sabato 30 giugno 2018

Superare l’ansia da prestazione



La paura del fallimento, una scarsa autostima, la mancanza di forze possono bloccarci. Bisogna dunque imparare a gestire ciò che proviamo e ad andare avanti, un passo alla volta.

Cosa accomuna una venticinquenne appena laureata che vuole trovare lavoro, una trentasettenne libera professionista che vuole aumentare il numero dei suoi clienti, un cinquantenne che vuole far sopravvivere la sua azienda, un diciannovenne che vuole superare l’esame in modo eccellente? Sono tutte persone focalizzate sul voler ottenere dei risultati finali(obiettivo-risultato), delle conclusioni che hanno degli esiti specifici. Ciascuno di loro ha un obiettivo da voler raggiungere, seppur ancora non perfettamente chiaro e definito, ma cosa gli permette di arrivare al traguardo? E dopo che hanno raggiunto la linea di arrivo, sono sicuri di aver trovato la felicità?

Probabilmente appena giunti alla meta avranno già il prossimo obiettivo. In alcuni casi la corsa si blocca all’inizio del percorso con uno stallo dovuto all’ansia di raggiungere un risultato, un sogno che sembra lontano e inafferrabile, conflittuale con le esigenze del momento. A volte si resta immobilizzati guardando l’obiettivo, «lo desidero tanto ma… non ce la farò mai!».

L’immobilità può essere dovuta a vari fattori, molto spesso la rintracciamo nella paura del fallimento o nel non “sentirsi all’altezza” (per scarsa autostima), si ha la percezione che il tempo necessario sia infinito, di non avere le forze per affrontare ostacoli interni ed esterni. Come uscire allora da questa impasse frustrante e disarmante?

Questi obiettivi-risultato si possono trasformare (senza perderne il contenuto) in obiettivi-performance, caratterizzati da strategia e azioni, da un percorso. Il risultato non va abbandonato, ma va visualizzato, in esso si trovano i sogni e i desideri più profondi che animeranno e motiveranno le azioni e l’energia necessaria per realizzarli.

Per essere efficace un obiettivo innanzitutto deve essere chiaro, specifico, definito nel tempo, misurabile, condivisibile. La definizione non deve generare ansia, al contrario deve essere caratterizzata da tutto ciò che è sotto il governo della persona. Dopo aver chiarito bene qual è l’obiettivo da voler raggiungere, occorre quindi tradurlo in azioni semplici e motivate. Quindi si può trasformare in una serie di “azioni per”, rivolgendo la concentrazione su quest’ultime. Per il giovane inoccupato la performance sarà, per esempio, attuare una ricerca attiva del lavoro e definire un’ottima presentazione del proprio profilo sul web. Nel caso dell’azienda un obiettivo performance può essere apportare un miglioramento specifico al prodotto realizzato. Nel caso dell’esame può essere concentrarsi totalmente sui contenuti, con un programma di studio ben definito, piuttosto che pensare continuamente al professore. Nel caso del libero professionista concentrarsi su tutte le azioni di autopromozione piuttosto che su quello che fanno i propri competitor.

Se ripartiamo da cosa si può fare, da azioni piccole e concrete, ci accorgeremo che dal punto di partenza a quello dell’arrivo c’è una scala fatta di tanti gradini che ogni giorno possiamo percorrere, uno dopo l’altro.

Dopo aver realizzato le performances, arrivati ad uno scalino, è importante auto-valutarsi, anche solo incoraggiarsi perché l’abbiamo raggiunto (chissà con quale fatica e impegno), riconoscere ciò che è andato bene del proprio comportamento e ciò che ancora può migliorare.

A volte non è facile ammettere gli errori, ma è solo integrandoli al percorso che si può imparare, dal passato apprendiamo elementi di miglioramento che fanno sì che la nostra storia si arricchisca ogni giorno. È possibile che ad un certo punto della salita ci saremo scordati di avere l’ansia, perché effettivamente non c’è più, e probabilmente non ricorderemo di aver fatto tutta quella fatica nel superare il blocco, ma ricordare di aver superato tutto questo potrebbe essere importante… Un giorno potrebbe servirci!

Dal Sito: cittanuova.it

Come superare la paura di volare



Sette italiani su dieci hanno paura di prendere l’aereo: dalle bevande alle distrazioni, ecco come gestire la propria ansia in volo.

Pronti per le vacanze? Sole se la destinazione non è troppo lontana: 7 italiani su 10 infatti hanno paura di volare e preferiscono viaggiare in treno, auto o nave. Questo il risultato di un sondaggio realizzato da Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico), a cui hanno risposto 568 persone tra i 25 e i 65 anni.

A monte delle paure dell’aereo ci sono diverse cause: il 77% delle persone teme un possibile attentato, il 67% detesta l’aereo perché ha la sensazione di non avere il controllo del mezzo e quindi della situazione e il 69% preferisce spostarsi con mezzi alternativi come il treno (37%) o altri mezzi su strada (45%). Solo il 17% degli italiani ama prendere l’aereo per raggiungere le mete dei loro viaggi.

Nell’epoca in cui si può raggiungere qualsiasi luogo del mondo e, grazie alle compagnie aeree low-cost, tutti possono viaggiare all’estero, a fermarci è la paura: “Sono dati allarmanti, quindi è necessario tentare di risolvere, o almeno imparare a gestire questa forte ansia, che conduce alla paura di volare”, dice la psicoterapeuta Paola Vinciguerra, presidente di Eurodap e direttore scientifico di Bioequilibrium. Di seguito alcuni consigli pratici per superarla:

Affidarsi al personale di bordo
A volte a scatenare la paura sono interpretazioni erronee di normali avvenimenti di bordo o turbolenze: chiedere informazioni al personale aiuta molto a diminuire l’ansia. Inoltre, rendere il personale di bordo partecipe delle proprie ansie è sempre una buona idea: stuart ed hostess sono perfettamente addestrati ad intervenire e sapranno come aiutarvi.

Bere camomilla invece del caffè 
Evitare sostanze eccitanti come tè o caffè prima e durante il volo è fondamentale. Se l’ansia è troppo forte, prima della partenza si può anche consultare un medico che deciderà se è il caso di prescrivere degli ansiolitici.

Distrarsi (anche con le foto!)
Pensare ossessivamente al volo non fa che alimentare l’angoscia. Meglio cercare di distrarsi con libri, chiacchere, musica o sfogliando le foto del proprio album sul telefono. Può aiutare anche portare con sé una foto della meta della destinazione, soprattutto se è un luogo di vacanza: guardare le immagini di una spiaggia o di un paesaggio di montagna rilassa la mente e controlla lo stress.

Imbarcarsi riposati
Stancarsi nei giorni precedenti per dormire sull’aereo non è una buona idea: la mancanza di sonno potrebbe accentuare lo stato di alterazione fisiologica legata alla paura del volo.

Fare un corso
Ci sono molti corsi specifici di un giorno mirati a combattere la paura di volare attraverso tecniche di terapia comportamentale (respirazione, simulazioni di volo, interazione con i piloti di linea) e cognitiva. Alcuni li propongono le stesse compagnie aeree, come il corso di British Airways.

Dal Sito: glamour.it


Attacchi di panico: come aiutare una persona che ne viene colpita


Chi soffre di attacchi di panico lo sa: giungono all’improvviso e, a volte, fanno sì che si instauri una catena di ansia e paure immotivate.

Abbiamo chiesto alla dr.ssa Martina Valizzone, psicologa, di aiutarci a riconoscerli, dando anche qualche valido consiglio per affrontarli al meglio.

Come fare a riconoscere un attacco di panico?

Un attacco di panico è un episodio di malessere improvviso, caratterizzato da una reazione di paura e angoscia intense, che si manifesta in assenza di un reale pericolo.

Questi episodi, solitamente della durata di qualche minuto, sono accompagnati da sintomi cognitivi e somatici ben precisi (come palpitazioni, sudorazione intensa, tremori, sensazione di asfissia) dovuti a una iperattivazione del sistema nervoso simpatico, che porta chi ne è vittima a temere di perdere il controllo, di impazzire o a sperimentare una sensazione di morte imminente.

Gli individui che soffrono di disturbo di panico, solitamente, vivono nella costante paura che gli attacchi possano ripresentarsi al punto da mettere in atto, in maniera del tutto inconsapevole, una serie di strategie per difendersi dalle situazioni a rischio.

Iniziano, dunque, a evitare luoghi e situazioni potenzialmente ansiogene o dove si sono verificati in precedenza degli attacchi, fino ad arrivare a soluzioni estreme, tali da comportare il ritiro sociale e l’isolamento.

Lo stato costante di ansia e tensione che i soggetti con disturbo da panico vivono, anticipano il ripetersi degli attacchi, alimentando così un circolo vizioso che non fa altro che aumentare la probabilità che episodi simili possano ripetersi.

Quali sono i sintomi?

