venerdì 29 marzo 2019

Con l’ora legale squilibri e insonnia per il 70% degli italiani, ecco i rimedi

Tra il 30 e il 31 marzo lancette in avanti di un'ora

Lancette in avanti di un’ora ed è subito rischio insonnia e umore nero. Nella notte tra il 30 e il 31 marzo, quando scatterà l’ora legale, il sonno mattutino sarà sacrificato per godere di più luce durante il giorno. E dovremo fare i conti con gli effetti psicofisici della transizione: stanchezza, sonnolenza, irritabilità, affaticamento, scarsa concentrazione, bassa produttività, possono essere solo alcuni dei malesseri dovuti al cambio dei nostri ritmi circadiani.

“L’ora legale acutizza problemi psicofisici preesistenti, in individui che hanno difficoltà ad addormentarsi e presentano ansia e depressione, ne influenza il peggioramento- spiega la psicoterapeuta Paola Vinciguerra, presidente di Eurodap, Associazione europea disturbi da attacchi di panico e direttore scientifico di Bioequilibrium- Il jet leg, anche se solo di un’ora, può comportare uno squilibrio dell’organismo, tanto che il nostro orologio biologico può aver bisogno anche di alcuni giorni per riassestarsi. La privazione di sonno comporta un aumento del rilascio di cortisoloche, oltre ad incidere a livello cardiovascolare, può comportare anche un cambiamento al livello umorale”.

Un sondaggio promosso dall’Eurodap,Associazione Europea per il Disturbo da Attacchi di Panico, a cui hanno partecipato 658 persone di ambo i sessi di età dai 18 ai 67 anni, ha indagato i vissuti più frequenti al cambio dell’ora degli intervistati. Dai dati emerge come il 70 % degli italiani abbia molto spesso, in questo periodo, problemi d’insonnia; il 76%, sostiene di sentirsi molto meno produttivo sul lavoro e di avere sbalzi di umore. Per quasi il 90% il cambio di orario incide negativamente sul proprio stato psicofisico già poco equilibrato.

“Un vantaggio dell’ora legale risiede nell’ora di sole in più di cui possiamo godere – spiega la psicologa Eleonora Iacobelli, vicepresidente Eurodap e responsabile trainer del centro Bioequilibrium – La luce aumenta i livelli di serotonina, un neurotrasmettitore sintetizzato nel cervello conosciuto anche col nome di ‘ormone del buonumore’, proprio perché ci rasserena e migliora il sonno, fondamentale per la nostra salute. La luce solare favorisce la produzione dellavitamina D, un fondamentale gruppo di pro-ormoni che ha numerosi benefici per il nostro organismo e durante la gravidanza. Infine abbiamo più tempo libero da trascorrere all’aria aperta”.

CONSIGLI UTILI

Ecco allora i consigli dello staff di Bioequilibrium per affrontare al meglio questo giorno di transizione e garantire una corretta igiene del sonno:

– Evitare, prima di coricarsi, di assumere sostanze potenzialmente eccitanti che potrebbero disturbare l’addormentamento o causare risvegli notturni;

– Assicurarsi che l’ambiente in cui si dorme sia adoperato essenzialmente al riposo, senza la presenza nella stanza, rumori disturbanti;

– Se ci si dedica la sera all’esercizio fisico, farlo almeno 3-4 ore prima di andare a dormire. Il repentino innalzamento e abbassamento della temperatura corporea dovuto dallo sforzo fisico incide fortemente sui nostri livelli di melatonina;

– Cercare di non impegnarsi in attività particolarmente impegnative a livello mentale prima di coricarsi;

– Cercare di rispettare un orario abituale con cui si va a dormire e ci si sveglia durante la settimana;

– Limitare l’uso di smartphone o tablet prima di andare a dormire e durante la notte. Le luci emesse da questi dispositivi possono inibire la produzione di melatonina e toglierci il sonno.

Dal Sito: dire.it

Come combattere l'ansia sul lavoro


Salire sul ring con l'ansia non è mai facile, visto che è una lotta che bisogna fare quotidianamente, in particolare sul lavoro. Ma metterla a tappeto è possibile: i consigli dell'esperta

Facciamo un gioco di immaginazione: un giorno vi svegliate, andate in ufficio, ci arrivate già in affanno per via dei mezzi sempre affollati e in ritardo. Posate la ventiquattrore e aprite la mail aziendale: 120 mail. Dalle 19, quando avete spento, alle 9: 120 mail. Prima di aprirle, vi concedete un caffè alla macchinetta e quattro chiacchiere con i colleghi. Tornate dopo dieci minuti alla scrivania: le mail sono diventate già 143. Com'è possibile? Cominciate a evadere la posta e vi arriva la prima chiamata del capo, che vuole quel report di produzione consegnato prima di mezzogiorno. Avevate cominciato a guardarlo ieri pomeriggio, ma non a lavorarci seriamente: come farete? Rispondete alle mail più importanti, le altre le guarderete: prima il report. Iniziate a metterci la testa, ma il telefono continua a squillare: prima è il collega che vuole un parere sulla partita della sera precedente, poi è quel cliente che ha bisogno di spostare l'appuntamento. Sono già le 11.30 e non siete nemmeno a metà del lavoro. Guardate l'orologio, il capo è uscito. Avete tempo. Rinunciate alla pausa pranzo, pur di consegnare il lavoro. Tra l'altro, nel pomeriggio vi aspetta una riunione di reparto. La tensione cresce: cosa vorranno? Provate a lavorare, ma siete preoccupati, i pensieri vi affollano la mente, concentrarsi è impossibile. Avete anche saltato la pausa pranzo, quindi siete senza energie. Provate a ingurgitare qualcosa, ma avete lo stomaco chiuso. E così fino a sera. Quando tornate a casa, siete agitati: chissà se il report andava bene, chissà di quali tagli stavano parlando alla riunione e se vi riguardano. La notte non chiudete occhio, la mattina siete uno straccio. E così via, riparte un nuovo giorno.

Altro che immaginazione, questa è realtà. E ha un nome: ansia. Uno stato psicofisico logorante, caratterizzato da persistenti preoccupazioni o paure, che in Italia colpisce più di 6 milioni di persone, quasi 1 italiano su 5, soprattutto in ambito lavorativo (dati La Stampa.it, ndr).

Episodi come quello descritto poc'anzi non sono così rari sul lavoro e lo stress si moltiplica se si parla di mansioni di responsabilità, in cui una persona ha sotto di sé uno o più dipendenti. «In generale, sul lavoro, l'ansia si scatena a causa di molti fattori – spiega Marina Osnaghi, prima Master Certified Coach in Italia - Paura di perdere il posto, ambiguità nei ruoli e nella comunicazione, problematiche relazionali con il proprio superiore o i colleghi, disorganizzazione di alcune strutture che dovrebbero facilitare lo svolgimento delle attività, conflitti valoriali quando si lavora in un contesto in cui non ci si sente più rispecchiati e molti altri ancora». La conseguenza più evidente a livello psicofisico dell'ansia è la stanchezza: una sorta di logorio continuo che ‘consuma’ le energie vitali e ci si ritrova senza forze spesso senza una causa apparente.

Ma attenzione a non confondere l'ansia con il panico: «L’ansia di solito è persistente e ripetuta nel tempo, frutto di preoccupazioni e senso di incertezza, che può portare ad aggressività e nervosismo cronici – spiega Osnaghi - Quando si tratta di panico, invece, si intende una reazione localizzata nel tempo, immediata, a seguito di uno stimolo o di un pericolo reale o presunto, irrazionale, che di solito si spegne con l'esaurirsi dello stimolo che lo ha provocato».

Soprattutto sul lavoro, questo persistente logorio può sfociare anche nella sindrome da burnout, ovvero una condizione di inadeguatezza nel rispondere in modo soddisfacente allo stress, che può portare all'esaurimento emotivo e creativo, all'inefficienza e all'indifferenza nei confronti delle conseguenze che le azioni professionali possono comportare. Uno stato quasi di apatia che può condurre anche a disturbi del sonno, problemi cognitivi e tratti nevrotici. Nel concreto, quindi, se per esempio davanti a scadenze o consegne impellenti ci prende un attacco d'ansia, uscirne si può? E come? «Innanzitutto, bisogna respirareprofondamente e lentamente, per allentare la tensione. Mentre respirate, appoggiate una mano aperta sulla fronte e un’altra aperta nell’incavo della nuca, appena sopra il collo, nella classica postura destressante.

