venerdì 27 marzo 2015

Smartphone, tanto lo usi, tanto sei depresso

Secondo uno studio statunitense, spesso vi è proporzionalità diretta tra uso dei supporti mobili come tablet e cellulari e instabilità emotiva. I timidi sono meno a rischio di dipendenza da cellulare.
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Smartphone nella mano sinistra, indice della destra sul tastierino ed occhi incollati sullo schermo: se questa è l'immagine di voi che più spesso ricorre nella mente di chi vi osserva, fate ben attenzione. Secondo gli scienziati della Baylor University in Texas la dipendenza da telefonino è maggiormente correlata all'instabilità emotiva e dunque al rischio di depressione. L'uso dei supporti mobili, se frequente e non legato a reali necessità impellenti, può essere lo specchio di un soggetto che, non volendosi soffermare su se stesso, sui propri problemi e sui pensieri negativi, sfugge a sé riparando nel mondo dell'informazione on line e dei legami sociali telematici. La fuga non è, ovviamente, la cura. Il conto con se stessi è soltanto rimandato, di solito nel momento in cui il soggetto è sprovvisto del suo supporto perché rotto, scarico o senza copertura di rete. Gli studiosi hanno sottoposto un questionario a 346 soggetti di entrambi i sessi e di età compresa tra i 19 e i 24 anni. Sulla base delle risposte, si è valutato il grado di dipendenza, il numero e la "qualità" delle volte che si ricorre alla tecnologia. I ricercatori hanno anche concluso che i soggetti più timidi e riservati sono meno a rischio di dipendenza da cellulare. Paola Vinciguerra, psicoterapeuta e presidente di Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico), avverte però che oggi siamo tutti sull'orlo di una ‘cellular addiction' che può diventare cronica senza che ce ne accorgiamo.Il cellulare copre le nostre ansie e quando per qualsiasi motivo viene a mancare, perché il telefonino è scarico, per problemi di rete o quant'altro, queste riaffiorano violentemente creandoci un malessere che se non individuato e affrontato può tramutarsi negli anni in Dap: disturbo da attacco di panico
La ricerca americana fornisce un nuovo argomento a chi, da tempo, invita ad usare smartphone e tablet con maggiore attenzione. A chi aveva evidenziato i pericoli di natura strettamente fisica - perché tali supporti fanno male alla postura, agli occhi, persino alla qualità del sonno - lo studio della Baylor University fornisce una lettura strettamente psicologica del problema. Il legame tra malessere psichico e un determinato uso di Internet era stato già rilevato da un precedente studio americano, secondo cui è possibile scoprire i segnali della depressione anche da come si naviga in Rete. E il cellulare, ormai, si usa soprattutto per essere costantemente connessi al Wide World Web.

lunedì 16 marzo 2015

Storie di Panico: Amico sono qui! di Angelo Barone



Sono sempre stato un ragazzo ansioso, ma solo in età adulta ho avuto modo di capirlo. Non vedevo l’ora di finire di fare una cosa per iniziarne subito un’altra. Avevo sete di mettermi in mostra e di fare sempre di più e sempre meglio. Darsi degli obiettivi e tenersi occupati è la chiave per avere successo, ma delle volte non si riesce ad assaporare fino in fondo quello che si sta facendo e si finisce per mettere in pratica una sorda corsa. Più che correre, forse stavo scappando. Solo che non l’avevo ancora capito, o forse, l’ho fatto quando era tardi.

Tutto è iniziato quasi due anni fa quando stavo per terminare gli ultimi esami universitari e nel frattempo mi mantenevo con un lavoro in un centro scommesse. Non contento di quanto già facessi, svolgevo anche il praticantato sullo studio di un commercialista della mia città. Lavoravo praticamente tutto il giorno e la sera, quando ero ormai sfinito, prendevo i miei amati libri e studiavo fino a quando riuscivo a mantenere gli occhi aperti.

Il lavoro però mi stressava. Senza considerare che lavorando in un luogo così triste e cupo, si finisce irrimediabilmente per assorbire la negatività tipica di quell’ambiente. Avrei dovuto staccare, prendermi del tempo per me. Avevo bisogno di pace e tranquillità.

Non vi ho ancora detto tutto.

Purtroppo mia madre, già malata da diversi anni, non rispondeva più ai farmaci. Leggevo nei suoi occhi lo strazio di chi ormai conosce già il suo destino e non può fare nulla per cambiarlo. In meno di una settimana non era più auto sufficiente. In meno di un mese è volata in un posto bellissimo. 
Ricordo nitidamente cosa provai in quell’istante. Un bruciore così forte da distruggere ogni tipo di reazione.

Disarmante. Invalidante. Queste sono le parole giuste.