Secondo il DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) per essere confermata la diagnosi di disturbo di panico devono essere presenti almeno 4 di questi sintomi, tra somatici e cognitivi:

Tachicardia

Palpitazioni

Sudorazione intensa (brividi o vampate di calore)

Tremori

Formicolio alle mani o agli arti (parestesia)

Respiro corto, sensazione di asfissia o iperventilazione

Oppressione, fastidio o dolore al petto

Nausea

Vertigini, sbandamento o instabilità

Derealizzazione (la realtà esterna appare strana ed irreale)

Depersonalizzazione (avere la sensazione di essere staccati dal proprio corpo)

Sensazione di perdere del controllo, di stare impazzendo o di morte imminente

Un attacco di panico solitamente si esaurisce nel giro di pochi minuti, ma le sensazioni che questi suscitano hanno la capacità di dilatare la percezione del tempo, facendoli apparire (agli occhi di chi vi assiste o del soggetto che ne soffre) interminabili.

Per quanto riguarda la frequenza e la severità dei sintomi, queste variano ampiamente a seconda delle circostanze, così come da persona a persona. Il disturbo di panico è in grado di incidere in maniera estremamente negativa nella vita di chi ne soffre, a tal punto da provocare (nei casi più severi) un profondo stato depressivo, che va ad aggiungersi al disturbo d’ansia già presente, complicandone il quadro e il decorso clinico.

Cosa fare per far passare il panico?

La prima regola fondamentale da mettere in atto quando si avverte l’imminenza di un attacco di panico è quella di evitare di resistervi o fare finta di niente, in quanto entrambe queste strategie contribuiscono a incrementare i livelli d’ansia e a inasprire i sintomi, finendo comunque per sfociare in un attacco di panico.

Quando si verifica un episodio di panico è opportuno tentare di calmarsi, quindi spostarsi in un luogo appartato e tranquillo lontano dalla confusione, dove sia possibile sedersi o sdraiarsi.

Nel tentativo di ridurre la risposta emotiva che accompagna gli attacchi di panico, è possibile mettere in atto una serie di strategie, quali:

Iniziare a contare da 0 fino a 50, quindi tornare indietro da 50 a 0. Si tratta di una tecnica di distrazione cognitiva efficace nel ridurre l’ansia e lo stress, che aiuta a concentrare il pensiero su un dato esterno distraendolo dalle sensazioni di ansia e paura.

Controllare la respirazione. Fare respiri profondi contribuisce a calmare i nervi e ad alleviare la sensazione di asfissia e l’iperventilazione tipiche degli episodi di panico.

Mettere in pratica le tecniche di rilassamento. Praticare con regolarità yoga, pilates, training autogeno o altre tecniche di rilassamento, aiuta a ridurre i livelli di ansia e a prevenire l’insorgenza degli attacchi di panico. La pratica di queste discipline può essere d’aiuto anche nella gestione dell’attacco di panico, andando a limitarne i sintomi e l’intensità della risposta emotiva.

Un altro fattore utile a contrastare gli attacchi di panico è imparare a riconoscere le varie fasi che li contraddistinguono: sapere che il normale decorso di un episodio di panico è costituito da un esordio, un apice e una progressiva riduzione dei sintomi, fino alla loro estinzione, aiuta a comprendere che questi episodi hanno un inizio e una fine ma soprattutto che non sono mortali.

Per finire, è opportuno ricordare che gli attacchi di panico sono solo il sintomo di una problematica più ampia, frutto di un disagio interiore che ha trovato espressione attraverso il corpo e la mente.

Per questo, è bene ascoltare il proprio corpo, in modo da riuscire a cogliere anche il minimo segno di disagio e rivolgersi all’aiuto di un professionista, psicologo o psicoterapeuta, qualora lo si ritenga opportuno per indagare il sintomo alla base del problema e risolverlo definitivamente.

Dal Sito: tantasalute.it

mercoledì 27 giugno 2018

Che fatica l’ansia!


Ascoltiamo la nostra voce interiore? Cosa ci sta dicendo? Quali sono le sensazioni e i bisogni che avvertiamo?

Perché arriva l’ansia

Abbiamo la convinzione di sapere tutto di noi stessi, di sapere come stiamo, cosa vogliamo e cosa non vogliamo: nulla di più falso.

Spesso abbiamo timore di sapere, di ascoltarci, di sentirci; fermarsi e prendere consapevolezza di cosa siamo in questo momento può provocare l’ansia del contatto pieno con la realtà, di scoprire mancanze e difficoltà pratiche.

Fare cose e cose, serve solo a coprire i rumori della voce interiore, ma non può durare a lungo: il corpo ad un certo punto avrà la meglio e attraverso svariati sintomi proverà ad esprimersi, a modo suo, e non sempre in modalità piacevole, ad esempio: stanchezza, distrazione,offuscamento mentale, stati d’ansia, umore labile, muscoli tesi e doloranti, calo della vitalità e della voglia di progettare.

Inoltre, il voler mantenere a tutti i costi il ritmo quotidiano senza mai staccare la spina, sul lungo termine può provocare la chiusura delle sensazioni: il corpo s’irrigidisce talmente tanto da “pietrificarsi” fino a non sentire il tocco di una carezza, il tepore del sole o il sapore intenso di una bevanda; tutto ciò che facciamo diventa atto meccanico, lo scorrere del tempo si congela e la memoria non riesce ad immagazzinare immagini: la sera non ci saranno ricordi della giornata ma solo voglia di andare a letto.

Come si sente chi soffre d’ansia?

L’ansia si veste di tantissimi ruoli, ognuno scelto inconsapevolmente per dare spiegazioni a sintomi fisici a cui non diamo ascolto; sono svariati i comportamenti che adottiamo per gestirne le sensazioni sgradevoli, ad esempio:

– controllare il nostro ambiante: disturbo ossessivo

– evitare situazioni e/o relazioni: ritiro sociale

– chiuderci nei ricordi del passato: fuga dalla realtà

– modificare la nostra personalità creandoci un alter ego, e cosi via.

Nello specifico:

La testa: i ricordi sono confusi e poco chiari, la percezione del tempo è dilatata e i minuti si moltiplicano, tante fantasie negative con catastrofi imminenti, incapacità di progettare a lunga scadenza.

Le emozioni: continuo allarme e agitazione, preoccupazioni incessanti, indecisioni e paure.

L’attività fisiologica:respiro alto, affannoso, percezioni di morte imminente, attivazione costante (battito cardiaco, peristalsi intestinale ecc.).

La postura:movimenti agitati a scatti, posture rigide e muscoli tesi.

L’ansia non è un mostro

Mi capita spesso di sentire descrivere l’ansia come un essere vivente, una sorta di demone interiore, un’entità che ci guida o ci comanda, un qualcosa a cui siamo assoggettati: umanizzare l’ansia crea un mostro con una sua vita, che con immotivata cattiveria schiaccia la nostra esistenza.

Apriamo gli occhi al mattino e ci ritroviamo di fronte una forza da combattere, per tutto il giorno fino a sera, quando sfiniti ci rimettiamo a letto, schiavi di un «qualcuno invisibile» che assorbe le nostre energie.

 Ansia: cosa non fare

1) Evitare la ricerca continua di notizie, perlopiù, in internet dove tutti scrivono tutto: una marea di interpretazioni personali anche allarmanti rispetto ai sintomi aumenta solo la confusione;

2) Non cadere nei paragoni poiché ognuno di noi ha una propria configurazione funzionale sia del decorso che della risoluzione del disturbo, non sprechiamo tempo nella ricerca di consigli, di suggerimenti sul “come hanno fatto gli altri”; la realtà, soprattutto in momenti di crisi, viene vissuta in maniera del tutto personale.

3) Individuare il centro dell’ansia, ossia, il respiro: l’ansia è fondamentalmente alterazione del respiro, la famosa “fame d’aria” non è altro che l’incapacità del diaframma di allargarsi e prendere aria.

Piccolo test

Bastano pochi minuti per renderci conto di come sia sbarrata la porta delle sensazioni, di quanto le esperienze sbagliate abbiano bloccato la comunicazione tra noi e il corpo.

Mettiamoci seduti o distesi, in un posto tranquillo e proviamo a fare dei respiri profondi, uno, due, tre, quattro respiri profondi.

Qual è la sensazione?

Sangue alla testa, lieve vertigine, oppressione toracica. Tutti segnali dell’iperventilazione, conseguenza dell’alterazione del respiro.

Ora, proviamo ad individuare nel corpo la zona in cui si trova la rabbia. Poi, individuiamo la tristezza. Proviamo a soffermarci su una zona del corpo fragile, una zona che ha bisogno di cure e coccole. Non ci fermiamo su dolori vari, ma sulle SENSAZIONI.

Cosa ci sta dicendo il nostro corpo?

Non riuscire a sentirci è tra le principali cause che provocano reazioni psicosomatiche: il corpo comunica continuamente e tenere la mano sulla sua bocca non lo zittisce, ma anzi, lo fa scalciare sempre più violentemente, fino all’esplosione.

