giovedì 14 settembre 2017

L’insostenibile Leggerezza del Bugiardo Patologico


Il Bugiardo compulsivo non è manipolativo o almeno non lo è apertamente. Mentre, il bugiardo patologico è colui che mente incessantemente per ottenere qualcosa e lo fa senza curarsi delle conseguenze...

FENOMENOLOGIA DEL BUGIARDO PATOLOGICO.

Vostro marito o vostra moglie, il vostro compagno o la vostra compagna, o degli amici dicono tante bugie, spesso senza avere un risvolto pratico? Beh, escludendo ogni patologia a carico del destinatario della menzogna, è possibile si possa avere a che fare con un bugiardo patologico.

Prima di entrare nel vivo del discorso è opportuno comprendere la differenza fra bugiardi patologici e bugiardi compulsivi.

Il bugiardo compulsivo non mente per raggiungere un fine specifico, ma semplicemente per abitudine e soprattutto perché mentire lo fa stare meglio rispetto a quando racconta la verità. Essere sinceri per queste persone diventa un’impresa psicologicamente difficile, così mentono su qualsiasi cosa. La bugia diventa una risposta automatica ed irrefrenabile, compulsiva appunto. Questo tipo di bugiardo, non è manipolativo o almeno non lo è apertamente. Mentre, il bugiardo patologico è colui che mente incessantemente per ottenere qualcosa e lo fa senza curarsi delle conseguenze emotive e comportamentali che questo atteggiamento può avere sugli altri.

In questo caso l’abitudine alla menzogna è vista come meccanismo per affrontare la realtà. Il bugiardo patologico è in genere manipolativo, autocentrato e ben poco empatico rispetto alla dimensione psicologica delle altre persone.

La persona che mente ha interiorizzato da così tanto tempo il meccanismo della menzogna che riesce a conviverci in modo egosintonico e difficilmente percepisce il suo modo di fare come patologico.

Il primo passo da realizzare è quindi l’autoconsapevolezza, ovvero rendersi conto di avere un problema su cui lavorare. In seconda battuta va sottolineato che, come ogni altro comportamento che offre comfort e fuga dallo stress, la menzogna può creare dipendenza e assuefazione, quindi si tratta di un qualcosa difficile da disimparare. Come per le tossicodipendenze, se non c’è una forte motivazione a smettere, è difficile che si possa approdare a cambiamenti strutturali per la persona. I bugiardi sono tanto abituati a mentire che, spesse volte, non riescono a distinguere più la realtà dalla fantasia. E’ come se la bugia andasse a sostituire la verità con dei contenuti compensatori che completano perfettamente il puzzle della realtà. Infine, la realtà stessa assume una connotazione di falsità e la bugia diventa la realtà.

La prima caratteristica che connota un bugiardo patologico è dichiararsi sostenitori della sincerità e dei valori. Si tratta di persone severamente malate, anche se appaiono normali in superficie, e il loro disturbo può provocare gravissime conseguenze a chi sta loro vicino.

Sono persone che non hanno consapevolezza della loro malattia e credono che mentire sia giusto al fine di proteggere il proprio ego per guadagnare dei benefici. Gli altri, naturalmente, ricevono dai danni gravi in risposta ai comportamenti spietatamente manipolatori, e mendaci messi in atto dal bugiardo. Fondamentalmente, si tratta di persone che sono in grado di inscenare una pantomima della realtà fino ad apparire sinceri al più attento osservatore.
A molti capita di incontrare e conoscere persone con tale disturbo; essi si presentano con grande attorialità, ipocrisia (“ipocrita”, in greco significa attore) e astuzia come persone buone e sincere, quindi utilizzano questa maschera come copertura al fine di poter mentire e raggirare con maggior efficacia. Perciò è molto difficile riconoscerli e si può facilmente diventarne vittima nelle relazioni di amicizia, di lavoro e sentimentali.