Poi cercate di capire che attitudine mentale naturale avete: tendete ad anticipare molto o vi piace ‘arrivare lunghi’? A seconda di questo, ‘aggiustate’ i tempi di preparazione, potenziando organizzazione e metodo di lavoro. Debolezza organizzativa e metodologica, infatti, aprono la porta a imprecisioni che stimolano l’ansia rendendo incerto il buon esito delle attività. Infine, se lavorate in gruppo, a ogni inizio di attività, chiarite bene presupposti e accordi. L'ambiguità di ruoli e responsabilità aumenta il rischio di insuccesso e stimola ovviamente l'ansia».

Se invece si è a capo di un teame si hanno molte responsabilità, come si può gestire al meglio la propria squadra, senza farsi cogliere dall'ansia? «Bisogna imparare a rafforzare il proprio metodo di lavoro nel trasferimento degli obiettivi e nel monitoraggio delle attività. Riunioni ben preparate favoriscono il processo di ingaggio del team, mentre una buona impostazione chiarisce la direzione e le modalità di lavoro, abbassando i rischi di fraintendimento e di incomprensione che sempre rallentano le attività. Più nello specifico, per ottenere collaborazione in modo diplomatico ed efficace, dimostrate segni evidenti di ascolto dell’interlocutore, domandando per capire il punto di vista altrui, cercando di trovare punti di contatto fra le diverse idee e comunicando senza contrapposizioni: invece di ‘sì, ma’ si tratta di dire ‘tu pensi questo e io aggiungo il mio pensiero’».

Combattere l'ansia, o meglio prevenirla, quindi è possibile, basta divenirne consapevoli. «Se non ci sono patologie gravi a provocarla, si può agire, curando molto l’organizzazione praticadella vita sia professionale che privata: questo significa occuparsi per tempo delle cose importanti, cercare accordi chiari, ‘mettere in ordine’ cose e relazioni, avere cura del proprio benessere e del proprio valore. Per trasformarla in un'opportunità, basta applicare quello che io definisco il metodo MTDG (mi tolgo dai guai!)». In cosa consiste? Semplice: in primis, non farsi paralizzare dall'ansia, ma cercare di individuare qual è la cosa/situazione/avvenimento che la origina. Poi, andare alla ricerca di una soluzione pratica. Come? «Raccontate la situazione a un paio di amici fidati, poi chiedete loro di farvi due domande che reputano importanti e di darvi un consiglio a prescindere dal racconto e dalle risposte. Senza discuterne, andate a casa e dormiteci sopra. Il mattino dopo decidete cosa fare, scegliete ciò che vi rende più soddisfatti: di solito è quella giusta!

Ma ricordate sempre: la soluzione non è una ciambella che viene subito ben cotta. Il risultato quando si tratta di ansia è incrementale e non sempre dall'effetto immediato. Spesso bisogna doverla cambiare, perfezionare. Quindi verificate come va, cosa funziona e che effetto sta avendo sulla vostra vita, poi aggiustate il tiro dove serve. E attenzione: dovete riconoscere i passi avanti fatti, anche se piccoli. Se non vi gratificate, perché non avete ancora raggiunto completamente il risultato, lo allontanate ancora di più». Della serie: guarire dall'ansia sul lavoro è esso stesso un lavoro.

Dal Sito: gqitalia.it

Bianca Guaccero: “Soffro di attacchi di panico e mi stupisce che sia ancora un tabù parlarne”

"Pensavo di essere in una società un po' più aperta", ha raccontati ai microfoni de I Lunatici su Rai Radio2


grande delicatezza, per descrivere quello che stavo vivendo. Ridurre il tutto al fatto che mi ‘sono passati gli attacchi di panico perché mi sono messa con Ventola‘ è una riduzione stupida, che non aiuta a capire. Non erano quelli gli strumenti giusti da dare in mano a chi sta vivendo una cosa del genere”.

“È un percorso lungo, che necessita una ricerca interiore, perché gli attacchi di panico non arrivano dal niente, ma da ciò che ognuno di noi si porta dentro. Bisogna capire perché il corpo a un certo punto ci invia certi segnali – ha continuato a raccontare Bianca Guaccero -. Nel mio caso, erano segnali legati alla tanta energia che avevo dentro, che era compressa per delle sovrastrutture che io avevo addosso, delle identificazioni, che non mi facevano sentire libera”.

“Io fin da molto piccola mentre tutti gli altri andavano a ballare in discoteca spensierati mi domandavamo perché esistevamo, perché c’erano le stelle in cielo, mi domandavo il perché per qualunque cosa e non avevo risposta – ha proseguito -. Mi rinchiudevo un po’ nel mio mondo. Spesso mi veniva risposto che avrei dovuto pensare a divertirmi. E’ per questo che spesso mi sono sentita diversa. Non migliore, diversa. Spesso mi chiedevo perché mi capitasse di stare così. Piangevo per questo. Poi, piano piano, la mia natura l’ho cercata nel mondo, la sto ancora cercando, e sto cercando di capire chi sono”, ha concluso la Guaccero.

Dal Sito: ilfattoquotidiano.it

La saggezza del respiro: le tecniche di respirazione per imparare a gestire lo stress

Il respiro è un prezioso strumento di benessere che abbiamo sempre a disposizione, utile anche per imparare a modulare le emozioni.


Il respiro è una magia, è la musica della vita che scandisce il ritmo delle nostre giornate e ci dice come stiamo. Se stiamo correndo troppo, se siamo in ansia o rilassati, se siamo sereni o inquieti. Il respiro è saggio e il “trucco” sta nell’imparare ad ascoltarlo, perché può rivelarci i suoi segreti e rimetterci in equilibrio e essere una valido alleato per la nostra salute. Il respiro è anche la guida scelta in quasi tutte le tradizioni meditative e nello yoga. Per un semplice fatto: accade. In modo naturale. Non occorre “fare qualcosa” per respirare. È una funzione che abbiamo sempre a disposizione, una risorsa che entra ed esce e ci attraversa il corpo portando in noi l’energia vitale. È la prima cosa che impariamo a fare quando nasciamo e che ripetiamo più spesso: circa ventimila volte al giorno. Il respiro ci ancora al corpo quando la mente se ne va a saltellare qua e là come una scimmietta su un albero.

Oggi per fortuna poniamo una maggiore attenzione rispetto a un tempo all’alimentazione, che è il secondo elemento necessario alla vita, ma alla respirazione, che, in realtà è il nostro primo fabbisogno, non diamo ancora l’attenzione che merita. Dalla respirazione dipende lo stile di vita, cioè la capacità di gestire lo stress e la nostra efficienza sia al lavoro che nel tempo libero, in ogni attività fisica che intraprendiamo. Una ricerca della Stanford University School of Medicine del 2017 ha dimostrato che la respirazione è in grado di controllare il sistema nervoso centrale e non solo quello autonomo e di conseguenza, tutte le funzioni vitali principali come la qualità del sonno, il recupero delle energie, la digestione e lo stato mentale. Ma non solo: una corretta respirazione può aiutare anche a curare alcune patologie o disfunzioni come la postura del copro, a prevenire gli attacchi di asma, gestire gli attacchi di panico e migliora la memoria e la concentrazione. Infine, un consiglio a tutti coloro che desiderano smettere di fumare o dialogare con altre forme di dipendenza: più si lavora sulla concentrazione sul respiro e meno si resta sotto l’effetto del desiderio. I primi minuti sono essenziali e i più efficaci perché aiutano ad allontanare lo stimolo e ci restituiscono la libertà di essere semplicemente presenti.

1/

Fai almeno cinque respiri profondi

2/

Annusa l'aria fresca che entra e quella calda che esce

3/

Non bloccarlo

4/

Segui una sola via

5/

Respirare è un concerto

6/

Scegli il ritmo

7/

Cambia umore col respiro

8/

Trova il tempo

9/

Lasciati massaggiare dal respiro

10/

Respira e dormi bene


di STEFANO BETTERA

Dal Sito: iodonna.it

mercoledì 27 marzo 2019

Emozioni e diffidenza: come gli stati emotivi influenzano la nostra fiducia negli altri

Emozioni e fiducia: secondo uno studio, tendiamo a fidarci meno degli altri se stiamo provando delle emozioni spiacevoli, anche se causate da altri fattori.

Una ricerca dell’università di Zurigo e dell’Università di Amsterdam evidenzia che le emozioni spiacevolipossono ridurre l’abilità di fiducia verso gli altri, anche se queste emozioni sono state innescate da eventi estranei alla decisione di fidarsi.

Erica Benedetto

Non è un segreto che i sentimenti provati verso una specifica persona possono influenzare l’interazione e i livelli di fiducia.