Dal quel momento in poi ho fatto il conto con tutto quello da cui stavo scappando. Non riuscivo a scendere dal letto neanche per mangiare. Avevo la sensazione che la mia mente scivolasse via … lontana da me.

Anche solo andare a comprare il pane a pochi metri di distanza da casa era diventato per me impossibile.
L’ansia mi aveva fatto perdere la mia centralità. Si era portata con se la parte migliore di me. Non riuscivo più ad immergermi nella semplicità della vita e la concepivo come un concetto complicato, impegnativo, non alla mia portata.

È difficile trasformare in parole le sensazioni che l’ansia ed il panico ci trasmettono; è come avvertire qualcosa che ci spinge a correre ed a scappare e ci provoca delle sensazioni tanto reali da farci cadere nell’inganno più sincero.

Più ho provato a controllare le mie reazioni più facilmente ne cadevo preda.

Einstein diceva sempre che la logica ci porta da A a B. La fantasia e l’immaginazione dovunque. A me successe una cosa simile. Inventai una nuova realtà che io credevo fosse autentica, di cui avevo sia creato le regole che esserne il primo a farne le spese. In questo “gioco” ero sia il burattino che il burattinaio.

Ho corso e sono scappato così tante volte da perderne il conto, quando un giorno, con il cuore che batteva all’impazzata, la sensazione di non avere neanche più un briciolo di forza, mi sono voltato indietro … ed ho capito che non c’era nessuno ad inseguirmi.

Oggi, con impegno e volontà posso dire di aver superato la fase peggiore e di essere sulla buona strada per uscirne definitivamente.

Ho voluto condividere con Voi tutte le mie conoscenze, le tecniche e le informazioni che ho acquisito scrivendo un libro,  Amico sono qui! con la speranza, che sia di aiuto per tutti quelli che ancora vivono appieno il disturbo.



Concludo ripotandovi quando segue:

Un giorno la paura bussò. Il coraggio si alzò e andò ad aprire e vide… che non c’era nessuno.
(Martin Luther King).
Tutti i limiti sono una nostra ideazione.
La forza è dentro di noi … sappiamo esattamente dove si trova … non dobbiamo cercarla altrove.

Spero di cuore di esservi stato di aiuto.


Angelo Barone

Zero Ansia.it 

mercoledì 11 marzo 2015

Attacco di panico: che cos’è e come funziona?

L’Attacco di Panico è un periodo di paura o disagio intensi in assenza di vero pericolo e accompagnati da almeno sintomi cognitivi o somatici. L’attacco di panico raggiunge rapidamente l’apice e si manifeste con breve durata, solitamente non superiore ai 10 minuti.
Gli attacchi di panico possono essere
(1) inaspettati quando non è possibile associare l’attacco a un fattore specifico preciso,
(2) sensibili alla situazione se sono associati a contesti specifici (es: la guida in autostrada).

I sintomi che possono caratterizzare l’attacco di panico sono: palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia, sudorazione, tremori fini o a grandi scosse, sensazione di soffocamento, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento, derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi), paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire, parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio), brividi o vampate di calore.

Il circolo del panico si fonda sulla paura della paura, cioè il timore di tutti quei segnali fisici che corrispondono alla paura (es: affanno, tachicardia, brividi, pressione al petto ecc…). La paura è un emozione che si attiva quando l’individuo percepisce una minaccia. La paura prepara il corpo a reagire a questa minaccia. 

Cosa succede quando uno dei segnali corporei della paura viene esso stesso interpretato come una minaccia (paura della paura)? Il corpo reagisce aumentando i segnali della paura. Si innesca in questo modo un vortice di apprensione e la paura si trasforma in panico.
Il vortice del panico è favorito dal fatto che il cambiamento fisiologico iniziale è spesso improvviso e inspiegabile. Il panico può spaventare a tal punto da diventare oggetto di preoccupazione anticipatoria. Cioè la persona può iniziare a temere di avere nuovi attacchi di panico.
Il rischio è reagire evitando tutte le situazioni che possono attivare un attacco di panico oppure affrontare le situazioni solo se accompagnati da qualcuno. In questo modo si innesca un problema di agorafobia, intesa come la paura relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali può essere difficile (o imbarazzante) allontanarsi, o nei quali può non essere disponibile aiuto in caso di un improvviso attacco di panico. Una delle conseguenze pericolose dell’agorafobia è quello di ridurre l’autonomia e rinunciare ad attività quotidiane piacevoli o utili per la soddisfazione personale.
Gabriele Caselli


