportive e, non ultimo, si combatte un carico eccessivo di stress.
A tal proposito basti pensare che un esercizio di Training Autogeno corrisponde a una – due ore di sonno.

Grazie al Training Autogeno cambia il contatto con se stessi, si alleviano ansie e preoccupazioni di varia natura, giungendo a un crescente equilibrio.

Gli esercizi tendono, infatti, a ridurre il rilascio di adrenalina e cortisolo che, come accennato in precedenza, si riversano nel sangue in situazioni di stress. Grazie al training è, quindi, possibile passare gradualmente ad una maggiore consapevolezza e una conseguente possibilità di controllo delle attività muscolari involontarie (come la respirazione), liberandole sempre di più del controllo volontario negativo che costringe a stati di stress.

Dr.ssa Maria Rosita Cecilia

Dal Sito: terremarsicane.it

Attacchi di panico: come curarli?


Gli attacchi di panico, soprattutto la prima volta, sono sconvolgenti. Si prova un senso di irrealtà e soffocamento che sembrano non passare. Ecco cosa fare per contrastare un attacco di panico

Gli attacchi di panico sono una sindrome psicopatologica che si manifesta con episodi di ansia acuta. Quando i rimedi naturali o i farmaci non bastano, è bene rivolgersi a un professionista, uno psicologo o uno psichiatra, che possa affrontare il problema arrivando alle cause scatenanti.


Vediamo quali sono i sintomi di un attacco di panico, come curarli e controllarli.

Tanti impegni, preoccupazioni e ansie spesso diventano ingestibili e, se qualcuno è in grado di controllare lo stress, altri finiscono per soffrire di attacchi di panico. Si tratta di un problema molto più comune di quanto pensiamo, che presenta precisi sintomi fisici e può avere cause diverse. Non esiste una cura specifica per gli attacchi di panico, seppur l’omeopatia possa curare ansia e stress, ma ogni singolo individuo deve intraprendere un percorso per comprendere cosa scatena tale sindrome. In ogni caso è fondamentale sapere cosa fare e come si manifesta un attacco di panico, ma anche come controllare i sintomi di questa patologia.

Attacchi di panico: le cause

Sperimentare un attacco di panico è sempre sconvolgente. In quel momento, infatti, il nostro cervello, così come il corpo, va in tilt, lasciandoci immobili e terrorizzati, incapaci di reagire. Questo problema però si può combattere e sconfiggere, prima di tutto conoscendolo meglio. Quali sono le cause degli attacchi di panico? Certamente la genetica, ma anche lo stress. Altri fattori di rischio sono senza dubbio i traumi, come la morte di una persona cara oppure un incidente, ma anche cambiamenti drastici nella quotidianità e una storia familiare con attacchi di panico.

Attacchi di panico: i sintomi

Come si manifestano gli attacchi di panico? I sintomi di questo problema sono molto vari, ma piuttosto evidenti. Solitamente la sudorazione aumenta, si avvertono tremori, tachicardia, palpitazioni e dolore al petto. In seguito, compaiono anche la cefalea, il senso di soffocamento, dolori addominali e nausea. Durante un attacco di panico spesso si sviene, ma si può anche percepire una sensazione di irrealtà o di depersonalizzazione. Mentre la paura cresce e il corpo va in cortocircuito, si avverte un torpore agli arti e vampate di calore, accompagnati dalla paura di morire o impazzire.

Attacchi di panico: quanto durano

La durata di un attacco di panico varia a seconda della persona che ne viene colpita. I sintomi sono più forti e fastidiosi nei primi dieci minuti e, solitamente, svaniscono in mezz’ora. Nei casi più gravi, invece il problema potrebbe durare anche 24 ore, ma anche ripresentarsi a intervalli regolari, generando un vero e proprio disturbo da panico.

Attacchi di panico: cosa fare

Come controllare un attacco di panico e cosa fare quando si presenta? La prima cosa da fare è imparare a controllare il respiro. Chi soffre di questo problema dovrebbe praticare discipline che favoriscono la respirazione, come lo yoga o intraprendere un corso di meditazione. Un altro segreto è quello di parlare, con sé stessi e ad alta voce, per cercare di sciogliere la paura e l’ansia che in quei momenti blocca qualsiasi reazione. In ogni caso è sempre meglio rivolgersi a uno specialista, per iniziare, se necessario, una terapia farmacologica, ma anche per imparare, attraverso la psicoterapia, a riconoscere quali sono le cause che si celano dietro gli attacchi di panico. Circoscrivere il problema e imparare a riconoscerlo consentirà nel tempo di affrontarlo nel migliore dei modi e di superarlo definitivamente.