Emozioni: come influenzano le nostre interazioni sociali

Per esempio, se un amico critica il nostro nuovo taglio di capelli e subito dopo ci chiede in prestito la macchina, è meno probabile che gli si dirà di si. Ma cosa succede se le emozionispiacevoli sono scatenate da eventi che non hanno nulla a che vedere con quella persona? Cosa succede, per esempio, se è il capo a criticarci e a urlarci contro subito prima che l’amico ci chieda in prestito la macchina? Nel campo della psicologia, queste emozioni sono chiamante “accidentali”, proprio perché innescate da eventi non relazionati alle nostre interazioni sociali attualmente in corso. E’ stato dimostrato che le emozioni accidentali si presentano quotidianamente nelle interazioni con gli altri, anche se non ne siamo pienamente consapevoli. A tal proposito, il presente studio si è posto come obiettivo quello di indagare se le emozioni negative accidentali possono, in qualche modo, influenzare i comportamenti di fiducia e quali potrebbero essere i network cerebrali associati alle interazioni sociali.

Emozioni spiacevoli e fiducia negli altri: lo studio

Per creare uno stato prolungato diemozioni spiacevoli, il team di ricerca ha usato un metodo ben strutturato noto come metodo di minaccia-shock, nel quale i partecipanti sono minacciati attraverso una sgradevole scossa elettrica, in quanto è stato dimostrato che, l’attuazione di tale minaccia, provoca negli individui un’ansiaanticipatoria. Nel frattempo, I soggetti hanno partecipato a un gioco di fiducia, consistente nel dover prendere decisioni circa la quantità di denaro da investire in un estraneo (l’estraneo aveva l’opportunità di ripagare in gesti o, in alternativa, di tenere tutto il denaro per sé).

Nell’esperimento, I partecipanti si sono mostrati meno fiduciosi nel momento in cui sperimentavano più ansia riguardo l’essere sottoposti a scosse elettriche, nonostante la minaccia fosse indipendente dalla decisione di fidarsi dell’estraneo. Durante lo studio, le risposte cerebrali dei partecipanti sono state registrate attraverso l’fMRI. Le immagini della risonanza magnetica hanno rilevato che la regione cerebrale più implicata nella comprensione delle credenze altrui, la giunzione temporoparietale (TPJ), era significatamente soppressa quando i partecipanti si sentivano minacciati, ma non quando si percepivano al sicuro. Inoltre, la connettività tra la TPJ e l’amigdala era soppressa in maniera significativa dalle emozioni difficoltose. In ogni caso, sotto condizioni sicure, la forza della connettività tra TPJ e altre importanti regioni cerebrali, come il solco temporale superiore e posteriore e la corteccia prefrontale dorsomediale, hanno predetto quanta fiducia i partecipanti riponessero negli altri.

Nell’esperimento, l’associazione tra l’attività cerebrale e comportamentale è stata neutralizzata nel momento in cui i soggetti hanno sperimentato ansia. I risultati mostrano che leemozioni spiacevoli impattano, in maniera significativa, sulle nostre interazioni sociali, specialmente sulla fiducia verso gli altri. Inoltre, lo studio rivela gli effetti sottostanti delle emozioni negative sui circuiti cerebrali: esse sopprimono i meccanismi neurali implicati nelle cognizioni sociali, i quali risultano importanti per capire e predire il comportamento altrui. In conclusione, le emozioni “negative” possono avere conseguenze sostanziali nel modo in cui ci approcciamo a livello sociale e interpersonale. Esse potrebbero addirittura distorcere il nostro modo di prendere importanti decisioni sociali, come per esempio il voto politico.

Dal Sito: stateofmind.it 

Sovrappeso mentale: quando il pensare troppo fa male

Se avete l’impressione che il vostro corpo sia sempre stanco, rigido o dolente, forse avete problemi di sovrappeso. Non stiamo parlando di un aumento del peso corporeo o del perimetro craniale, ma di sovrappeso mentale. Un eccesso di pensieri negativi, inerti e improduttivi.

Durante la giornata, immaginiamo, comprendiamo, riflettiamo, creiamo, calcoliamo, prendiamo decisioni, in altre parole passiamo la vita a pensare. Tuttavia, non tutti i pensieri sono utili o validi, di fatto, a volte pensiamo troppo e inutilmente e ci ritroviamo con un eccesso di pensieri inutilizzabili.

Se elaboriamo idee che non portano a nulla, alla fine la nostra mente si stanca. Si sente appesantita, si blocca e rinuncia ad attivare altri processi.

I pensieri sono l’unità di base della mente

Come avete visto, pensare fa parte della natura umana. Di fatto, è uno dei processi che ci distinguono dal resto degli esseri viventi. Il nostro pensiero, però, contrariamente a quello che potremmo pensare, non è sempre cosciente, anzi.

Immaginiamo un iceberg: la punta dell’iceberg o ciò che emerge dalla superficie del mare è il pensiero cosciente. La parte sommersa, invece, costituisce il pensiero incosciente.

Secondo il Dottor Michael Shadlen, ricercatore presso il Mortimer B. Zuckerman Mind Brain Behavior Institute in Columbia (Stati Uniti), “la maggior parte dei pensieri che circolano nel nostro cervello è frutto del subconscio, il che significa che, nonostante il nostro cervello stia lavorando, non ne siamo coscienti”.

Di conseguenza, la qualità dei nostri pensieri determina l’andamento della nostra vita di tutti i giorni. Il nostro sviluppo dipende dalle idee coscienti e incoscienti che si incrociano nella nostra mente.

I pensieri spazzatura fanno ingrassare la mente

I pensieri spazzatura ricorrenti ci stancano perché non apportano alcun beneficio. Sono ragionamenti vuoti e addirittura tossici e vengono elaborati nella nostra mente cosciente. In altre parole, il sovrappeso mentale non è il risultato di processi mentali repressi, impulsi o desideri, è frutto di un’elaborazione intenzionale.

Sono pensieri superflui e inutili, quindi invece di aiutarci ad approfondire la conoscenza di noi stessi o di apportarci altri vantaggi cognitivi, ci rubano le energie e rallentano il processo di elaborazione cosciente. Ci impediscono di essere creativi, comprensivi o di imparare nuove abilità. Ci bloccano e paralizzano le nostre qualità.

Per questo motivo, in caso di sovrappeso mentale, i nostri pensieri agiscono come il cibo spazzatura, generando conseguenze fisiche simili a quelle dell’obesità, tra cui stanchezza fisica, difficoltà a camminare o a realizzare sforzi fisici, problemi di respirazione, aumento della sudorazione, dolore generalizzato alle articolazioni o anche alterazioni cutanee come l’acne.

Cause del sovrappeso mentale

Esistono diversi tipi di pensieri tossici, ma alcuni dei più ricorrenti sono:

La critica: quando rimproveriamo, giudichiamo o condanniamo qualcuno, in realtà stiamo criticando noi stessi. Svalutiamo la nostra autostima e proiettiamo nell’altro tutte le nostre impotenze.

La compassione: il vittimismo è uno degli ostacoli della mente che ci impedisce di andare avanti. Il cambiamento impone di uscire dal tunnel di questa compassione verso se stessi e di non ristagnare in pensieri nefasti, negativi, frustranti o impotenti.

Le supposizioni: l’unico scopo delle supposizioni è quello di logorarci. Le congetture, le previsioni o le ipotesi non fanno altro che creare danni e sovrappeso mentale in maniera quasi automatica. Come pretendiamo di capire cosa pensa qualcuno di noi se spesso non lo sappiamo nemmeno noi?

Le ipotesi e i ripensamenti: “se avessi fatto questo, ora…”, “forse sarei dovuto andare…”. Se in quel momento non abbiamo fatto qualcosa, non ha senso tormentarsi. Sono solo pensieri autodistruttivi.

Come snellire la mente?

Per evitare la tossicità mentale e le sue conseguenze, non dobbiamo permettere ai pensieri di dominarci. In altre parole, bisogna imparare a controllarli. A tale scopo, possiamo mettere in pratica i seguenti consigli:

Far riposare la mente: la meditazione è un fantastico esercizio per attirare solo le idee positive. Altre pratiche artistiche come la pittura aiutano a scaricare la tensione e a sostituire i pensieri spazzatura con altri pensieri più produttivi. La lettura, il cinema, le conferenze e i seminari sono ottimi modi per far riposare la mente.

Eliminare le tossine sociali: identifichiamo i rapporti sociali che ci danneggiano. Ad esempio, se ci circondiamo di persone troppo pettegole e dalla critica facile, alla fine ci comportiamo allo stesso modo. Dobbiamo cercare un ambiente più sereno, che trasmetta forza, energia e positività.