Dott.ssa Sabrina Rodogno

Dal Sito: corrieredellacitta.com

sabato 23 giugno 2018

La forza di volontà è già dentro di te


Nessuno ne è privo, ma bisogna sapere che la vera forza di volontà coincide con le proprie attitudini, non con i modelli né con i progetti della mente razionale.

Giovanni Allevi, il famoso pianista e compositore, in un’intervista di qualche tempo fa ha raccontato: “In ciascuno di noi vive un’immagine originaria, un’identità più pura. Basta portarla alla luce, permetterle di esprimersi. Per me quell’immagine era la musica. Nel momento in cui ho deciso di vivere di musica, la mia esistenza si è trasformata in un’avventura: ogni giorno succede qualcosa”. Tutti hanno la propria giusta dose di forza di volontà, che si esprime nei momenti delle grandi scelte, come per Allevi, ma anche nelle occasioni quotidiane: mangiare o no questo dolce, stare zitto o rispondere a chi mi vuole manipolare. Da dove viene questa forza? E come si fa a ritrovarla? I modelli di successo con cui ci bombardano dall’esterno creano un polverone che ci offusca la vista. Soffiamo via un po’ di questa nebbia: scopriremo che è tutto molto più semplice.

È la tua "vera meta " che ti attira a sé!

Non sei tu che, tra mille sforzi, devi condurre la tua vita verso una meta (magari per far piacere ai genitori, per conformarti a un modello di successo o di bellezza, per orgoglio o per insicurezza). Semmai è la meta a condurre te, ad attirarti come un magnete! La “meta” altro non è se non la tua natura, e all’esterno è rappresentata dal tuo posto nel mondo. La forza di volontà è l’espressione spontanea della tua vitalità, in ogni istante. È l’inclinazione inesorabile a essere ciò che sei, giorno per giorno….

Sai fare grandi cose, ma te lo scordi

Quella del seme di grano fa la spiga; quella della pecora fa la pecora, quella del lupo il lupo. La pecora ha forse meno forza di volontà del lupo? La tua volontà fa “te”. In ogni istante ti fa vivere, crescere, evolvere. È una forza capace di operazioni tanto spontanee quanto incredibili: in nove mesi ha creato tutti i tuoi organi e le tue funzioni vitali. Nessuno gliel’ha insegnato. Ha fatto tutto da sola! Ha saputo plasmare il cervello, il cui funzionamento nessuno scienziato è ancora riuscito a spiegare. Tu possiedi al tuo interno una forza e un sapere in grado di compiere questi miracoli, eppure passi mesi a chiederti come raggiungere uno scopo. Accade perché cerchi la forza all’esterno, invece che affidarti all’interno. Puoi perdere di vista la tua forza di volontà, sentirti debole, inseguire obiettivi sbagliati. Ma in ogni istante, se lo decidi, tutto lo schermo di falsità può svanire. Basta poco, la forza di volontà si ritrova all’istante: non bisogna far altro che abbandonarsi, qui e ora, allo stato interiore in cui le cose vanno come devono andare, senza il tuo parere.

Affidati alla “santa insicurezza”

È uno stato identico al cuore che batte, al respiro che pompa ossigeno nel sangue, al feto che si sviluppa nel buio del ventre materno. Chiede il tuo parere il cuore per battere? Certo che no! E allora perché sarebbe importante per sapere cosa devi fare? Abbandonati a quella che Martin Buber chiamava “santa insicurezza”: accetta di non avere opinioni e pareri troppo saldi, idee definitive, giudizi certi, mete sicure. Ti accorgerai di possedere un sapere innato, che conosce tutto e ti porta dove devi andare.

Dal Sito: riza.it

COME AIUTARE CHI SOFFRE DI DEPRESSIONE


Negli ultimi venti anni, grazie agli enormi progressi compiuti dalla psichiatria e alla diffusione di una migliore informazione scientifica, alla depressione è stato in parte tolto il pesante velo di ignoranza e pregiudizio di cui era avvolta in passato. Ciononostante, nel sentire comune ancora oggi la depressione è spesso confusa con la tristezza o con l’avvilimento, stati d’animo “normali”, in genere reattivi a eventi di vita negativi, sempre di breve durata e che comunque non condizionano il normale svolgimento delle attività quotidiane.  La depressione clinica, invece, è un vero e proprio disturbo psichico, noto fin dall’antichità, che si manifesta con una importante flessione dell’umore accompagnata da caratteristici cambiamenti del livello di energie, delle modalità di pensiero e del funzionamento somatico.

“Devo spronarlo a fare qualcosa o è meglio rispettare i suoi tempi?”
“Le parlo ma è come se non mi ascoltasse, e se la lasciassi nel suo silenzio?”

Come per gli altri disturbi vale il principio che ogni persona e ogni sofferenza rappresentano un caso a sé. In base alla nostra esperienza e tenendo conto dei racconti e delle domande che ci rivolgono i familiari di chi soffre di depressione è però possibile dare, a chi vive accanto ad una persona depressa, alcuni suggerimenti utili alla gestione della quotidianità.

Conoscere la depressione e superare i pregiudizi
Molte delle difficoltà che si incontrano a stare vicino a chi soffre di depressione derivano dall’apparente invisibilità del disturbo aggravata dal sopravvivere di numerosi pregiudizi.
Non esistendo esami del sangue, radiografia o tecnica di indagine in grado di  evidenziare uno stato depressivo può essere difficile, per i non addetti ai lavori, capire che si tratta di una vera e propria patologia e non di uno stato d’animo o di un sentimento passeggero.
Un errore comune consiste nel banalizzarne le cause attribuendo lo stato depressivo a “un momento di stanchezza”, a un malessere che deriva dal “cambiamento di stagione”, dal “troppo lavoro”, dalle “tensioni familiari” o, più in generale, dallo “stress”.
Ma se fosse veramente così saremmo tutti depressi!

La tendenza ad attribuire la depressione al carattere o a circostanze esterne, frutto della mancanza di informazioni scientificamente corrette, peggiora i sensi di colpa, la frustrazione e la sensazione di non essere compresi e, in ultima analisi, aggrava lo stato di sofferenza di chi già sta male. Accettare che la depressione è una malattia come tante altre, anche se con sintomi non visibili ed in alcuni casi difficili da comprendere, rappresenta quindi il primo vero aiuto per chi ne soffre e l’unico che lo legittimerà come persona sofferente e non debole o dal pessimo carattere.

Un secondo frequente errore è considerare chi soffre di depressione una persona semplicemente triste, avvilita o, ancor peggio, pigra, “debole di carattere”, “incapace di reagire alle difficoltà”.  La depressione non dipende dalla propria volontà, nessuno ne è responsabile e non è vero che “non ce la mette tutta”, “lo fa di proposito”, “in fondo un po’ se ne approfitta”, che “starebbe meglio se solo si sforzasse un pochino”, o che “dovrebbe reagire come ho fatto io quella volta…”.

Ad un osservatore esterno può sembrare incredibile che una persona apparentemente sana non ce la faccia ad andare a lavorare e trascorra ore e ore in poltrona, rifiutandosi persino di fare una passeggiata, andare al cinema o vedere gli amici più cari. Eppure per chi soffre di depressione è così, anzi la mancanza di energie e la perdita di volontà sono l’essenza stessa della sua patologia.

E’ necessario pertanto evitare di esortare all’ottimismo (“va tutto bene, perché ti preoccupi tanto?”) e di far leva sull’orgoglio (“non ti vergogni a stare tutto il giorno a casa mentre gli altri lavorano?”) e sulla buona volontà (“fai uno sforzo, prova almeno a giocare a tennis”). Per quanto fatte a fin di bene (“cerco di scuoterlo, non posso vederlo buttato così”), queste sollecitazioni peggiorano lo sconforto, riducono la già bassa autostima, aumentano il senso di solitudine. In altre parole ottengono l’effetto opposto a quello voluto finendo con l’aggravare, piuttosto che migliorare, la situazione. E’ opportuno lasciare da parte quindi le esortazioni, meglio assumere un atteggiamento di comprensione (“so che stai male, che non ce la fai, ma non ti preoccupare: vedrai che con le cure giuste passerà”) e di vicinanza emotiva (“mi dispiace che stai soffrendo così, farei di tutto per aiutarti”) esattamente come fareste se il vostro caro avesse una broncopolmonite o un femore rotto piuttosto che la depressione.

A volte un aiuto pratico e concreto, come per esempio preparargli una bevanda calda o portargli le medicine con un po’ d’acqua, può essere più di utile di tante parole. E quando non sapete proprio cosa dire o fare, ascoltatelo e stategli vicino: una vicinanza silenziosa ma emotivamente partecipata si rivela spesso di grande conforto.

Individuare uno psichiatra clinico esperto in depressione
Esistono diversi sotto-tipi di depressione, differenti tra loro per come si manifestano (“sintomi”) e per come evolvono (“decorso”), che richiedono cure differenziate.
Per il trattamento è pertanto preferibile affidarsi ad uno psichiatra con specifica competenza in questa patologia che sappia individuare, tra le diverse opzioni attualmente disponibili, la migliore cura per quello specifico tipo di depressione in quello specifico paziente (“trattamento individualizzato”).