Dal Sito: paginegialle.it

Come far fronte all’ansia senza farmaci


Tutte noi abbiamo sperimentato quella sottile sensazione di preoccupazione e tensione che va sotto il nome di ansia, che ci tiene sveglie la notte, ci fa respirare male e avere crampi allo stomaco. Sembrerebbe qualcosa da evitare assolutamente in qualsiasi modo, ma bisogna innanzitutto ricordare che ansia e paura, due emozioni strettamente imparentate fra loro, hanno in origine un ruolo positivo e non sono sempre necessariamente negative.

Come e perché si manifesta l'ansia

Sono infatti la risposta dell’organismo a un pericolo, immediato o futuro, e ci permettono di mobilitare tutte le nostre risorse per evitare o affrontare una minaccia. L’ansia, in particolare, ci aiuta a individuare pericoli futuri e a premunirci: infatti, continuiamo a immaginare ipotetici scenari in cui potremo essere coinvolte e in cui dovremo affrontare situazioni spiacevoli.

È frequente però che l’ansia ad un certo punto fuoriesca dai suoi binari, perda il suo aspetto utile e anzi diventi un’emozione che ci accompagna costantemente, anche per situazioni non particolarmente negative o pericolose. Se capire cosa genera ansia è senz’altro di grande aiuto, anche imparare a controllarla è altrettanto importante. Nessuno infatti sfugge a momenti di panico, neppure le persone più controllate in assoluto.

Come intervenire per sconfiggerla

Cosa fare in questi casi, per tranquillizzarci senza ricorrere subito all’uso di farmaci? Per fortuna esistono molti suggerimenti che possiamo attuare subito prima di diventare preda di uno stato di preoccupazione cronica.

1. Meditare: è stato più volte dimostrato che la meditazione aiuta a calmare la mente e a combattere lo stress e che è efficace anche contro l’ansia. Cercate un luogo tranquillo e silenzioso e sforzatevi di eliminare i pensieri inquieti per concentrarvi sul presente. Sono sufficienti dieci minuti per riconquistare tranquillità e serenità.

2. Respirare: sappiamo tutti che respirare è essenziale per vivere, ma forse non abbiamo mai pensato che ci possa aiutare anche a rilassarci. Invece se ci prendiamo qualche minuto per concentrarci su espirare ed inspirare lentamente, chiudendo gli occhi ed isolandoci dal mondo esterno, porteremo più ossigeno al cervello e più calma in tutto il corpo.

3. Fare sport: allenarsi in modo regolare ci distrae dai pensieri più ansiogeni, innalza l’umore e riduce la tensione muscolare. Inoltre riduce anche i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress per eccellenza e consente di stimolare le endorfine, sostanze prodotte dal cervello in grado di restituire sensazione di benessere a corpo e mente.

4. Immergersi nella natura: sopportare la vita della città e dell’ufficio è senza dubbio fonte di ansia e stress. Per sfuggire ai ritmi frenetici e agli spazi claustrofobici di tutti i giorni allora possiamo evadere in mezzo alla natura e al verde. In Giappone e negli USA è una pratica molto diffusa il cosiddetto forest bathing, letteralmente un "bagno nella foresta" (ma è sufficiente un parco cittadino o un giardino). Si basa sul principio che quando siamo stressate, probabilmente abbiamo solo bisogno di silenzio, spazio e natura intorno a noi per distendere i nervi. Si può camminare lentamente, sedersi vicino a un albero oppure sdraiarsi nell’erba e a poco a poco avvertire un grande senso di calma che si impadronisce di noi.

5. Prendersi cura di sé: prendersi momenti di riposo, cercare di dormire per un numero sufficiente di ore, evitare le sostanze stimolanti come caffè, tè o nicotina, limitare il consumo di alcool, mangiare in modo sano ed equilibrato sono tutti metodi per prendersi cura del proprio corpo e per avere sufficienti energie per affrontare le giornate.

Anche ritagliarsi durante la settimana dei momenti in cui dedicarsi esclusivamente ad attività piacevoli e rilassanti per noi e farli diventare dei piccoli appuntamenti con se stessi può aiutare a essere più tranquilli e sereni. Si può scegliere un bagno caldo e profumato, guardare un bel film, leggere un buon libro, mettere le cuffie e ascoltare la nostra canzone preferita: qualsiasi cosa scelta da noi per noi stesse può essere un toccasana per il nostro umore e per controllare i nostri momenti d’ansia.