A rendere ancora più complicata la situazione è la presenza di un pervasivo disturbo di personalità, in genere narcisistico, nei mentitori patologici.
I narcisisti amano troppo se stessi per riuscire ad amare gli altri. Secondo uno studio statunitense, pubblicato sul “Journal of Personality and Social Psychology”, non sono in grado di mantenere relazioni sentimentali felici e durature. Per il “narciso”, l’amore è un gioco in cui si deve fare sempre la “parte del leone”, per mantenere sempre il potere anche a costo di mentire, tradire e umiliare il partner.
La personalità narcisistica è risultata incompatibile con la possibilità di stabilire relazioni sentimentali soddisfacenti, durature e affettivamente importanti. Infatti, nonostante sia vero che per amare gli altri bisogna prima di tutto amare se stessi, i narcisisti, in realtà, non amano veramente se stessi, ma si sopravvalutano continuamente, a spese di chi sta loro vicino.
Lo studio mette poi in guardia chi cerca un partner: “attenzione a non confondere il narcisismo con l’autostima”, perché l’autostima si concilia benissimo con la capacità di amare, il narcisismo implica necessariamente lo sfruttamento e l’umiliazione del partner. Certo, spesso i narcisisti sono estremamente affascinanti e sfuggenti, ma alla “prova del cuore” rivelano gradualmente la loro vera natura: egoisti, infedeli, manipolatori, prepotenti.

Il manipolatore relazionale è egocentrico; un vampiro psico-affettivo che si nutre dell’essenza vitale delle sue prede. Critica, disprezza, colpevolizza, ricatta, ricordando agli altri i principi morali o il perseguimento della perfezione, ma questo solo quando gli torna utile. E per raggiungere i suoi scopi ricorre a ragionamenti pseudo-logici che capovolgono le situazioni a suo vantaggio.

Spesso la sua comunicazione è paradossale: messaggi opposti in double bind, a cui è impossibile rispondere senza contraddirsi, oppure deforma il significato del discorso.
Si auto-commisera, si deresponsabilizza, non formula richieste esplicite e chiare. Non tollera i rifiuti, vuol sempre avere l’ultima parola per trarre le sue conclusioni, pur non condivise. Muta opinioni e decisioni. Soprattutto mente, insinua sospetti, riferisce malintesi . Simula somatizzazioni ed autosvalutazioni, ma dimostra sostanzialmente disinteresse affettivo.
Si tratta, insomma, di personalità disturbate e disturbanti, con cui ci si può legare sentimentalmente per venire immancabilmente destabilizzati dalla loro perfida influenza.

Concludo citando Kundera ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”: quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna. Chi è pesante non può fare a meno di innamorarsi perdutamente di chi vola lievemente nell’aria, tra il fantastico e il possibile, mentre i leggeri sono respinti dai loro simili e trascinati dalla ‘compassione’ verso i corpi e le anime possedute dalla pesantezza. Era la vertigine. L’ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere. La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare a essa: la bugia.

di Francesca Fiore

Dal Sito: www.stateofmind.it


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2011/12/bugiardo-patologico/

Comportamenti di sicurezza tra i pazienti con disturbo di panico: una nuova lista per identificarli con maggior precisione


I comportamenti di sicurezza sono poco riconoscibili poiché usati da chiunque, è il processo cognitivo che li rende modi disfunzionali per evitare il panico

I comportamenti di sicurezza sono quei comportamenti agiti in una situazione ansiogena, senza cui l’ ansia aumenterebbe in maniera sostanziale. Pertanto, sebbene si resti nella situazione temuta, in realtà la si sta ancora evitando.

Ansia: tra evitamento ed esposizione

La relazione tra ansia ed evitamento fobicoha ricevuto considerevole attenzione negli ultimi quarant’anni. L’evitamento e la fuga possono presentarsi in risposta a pericoli e paura, e a loro volta, tali risposte possono mantenere le credenze fobiche. Per contro, la teoria dell’apprendimento ci insegna che l’esposizione a stimoli fobici comporta la riduzione dell’ ansia. Questo processo è meglio noto come “abituazione”. L’esposizione viene ritenuta un trattamento altamente efficace per i disturbi di panico e fobia sociale.