Far tacere i pensieri: mettiamo uno stop a questi pensieri tossici ricorrenti. Per quanto possa sembrare assurdo, dobbiamo prima concentrarci intensamente su queste idee negative e dopo qualche minuto eliminarle radicalmente e in maniera brusca. Svuotiamo la mente.

Se i pensieri negativi sono sporadici, il loro impatto fisico è minimo. Se, invece, sono costanti, allora possono arrivare a inibire le nostre capacità e a compromettere la nostra qualità di vita.

Le persone che soffrono di sovrappeso mentale si allontanano dalla realtà e cercano di colmare i loro vuoti con la ricchezza personale degli altri. Sono individui che hanno bisogno di scaricare i loro pensieri improduttivi e di liberarsi di tutte le emozioni sgradevoli che questi causano. Non bisogna lasciarsi contaminare.

Se curiamo la qualità dei nostri pensieri, ci prendiamo cura anche della qualità della nostra vita. Non dimentichiamolo.

Fonte: lamentemeravigliosa.it


Dal Sito: aprilamente.info 

martedì 26 marzo 2019

Psicologia della forza di volontà: volere è potere

La psicologia della forza di volontà afferma che niente è impossibile quando c’è determinazione, quando c’è carisma e si allena il cervello a prendere decisioni migliori.Non tutti nascono con queste competenze e valori personali, ma li sviluppano con il tempo, rendendosi conto dei propri limiti e delle proprie capacità.

Forse vi sorprenderà sapere che la psicologia dedichi uno spazio esclusivo alla forza di volontà. In realtà, fa parte della più ampia categoria della motivazione, dove non mancano terapeuti e coach specializzati nell’insegnamento delle strategie migliori per far emergere i punti di forza della persona.

Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili.

Tuttavia, possiamo affermare che quest’ambito di studio si è consolidato a partire dal 2011 dopo un sondaggio condotto dall’American Psychological Association (APA). L’obiettivo era quello di valutare il livello di stress della popolazione statunitense, così come i fattori scatenanti. I risultati hanno evidenziato delle informazioni molto importanti.

Più della metà degli intervistati ha dichiarato di essere consapevole di non condurre uno stile di vita salutare, oltre a sapere che ansia e stress erano i loro peggiori nemici. Hanno affermato anche di non avere la forza di volontà necessaria per avviare un cambiamento, di non essere dell’umore giusto o di non avere le risorse adeguate per migliorare la loro condizione.

Perché capita tutto questo? Perché a volte procrastiniamo? Perché ci manca la volontà di fare sport, di smettere di fumare o di trovare il coraggio necessario per inseguire un sogno nel cassetto che abbiamo da sempre? La psicologia della forza di volontà ci dà le risposte che cerchiamo.

Che cos’è davvero la “forza di volontà”?

A volte abbiamo un’idea sbagliata riguardo a diversi ambiti del comportamento umano. Magari sarà capitato anche a voi di vivere periodi in cui vi mancava completamente la forza di volontà, come se foste rinchiusi in una stanza buia senza sapere cosa fare, come reagire e sentendovi completamente indifesi. In situazioni simili non sono mancate le critiche per la vostra apparente debolezza e incapacità di reazione.

La psicologia della forza di volontà chiarisce che questa dimensione non appartiene alla genetica, nessuno nasce con un programma preinstallato che si attiva al bisogno. Questa energia interiore è molto sensibile allo stato d’animo, al contesto in cui si vive e all’educazione che si riceve. Nessuno ci ha insegnato le strategie per superare la paura, l’indecisione, per allenare l’autocontrollo o la determinazione personale.

Perciò, è importante definire prima di tutto cosa intendiamo per “forza di volontà”.

Il coraggio è resistenza alla paura e dominio della paura, ma non assenza di paura.

Caratteristiche della forza di volontà

Secondo la American Psychological Association, la forza di volontà è una regolazione consapevole dell’Io con cui raggiungere un obiettivo, consapevoli di meritarlo.

Questa dimensione è intimamente legata all’autostima e alla concezione di sé.

Un aspetto importante associato a questa dimensione ha a che vedere con la regolazione dei pensieri negativi o limitanti. Dobbiamo imparare a controllare gli impulsi indesiderati che ci ostacolano.

È associata anche alla nostra capacità di ritardare la gratificazione. Dobbiamo essere in grado di resistere alle tentazioni a breve termine per raggiungere obiettivi a lungo termine.

Infine, c’è da dire che tutte queste abilità e risorse psicologiche si possono allenare. Di fatto, lo dovremmo fare tutti, senza dimenticare l’importanza di trasmettere ai più piccoli questo genere di strategie motivazionali per guidarli ad assumersi responsabilità e a fissare obiettivi fin dalla tenera età.

3 consigli della psicologia della forza di volontà

Anche se è vero che “volere è potere”, ci sono sempre delle piccole sfumature da tenere in considerazione. Potremmo quindi modificare l’affermazione in “volere è sapere quali strategie mettere in pratica per raggiungere quello che voglio e che posso ottenere con un atteggiamento realista“.

Uno dei lavori più interessanti sulla forza di volontà è l’opera dell’esperta in psicologia della salute Kelly McGonigal, The Willpower Instinct: How Self-Control Works, Why It Matters, and What You Can Do to Get More of It, in cui illustra alcune strategie che possono risultare utili a chiunque.

 Non credo di farcela

“Non credo di farcela”. Questa è senza dubbio una delle frasi che pronunciamo o pensiamo quando ci fissiamo un obiettivo. In realtà, questo dialogo negativo e limitante con noi stessi è la prima cosa che dobbiamo imparare a controllare, vincere e cambiare.

Un modo per riuscirci è dire a noi stessi: “Se non credo di farcela, troverò un modo per farcela”.

Lo farò eliminando il dialogo interiore negativo.

Per quanto possa sembrare negativa la mia voce, trasformerò ogni frase in positivo: “Non posso ambire a un lavoro migliore, il mondo del lavoro è cambiato” diventa “Se non posso aspirare a un lavoro migliore, cercherò di offrire qualcosa di nuovo e di qualità“.

Darò il meglio di me

Abbiamo tutti magnifiche qualità, capacità e abilità che dobbiamo riconoscere, apprezzare e potenziare. A volte, però, a causa delle circostanze o di alcune persone tendiamo a dimenticare o a sottovalutare questi nostri valori.

È il momento di ricordarli, di mettere da parte le cattive influenze che arrivano dall’esterno o dall’interno che minano la nostra autostima e potenziare al massimo ciò che siamo e valiamo.

Voglio potere

L’ultima idea è semplice, utile e pratica. Invita a praticare nella vita di tutti i giorni delle semplici verbalizzazioni. Ecco alcuni esempi:

Voglio sentirmi meglio.

Voglio sentirmi più forte.

Voglio superare il passato e mettere da parte i pensieri negativi.

Oggi voglio affrontare quella paura, quel problema.

Domani voglio raggiungere quell’obiettivo.

Come potete vedere, la psicologia della forza di volontà è davvero importante, utile e decisiva per le nostre vite. Dobbiamo imparare ad allenare la nostra forza di volontà, ad essere consapevoli delle nostre risorse interiori e del fatto che meritiamo senz’altro di realizzare i nostri sogni uno ad uno.

via La Mente Meravigliosa

Dal Sito: aprilamente.info 

lunedì 25 marzo 2019

Fobofobia: i sintomi della paura di avere paura


Ecco cosa è la Fobofobia e come ritrovare il proprio benessere.

La fobofobia è auto-limitante e auto-replicante, in quanto l’individuo che ne soffre potrebbe già avere una o più fobie, e teme quindi di essere afflitto da altre. Può però verificarsi il caso contrario: una persona potrebbe non provare alcun fobia, ed essere terrorizzato all’idea che questa eventualità si presenti, cambiando e riducendo la sua capacità di portare a termine le attività quotidiane.

La fobofobia, come ogni altra fobia, trova origine nei disturbi d’ansia. Non esiste un vero e proprio fattore ambientale esterno scatenante. La fobofobia, come le fobie in genere, è un processo inconscio radicato nella mente delle persone, e i sintomi più comuni consistono nella sensazione di ansia, attacchi di panico, bocca asciutta, nausea, comportamenti isterici, battito cardiaco accelerato, respiro affannato. Il soggetto potrebbe avvertire il bisogno di scappare, e tali sintomi possono causare forte disagio nei soggetti afflitti.