Questi consigli non vogliono porsi come risolutivi del problema o sostituti della terapia farmacologica: il consiglio in caso di attacchi di panico o sensazione di forte stress e ansia costante nel tempo è quello di rivolgersi al medico. Sarà lei a indirizzarvi verso uno/una specialista che potrà aiutarvi a riconoscere i sintomi più profondi del vostro malessere e indicarvi la via più giusta (farmacologica, psicoterapica o, di solito, una combinazione di entrambe) da seguire per sconfiggerlo.

di Francesca Saracino

Dal Sito: donnamoderna.com

Giramenti di testa improvvisi: cause e cosa fare


Con l’espressione “giramento di testa” si intende solitamente una condizione fisica caratterizzata da una serie di sintomi precisi, dalle vertigini alla debolezza, dal pallore improvviso alla perdita di equilibrio, dall’aumento della sudorazione alla nausea fino all’annebbiamento della vista, che talvolta culmina con la sensazione di svenimento e con la perdita dei sensi vera e propria. Questo disturbo colpisce le persone di entrambi i sessi e di qualsiasi età, può essere un malessere passeggero oppure ripetersi con una certa frequenza tanto da compromettere la qualità della vita di chi ne soffre: in questo secondo caso, è doveroso rivolgersi al medico per indagare sulle cause scatenanti, sottoponendosi a specifici screening e prendendo in considerazione una terapia adeguata.

Talvolta la comparsa dei giramenti di testa rappresenta il sintomo di una malattia o di una disfunzione più o meno grave, sebbene un episodio isolato possa insorgere come reazione a situazioni o disturbi di vario tipo.
Le cause possibili
Come accennato, le cause responsabili di provocare fastidiosi mancamenti e giramenti di testa sono numerose e molto diverse tra loro. In alcuni casi il medico potrebbe suggerire esami specifici sia ematici – come l’emocromo – sia di secondo livello come una TAC o un controllo presso l’otorinolaringoiatra per verificare la salute dell’orecchio. 

Tra le cause più comuni compaiono:

movimenti improvvisi, come alzarsi dal letto;
disidratazione;
eccessiva debolezza dovuta alla mancanza di sonno o a una alimentazione insufficiente;
stress;
ansia e attacchi di panico;
disturbi collegati all’orecchio;
ipoglicemia;
ipertensione;
pressione bassa;
anemia;
artrosi cervicale;
sbalzi ormonali;
sinusite;
cinetosi o chinetosi, ovvero il comune disturbo neurologico che provoca mal d’auto o il mal d’aria;
stato di gravidanza;
disturbi digestivi come la gastrite o il reflusso gastroesofageo.
Consigli e rimedi naturali
Per placare i giramenti di testa improvvisi è determinante comprenderne l’origine, adottando la soluzione più efficace per risolvere il problema ed eliminare questo fastidioso sintomo. I possibili rimedi naturali sono numerosi, tuttavia la loro efficacia dipende proprio dall’individuazione della causa scatenante.

Se è vero che bere acqua o altre bevande aiuta a risolvere il malessere qualora sia dovuto a una condizione di disidratazione, è anche probabile che un giramento di testa causato da un calo di zuccheri si risolva proprio assumendo questa sostanza anche in piccole quantità. In caso di pressione bassa, invece, sdraiarsi e tenere le gambe sollevate rappresenta la soluzione più giusta per evitare uno svenimento così come bere poca acqua con l’aggiunta di sale.

Ecco altri possibili rimedi naturali:
quando il giramento di testa è generato da disturbi gastrici è utile assumere un infuso a base di zenzero oppure un bicchiere di latte dopo aver lasciato in infusione una foglia di basilico;
in caso di ansia o attacchi di panico, invece, un rimedio da usare nell’immediato prevede l’uso di passiflora, melissa, valeriana o fiori di lavanda per realizzare un infuso da sorseggiare durante la giornata;
quando dietro il giramento di testa si cela un disturbo che riguarda la cervicale, infine, applicare sulla zona interessata dell’arnica o del gel a base di artiglio del diavolo può aiutare a trovare sollievo.