Tuttavia, in alcuni pazienti fobici, i miglioramenti ottenuti con la sola esposizione sembrano relativamente modesti. Ad esempio, sebbene i soggetti con fobia sociale si trovino ripetutamente esposti a situazioni sociali durante la vita quotidiana, essi non sembrano mostrare una forte riduzione dell’ ansia. Si ipotizza che il fattore di mantenimento dell’ ansia siano i comportamenti di sicurezza, agiti all’interno della situazione ansiogena (Clark et al.2006).

I comportamenti di sicurezza sono quei comportamenti agiti in una situazione ansiogena, senza cui l’ ansia aumenterebbe in maniera sostanziale. Pertanto, sebbene si resti nella situazione temuta, in realtà la si sta ancora evitando. Questi comportamenti di sicurezza funzionano come un amuleto. I comportamenti di sicurezza utilizzati spesso dalle persone con attacchi di panico includono: evitare di andare in giro senza i farmaci in borsa (anche se non li prendono mai o raramente); assicurarsi di avere il cellulare con sé quando ci si allontana da casa; stare vicino all’uscita quando si prende un autobus o il treno (Nakano et al.2008).

Salkovskis e colleghi (1991) ritengono che i comportamenti di sicurezza agiti nellesituazioni ansiogene giochino un ruolo importante nel mantenere l’ ansia, nonostante l’esposizione, poiché essi impediscono alle persone di confrontarsi direttamente con la disconferma delle loro credenze catastrofiche ed irrazionali. Per esempio, un soggetto con fobia sociale che evita lo sguardo dell’altro per timore di essere notato e deriso, probabilmente pensa “sono riuscito ad evitare di essere notato e di essere considerato strano, perché ho evitato lo sguardo altrui”. Impegnarsi in comportamenti di sicurezzamette al riparo le persone dalle loro minacce percepite, compromettendo però la possibilità di scoprire quanto siano in realtà improbabili le catastrofi immaginate. Se i pazienti continuano ad usare comportamenti di sicurezza per “prevenire” il danno, il nesso logico con la minaccia percepita si rafforza e l’esposizione agli stimoli fobici finisce per distorcere ulteriormente la credenza.

Comportamenti di sicurezza e disturbo di panico

Poche ricerche si sono occupate di esaminare i comportamenti di sicurezza nel disturbo di panico. Nel caso del panico, l’attacco si manifesta come risultato dell’errata interpretazione delle sensazioni corporee che si accompagnano normalmente all’ansia, che vengono identificate come pericolose.

Salkovskis e colleghi (1996) elencarono 10 tipici comportamenti di sicurezza e chiesero a più di 100 soggetti con disturbo di panico quanto spesso ricorressero a tali comportamenti quando si sentivano ansiosi. Successivamente, correlando l’uso dei comportamenti di sicurezza con le cognizioni catastrofiche, identificarono diverse ipotetiche associazioni teoriche. Ad esempio, una persona che teme di svenire è probabile che si aggrappi a qualcosa, mentre una persona che teme un attacco di cuore si asterrà dall’esercizio fisico.

I comportamenti di sicurezza possono essere molto subdoli e idiosincratici. Ad esempio, mentre alcuni soggetti che temono le palpitazioni evitano di bere alcolici, altri possono bere per ridurre la loro ansia in pubblico. Per i primi soggetti, evitare l’alcool è un comportamento di sicurezza, mentre per i secondi il consumo di alcool è un comportamento di sicurezza. La personale visione di ciò che è catastrofico determina quale azione sia un comportamento di sicurezza. In maniera simile, alcuni soggetti preferiscono fare shopping in posti affollati, sentendosi più sicuri quando vi sono attorno molte persone disponibili, mentre altre entrano nei negozi soltanto quando vi sono pochissime persone presenti, ad esempio la mattina presto o la sera tardi, poiché possono evitare di essere visti qualora avessero un attacco di panico.