Trovare un trattamento adeguato è dunque importante, in quanto i sintomi possono degenerare, portando la persona ad assumere comportamenti nocivi. Nel caso specifico della fobofobia è consigliato rivolgersi a un professionista, il quale potrebbe consigliare un percorso di terapia, o prescrivere dei farmaci calmanti o antidepressivi. Per evitare l’insorgere di spiacevoli effetti collaterali derivati dall’uso di questi ultimi, sarà fondamentale seguire attentamente le indicazioni del medico.

Dal Sito: benessereblog.it

Dolore emotivo: il più difficile da curare

Il dolore emotivo è la ferita che nessuno vede e la più difficile da curare. Tutti noi ne abbiamo una, o forse più di una. Tuttavia, lungi dal doverlo considerare una sconfitta o simbolo di debolezza, dobbiamo imparare a riconoscerlo come parte della nostra essenza.


Durante il nostro ciclo vitale, abbiamo sperimentato vittorie e sconfitte. Nessuno è immune alla sofferenza, ma solo pochi sono capaci di trasformarla in lezione: la resilienza.

Perché voi non siete le vostre sconfitte né le vostre perdite. Voi siete la persona che è riuscita a guardare in faccia le avversità, per affrontarle e andare avanti; anche se è qualcosa difficile da scoprire, perché il dolore emotivo fa sempre male, e ci ricorda sempre “dov’è la ferita”.

Il dolore emotivo che nessuno vede e che tutti nascondiamo

Potremmo dire, senza sbagliarci, che in questa vita ci sono due tipi di persone:

  • Quelle che interiorizzano il loro dolore emotivo e lo gestiscono giorno dopo giorno con coraggio e superamento personale. Sono persone che non si lasciano abbattere e che conservano le loro cicatrici, sapendo che fanno parte della loro vita, e che hanno portato degli insegnamenti.
  • Le persone che hanno fatto del loro dolore emotivo il proprio rancore personale. Si lamentano così tanto da generare malessere nelle persone che le circondano. Hanno smesso di credere in se stesse e negli altri, e vedo ogni giorno con negatività.

Si dice spesso che chi non ha sofferto non sa ancora cos’è la vita. Tuttavia, non è necessario esagerare tanto. Ognuno di noi vive la vita che gli tocca e dobbiamo prenderci ciò che il destino ci offre.

Il dolore emotivo è sempre quella ferita interna che, se non viene gestita in modo adeguato, può trasformarsi in malattia. Vale a dire che, quando un problema emotivo non si supera, tutto il nostro organismo ne soffre le conseguenze, fino a sfociare in diversi problemi di salute. Ecco i più comuni

Emicranie

Cefalee

Problemi musco-scheletrici

Mal di pancia

Cattiva digestione

Insonnia

Ansia

Vertigini

Nausea

Tutti, in qualche modo, abbiamo avuto momenti difficili, in cui la sofferenza è passata dai pensieri e dal mondo emotivo al nostro fragile involucro fisico.

È inevitabile, ma questo non significa che dobbiamo arrenderci a questo malessere emotivo. La vita continua il suo corso e ci meritiamo di continuare a respirare, ad entusiasmarci e a sperare. Vi spieghiamo come fare.

Come gestire giorno dopo giorno il dolore emotivo

Avete il diritto di piangere e di arrabbiarvi

Siete persone, e come tali, avete bisogno di canalizzare le vostre emozioni. Non seguite mai i consigli di chi vi dice: non piangere, guarda avanti e dimentica tutto, come se non fosse successo niente.

Da quando bisogna ignorare quello che ci fa male? Non fatelo mai. Guardate il vostro nemico dritto in faccia, capitelo e scoprite perché vi ha ferito. Per concludere una fase, avete bisogno di capire, di comprendere, e non di fuggire.

Piangere è necessario, igenico e salutare, così come provare rabbia o arrabbiarsi. È quello che viene denominato sfogo emotivo, e come tale dev’essere vissuto, durante un breve periodo di tempo. Chi non si sfoga, non si “scarica”, e questo, a lungo andare, ha delle conseguenze.

Lo sfogo emotivo dev’essere puntuale e non durare più di due settimane. Nel caso vi troviate a piangere per un mese e a farvi trasportare dalle emozioni negative, correrete il rischio di cadere in depressione.

Avete il diritto di essere la vostra priorità

Non solo dovete essere la vostra priorità, ma è anche un vostro dovere permettervi quello che volete e quello di cui avete bisogno.  

  • Avete bisogno di tempo? Prendetevi una settimana per voi stessi.
  • Volete sentirvi utili? Prendete delle decisioni e ponetevi nuovi obbiettivi, per ricominciare ad entusiasmarvi.
  • Avete bisogno di essere felici? È possibile che ci siano cose della vostra quotidianità che dovete lasciarvi alle spalle. È il momento di riflettere e di prendere delle decisioni.

Basta con il “ritrovare se stessi”. Adesso dovete “reinventarvi”

Passiamo gran parte della nostra vita dando la priorità alla “ricerca di noi stessi”. Adesso che avete già fatto le vostre esperienze, che avete ottenuto degli insegnamenti e che avete vissuto il dolore emotivo nelle sue svariate forme, è giunto il momento di “reinventarvi”. 

  • Sapete come siete. Ora pensate a come vorreste essere: Più coraggiosi? Più sicuri? Persone capaci di realizzare i propri sogni?
  • Per reinventarvi, avete bisogno di alimentare nuove speranze e ambizioni. Non è mai troppo tardi per cambiare, per prendere di nuovo quel treno che un giorno avete lasciato passare.
  • Circondatevi di persone che favoriscano la vostra crescita personale, che vi aiutino e che non mettano dei muri tra la vostra identità e la vostra autostima.

Il dolore emotivo si supera con nuove ambizioni, nuovi respiri e nuove speranze. Sono ferite interne che si cicatrizzano poco a poco, e che ogni giorno faranno meno male.

(Vivere più sani)

Dal Sito: lamiatempestaperfetta.it

"Cosa significa VERAMENTE essere ansiosi" - il testo più straordinario che abbia mai letto sull'argomento

Questo testo è stato originariamente pubblicato su Thought Catalogue di Kirsten Corley ed è di gran lunga il testo più semplice, più diretto e più illuminante che abbia mai letto sull’argomento.

L’ansia, il male del secolo, una malattia che ha creato negli anni una moltitudine di menti prigioniere, è un male da non disprezzare, da sottovalutare o da ignorare.
È ora di affrontarlo. Sei pronto?

Cosa significa veramente provare ansia

Va oltre la semplice preoccupazione. L’ansia significa notti insonni mentre sospiri e ti giri da una parte all’altra.

È il tuo cervello che non è in grado di spegnersi.
È la confusione dei pensieri che si accalcano prima di andare a letto e tutte le tue peggiori paure che diventano realtà nei sogni e negli incubi.

E così ti svegli già stanco anche se il giorno è appena iniziato.

L’ansia inizia poi a privarti del sonno, perché sei riuscito a chiudere gli occhi solo alle due del mattino.

L’ansia è ogni volta che pensi “come faccio a farlo bene… “, sono quei 3/4 messaggi che invii per chiedere se hai fatto qualcosa di sbagliato.
L’ansia risponde ai messaggi in modo imbarazzato e veloce.

L’ansia è il tempo che passi ad aspettare una risposta mentre uno scenario terribile sale nella tua testa, mettendo in discussione ciò che pensa l’altra persona o chiedendoti se è arrabbiata.

L’ansia è il messaggio senza risposta che ti uccide dall’interno, anche se ti dici “forse è occupato o risponderà più tardi”.

L’ansia è la voce critica che dice “forse ti sta ignorando comunque”.
E credi ad ogni scenario negativo che crei.

L’ansia è aspettare. È l’infinita attesa.

L’ansia è chiedere scusa per cose che non devono essere nemmeno giustificate.

L’ansia è dubitare di te stesso, è la mancanza di fiducia in te stesso.

L’ansia è eccessiva nei confronti di tutto e di tutti.
Puoi capire se qualcuno ha cambiato il suo umore solo dal tono di voce.

L’ansia rovina le relazioni prima ancora che inizino. Lei dice: “Ti stai sbagliando; a lui non piaci e te lo dimostrerà … ». E tu le credi.

L’ansia è il costante stato di preoccupazione, di panico, è vita al limite.
È vivere con le paure irrazionali.

È pensare troppo, preoccuparsi troppo. Perché la radice delle persone ansiose, è prendersi cura delle preoccupazioni.

L’ansia sono le mani sudate e un cuore veloce.
Ma dall’esterno, nessuno lo nota. Sembri calmo e sorridente, ma dentro è il contrario.

L’ansia è l’arte di pensare che tutti ti ingannino, che i tuoi amici in realtà non ti capiscano.