Il racconto della dottoressa Annamaria Veronesi: «Così ho sconfitto il panico»



Gli attacchi d’ansia limitano la vita a un numero sempre maggiore di persone. Ma ci sono soluzioni gentili per liberarcene, come ci spiega la dottoressa Annamaria Veronesi. Basandosi non su teorie ma sulla sua (dolorosa) esperienza

Ansia, panico, paura abbattono la qualità di vita di sempre più persone (il 30% della popolazione occidentale, secondo l’OMS), manifestandosi all’improvviso oppure con un crescendo lento. Per fortuna esistono soluzioni gentili che possono liberarci dalla “paura di avere paura”, sprigionando una potente energia di cambiamento. La storia di Annamaria Veronesi ne è un esempio. Medico, pur lavorando con successo viveva nel timore di non farcela e cercava di dare sempre di più, tenendo ogni cosa sotto controllo. Poi sono arrivati gli attacchi di panico. Aveva 40 anni. Oggi ne ha 59, e qui ci racconta come ne è uscita diventando un’altra donna.
Ha un motto: “Anche tu lo puoi fare”. Ecco la sua storia.
Fuori copione
Tutto iniziò nel 2002 quando, in autostrada con mio marito per un weekend al mare, il mio cuore iniziò a battere all’impazzata. Mi mancava l’aria, sudavo, credevo di morire. Una, due, tre soste in autogrill non bastarono a calmarmi: se tornavo in macchina, tutto ricominciava. Facemmo dietrotrofront verso casa. Poi non successe più nulla e mi sembrava di stare bene, ma dopo 20 giorni su un aereo ebbi un altro attacco, peggiore del primo: era come soffrire di vertigini e trovarsi sul cornicione di un palazzo al trentesimo piano. Con un terrore che ti prende senza preavviso, dura un paio di interminabili minuti e poi se ne va, lasciandoti con la paura che possa tornare ancora. Ed è proprio questa paura della paura a paralizzarti la vita, limitandoti sul piano sociale, lavorativo, affettivo. Una schiavitù spesso tenuta nascosta persino a se stessi, sperando che non torni più. Invece la prima cosa da fare è chiedere aiuto.Anche tu lo puoi fare”. Ecco la sua storia.


Scopri chi sei
Quando decisi di rivolgermi a un amico neurologo mi sentivo in preda a un controsenso: ero un medico affermato, una donna estroversa, con mille cose da fare. Perché proprio a me? Cosa aveva innescato questa bomba atomica nella roccaforte delle mie sicurezze? Non volevo prendere psicofarmaci perché temevo che mi avrebbero tolto il controllo sulla mente. Però avevo una bimba piccola, che non doveva crescere condizionata dal mio problema. Così dissi al neurologo che volevo curarmi ma non “impasticcarmi” e lui mi indirizzò verso una psicoterapia cognitivo-comportamentale. Questo mi aiutò ad accettare l’idea di assumere degli ansiolitici e l’accoppiata psicologa-farmaci mi portò in una condizione di sufficiente tranquillità per iniziare a occuparmi veramente di me. Iniziai a guardarmi dentro e scoprii che c’era un’altra donna, nel profondo di me, davanti cui mi ero tappata gli occhi, le orecchie e, soprattutto, il cuore. Era una donna fragile, delicata, insicura e tenera. Tutto il contrario di quella con cui mi ero sempre identificata.

Primo: non scappare
La mia bravura fu quella di non scappare, di osservare e riconoscere che, da troppi anni, stavo vivendo un copione non mio: mi ero lasciata condizionare dalle aspettative dei miei genitori, di mio marito, dal nostro status sociale. Gli attacchi di panico quindi non erano una malattia ma un segnale forte della necessità di cambiare. Ora so che è molto comune: persone efficienti, a furia di controllare che tutto vada bene e sia perfetto, si dimenticano dei loro reali bisogni. E non capiscono che l’unico territorio su cui puoi esercitare il controllo non è all’esterno, ma dentro di te. Ma puoi farlo solo se ti conosci nel profondo. E quando inizi a stare bene non devi interrompere il cammino: è il momento in cui spiccare il grande salto. Io l’ho fatto. A 47 anni ho cambiato lavoro, ho chiesto la separazione. E quando la psicoterapia si è conclusa, mi sono detta che non avrei più chiuso gli occhi di fronte a me stessa. Per questo ho iniziato a meditare.