Molti comportamenti di sicurezza non sono immediatamente riconoscibili (si parla di comportamenti “covert”), come l’avere nel portafoglio abbastanza soldi per assicurarsi che siano pronti qualora succeda qualcosa, assicurarsi di portare il telefono cellulare o che qualcun’ altro sia a casa mentre il soggetto è fuori.

Tutti questi comportamenti sono normali nel senso che possono verificarsi quotidianamente nella vita di chiunque, ma è il processo cognitivo del paziente che rende queste azioni dei comportamenti di sicurezza. Per identificare correttamente i comportamenti di sicurezza “covert”sembrano essere necessari ben più di 10 elementi elencati da Salkovskis e colleghi.

Una recente ricerca, svolta da Funayama e colleghi presso l’università di Kyoto, pubblicata nel 2013, ha individuato una lista di 25 comportamenti di sicurezza più frequentemente riportati dai soggetti con disturbo di panico, e li ha correlati con i sintomi ansiosi, le situazioni agorafobiche e le risposte al trattamento di tali soggetti.

A 46 pazienti, partecipanti ad un trattamento cognitivo comportamentale di gruppo per il disturbo di panico, fu consegnata la lista di comportamenti di sicurezzasviluppata dagli autori in base alle esperienze con pazienti con disturbo di panico. La lista conteneva 25 item, a cui i pazienti potevano aggiungere ulteriori comportamenti agiti e non presenti in elenco. La lista comprendeva: portarsi dietro i farmaci, distrazione dell’attenzione, portarsi dietro una bottiglia di plastica, bere acqua, focalizzare l’attenzione su qualcosa, portarsi dietro il cellulare, assicurarsi della posizione delle uscite, cercare di stare assieme a qualcuno, cercare una via di fuga, sedersi vicino alla porta sul treno o in autobus, rimanere fermi, portare soldi extra, aggrapparsi a qualcosa, accovacciarsi, aprire la finestra, muoversi lentamente, chiudere gli occhi, leggere un libro o una rivista, spingere il carrello mentre si fa shopping, muoversi, ascoltare musica dalle cuffie, chiedere aiuto, prendere le medicine prima di uscire, tenersi a qualcuno, controllare i movimenti di braccia e gambe.

Altri comportamenti aggiunti dai soggetti furono: canticchiare a bassa voce, portarsi dietro asciugamani e salviette per le mani, portare dietro carta d’identità e patente, esporsi al vento, incrociare le gambe, bere alcol, evitare alcol, fumare, prendere più vestiti, evitare di mangiare prima di uscire, studiare la via del ritorno e controllare il calendario, guidare da soli, camminare veloci, portarsi dietro un ventaglio, portarsi dietro un piccolo snack, cercare un lavandino, incrociare le braccia, dormire, fare una doccia, evitare gli angoli della stanza, dormire a pancia in giù, guardare la tv, controllare l’agenda del partner, giocare sul cellulare, portarsi dietro un paio di slip, camminare con lo sguardo basso.

Aver dietro i medicinali (n=29), distrarre l’attenzione (n=27), portare una bottiglia di plastica (n=24) e bere acqua (n=23) furono riportati da più della metà dei pazienti. Le più forti correlazioni tra sintomi del panico e comportamenti di sicurezza furono rilevate tra l’evitare i sintomi di derealizzazione ascoltando musica con le cuffie, prevenire le parestesie spingendo il carrello durante lo shopping, evitare il senso di nausea accovacciandosi o restando fermi. L’associazione più forte tra situazioni agorafobiche e comportamenti di sicurezza fu rilevata tra la paura di prendere un autobus o un treno da soli e il bisogno di muoversi. Riuscire a rimanere fermi è indice di risposta positiva al programma di CBT, mentre il cercare di concentrarsi su altro predice una scarsa risposta al trattamento (Funayama et al. 2013).