È cercare di risolvere un problema che non esiste.

È il mucchio di domande che ti fanno dubitare di te stesso.
È il bisogno di controllare ancora una volta tutto.

L’ansia è il disagio che arriva durante una festa, quando pensi che tutti ti stiano guardando, è credere di non essere il benvenuto.

L’ansia è quando cerchi di compensare e compiacere troppo gli altri.

L’ansia è sempre in orario, perché il pensiero di arrivare in ritardo, ti butta nel panico.

L’ansia è la paura del fallimento, è l’implacabile ricerca della perfezione.
E poi punisci te stesso quando fallisci.

Hai sempre bisogno di un copione e di un piano.

L’ansia è la voce dentro la tua testa che dice “stai per fallire”.

È cercare di soddisfare le aspettative degli altri anche se ti stanno uccidendo.

L’ansia è accettare più di quello che riesci a gestire , è non trovare mai qualcosa per distrarti e per non pensare troppo ad altre questioni.

L’ansia procrastina, perché sei paralizzato dalla paura del fallimento.

È l’anticamera dell’attacco di panico.

È il piangere quando ti ritrovi solo e nessuno ti sta guardando.

È quella voce critica che dice “hai sbagliato ” e “dovresti sentirti davvero uno schifo in questo momento”.

Ma più di ogni altra cosa, l’ansia è prendersi cura dell’ansia, è non voler mai ferire nessuno, è non voler fare niente di sbagliato, è il desiderio di essere apprezzati e accettati comunque.

È quando finalmente ti rendi conto che si tratta di ansia, che chiedi aiuto ai tuoi amici e ad un professionista.
Perché desideri uscirne, con tutte le tue forze.

Dal Sito: giornodopogiorno.org

Persone Ansiose, Le 4 Caratteristiche Che Solo Loro Possiedono

La vita quotidiana ci porta spesso a vivere momenti di tensione e di stress, questo ci porta ad essere persone ansiose.

Quando l’ansia entra a far parte della nostra vita non è, purtroppo, buona cosa. Spesso ci capita di dover vivere giornalmente con queste, le conseguenze non ci aiutano ed essere sereni.
Alle volte anche dover fare delle piccole cose ci può sembrare molto complicato, anche insopportabile.

Il non riuscire a dare una risposta a quello che ci sta succedendo peggiora ulteriormente la situazione scatenando anche attacchi di panico.

Le persone che soffrono di ansia ed attacchi di panico si chiedono perchè quelle reazioni incontrollate s presentano in modo improvviso e senza un’apparente motivo.

Il discorso è proprio questo, è evidente che queste persone possiedono delle caratteristiche che gli altri non hanno, Queste portano allo scatenarsi degli attacchi di ansia e di panico.

Vediamo insieme quali sono le caratteristiche delle persone ansiose:

1- Quoziente Intellettivo superiore alla norma
Le persone che sono capaci di riflettere profondamente su un argomento, possono sviluppare l’ansia più facilmente di chi prende le cose con limitazione.
Riflettere su qualcosa nel dettaglio può scatenare l’ansia e stress e di conseguenza attacchi di panico.

2- Più responsabilità
Le persone ansiose hanno la capacità di prevedere situazioni pericolose, questo porta ad attivare alcuni sensori celebraliche ci fanno sentire responsabili di eventuali conseguenze.

3- Giudizio
Riescono a comprende meglio gli altri, analizzano ogni persona per capire se si possono fidare. Quindi scrutano parole e comportamento così attentamente per evitare fregature.

4- Empatia e compassione
Avendo più sviluppati alcuni percettori, carpiscono gli stati d’animo degli altri molto bene. Entrano cosi’ in sintonia con le persone con cui hanno a che fare e condividono il dolore e la frustrazione di queste.

La conclusione è che le persone ansiose non sono malate, ma persone speciali con caratteristiche speciali.

Dal Sito: alfemminilemagazine.it

venerdì 22 marzo 2019

La medicina chiamata “respiro”

Valutare la qualità del proprio respiro non è facile, anche se averne consapevolezza è importante per capire il nostro grado di benessere. Respirare bene vuol dire anche essere in armonia con sé stessi, ascoltare il proprio corpo ed avere un certo grado di rilassamento che aiuta l’ossigenazione dei tessuti. Nonostante ciò, la respirazione resta una funzione autonoma del nostro organismo: grazie al sistema neurologico infatti, ciascuno ha dentro di sé il giusto ritmo per respirare, senza pensare di doverlo fare.

La scienza del respiro si basa su fondamenta piuttosto antiche. Secoli di saggezza ci insegnano a prestare maggiore attenzione alla nostra respirazione, la più fondamentale delle cose che facciamo ogni giorno. Eppure, forse proprio perché la respirazione è così basilare, è anche facile da dare per scontata. E’ frequente il caso di allievi che riferiscono una percezione fastidiosa del proprio modo di respirare. Il primo passo per poter meglio affrontare un disagio respiratorio, quando insorge, consiste nel ridurre l’ansia generata dal respiro fastidioso imparando, con l’aiuto di un trainer in grado di seguire l’allievo, a prendere “contatto” con il proprio respiro anomalo. E’ questo il modo migliore per iniziare a gestire al meglio la situazione, consentendo al soggetto di cambiare rapidamente le cose nel momento in cui inizi ad accusare fatica a respirare. Il secondo passo, poi, consiste nel far provare da subito la possibilità di controllare rapidamente la dispnea nel momento in cui insorge, attraverso tutta una serie di automatismi che il paziente può acquisire (rilassamento muscolare, respirazione lenta controllata, ecc.). Con il terzo momento, infine, si porta il soggetto a gestire il suo problema (la dispnea) con minor disagio, riconducendo la sua difficoltà respiratoria entro i termini di un problema affrontabile e risolvibile attraverso una semplice serie di esercizi respiratori (rimodellamento del pattern respiratorio attraverso esercizi respiratori).

Da secoli si sostiene che il controllo della respirazione può calmare il cervello, ma solo recentemente la scienza ha iniziato a scoprire come funziona. Uno studio del 2016 si è imbattuto casualmente sul circuito neurale nel tronco cerebrale che sembra svolgere il ruolo chiave nella connessione del controllo del respiro-cervello. Il circuito fa parte di quello che è stato definito il “pacemaker respiratorio” del cervello perché può essere regolato alterando il ritmo respiratorio (la respirazione lenta e controllata diminuisce l’attività nel circuito, la respirazione veloce e irregolare aumenta l’attività), che a sua volta influenza gli stati emotivi. Controllare la respirazione contando il respiro influenza “le oscillazioni neuronali in tutto il cervello”, in particolare nelle regioni del cervello correlate all’emozione.

Il ritmo naturale è 12 respiri al minuto: respirazioni profonde in cui inspiriamo dal naso ed espiriamo lentamente dalla bocca, questo consente di ossigenare bene il cervello”. È importante sottolineare come possa esserci un legame tra uno stato di ansia e la cattiva respirazione, perché non è facile mantenere la calma se si ha l’impressione che manchi il respiro o se si fa fatica a respirare come di consueto. In generale, praticare yoga, pilates, tai chi o arti marziali è particolarmente indicato per chi ha problemi respiratori o per chi ha una forte emotività che alterano il ritmo del respiro, perché queste discipline permettono di prendere maggior consapevolezza del proprio respiro e lavorare così un un’efficace respirazione”.

Dal Sito: andrialive.it

Psicologo, psicoterapeuta, psichiatra: in caso di disagio a chi mi devo rivolgere?

Uno stato di disagio e il disagio di quale professionista scegliere

Stiamo vivendo un disagio che da tempo ci attanaglia e compromette la qualità della nostra vita tenendoci bloccati e facendoci soffrire? Ansia, depressione, attacchi di panico, perdita di memoria, comportamenti bizzarri… Non sottovalutiamo certi vissuti… né quelli che viviamo in prima persona, né quelli delle persone care che ci stanno attorno.

Per prenderci cura in modo corretto di noi stessi è importante, innanzitutto, essere consapevoli che qualcosa nella nostra vita non va. Questo non significa essere pazzi o deboli, significa semplicemente essere coscienti che ci troviamo in un momento di disagio, di difficoltà e chiedere aiuto, il giusto aiuto, è la soluzione migliore per uscire da una situazione che ci vede intrappolati in schemi e modalità comportamentali poco efficaci, anzi, deleteri…

Capire quali sono le figure professionali, che più di tutte, si occupano del benessere della salute mentale e ci possono accompagnare a migliorare una situazione che oramai ci sta stretta e che ci fa soffrire, può essere davvero di grande aiuto.