Raccogliere più informazioni possibili, parlare con il medico di famiglia, rivolgersi ad associazioni per pazienti e familiari di chi soffre di depressione, sono le strade più semplici per arrivare ad un clinico che individuerà la cura più adatta per l’episodio depressivo in corso e, se necessario, per prevenire possibili ricadute. Non bisogna dimenticare, infatti, che la depressione, in oltre la metà dei casi, tende a recidivare.

Nelle forme medie e gravi la terapia di prima scelta è di tipo farmacologico; la psicoterapia può essere un utile supporto ai farmaci per un sostegno in fase acuta, per la gestione di eventuali problemi psicologici e probabilmente (ci sono studi in corso) per ridurre il rischio di ricadute. Nelle forme lievi è possibile iniziare il trattamento con la psicoterapia che sarà poi integrata con i farmaci in caso di risposta insufficiente.

Mantenere una regolarità nelle cure
Una volta individuato il clinico di fiducia, aiutate il vostro congiunto a mantenere con regolarità il rapporto con lo psichiatra, ricordategli gli appuntamenti, sollecitatelo a comunicare eventuali effetti collaterali dei farmaci come pure eventuali importanti variazioni della sintomatologia (per esempio, un significativo aumento o diminuzione delle ore di sonno, la comparsa di irritabilità, un brusco ritorno allo stato di benessere…).
Sempre che la persona sia d’accordo, accompagnatela alle visite sia perché andarci da solo, a causa del suo stato, potrebbe costargli un’eccessiva fatica e indurlo a rinunciare, sia perché le vostre osservazioni possono essere utili allo specialista per mettere meglio a punto la cura.

Incoraggiare l’inizio e la prosecuzione delle cure
Una volta iniziata la cura, per vedere i primi miglioramenti sono necessarie in media 2-3 settimane e in alcuni casi, in relazione al tipo di depressione e alla sensibilità personale, anche di più (fino a qualche mese). Questo periodo di latenza può indurre le persone con depressione, di per sé portate al pessimismo, a ritenere la terapia inutile e quindi a interromperla o ad assumerla irregolarmente.
Aiutate il vostro congiunto a portare avanti con fiducia la cura: assumere i farmaci, attendere il tempo necessario perché svolgano la loro azione e, in caso di risultati insoddisfacenti, tenere presente che esistono molti tipi di antidepressivi per cui trovare quello giusto per lui può richiedere più di un tentativo. Sollecitatelo a comunicare il suo stato allo psichiatra che potrà modificare le dosi, sostituire il farmaco o aggiungerne un altro.
La terapia farmacologica della depressione richiede un lavoro simile a quello di un sarto che, prima di consegnare un vestito, ha necessità di fare prove, aggiustamenti e piccoli ritocchi.

Informatevi sugli eventuali effetti collaterali dei farmaci e collaborate alla loro gestione (per esempio, in caso di bocca secca non fate mancare in casa delle caramelle; se aumenta di peso optate per una cucina leggera). Inoltre, se il vostro familiare soffre di altri disturbi fisici, come ipertensione o diabete, aiutatelo a seguire con regolarità anche le relative terapie per evitare che, a causa del pessimismo e della tendenza a trascurarsi, non ci sia un peggioramento delle condizioni mediche generali con tutte le potenziali conseguenze negative che questo comporta.

Ricordate infine che il vostro sostegno alla cura non si esaurisce con la fine dell’episodio. Come detto in precedenza, alcuni tipi di depressione si presentano con episodi ricorrenti ed è quindi necessario vigilare, con discrezione e senza essere oppressivi, che i farmaci siano assunti per il tempo e alle dosi prescritti anche in presenza di uno stato di benessere al fine di prevenire eventuali ricadute.

Sostenere nella quotidianità
La depressione cambia drammaticamente lo stile di vita di chi ne soffre: anche chi prima era instancabile, curato ed attivo, ora evita gli impegni, trascura la propria persona, rimane a letto fino a tardi, perde l’appetito.
Pur non essendo sempre facile, è importante aiutarlo a mantenere una minima regolarità nelle attività quotidiane come lavarsi, cambiarsi i vestiti, non saltare i pasti. Non importa se queste attività sono svolte controvoglia e passivamente, l’obiettivo è che i piccoli impegni quotidiani vengano portati a termine.
Poiché nel pomeriggio-sera in genere la depressione migliora, sono solitamente questi i momenti della giornata più adatti per cercare (senza forzare troppo la mano) di coinvolgere il vostro caro in una delle sue attività preferite oppure, per esempio, uscire a fare una breve passeggiata (molti studi clinici riportano che una leggera ma regolare attività fisica ha un effetto positivo sulla depressione), guardare la televisione, leggere insieme un articolo.

Rimandare le decisioni importanti
Chi soffre di depressione vede la realtà attraverso il filtro del pessimismo e può prendere decisioni avventate dettate da stati d’animo profondamente negativi, a volte dominati da idee di rovina.   Suggerite al vostro congiunto di rimandare qualunque decisione importante (per esempio interrompere un rapporto affettivo, cambiare lavoro o licenziarsi, fare una vendita importante) a quando, risolta la depressione, tornerà a vedere le cose nella loro giusta luce. In moltissimi casi questi suggerimenti si rivelano preziosi per tutelarlo da possibili conseguenze disastrose in campo sentimentale, economico, lavorativo o legale.

Non sottovalutare il rischio di suicidio
Oltre la metà delle persone che soffrono di depressione pensa che non valga la pena vivere (“sarei contento se questa notte mi venisse un infarto”) e tra il 15% ed il 25% arriva a progettare e a mettere in atto un tentativo di suicidio.
Il rischio che questo accada è maggiore se qualcun altro in famiglia ha tentato il suicidio, se è contemporaneamente presente un abuso di alcol o droghe, comprese cannabis e caffeina, e se ci sono stati precedenti tentativi, anche solo “dimostrativi”.
A questo proposito, diffidate del luogo comune “Chi lo ha fatto non lo rifarà”, “Chi ne parla sempre non lo metterà mai in atto”: gli studi dicono esattamente il contrario.
Studi ed esperienza inoltre non confermano un’altra opinione diffusa secondo la quale “E’ meglio non parlarne perché se il proposito non c’è si rischia di farlo venire in mente”.
Al contrario, affrontare con delicatezza ma in modo diretto l’argomento consente di aprirsi a chi non troverebbe mai il coraggio di farlo da solo.

Durante gli episodi depressivi, quindi, i familiari devono porre una grande attenzione al rischio suicidio, parlarne apertamente con il proprio caro e, possibilmente d’accordo con lui, comunicare immediatamente allo psichiatra eventuali segnali di allarme.
Tra questi, i più diffusi sono le idee di colpa (“La mia famiglia starebbe meglio se non dovesse sopportare la mia presenza”), la mancanza di speranza (“Non c’è più niente da fare, non guarirò mai”), la sensazione di inutilità (“Che io ci sia o non ci sia non cambia nulla”), le idee di rovina (“Ho sbagliato investimenti, rimarrò senza soldi e i miei figli dovranno lavorare tutta la vita per pagare i miei debiti”) e la messa in atto di comportamenti “sospetti” come fare testamento, regalare oggetti con un particolare valore affettivo (il proprio anello, il proprio orologio…),  lasciare messaggi o lettere, salutare, senza un’apparente giustificazione, come se si stesse per partire.

Riprendere la vita sociale
Per chi soffre di depressione è veramente difficile mantenere una vita sociale. Superata la fase più acuta, tuttavia, è opportuno aiutare il vostro caro a uscire dall’isolamento e a riprendere un po’ alla volta le relazioni iniziando con i parenti e gli amici più fidati. Molti studi scientifici confermano anche l’utilità di partecipare a gruppi di auto aiuto per depressi. Tali gruppi offrono l’opportunità di incontrare chi si trova in una condizione simile, di condividere esperienze e difficoltà analoghe in un contesto non pressante che permette di esprimere liberamente emozioni e sensazioni con la certezza di essere compresi e sostenuti.
Incoraggiate il vostro caro a frequentare un gruppo e accompagnatelo se pensa di non farcela ad andare da solo.

Pensare al futuro
Come già detto la depressione spesso si presenta in forme ricorrenti, la prevenzione delle ricadute implica uno stile di vita ed un’attenzione che se da un lato contrastano con il desiderio di dimenticare “il male oscuro” quando si sta bene, dall’altro giocano un importante ruolo nel mantenimento di uno stato di benessere.