La ricerca, sebbene limitata, ha posto le basi per lo sviluppo di linee guida nell’identificazione dei comportamenti di sicurezza tra soggetti con disturbo di panico, e potrebbe essere uno strumento d’aiuto ai clinici per fornire trattamenti CBT ancor più individualizzati ed efficaci.

Dal Sito: www.stateofmind.it


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2017/09/comportamenti-di-sicurezza-panico/


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2017/09/comportamenti-di-sicurezza-panico/

FRASI STUPIDE, PERSONE IGNORANTI



Mio padre che all'ennesima lite mi dice "ma te sei contenta di stare in questo stato?" 
che domanda del ***. 
"Si papà molto, sono cosi contenta che penso proprio mi terrò gli attacchi di panico a vita perché si sta tanto bene" ... quanto odio queste domande o affermazioni INUTILI da parte degli altri. 
"è tutto nella tua testa" "non succede niente" "di cosa dovresti avere paura?" "dai però reagisci non è nulla di grave" "ma non hai niente". Quanto vorrei essere a Minorca con le mie amiche, che oltretutto ho perso (per il DAP), se lo immagina la gente? Quando ci chiedono queste cose pensano davvero che noi ce la siamo cercata? No perché se è così devono avere proprio un bel fegato, anzi il fegato ce l’ho io a cercare sempre di risalire dopo che mi buttano giù così. Ho sempre odiato Agosto, mi sento così sola in questo mese. Agosto è il mio inferno personale che vivo ogni volta che mi sento così, sola, non capita, in colpa. Mi dicono che devo capire le persone che mi riferiscono le frasi sopra citate, vogliono solo il meglio per me, vogliono solo spronarmi e stanno male perché io sto male …ma seri? 
Quante cazzate ancora devo sentire, ho provato a crederci a queste cose giuro, ci ho provato col cuore ma non ce la faccio più. 
Io voglio vivere, voglio liberarmi da questa gabbia capitelo una volta per tutte, l’unico problema è che ho la chiave ma non so dove l’ho messa quindi la risposta è NO, no che non sono contenta di stare così ma non trovo più la chiave, quando la troverò mi libererò ma ora nel presente non è così…
Vi chiedo questo favore non ditele queste frasi, questo non è un modo per spronarci, ci fate solo sentire terribilmente in colpa, noi non ci siamo scelti nulla, io non ho mai chiesto a nessuno di darmi il DAP (e ci mancherebbe pure!!), questa sgradevole esperienza di vita l’avrei evitata molto volentieri, potrei star qua a stilare una lista di tutto ciò che avrei fatto al posto di avere il DAP ma io non ho avuto la fortuna di scegliere. Voi potete fare tante cose che io non riesco perciò non potete spronarmi, ok? Non capite? Allora state zitti! Come faccio a sapere come si sente una persona che soffre di schizofrenia o che ha un tumore? Non lo so, semplicemente, e per questo non vado certo nei reparti di oncologia a dispensare consigli capite? E ora non ditemi che sto ingrandendo il mio problema più di quanto esso sia realmente, perché voi non lo sapete quanto grande esso sia!
Le persone sono ignoranti in merito al DAP, nel senso che ignorano perché non ci sono passati, quale sia la ragione che li provoca, cosa passa nella mente delle persone che li vivono. 
Vorrei davvero essere in Spagna, in spiaggia, con le mie amiche e i nostri ragazzi, un cocktail, la musica…
Dio quanto lo vorrei lo sa solo lui. E invece sono qua in un caldo pomeriggio di Agosto a guardarmi una puntata di Lost mentre piango perché ,anche a causa del DAP, questo io non lo ho.