Psicologo, Psicoterapeuta e Psichiatra sono le professioni che in primis si occupano di salute mentale, a diversi livelli, e proprio per questo hanno competenze e modalità d’intervento diverse.

Al riguardo vi è parecchia confusione, ma vediamo di fare chiarezza!

Chi è lo Psicologo?

Lo Psicologo è colui che si è laureato in psicologia, in uno dei suoi diversi indirizzi: età evolutiva, clinica, di comunità, neuropsicologia, ecc… e dopo l’esame di Stato ed aver conseguito l’abilitazione, si è iscritto all’Albo professionale, ovvero all’Ordine degli Psicologi della propria regione. Questo è molto importante, in quanto consente a ciascun cittadino di verificare se il professionista al quale si sta rivolgendo è proprio chi dice di essere! La professionalità e la tutela della persona prima di tutto!

Lo Psicologo attua interventi sia a carattere individuale, sia di gruppo, sia attraverso interventi di sensibilizzazione della comunità. Si occupa di benessere e di prevenzione del disagio. Può lavorare nell’ambito dell’infanzia e dell’adolescenza (disturbi dell’apprendimento, motivazione e metodo di studio, educazione sessuale, …), a sostegno della genitorialità, in strutture quali comunità per tossicodipendenti o disabili e nelle residenze per anziani (solo per citarne alcuni).

Chi è lo Psicoterapeuta?

Lo Psicoterapeuta è lo Psicologo o il Medico, iscritto al relativo Albo, che ha conseguito una specifica formazione professionale in psicoterapia. Questa è successiva alla laurea e si realizza con un percorso post universitario della durata di quattro anni. Lo Psicoterapeuta svolge attività di prevenzione, sostegno, diagnosi, cura e riabilitazione, in modo a volte più mirato di uno psicologo, proprio alla luce del percorso formativo svolto. E’ lo specialista che si occupa di psicoterapia: attraverso strumenti clinici e la relazione terapeutica, è in grado di accompagnare la persona verso un processo di cambiamento volto al raggiungimento di un migliore stato di equilibrio e alla riscoperta del sé.

La psicoterapia è un viaggio che ci consente di raggiungere l’autonomia: consapevolezza, spontaneità, intimità. Migliora la nostra qualità di vita, dandoci la possibilità di decidere il nostro destino.

Ci aiuta ad acquisire nuovi strumenti per dare il giusto significato all’esperienza e risolvere in modo efficace, attivo e propositivo i problemi. Inoltre rappresenta una garanzia per il nostro benessere futuro: permette di creare un circolo virtuoso di pensieri-emozioni-comportamenti per mantenere una buona qualità di vita.

Lo Psicologo-Psicoterapeuta non può prescrivere farmaci, ma se lo ritiene opportuno, si avvale di uno Psichiatra di fiducia che possa seguire il cliente nella parte farmacologica.

Chi è lo Psichiatra?

Lo Psichiatra è colui che si è laureato in medicina e che si è poi specializzato in psichiatria. Lo Psichiatra studia gli aspetti organici della psiche e dei disturbi mentali. Pone attenzione soprattutto ai sintomi e su di essi interviene principalmente da un punto di vista farmacologico.

Il sostegno attraverso il farmaco, in alcune condizioni di disagio psichico, è molto importante. Proprio per questo è fondamentale rivolgersi ad un esperto che possa dare le giuste indicazioni. E’ opportuno diffidare da consigli di amici o finti esperti che non siano Psichiatri! Potrebbe essere più dannoso che benefico…

Accanto al supporto farmacologico, spesse volte, è però importante affiancare anche un percorso psicoterapeutico… attenuare il sintomo è sì di grande aiuto, ma fare un passo oltre e capire da dove viene quel sintomo può essere il punto di svolta per migliorare la nostra vita.

Altra precisazione importante è che lo Psichiatra si occupa principalmente di persone adulte. Per i disagi relativi l’ambito dell’infanzia e dell’adolescenza è opportuno rivolgersi al Neuropsichiatra Infantile.

Dal Sito: vicenzapiu.com

mercoledì 20 marzo 2019

Ansia e Alcool: il ruolo dell’ansia sociale nello sviluppo dell’alcolismo

Un recente studio mostra come l'ansia sociale è il maggior predittore dell'alcolismo rispetto agli altri disturbi d’ansia

L’alcolismo spesso costituisce una risposta alle situazioni che generano ansia. Tuttavia esistono diverse tipologie di disturbi d’ansia: qual è in particolare il ruolo dell’ansia sociale nell’uso o abuso di alcol?

Di tutti i disturbi d’ansia, l’ ansia sociale risulterebbe avere un effetto diretto sul rischio di sviluppare una dipendenza da alcol. Lo indica una nuova ricerca della Norwegian Institute of Public Health.


Attraverso la somministrazione di interviste semi-strutturate ad un campione di 2,801 gemelli adulti, i ricercatori del presente studio hanno valutato la correlazione tra alcolismo, disturbo di ansia sociale, disturbo d’ansia generalizzata, disturbo da attacchi di panico, agorafobia e fobie specifiche. Ciò che è emerso è che, tra le diverse tipologie di disturbi d’ansia, il disturbo di ansia sociale è quello che aveva una più forte correlazione con l’ alcolismo.

Nello studio, il disturbo di ansia sociale ha infatti predetto la presenza di sintomi collegabili all’ alcolismo in maniera nettamente superiore rispetto agli altri disturbi d’ansia. In aggiunta, questa tipologia di distubo è risultata correlata a un più alto rischio di sviluppare successivamente una dipendenza da alcol. Non è stato lo stesso per gli altri disturbi d’ansia.

Questi risultati suggeriscono che gli interventi tesi alla prevenzione o al trattamento dell’ ansia socialepotrebbero avere un ulteriore effetto benefico nella prevenzione dell’ alcolismo.

Secondo i ricercatori, è fondamentale riconoscere che molti individui che soffrono di questa tipologia di disturbo non sono in trattamento: questo vuol dire che abbiamo un potenziale sottoutilizzato, non solo per la riduzione dell’enorme quantità didiagnosi di ansia sociale, ma anche per la prevenzione di problemi relativi all’ alcolismo in comorbilità con tale disturbo. A tal proposito, la terapia cognitivo-comportamentalee le sue esposizioni controllate alle situazioni temute ha mostrato ottimi risultati.

Erica Benedetto

Dal Sito: stateofmind.it

Le donne più forti sono quelle ansiose

Le donne più forti sono quelle che vivono ogni giorno con l’ansia. Le donne con l’ansia combattono ogni giorno contro questa condizione e continuano a farlo con coraggio. Non sono vittime di lotte mentali perché loro sanno che i loro demoni interiori vivono nella loro mente, le donne con l’ansia sono quelle più forti.

Riescono ad essere forti anche quando tutto intorno a loro va in frantumi, nella loro vita non esiste la debolezza. Riesce a vivere in un mondo caotico e riesce a sopravvivere a lungo in una situazione stressante anche se sta vivendo male.

Riesce a far funzionare le cose anche quando gli altri non riescono a trovare una soluzione. Va sempre avanti con determinazione, sa quanto sia importante non arrendersi mai perché sa che ha molto da dare ancora e non può lasciare che le sue condizioni dettino la sua vita. È una sognatrice e come tutti gli altri, ha i suoi obbiettivi. Quello che desidera è essere se stessa nel bene e nel male.

La sua ansia a volte le fa vivere brutti scherzi, a volte vince e altre volte perde ma riesce sempre a trovare la forza di cui ha bisogno per superare un ostacolo. Lei lotta tutti i giorni contro l’ansia ed è per questo motivo che non si arrende mai. Per lei sono più difficili da superare i giorni NO ma in cuor suo sa che ce la farà.

Le donne con l’ansia sono le più forti perché anche quando hanno completamente la mente oscurata dai pensieri negativi, quando le loro mani sudano, si aggrappano alla speranza, respirano profondamente e aspettano che ritorni la luce che le riporti fuori dall’oscurità.

 Le donne con l’ansia sono forti, intelligenti e coraggiose. Anche quando sentono di non riuscire a gestire ciò che la loro ansia provoca, loro hanno sempre quella speranza e quella forza in più per reagire.


Il loro obiettivo non è quello di vivere in maniera facile, non è quello di scegliere la strada più semplice ma è quello di riuscire ad andare avanti nonostante l’ansia. Sono donne che si rifiutano di dare potere all’ansia, ci vuole molta forza interiore e resistenza per vivere la vita in questo modo. Queste donne sanno che non possono arrendersi perché il loro coraggio è più forte dell’ansia.