Imparate quindi insieme al vostro caro a riconoscere i segni che possono precedere l’avvio di una nuova fase depressiva (per esempio, stanchezza inusuale, diminuzione della concentrazione, disturbi del sonno, inappetenza, facilità a cambiare umore, nervosismo, riduzione della concentrazione, mal di testa, minore desiderio sessuale) e segnalateli subito allo psichiatra. Individuare precocemente l’arrivo di un nuovo episodio permette di intervenire tempestivamente aumentando la probabilità di bloccarlo o di ridurne la  gravità.
Preparatevi comunque ad affrontare un nuovo episodio depressivo del vostro familiare. Convivere con chi soffre di depressione ricorrente richiede flessibilità, consapevolezza e accettazione.
Quando si capisce che una depressione è in arrivo accettate ciò che sta accadendo, programmate le vostre attività e quelle della famiglia tenendo conto che la routine subirà dei cambiamenti, alcuni programmi potrebbero variare e sarà necessaria una maggiore disponibilità.  Esattamente come accade in qualunque famiglia quando uno dei membri si ammala di una qualunque altra malattia fisica.

Non dimenticare sé stessi
Essere vicini a chi soffre di depressione può essere molto logorante/impegnativo sul piano emotivo. Bisogna mettere in conto, infatti, oltre a tutte le limitazioni che classicamente comporta l’assistenza di una persona con un’importante malattia fisica anche il peso psicologico di combattere con un disturbo apparentemente “invisibile” e che talvolta risponde tanto lentamente alle cure che in alcuni momenti “nulla sembra servire”.
Pur nel profondo rispetto della sofferenza e del bisogno di tranquillità di chi sta male, è importante per voi e per lui fare in modo che la vostra vita sociale e quella della famiglia, anche se a regime ridotto, continuino.
Programmate quindi uscite regolari per la spesa o per andare al cinema, come pure organizzate di tanto in tanto una cena tra familiari o una riunione tra amici. Anche se il vostro caro non se la sentirà di partecipare, il fatto che la vita in casa continui lo farà sentire meno in colpa.
Infine, se sentite il bisogno di condividere con altri le vostre esperienze, stati d’animo e frustrazioni potrete sicuramente trarre giovamento dalla partecipazione ai gruppi di auto aiuto per familiari di persone con depressione organizzati da alcune associazioni di volontariato.

Letture consigliate
Un’oscurità trasparente. William Styron

di Roberta Necci e Antonio Tundo

Dal Sito: istitutodipsicopatologia.it

Aiutare chi soffre di attacchi di panico



Gli attacchi di panico colpiscono molte persone, ma ne spaventano ancora di più, tutti quelli che vivono accanto a chi ne soffre: cosa fare.

Come comportarsi quando un familiare soffre di attacchi di panico

Palpitazioni, sudori freddi, tremori, senso di oppressione toracica e sensazione di morte imminente. È a questi sintomi"urgenti" e inquietanti che spesso si trova davanti chi ha un familiare sofferente di DAP, disturbo da Attacchi di Panico. E se chi ne soffre è certo quello che sta peggio, non c'è dubbio che anche chi assiste può essere molto turbato. Può essere una sola persona ma anche un'intera famiglia ad alterare le proprie abitudini, a vivere nella paura di un attacco, a venire in qualche modo "ricattata" da questi sintomi. Così il panico di una persona diventa l'ansia di molti, e questa riverbera ancora più negativamente su chi soffre in un circolo vizioso che, protratto nel tempo, può diventare lo stile di vita della famiglia. Detto questo, un familiare può fare molto, sia per aiutare chi ha le crisi, sia per proteggere l'atmosfera di casa. Servono pochi atteggiamenti semplici, mirati e precisi.

Le cose da sapere se sei vicino a una persona che soffre di attacchi di panico

La crisi si auto-limita nel giro di 15-30 minuti.

È rarissimo che durante una crisi si compiano atti auto-lesivi

La persona non sta fingendo: sta davvero male.

Non c'è reale pericolo di vita.

Gli psicofarmaci da soli non sono la cura, anzi in molti casi prolungano e cronicizzato il problema.

Osservare il luogo, il momento in cui avviene la crisi, potrebbe suggerire qualche indizio per la cura.

Impariamo ad aiutarlo durante una crisi di attacchi di panico

Durante la crisi

Cerca la tua tranquillità. Non dire: "Stai calmo, non è niente". Fagli sentire che non sei spaventato e che già sai che tutto passerà.

Aiutalo a non combatterla. Non opporti ai suoi sintomi e insieme, se lui lo vuole, contemplate il suo fluire. Presto imparerà a farlo da solo.

Offri contatto fisico. Meglio di molte parole di conforto, una mano calda e "consapevole" può aiutarlo ad ancorarsi a terra e superare prima la crisi.

Evita consigli e critiche. In questo momento non è in grado di accettarle, anzi, Aumentano la forza dell'attacco perché ne impediscono il libero manifestarsi.

Condividi la tua esperienza. A volte raccontare a chi soffre una propria esperienza di malessere "a lieto fine" diluisce la sua ansia e lo fa sentire capito.

Nei periodi tra le crisi

Fai la tua vita. Non condizionare le tue scelte né quelle della famiglia o il panico diventerà il modo principale per ottenere attenzioni. Non gli dato "potere".

Non trattarlo come un malato. Non far vedere che hai paura di un attacco se vuole uscire e fare cose non mettergli dubbi.

Non allearti con le sue paure. Non favorirlo nei suoi evitamenti, lascia che si scontri con i suoi limiti attuali. Solo così comprenderà la richiesta del sintomo.

Dai una disponibilità limitata. Non accompagnarlo ovunque e comunque, o diventerai l'equivalente di uno psicofarmaco assunto "al bisogno", su cui si sviluppa una vera e propria dipendenza.

Suggerisci una psicoterapia. Il panico non deve diventare uno stile di vita e/o uno schema familiare. Aiutalo a capire che qualcosa va cambiato.

Gli "errori " più frequenti dei familiari (in buona fede...)

Proteggerlo

Creargli un guscio intorno impedisce a chi soffre di diventare protagonista della propria salute e della propria vita, e nutre il nostro inopportuno bisogno di fare da eroi-salvatori.

Adattarsi

Fare ciò che la paura di un attacco subdolamente chiede a chi sta intorno vuol dire sfamare il DAP e farlo crescere. Mentre dentro di noi salgono la frustrazione e la rabbia.

Patologizzarlo

Spingere la persona a risolvere la cosa in termini puramente "organici" (farmaci), come se qualcosa nel suo cervello non funzionasse, toglie autostima e possibilità di crescita.

Dal Sito: riza.it

venerdì 22 giugno 2018

Quando è necessario chiedere aiuto allo psicoterapeuta?


Decidere di avvalersi dell’aiuto di uno psicoterapeuta è una decisione importante, che deve essere maturata dopo un’attenta riflessione del proprio stato d’animo. Spesso, infatti, le persone attendono mesi o addirittura anni prima di condividere i propri problemi con un terapeuta. Ciò avviene, nella maggior parte dei casi, per paura di essere giudicati “pazzi” dalla società o dai propri familiari, in quanto attorno alla figura dello psicoterapeuta aleggia ancora molta ignoranza e pregiudizio. Tuttavia, è importante sottolineare cheprendersi cura della propria salute psicologica è fondamentale tanto quanto prestare attenzione al proprio benessere fisico, per tale ragione è necessario superare le barriere create dagli stereotipi sociali, che portano a stati di imbarazzo, vergogna e diffidenza.

In che cosa può essere utile lo psicoterapeuta?

Lo psicoterapeuta può essere utile in caso di:

  • disturbi alimentari, come anoressia e bulimia, che negli ultimi anni sono notevolmente aumentati, non solo tra i giovani, ma anche tra gli adulti;
  • dipendenza effettiva, che porta la persona affetta ad essere totalmente dipendente da una relazione, compromettendo la propria esistenza ed assumendo, talvolta, verso il soggetto amoroso comportamenti ossessivi;
  • attacchi di panico, che sono dovuti ad una profonda fragilità di base, causata da situazioni passate e mai risolte, da esperienze presenti mal gestite o da una vulnerabilità genetica;
  • problemi di coppia, che possono essere causati da diversi fattori, come la nascita dei figli, l’intromissione di una terza persona, problemi lavorativi ed economici ed un errato modo di comunicare dei partner. In questi casi è bene seguire una  terapia di coppia, in grado di individuare i problemi che causano malessere ed infelicità, attraverso un confronto puntuale e significativo dei partner;
  • depressione, che consiste in un abbassamento generale della vitalità, che impedisce il compimento delle attività giornaliere anche più semplici, facendo prevalere alcuni atteggiamenti, come la rinuncia e l’inadeguatezza;
  • disturbi d’ansia, che possono manifestarsi con alcuni sintomi, come paura, tachicardia, vertigini, sudorazione eccessiva, mal di testa ed immotivata sensazione di pericolo;
  • ipnosi clinica, che è una tecnica terapeutica, che prevede l’impiego di sistemi di suggestione, atti a portare la persona verso uno stato di trance, utile per migliorare l’autostima, per ridurre stress, ansia, insonnia, e per affrontare eventuali dipendenze.

Come si fa a comprendere se l’aiuto fornito da uno psicoterapeuta è valido?