State of Mind

giovedì 5 marzo 2015

Ansia, un nemico che può essere sconfitto

Nella quotidianità si può provare ansia, per esempio in vista di un esame o di un compito importante che richiede attenzione e concentrazione. Questa forma d’ansia può essere di tipo adattivo, cioè svolgere la funzione di mettere in guardia l’individuo rispetto a una situazione pericolosa, attivandolo a reagire in modo da evitare il pericolo.
Se l’ansia è eccessiva, difficile da gestire e costante nel tempo, la normale preoccupazione dell’individuo può diventare disturbo.
In questo caso l’ansia causa uno stress significativo che interferisce con le attività lavorative e sociali. La qualità della vita delle persone con il disturbo d’ansia è compromessa dalla costante preoccupazione rispetto al futuro, per le circostanze della vita o per la possibilità che succeda qualcosa di male a propri cari e per vari altri aspetti della vita.
L’ansia, come la maggior parte dei sintomi psichici, è determinata da varie tematiche e spesso può essere collegata dalla persona a una paura specifica cosciente, più tollerabile della paura inconscia. Altre persone invece, possono non avere idea di ciò che li rende ansiosi.
Episodi di ansia acuta possono scaturire attacchi di panico che generalmente durano solo alcuni minuti, ma causano una profonda angoscia nell’individuo.
La sensazione di soffocamento, le vertigini, la sudorazione, il tremore e la tachicardia che compaiono all’improvviso, sono i sintomi fisiologici dell’attacco di panico e le persone che ne soffrono spesso hanno la sensazione di morire.
La possibile perdita di controllo delle proprie idee e delle proprie azioni può lasciare nella persona una paura di fondo che se non risolta causa seri problemi nella vita quotidiana.
Data la ricorrenza degli episodi di panico, la persona può sviluppare una forma di ansia anticipatoria, inizialmente a livello inconscio in risposta a una situazione temuta, poi gradualmente a livello consapevole e riconosciuta nella preoccupazione costante di quando avverrà l’attacco successivo.
L’individuo inizialmente può evitare per esempio di andare al supermercato, prendere l’ascensore o guidare, in seguito le limitazioni possono diffondersi in molti altri contesti.
Molte persone vivono la paura di essere in una situazione in cui la fuga può essere difficile.
Questo timore può instaurare nell’individuo dei comportamenti di evitamento di tutte quellesituazioni che potrebbero essere fonti di disagio, diventando un forte limite nella sfera sociale, affettiva e dell’autonomia.
Il senso di demoralizzazione può essere centrale nell’individuo che non vede via d’uscita dal disturbo e la paura di dover affrontare da solo un altro attacco di panico può ridurre drasticamente l’autonomia della persona che tenderà a ricercare costantemente la presenza di parenti e amici che lo aiutino a sentirsi più sicuro.
L’ansia è segnale di pericolo proveniente dall’inconscio e originato da un conflitto interno, per questo una maggiore conoscenza e padronanza di se stessi può permettere di affrontare certe preoccupazioni in modo più solido.Tale obiettivo è raggiungibile attraverso la psicoterapia che in alcuni casi può essere associata a una terapia farmacologica.
Elisabetta Zamparini
elisabetta.zamparini@gmail.com

Viterbo News24

domenica 1 marzo 2015

Storie di Panico: IO VOGLIO FARCELA, CE LA STO FACENDO, CE LA POSSIAMO FARE - Nadja