Medito ergo sum
All’inizio ho frequentato dei gruppi che meditavano recitando un mantra: ripetevo, ripetevo, ma dentro di me non cambiava nulla. Poi ho provato le meditazioni di Deepak Chopra e infine sono approdata alla mindfulness secondo la tradizione del monaco vientamita Thich Nhat Hanh. Poiché sono un medico, non una religiosa, avevo bisogno di concretezza, di un addestramento sistematico che mi aiutasse a sviluppare consapevolezza e padronanza sulle mie reazioni emotive. In due mesi, sotto la guida di un’insegnante, ho imparato a “ricentrarmi” in qualsiasi situazione, prendendo coscienza delle mie emozioni e dei miei pensieri senza farmi trascinare via. Mi ha permesso di accogliere tutto ciò che c’è in me – anche la paura – senza paura.

Attraversare il ponte
La prova del nove è stata ricominciare a viaggiare. Ho deciso di andare a New York con mia figlia e abbiamo prenotato il volo. A qualche giorno dalla partenza, notando la preoccupazione che saliva, semplicemente l’ho osservata e mi sono detta: io non sono più la donna di prima! In effetti, tutto è filato liscio. Poi c’è stata la camminata sul ponte tibetano! Soffro di vertigini, figuratevi avanzare sospesa nel vuoto. Eppure ho attraversato lo spazio tra paura e coraggio. Dopo i primi 50 metri ho iniziato a praticare la meditazione camminata: lentamente, un passo dopo l’altro, tenevo tutta l’attenzione nella pianta dei piedi, ascoltando le sensazioni del corpo. Un’ora e mezza per andare e tornare… Ma l’ho fatto!

Consigli dal cuore
Le pazienti mi chiamano “la dottoressa del cuore” ed è parlando al vostro cuore che vi assicuro: la paura è il più forte richiamo ad ascoltarci. Ne uscirete non combattendola, ma abbracciandola. Non fuggendola, ma osservandola così come si presenta, con quel volto terribile che non vorreste mai vedere. È lei il fantasma che scatena terrore. Ma come ogni fantasma si presenta al buio. E svanisce quando lo inondi di luce. Con la meditazione di consapevolezza il processo si fa veloce e gentile: impari ad entrare in contatto con le tue ferite senza dolore. Ti senti più vicina a te stessa così come sei e scopri che puoi prendere ogni tua parte per mano e insegnarle ad andare avanti con amore. Un passo dopo l’altro. Insieme.
CONSIGLI CONSAPEVOLI

Ecco cosa Annamaria Veronesi suggerisce a chi vuole superare ansia, panico e paura
1- Riconosci il problema. Molti lo nascondo agli altri, per vergogna, ma soprattutto lo nascondono a se stessi pensando che, magari, domani passerà. Ebbene, non è così. Quando il segnale scatta, è importante ascoltarlo. E non prenderlo come un sintomo di squilibrio mentale: è uno squilibrio esistenziale quello che va sanato. Il tuo corpo, per fortuna, ti sollecita a farlo.

2 – Non pensare di poter fare da soli. Chiedi aiuto. A una terapeuta e a un insegnante di meditazione: se sono validi, assieme ti traghetteranno verso la nuova te stessa.

3 – Non fermarti. Due nemici del percorso sono il dubbio (“Ce la farò mai?”) e l’illusione di essere arrivata (“Ora sto bene, non c’è bisogno di cambiare”). Quando si manifestano, non farti condizionare e non fermarti.

4 – Mai dire “ormai”. Ho pazienti trentacinquenni che mi dicono: “Ormai… cosa ci vuoi fare?”. In realtà la parola “ormai” per noi non esiste: come il respiro, la nostra vita ricomincia in ogni momento. Quindi, indipendentemente dall’età, il momento giusto per cambiare è proprio ADESSO.

5 – Sii costante. I risultati sono proporzionali alla costanza: per questo medito appena mi sveglio, tutti i giorni. Poi mi lavo, mi vesto ed esco dotata degli strumenti che mi consentiranno di essere me stessa in ogni occasione.

6 – Non pensare di non aver tempo. Molti mi dicono: “Adesso non ho tempo per queste cose!”. Ebbene: è una scusa autoboicottante. Io mi alzo 20 minuti prima e, quando tutti dormono, trovo la miglior condizione di silenzio e calma per sedermi, ascoltare la mia mente, accogliere ciò che si manifesta
e, con un sorriso, lasciarlo andare.


di GRAZIA PALLAGROSI

Dal Sito: www.iodonna.it