La prima cosa da sottolineare è che la valutazione dell’efficacia di un percorso terapeutico può essere effettuata solo in itinere, poiché ciò che si deve determinare è la qualità della relazione che intercorre tra terapista e paziente, nonché il tempo, che non deve essere inteso propriamente come durata della terapia, ma più che altro come formulazione di obiettivi realistici e raggiungibili all’interno di un determinato arco temporale. Ed è solo allo scadere di quel preciso momento, infatti, deve essere fatto il punto della situazione, valutando l’eventualità di un approfondimento o della fine del percorso terapeutico intrapreso. Di norma, prima di sottoporsi ad una terapia psicologica è utile conoscere la differenza tra psicologo e psicoterapeutica, ma anche informarsi sulle diverse metodologie di approccio di tali professionisti, in modo da rispettare le proprie inclinazioni personali e trovare il metodo più adatto alle proprie esigenze.


Dal Sito: positanonews.it

mercoledì 20 giugno 2018

​La psicoterapia cognitivo comportamentale: prove scientifiche di alta efficacia



Ansia, depressione, attacchi di panico, ossessioni, disturbi alimentari (anoressia, bulimia, ecc.) disturbi del sonno e sessuali.

Sono questi solo i più comuni tra i problemi psicologici che stanno assumendo proporzioni sempre più dilaganti, anche a Firenze, colpendo milioni di italiani che troppo spesso non sanno come affrontarli, come afferma il prof. Gabriele Melli, presidente dell’Istituto IPSICO di Firenze. I medici di base sono del tutto impreparati a riguardo e il più delle volte si limitano a prescrivere con leggerezza ansiolitici e antidepressivi, che talvolta aiutano ma difficilmente risolvono e che non sono affatto esenti da effetti collaterali talvolta importanti.

Nell’immaginario collettivo, come nelle rappresentazioni televisive e cinematografiche, la psicoterapia è vista come un processo lunghissimo, costoso e spesso poco efficace; viene erroneamente identificata come la vecchia psicoanalisi di Freud o Jung, in cui si passano anni stesi sul lettino a parlare della propria infanzia e a raccontare i propri sogni.

Oggigiorno invece le cose sono ben diverse! La psicoterapia è diventata a tutti gli effetti una scienza, sottoposta a rigide indagini empiriche, e gli approcci cognitivo comportamentali hanno mostrato una grande efficacia, spesso superiore a quella degli psicofarmaci, soprattutto per i disturbi d’ansia, ossessivo-compulsivi, depressivi, alimentari, del sonno e sessuali, oltre che per tutti i problemi relazionali, esistenziali e sociali anche se questi non culminano in un franco disturbo clinico.

La terapia cognitivo comportamentale è orientata allo scopo e al cambiamento (più che alla ricerca di presunte cause remote), relativamente breve (solitamente meno di un anno con sedute a cadenza settimanale), diretta e pragmatica. Il paziente ha un ruolo attivo nel suo processo terapeutico, che si svolge come una normale consulenza professionale vis-a-vis, e il terapeuta solitamente illustra i meccanismi che la ricerca scientifica ha mostrato essere alla base della genesi e del mantenimento del disturbo psicologico lamentato per poi fornire strategie e strumenti pratici volti a superarlo nel più breve tempo possibile.

Vi sono ormai centinaia di studi pubblicati sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali che testimoniano l’efficacia di questo tipo di approccio, ormai largamente offerto da psicoterapeuti specializzati anche sul territorio italiano, ma proprio per il suo largo successo molti professionisti dichiarano di praticare la terapia cognitivo comportamentale anche se provengono da una formazione diversa e non hanno adeguata esperienza e aggiornamento in tal senso.

Non esistendo purtroppo quasi alcun servizio pubblico che sia in grado di erogare servizi di buon livello di questo tipo, occorre rivolgersi a centri seri e qualificati, seppur privati, che garantiscano l’alta preparazione dei professionisti che operano al suo interno. La psicoterapia, infatti, può essere un’esperienza eccezionale, in grado di liberarci da problemi altamente invalidanti che abbassano, e talvolta distruggono, la qualità di vita; ma può essere anche un’esperienza estremamente deludente, oltre che costosa, qualora si incappi in professionisti o strutture che offrano servizi sulla base del proprio credo, delle proprie teorie e dei propri metodi, che non siano quelli di comprovata efficacia e raccomandati dalla comunità scientifica internazionale. 

Dal Sito: m.nove.firenze.it

Quando è bene rivolgersi ad uno psicologo?



Molte persone credono che rivolgersi allo psicologo sia un segno di debolezza e di incapacità di affrontare le difficoltà che la vita ci propone. In realtà, non si rendono conto che richiedere un aiuto professionale significa essere consapevoli dei propri limiti e decidere coraggiosamente di affrontarli. Del resto, le persone veramente forti non sono coloro che seppelliscono le proprie debolezze, ma che cercano di affrontarle e di risolverle. 

Inoltre, è importante sottolineare che non è necessario essere “pazzi”, come invece si tende a credere, per poter usufruire dell’aiuto dello psicologo, poiché ci sono alcune fasi o periodi dell’esistenza che possono risultare particolarmente difficili da gestire (come interrompere relazioni amorose forti, avere figli, sposarsi o venire a conoscenza di una patologia) e che possono dare origine ad ansia, depressioni, disturbi alimentari o psicosomatici. 

In tali circostanze spesso non si riesce a trovare una via d’uscita e si cominciano a svalutare le proprie risorse personali, arrivando a sperimentare paura, sofferenza, tristezza e stress, ovvero sentimenti che possono influenzare negativamente la capacità di attuare scelte e di interagire con gli altri. Quando il malessere è impossibile da gestire l’intervento dello psicologo è, dunque, necessario per ritrovare la serenità perduta. 

Situazioni che potrebbero richiedere l’intervento di uno psicologo

Di norma, ci si dovrebbe rivolgere ad uno psicologo:

per riuscire a convivere con una malattia cronica;

per superare eventi particolarmente traumatici (abusi) e lutti;

per mettere un punto a delle situazioni irrisolte;

per risolvere dinamiche malsane legate alla famiglia, all’ambiente lavorativo e scolastico;

per raggiungere una maggiore consapevolezza del proprio io interiore e di quello delle altre persone;

per porre un freno ai continui sbalzi d’umore;

per la crescita personale;

per uscire da uno stato di dipendenza (alcol, droghe, fumo, cibo, sesso);

per recuperare l’autostima;

per migliorare la propria qualità di vita;

per contrastare ansia, stress, attacchi di panico, depressione e pensieri negativi;

per porre fine a delle situazioni di stallo, che provocano dolore e che incidono negativamente sulla propria vita;

per lavorare sul proprio carattere e la propria personalità;

per superare una crisi temporanea di natura affettiva;

per delle esigenze di orientamento e di comprensione.

In che cosa consiste l’aiuto fornito dallo psicologo?

Lo psicologo, attraverso il dialogo e l’ascolto, garantisce sostegno alle persone colpite da disagio, dando loro gli strumenti necessari per superare eventuali stati d’ansia o di malessere. Inoltre, fornisce le informazioni necessarie relative al problema riscontrato e promuove una gestione dell’esistenza libera dalla sofferenza. 

Tale figura, crea uno spazio protetto entro il quale confidarsi e confrontarsi, senza alcun tipo di pregiudizio, in modo da sondare parti dell’Io ancora inesplorate, ma fondamentali per l’eliminazione o l’attenuazione di determinate circostanze dolorose, spesso percepite come insuperabili. 

Infine, lo psicologo aiuta le persone a vedere le problematiche che le affliggono con occhi diversi, in modo da fornire loro una diversa percezione delle cose e del mondo, meno limitata e rigida, e da permettere loro di ritrovare l’oggettività perduta. Il percorso attuato dallo psicologo richiede tempo e fiducia, ovvero deve crearsi un’intesa tra specialista e paziente, che non è sempre immediata. 

Di norma, cercare uno psicologo in città piuttosto grandi, può creare agitazione e può portare molte persone a desistere. Tuttavia, bisogna iniziare la terapia, sapendo che in caso di insoddisfazione sarà possibile cambiare professionista in qualsiasi momento.

Dal Sito: filodirettomonreale.it

mercoledì 13 giugno 2018

Cambiamento: Accettarsi per Migliorare


Il cambiamento da una situazione in direzione di una situazione migliore parte dall’ accettazione rispetto la condizione attuale.