Avevo sette anni quando mia madre si ammalò di cancro e undici quando morì, dopo quattro lunghi anni di ospedale e sofferenze.
Mio padre ne aveva trentanove anni (come me oggi) e tre figli (ne ho tre anch'io) e si ritrovò vedovo,  solo, perso .
La gente iniziò a dirgli che se non si rifaceva una famiglia gli avrebbero tolto noi tre.
Fu così che a nove mesi dalla morte di mamma si risposò con un'estranea vista un paio di volte(matrimonio combinato da gente che non si fece gli affari propri).
Iniziò l' inferno, quello vero, era cattiva, ci ha sempre trattati meno di zero, diceva che non volevamo niente, tutto e tutti erano meglio di noi.
Dopo qualche anno però mi arriva un fratellino, un sorso di vita dato che avevo rasentato il suicidio più volte.
Nonostante tutto quel bimbo mi cambiò la vita, me lo sono cresciuto con un amore senza confini.
Cresce lui, cresco io, mi diplomo, i primi lavoretti, mi fidanzo quattro anni ma non va, lo lascio, cambio e mentre lavoro, prima come segreteria poi in un negozio (andavo a lavoro sempre in jeans e maglione) da entrambi i datori subisco un brutto tentativo di violenza, le mani addosso me le hanno messe, il resto no, perché ho avuto la freddezza e la lucidità di reagire con sonore ginocchiate proprio lì!.
Taccio, sto male, lo dico solo a quello che all' epoca era il mio ragazzo che mi dice: che ti aspettavi? sei attraente  è normale che ci provano", agghiacciante!!
Gli ho detto addio.
Trovo altri lavori, tra cui il porta a porta ed è così che conosco un ragazzo diverso, dolce, affettuoso, ed è colpo di fulmine per entrambi.
Senza dir nulla a nessuno decidiamo di sposarci e di avere un figlio.
Le famiglie le avvisiamo quasi all' ultimo, capirai, matrimonio e pure incinta, ma non potevamo dire la verità, che lo avevamo deciso.
Tutti contro ed ebbi il mio primo attacco di panico, non sapevo cosa fosse ma il mio lui mi rimase accanto.
La prima casa, la prima figlia, decidiamo di avere un altro bimbo che arriva quando la prima ha due anni.
Il piccolo compie sei mesi, di lì a poco esplode la bomba, sono a lavoro, un attacco di panico terribile, "stavo morendo, ne ero certa", il capo mi porta al pronto soccorso, panico e ansia mi dicono, non ci credevo, come era possibile? Madre e moglie felicissima.
Di lì a poco tracolla anche la salute, mentre i bimbi dormivano leggevo un libro, d' un tratto il buio, cecità totale per diversi secondi, penso vabbè sarà il panico, lo sto curando (e stavo molto molto male con panico, ansia, agorafobia, depressione).
Succede di nuovo il giorno dopo, a piedi per strada, buio, mio suocero mi porta in ospedale, ricovero ed intervento urgente per glaucoma congenito che terrò sotto controllo.
Ansia e panico non migliorano, subentrano problemi alle ossa, per cui mi asportano parte delle ossa ai piedi e le sostituiscono con placche al titanio, due interventi in sei mesi, sempre più giù con la depressione.
L' anno dopo sollevando una busta con due litri di latte avverto un dolore lancinante all' addome, un grosso bozzo vicino la cicatrice dell' appendicectomia, penso sia un' ernia, di corsa in ospedale "era un rene finito avanti e incastrato sotto il duodeno, intervento d' urgenza, dieci giorni a letto immobile.
D' ora in avanti non potrò più lavorare, sollevare pesi né prendere in braccio i miei bimbi! Che botta.
Mi riprendo, ma depressione, ansia e panico peggiorano finché l'anno dopo mi viene una emiparesi, tutto il lato sinistro del corpo paralizzato, un mese di ospedale di risonanze, fisioterapia per sentirmi poi dire che era causata da un accumulo di stress, e ci credo.
Cambio psichiatra, mi tolgono l' antidepressivo perché quelli adatti al caso mio sono nocivi per il glaucoma (nel frattempo gli occhi peggiorano mi si restringe il campo visivo e nessuno sa perché, ad oggi sono cieca per metà all' occhio destro e appena appena un angolino al sinistro, la cosa lentamente progredisce, mi hanno solo detto che se non si scopre cosa sia vado incontro all' ipovedenza).
Nel frattempo nonostante ciò è due aborti spontanei, seppur in gravidanza a rischio riesco ad avere il mio terzo figlio, passa tutto, ansia,  panico, finché una sera i miei bimbi ed io veniamo aggrediti da dei vicini che dicevano di non sopportare il pianto del piccolino, riusciamo a rintanarci in casa,  chiamo mio marito e i carabinieri che però non possono far niente.
Ed ecco anni di panico, depressione, paure, più forti che mai.
Nel giro di tre anni vengo poi operata quattro volte al seno, con tanto di mastectomia bilaterale, infezioni, dolori, nuovo intervento, cinque ore sotto i ferri.
Sta volta però mi arrabbio con me stessa di brutto, mi dico "basta" CE LA DEVO FARE, NÉ DEVO USCIRE.
Mi cambiano ansiolitico, al consultorio trovo una bravissima psicoterapeuta che in due anni mi rende la vita totalmente diversa, mi fa vedere il bicchiere mezzo pieno e non quello mezzo vuoto, mi fa vedere la luce e non il buio o la penombra.
In tutto ciò ho sempre avuto accanto mio marito (solo all' inizio non mi aiutava perché non mi capiva).
Oggi a trentanove anni con un marito stupendo, tre figli meravigliosi posso affermare di stare molto molto meglio.
Non sono ancora guarita (anzi la recente scomparsa della mia adorata suocera mi sta facendo vacillare), ma riesco a godermi la vita, mi gira il mondo, barcollo, però mi aggrappo a mio marito o ai miei figli e vado, non rinuncio più.
Non ho neanche finito con gli interventi ma per ora non ci penso e finché gli occhi mi concederanno di vedere, mi guarderò i miei quattro amori crescere con me.
Che ne dite? me li posso permettere gli attacchi di panico? io credo di sì eppure so che ne uscirò.
IO VOGLIO FARCELA, CE LA STO FACENDO, CE LA POSSIAMO FARE.
Nadja