Dal Sito: bigodino.it 

lunedì 18 marzo 2019

Depressione, Veronica Pivetti a Verissimo: “Non abbiate paura di chiedere aiuto”

Depressione, Veronica Pivetti racconta il suo dramma:

Per sei anni, a partire da quando ne aveva 35-36, Veronica Pivetti ha sofferto di depressione. L’attrice ha raccontato la sua esperienza ai microfoni di “Verissimo”. “Non bisogna aver paura di chiedere aiuto, lo dico a tutti quelli che passano da quest’esperienza”, ha detto ai microfoni del programma di Silvia Toffanin.

“Ho preso anche psicofarmaci, ma è una cosa estremamente complicata. Sono stata meglio solo quando abbiamo trovato la dose giusta”, ha spiegato, sottolineando ancora l’importanza di farsi dare un appoggio esterno nel momento del bisogno. “I sorrisi non bastano: se ti rompi un braccio si vede, metti il gesso e guarisci. Se ti rompi dentro devi rimettere a posto tutto, servono le medicine”, ha aggiunto l’attrice.

Veronica Pivetti ha anche rivelato cosa l’ha aiutata davvero in quel periodo: “Quei tre anni sono stati un incubo perché patisci e piangi sempre. Andavo a lavorare, la mia truccatrice mi truccava, io giravo la scena e poi mi ritruccava. Era molto pesante anche se il lavoro mi ha salvato. Mi ha dato l’obbligo di alzarmi dal letto, di curarmi cose che io non avrei fatto”, ha concluso l’attrice.

Veronica Pivetti è nata a Milano il 19 febbraio del 1965. Oltre ad essere un’attrice, è anche regista, doppiatrice e conduttrice televisiva. Sua sorella maggiore è Irene Pivetti, politica italiana. Figlia di Paolo, regista, e dell’attrice e doppiatrice Grazia Gabrielli. È stata sposata dal 1996 al 2000 con l’attore e doppiatore Giorgio Ginex.

Veronica Pivetti fa il suo debutto come doppiatrice all’ età di soli sette anni. Alcuni personaggi dibcartoni animati popolari negli anni ottanta, si esprimono ancora oggi con la sua voce. Come Crilin in Dragon Ball, o la sigla di Danguard. Nel 2000 è una delle protagoniste, accanto a Sabrina Ferilli, del film “Le giraffe” di Claudio Bonivento. La sua attività s’intensifica all’inizio del nuovo millennio con la partecipazione a diverse miniserie televisive della Rai.

Dal Sito: brevenews.com 

Cosa significa somatizzare?

Cosa significa somatizzare? Si tratta della “traduzione” di un disagio psicologico in un disturbo che interessa la salute fisica.

Cosa significa somatizzare? Si tratta di un fenomeno, in seguito al quale un individuo “traduce” la sua sofferenza psichica attraverso i sintomi fisici. Significa, quindi, trasformare un disagio psicologico in un’alterazione della salute fisica. L’esempio più semplice può essere quello in cui il mal di testa sia l’espressione di uno stato di nervosismo. Generalmente le parti più colpite dal processo di somatizzazione sono quelle costituite dal sistema gastrointestinale. Sintomi caratteristici sono la diarrea, la stipsi o i dolori addominali, in risposta ad un’emozione, di solito negativa.

Cosa vuol dire somatizzare una malattia

Nella nostra esperienza quotidiana si può dire che tutti somatizziamo. Ci sono perfino certe espressioni, che indicano un legame stretto fra mente e corpo. Per esempio ci sentiamo soffocare dalla paura, sentiamo battere forte il cuore per un’emozione intensa, ci ritroviamo a digrignare i denti per la rabbia. In una certa misura somatizzare fa parte dei processi quotidiani. In alcuni casi il tutto può diventare negativo, se si somatizzano troppo a lungo le emozioni e lo stress. Dopo un po’, infatti, il corpo si affatica e si corre il rischio di ammalarsi.

I sintomi si possono manifestare come problemi gastrointestinali, disturbi cardiocircolatori o uro-genitali, come emicrania,stanchezza e dolori muscolari, insonnia o disturbi del sonno causati da ansia e stress, disturbi alimentari, problemi che interessano la pelle. Soffrendo di questi disturbi, le persone che somatizzano si rivolgono al medico, ma difficilmente quest’ultimo riesce a trovare una causa fisica che sta alla base della malattia.

Si tratta di una condizione di stress che incide sulla salute. Proprio per questo il problema, che può derivare anche da fattori psicologici e relazionali, dovrebbe essere affrontato con l’aiuto di uno specialista psicoterapeuta, ricorrendo proprio ad un’opportuna psicoterapia. Più tempo passa, più le somatizzazioni diventano difficili da trattare e si corre il rischio che il disturbo possa stabilizzarsi.

Il disturbo di somatizzazione

Esiste un vero e proprio disturbo di somatizzazione, che comprende molteplici lamentele fisiche, che vengono evidenziate da un individuo e che si manifestano per diversi anni, portando a delle difficoltà sul piano sociale, lavorativo e relazionale in generale. Il paziente si ritrova in una costante ricerca di una possibile cura per queste manifestazioni sintomatologiche.

Perché si possa parlare di vero e proprio disturbo di somatizzazione, secondo la definizione del DSM IV, i sintomi devono comprendere almeno quattro che riguardano il dolore, due gastrointestinali, uno sessuale e un sintomo pseudoneurologico, come, per esempio, un’alterazione dell’equilibrio. Per tutti questi sintomi fisici non è possibile rintracciare una spiegazione medica, un’origine fisiologica del problema. Tutto è da inquadrare nell’ambito della sfera psichica del paziente.

A volte la somatizzazione è accompagnata da sintomi di ansia e di depressione, sia endogena che reattiva. Per curare il disturbo di somatizzazione serve una psicoterapia cognitivo-comportamentale. In questo modo il soggetto riesce ad adoperare una ristrutturazione dal punto di vista cognitivo e a superare il proprio disagio.

Dal Sito: tantasalute.it


È l’accettazione che porta al cambiamento - la resistenza conduce alla sofferenza


È l’accettazione la strada verso il cambiamento, mentre un cammino basato sulla resistenza, è una sorta di cammino immutabile che gira in tondo nel proprio dolore.

L’accettazione non è rassegnazione, ma consapevolezza.

Imparare ad accettare significa prendere atto delle cose così come esse sono. Rispettarle anche, per quello che sono.

Non possiamo pretendere che tutto vada secondo i nostri desideri, che tutto sia sotto il nostro controllo, che tutto accada come vogliamo.

Dobbiamo accettare ciò che fluisce indipendentemente dalla nostra volontà, che le situazioni, i legami, seguano il loro corso naturale.

Resistere a tutto ciò che deve essere, spesso significa voler negare la realtà dei fatti. Significa aggirare un problema con la sola conseguenza di ingigantirlo.

Significa voler evitare un dolore che comunque non potremo risparmiarci in futuro.

Perché ciò che deve essere, sarà, nonostante si cerchi di rallentarne il corso.

Prendiamo come un esempio un rapporto di coppia ormai giunto al capolinea per almeno uno dei due membri.

Generalmente il partner ancora innamorato cercherà di ignorare tutti quei segnali che indicano una fine certa.

Si aggrapperà ad ogni sorta di illusione pur di non vedere una realtà ormai priva di amore.

Sopporterà l’insopportabile sperando che tutto torni com’era o che comunque non si giunga alla fine.

Condannerà se stesso e il partner ad un periodo di sofferenza e di infelicità nel suo sforzo di resistenza.

Condannerà se stesso al dolore cercando di evitare il dolore.

Prendere atto della situazione, del cambiamento dei sentimenti del partner, accettare che ormai la storia è finita, non significa rassegnarsi alla fine, ma agire con responsabilità, comprendere che la propria vita deve prendere una direzione diversa.

Non significa essere passivi, anzi. Riuscire ad accettare una situazione significa aprirsi a nuove possibilità.

Accettare una situazione che non possiamo cambiare, significa cambiare personalmente.

Significa rispettare il cambiamento altrui.

Significa evitare una dolorosa e lunga agonia piuttosto che affrontare coraggiosamente la sofferenza in modo maturo e costruttivo: crescendo e orientando la propria vita verso prospettive diverse.

In conclusione vogliamo lasciarvi con una frase di Charles Bukowski che recita così:

“Resistere ha senso solo se ne esci con qualcosa in mano alla fine. Ma resistere tanto per resistere è l’infelice condizione di milioni di persone.”

Dal Sito: giornodopogiorno.org