La resistenza nei confronti di una situazione o di uno stato che non viene accettato crea tensione e ne blocca la possibilità di cambiamento continuando a perpetuare lo stato indesiderato.
L’ accettazione si impara attraverso la consapevolezzaAttraverso l’accettazione iniziamo a liberarci dalla resistenza, dalla paura e dallo sconforto e da quelle emozioni depotenzianti che impediscono alla gioia e alla serenità di emergere.
Osserviamo la nostra vita, osserviamo gli effetti della resistenza che poniamo nelle varie aree attraverso l’autocritica, la commiserazione ed il giudizio e quindi la “lotta” anziché partendo da uno stato ottimale di accettazione, bellezza e gratitudine.
Spesso rimaniamo intrappolati in esperienze passate di sofferenza anziché essere liberi e quindi impedendoci di esplorare nuove opportunità per il nostro futuro.
Lo facciamo in modo conscio ed inconscio, la resistenza e quindi la paura ci impedisce di andare avanti ed esplorare nuovi territori.
Resistere a ciò che è, a ciò che siamo, a ciò che abbiamo, a dove ci troviamo ora, non è altro che una perdita di tempo ed energia. Perché dunque trascorriamo la nostra vita nella resistenza anziché nell’accettazione?
L’ identità che ci siamo creati: “pensare di non essere all’altezza di determinate situazioni desiderate” è mantenuta dal nostro dialogo interno che si ripete nel corso degli anni, da voci autoritarie che ci raccontano storie di noi riguardo chi siamo e come siamo ed infine ci giudicano perché non siamo modellati a qualche standard predefinito.
L’ identità è mantenuta dal non verificare “Cosa mi sta dicendo il mio corpo? Cosa mi stanno dicendo le mie emozioni?” Lasciamoci guidare dai sentimenti, dal nostro termostato interiore, quando non lo facciamo, la resistenza crea lo stress, la sofferenza e l’insoddisfazione.
Ed il messaggio che ci da la resistenza è: la vita è una lotta! La resistenza non produce i cambiamenti desiderati e quindi nasce la frustrazione e l’insoddisfazione e ad una maggiore tensione dalla quale sembrano offuscarsi le prospettive di vedere realizzati i propri sogni e la propria vita.
La resistenza non porta al cambiamento!
L’ accettazione porta al cambiamento!
Accogliere anziché giudicare apre la strada alle infinite opportunità.
Lasciarsi andare a ciò che è scioglie ogni tensione e rende fluido il percorso.
L’accettazione diventa la chiave per interrompere il ripetere i soliti, vecchi schemi, pensieri, storie e comportamenti.
Se vogliamo che la nostra vita cambi iniziamo a cambiare il nostro dialogo interiore che ci dice chi siamo, come siamo, chi sono gli altri, come sono gli altri, come sono le cose, com’è il mondo, com’è la vita attraverso la negazione anzichè attraverso l’accettazione.
Perché continui a guardarti di fronte ad uno specchio incrostato dalla sabbia senza darti la possibilità di vedere la tua vera bellezza? Quella sabbia è il tuo dialogo interno che ti dice che non sei adeguato a questo o a quello o che non sei come chicchessia o che non hai qualcos’altro. Chi te lo ha detto che è cosi? Perché lo credi? Ciò che esiste nel mondo è già tuo, basta che tu ne sia consapevole e lo accetti.
Forse pensi che non sia reale? Ma la “realtà” non esiste. Esistono tante realtà quanti esseri umani ci sono su questo pianeta. Ognuno di noi crea e vive la propria realtà. La “realtà” è solo un illusione, è creata dalle nostre esperienze e dalle nostre credenze. Ciò che noi vediamo è qualcosa che è programmato in noi, NON è l’unica realtà. Iniziamo ad accettare totalmente noi stessi e tutto ciò che ci circonda e la realtà si espande. Attraverso la non accettazione e cioè la resistenza si diventa prigionieri degli eventi, del mondo esterno, di se stessi e dei propri pensieri limitanti.
Per interrompere i comportamenti che non portano ai cambiamenti sperati è necessaria l’accettazione totale di se stessi. Non è utile andare contro! Lasciati andare!
Tutto ciò che ti hanno insegnato a credere fino ad oggi potrebbe semplicemente non essere vero! Non possiamo essere come ci hanno detto che “dovremmo” essere. Ed è proprio per quello che ora forse ti senti inadeguato. Ascolta i tuoi sentimentiperché solo tu puoi sapere cosa è giusto per te. Lasciati guidare da ciò che provi. Nessuno può sentire cosa è giusto per un altro. Abbiamo un corpo fisico per questo motivo, per imparare ad ascoltarci dentro, ma nessuno lo può fare al nostro posto.
Iniziamo ad amarci e ad accettarci cosi come siamo, accettando anche quelle cose che al momento sembrerebbe che non ci piacciono. Accettiamole ed amiamole, togliamo la tensione. Sciogliendo la tensione le cose possono finalmente iniziare a cambiare.
Essere arrabbiati con sè stessi o col mondo, sentirsi vittime degli eventi, non accettare se stessi non ci daranno mai la vita che desideriamo.
Vediamo insieme il processo dei 2 diversi atteggiamenti mentali/emozionali:

* Resistenza ==> Sofferenza ==> Chiusura ==> Perdita di Energia ==> Situazioni che si ripetono senza essere risolte

* Accettazione ==> Libertà ==> Espansione ==> Aumento di Energia ==> Situazioni che cambiano in meglio e si risolvono

 

Quando non accettiamo le cose così come sono e puntiamo in piedi le risolviamo? No!
Ci sentiamo meglio? No!
Invece cosa avviene? Vengono ripetuti i soliti schemi e le solite storie identificate come “problemi”, vengono fomentate le solite emozioni che non fanno sentire bene, si fa ritorno al solito precedente programma.
Lasciando andare le convinzioni programmate, le negazioni e le supposizioni permettiamo che una saggezza più profonda ci guidi verso la soluzione.
Abbiamo dunque un’espansione di noi stessi e della nostra vita.
Nel momento in cui iniziamo ad accettare ogni singolo step del percorso accadono 2 processi di espansione che ne allentano la resistenza portandoci verso la realizzazione:
•          Smettiamo di identificarci con il sé sofferente, con le esperienze e reazioni automatiche ed iniziamo a riconoscere il nostro sé autentico.
•          Ci liberiamo dagli aspetti condizionati reattivi della personalità, permettendo loro di tornare alla propria natura autentica.
 
Qual è il meccanismo che mantiene e perpetua situazioni di scarsità, insoddisfazione, sofferenza, sensazioni di non trovare una via d’uscita ai propri problemi?
LA RESISTENZA
Qual è l’interruttore, la leva da spostare per cambiare le cose e poter vivere al di fuori della trappola degli schemi ripetitivi?
L’ ACCETTAZIONE
Questo non significa che le cose debbano rimanere cosi come sono anche se non ci piacciono, ma significa che innanzitutto dobbiamo accettarle completamente, vederle con occhi nuovi ed amorevoli, amarle e poi la situazione finalmente si apre, si trasforma, cambia e migliora.
E’ indispensabile espandere le proprie credenze e cambiare il proprio stato affinchè avvenga la trasformazione.
Il cambiamento avviene quando abbiamo allentato la tensione e lo abbiamo accolto amorevolmente. Quando iniziamo ad accettare tutto di noi, di come siamo, del nostro passato e della nostra vita attuale.


di Monica Giovine

Dal Sito: piuchepuoi.it


Insonnia e ansia: quali rimedi e cosa fare


L'insonnia e l'ansia sono molto spesso due elementi connessi tra loro, ecco alcuni consigli utili per alleviare questi stati di stress.

Insonnia ed ansia? Si tratta di due disagi che riguardano moltissime persone. La difficoltà ad addormentarsi è una delle problematiche più diffuse e talvolta può incidere fortemente anche sulla propria quotidianità e in ambito lavorativo. Capire le cause all’origine di questi disturbi non è assolutamente facile, ma attraverso delle piccole accortezze è possibile alleviare questi malesseri. Un buon riposo notturno è fondamentale per la salute del proprio organismo e ritrovarsi a rigirarsi costantemente nel letto a guardare l’orologio non è affatto gradevole.

L’ansia e lo stress quotidiano a cui molto spesso si è sottoposti possono essere i motivi principali dell’insonnia. All’origine di una irritabilitàcostante, nervosismo ed agitazione vi possono essere dei dubbi, delle paure e delle preoccupazioni che giorno dopo giorno tormentano il proprio inconscio riversandosi dunque sullo stato emotivo. Talvolta si possono manifestare anche sotto forma di attacchi di panico. Spesso si è convinti di aver superato con positività un evento che ha causato dei traumi o delle fobie nella propria vita, ma in realtà il cervello è ancora in fase di elaborazione che provoca stati emotivi di forte tensione.

Ecco quindi che insonnia ed ansia entrano in gioco. Nervosismo e stress dunque non fanno bene alla salute, ancor di più se ad infastidire è anche l’insonnia. Con l’aiuto di alcuni semplici rimedi è possibile contrastare queste situazioni disagevoli. Innanzitutto bisogna determinare la causa principale relativa all’insonnia e all’ansia al fine di stabilire quali sono le soluzioni più efficaci. Il consulto del proprio medico può essere un buon aiuto. E’ possibile inoltre ricorrere a delle vere e proprie tecniche di rilassamento come ad esempio lo yoga e la meditazone.

Si tratta di due rimedi che consentono di focalizzarsi totalmente su se stessi, distendere i nervi e rimuovere lo stress. Da non sottovalutare assolutamente è anche una buona attività fisica. Eseguire regolarmente degli esercizi contribuirà all’eliminazione delle tossine, allevierà notevolmente le tensioni dal vostro corpo e aiuterà a sentirvi più leggeri e sereni. In alternativa, un’ulteriore soluzione a cui è possibile ricorrere è quella della musicoterapia. Concedetevi più tempo per voi stessi per coltivare le vostre passioni o i vostri hobby oppure dedicatevi ad un bagno caldo e rilassante con una dolce musica sottofondo per scacciare via tutti i pensieri negativi che vi affliggono.

Dal Sito: dilei.it

giovedì 7 giugno 2018

Garden Therapy: perché fa bene e 5 modi per praticarla a casa


La Garden Therapy porta con sé tanti benefici, primi fra tutti la riduzione dello stress, della depressione e degli stati d'ansia. Ecco come cominciare!

Sforbiciar piante e seminare ortaggi e fiori per combattere ansia, depressione e stress. Se avete ancora qualche dubbio sui benefici della Garden Therapy, ecco cinque buoni motivi per cominciare a prendere confidenza con la magica arte del pollice verde, capace, scienza conferma, di risollevare animi e umori.

Se l’inverno è per voi una specie di letargo in grado di ingrigirvi in uno stato di torpore e malumore ai massimi storici, quello che vi tocca fare adesso, prima che scoppi la calura estiva, è godervi l’aria aperta e ricaricare mente, corpo ed energie.

Esporsi alla luce del sole, infatti, aiuta a migliorare in un battibaleno l’umore, per cui godete il più possibile dei benefici della primavera, tra cui anche l’aumento della produzione di vitamina D dato dalla maggiore esposizione del corpo ai raggi solari, e fate il pieno degli ormoni del buonumore.

In tutto questo, meditate di inserire nelle vostre giornate la Garden Therapy, quella sorta di terapia olistica che sarà pronta a dare slancio e vigore alla vostra salute e al vostro benessere interiore.

Cos’è la Garden Therapy

Altro non è che il prendersi cura del proprio spazio verde o semplicemente passarvi alcune ore. Nota anche come Horticultural Therapy, la Garden Therapy è diventata negli anni sempre più credibile, avendo in molti confermato i suoi effetti positivi su coloro che la praticano.

La American Horticultural Therapy Association ha indicato i maggiori vantaggi per il benessere e la salute, perché in grado di contribuire a:

migliorare la propria autostima

combattere la depressione

migliorare le abilità motorie

promuovere l'interazione sociale

stimolare la capacità di risoluzione dei problemi

E non solo: la cura dell’orto e del giardino stimola la capacità di prendersi cura di una cosa che cresce e la soddisfazione di vedere sbocciare un fiore o di gustare un frutto o un ortaggio coltivato con le proprie mani. Solleva l’umore, stimola la gioia ed accresce la stima di sé. Inoltre, coltivare la terra libera la mente dai pensieri negativi e dalle preoccupazioni, dona una generale sensazione di relax e di benessere, allena l'apparato cardiocircolatorio e aiuta anche a bruciare calorie.

Ecco 5 modi per darvi alla Garden Therapy in casa

1. Tutti possiamo cominciare con la coltivazione di un orticello, di un giardino ma anche del proprio terrazzo a partire dai vasi. Per provare la gioia di una crescita, vi basterà anche solo un vasetto di erbe aromatiche sul davanzale, così come una piantina sulla scrivania dell’ufficio garantisce una sana ripresa dallo stress.

2. Sul balcone potete già sbizzarrirvi: via libera a fragoline e a pomodori, ma anche a lattuga, cipolla e aglio e a un mix di ortaggi che saranno anche belli a vedere. Un ottimo hobby che consente di rilassarvi ma anche di arricchire la cucina di colori e di gusto genuino.

3. Lo spazio è davvero il minimo essenziale? Beh, potete sempre riempire il davanzale di erbe aromatiche e fiori. Rosmarino e maggiorana, salvia e timo, ma anche gerbere e gerani. Un tocco di colore che non vi farà rimpiangere nulla!

4. Verde in ufficio! Se ansia e stress si racchiudono tra le mura del vostro ufficio, nessuno potrà dirvi nulla se posizionerete la pianta che vi piace di più nella vostra stanza. Tenete presente, per esempio, che aloe e ficus proteggono da inquinamento e aria viziata e che la dracena è in grado di ridurre stress, ansia e pure la tristezza.

5. Mai pensato a un orto condiviso? Condividere l'idea della coltivazione non solo allarga la cerchia delle amicizie, ma migliora notevolmente l'umore con lo scambio di opinioni e di esperienze. Pare sia un dato di fatto che la socialità legata ad attività pratiche sia tra i rimedi più efficaci per allontanare tristezza e scongiurare ansia e depressione.

Germana Carillo

Dal Sito: greemne.it

Ha un disturbo mentale, la sua geniale idea diventa virale sul web


Questa donna soffre di ansia ed attacchi di panico, la sua geniale idea diventa virale sul web e migliora la vita di molte persone che si trovano nelle sue stesse condizioni.

L’ attrice Kelsey Darragh è una donna che soffre di ansia. Fa una lista per il suo fidanzato in modo che lui possa sapere cosa fare per aiutarla a superare gli attacchi di ansia e panico che la immobilizzano. La lista su come aiutare qualcuno durante un attacco di panico diventa virale.

Il disturbo dell’ansia

Secondo l‘Organizzazione Mondiale della Sanità, il disturbo d’ansia è ildisturbo mentale più comune e ben 1 persona su 13 ne soffre a livello globale. L’ansia costante e gli attacchi di panico possono disturbare la vita di una persona, rendendo difficile per loro portare a termine anche le più semplici attività quotidiane. Tuttavia, molte persone che non hanno mai avuto problemi di salute mentale hanno difficoltà a capire il peso di tutto questo. A questo si aggiunge il ftto che molti non saprebbero davvero come agire di fronte ad una persona in preda ad un attacco d’ansia.

L’attrice Kelsey Darragh che soffre di attacchi di panico e d’ansia ha condiviso una lista che aveva scritto privatamente al suo fidanzato per aiutarlo a capire cosa fare in caso le venisse un attacco. La donna ha dato al ragazzo 15 indicazioni utili per aiutarla effettivamente a superare l’ attacco di panico. Dopo la condivisione, la lista è stata molto apprezzata ed è diventata virale.

La lista con le indicazioni per uscire dal panico


La lista  scritta a mano su due pagine di un diario, elenca le “cose ​​effettive” che il suo ragazzo deve fare per aiutarla nel caso in cui venga colpita da un attacco di panico. Ecco i 15 punti:

1. Sappi che sono spaventata e non sarò in grado di spiegare il perché, quindi per favore non spaventarti e non agitarti.

2. Cerca le mie medicine saranno nelle vicinanze e assicurati che io le prenda.

3. Gli esercizi di respirazione mi frustreranno ma sono vitali. Prova a farmi sincronizzare il mio respiro con il tuo.

4. Suggeriscimi delle cose che potremmo fare insieme per distrarmi dal panico. (Non dirmi cosa devo fare – e ascoltami quando dico di no a qualcosa).

5. Per il panico dissociativo, ricordami che questo attacco l’ho avuto altre volte in passato e anche questa volta come le altre passerà! il panico terrorizza chi lo prova, quindi raccontami anedoti divertenti su di me o sulla nostra vita insieme che mi faranno sorridere.

6. Alcuni sorsi d’acqua possono essere utili ma non forzarmi a bere o mangiare perché credimi il quel momento ho voglia solo di vomitare.

7. Continua a respirare con me!

8. Se è possibile allontanarci da dove ci troviamo, ti prego portami a casa!

9. Per favore, sii davvero molto gentile con megià non mi sento bene con me stessa e colpevole di averti messo in difficoltà, quindi per favore non farmi avvertire la tua frustazione.

10. Può darsi che un lungo, lungo, grande, lungo abbraccio mi farà sentire al sicuro.

11. Aiutarmi a respirare sarà difficile ma è molto importante!

12. Se non riesci a calmarmi, chiama mia madre o mia sorella dal mio telefono

13. Non dirmi di combattere contro il panico piuttosto, lascia che mi attraversi e passi. Più provo a controllarlo, peggio sarà.

14. Empatizza con mePotresti non riuscirci, ma tu provaci!

15. Una volta che tutto è passato parlami di quello che è successo, cosa hai fatto, cosa possiamo fare la prossima volta..

L’elenco di Darragh è importante perché fa luce su un problema di salute mentale ampiamente sconosciuto.

Le persone che soffrono di attacchi di panico vengono spesso descritte come eccessivamente sensibili e incapaci di affrontare lo stress. Ma in realtà, gli attacchi di panico possono manifestarsi all’improvviso e indurre le persone a credere di trovarsi in una situazione grave e pericolosa per la loro vita, anche quando non vi è alcun pericolo imminente.

Gli utenti di Twitter stanno ringraziando Darragh per aver condiviso questi consigli pratici su come aiutare le persone alle prese con disturbi di panico.
Da quando ha pubblicato l’elenco suTwitter, il tweet di Kelsey è stato condiviso più di 21.000 volte e ha ricevuto quasi 200 commenti.

Dal Sito: chedonna.it