Laura

Aerofobia: sintomi e rimedi per la paura di volare


L'aerofobia è un problema molto diffuso per chi è costretto a viaggiare usando l'aereo, ormai il più comune mezzo di trasporto dei viaggiatori. Vediamo insieme quali sono le cause, e come si può vincerla

Soffrite di ansia e attacchi di panico quando salite a bordo di un aereo? Non preoccupatevi, siete in buona compagnia. La paura di volare non risparmia nessuna età e nessuna tipologia di persona, e da uno studio effettuato risulta che più del 5% della popolazione ha questo problema. Innanzitutto vediamo insieme quali sono le cause dell’aerofobia, e i trattamenti indicati per questa fobia.

Come si manifesta l’aerofobia

I sintomi sono vari: quasi sempre una profonda angoscia, accompagnata da pensieri negativi, con in più una serie di disturbi fisici quali sudorazione eccessiva, tachicardia, vertigini, cefalea e nausea. I momenti più difficili per un aerofobico sono le fasi di decollo e di atterraggio, e la presenza di turbolenze durante il volo; quasi sempre gli attacchi di panico più devastanti avvengono propri in queste fasi del volo. Data la grande sofferenza di chi soffre di questa fobia, vediamo quali possono essere i rimedi per combatterla.

Cause dell’aerofobia: quando viene scatenata da un’altra fobia preesistente

Il comune denominatore in tutte le persone che soffrono di questa fobia è la presenza di pensieri negativi e catastrofici legati all’esperienza di volo, che generano ansia e attacchi di panico. Le cause scatenanti possono essere diverse: la claustrofobia, per esempio, che scatena il panico in chi soffre già di questa patologia, ritrovandosi nell’ambiente ristretto di un aereo. Queste persone hanno paura di restare bloccate all’interno dell’aereo e si sentono soffocare e mancare il respiro.

Un’altra causa è l’acrofobia, ovvero la paura delle altezze. Vien da sè che, chi soffre di questa fobia, è terrorizzato al pensiero di trovarsi a migliaia di metri da terra, quindi automaticamente soffre anche di aerofobia. Anche l’agorafobia, cioè la paura di trovarsi in ambienti non familiari e affollati, spesso all’aperto, senza avere una possibilità di fuga, è una delle cause scatenanti dell’aerofobia. Infatti il soggetto, durante il volo, non può ovviamente allontanarsi dal luogo in cui si trova, e questo gli provoca crisi di ansia.

Altre cause : sindrome del passeggero

Altre cause possono essere la sindrome del passeggero, ovvero la difficoltà di un soggetto a fidarsi di altre persone facendosi guidare da loro. Il passeggero non ha alcuna dimestichezza con l’aereo nè è in grado di pilotarlo, e l’impossibilità di potere controllare gli eventi gli mette ansia. Infine, anche chi soffre di attacchi di panico spesso soffre anche di aerofobia, perchè il soggetto ha paura di avere una crisi di panico nel bel mezzo d un volo e di non potere fare nulla al riguardo.

I rimedi naturali : tecniche di rilassamento

Sono ovviamente i rimedi preferibili, essendo totalmente privi di controindicazioni e disponibili a chiunque. Il primo consiglio che vi diamo è di cercare di concentrarvi sul vostro stato d’animo, riconoscendo la vostra paura di volare invece di cercare di sopprimerla. Infatti è difficile vincere la paura, ma è facile riuscire a dominarla. Cercate di rilassare il vostro corpo tramite la respirazione, che deve essere lenta e profonda. Rilassate i vostri muscoli, invece di rimanere attaccati ai braccioli del sedile afferrandoli con forza… vedrete che quando il vostro corpo si rilasserà, anche la vostra mente automaticamente si rasserenerà.

Potete anche provare a cercare di visualizzare situazioni e momenti felici, con quanti più dettagli possibile: questo dovrebbe aiutarvi a rilassarvi. Se viaggiate insieme ad un amico/amica, o a un vostro familiare, può essere utile anche solamente stringergli la mano nei momenti più difficili del volo, ovvero il decollo e l’atterraggio.Il contatto fisico e il conforto di una persona cara vi aiuteranno a calmarvi. Non abbiate paura o vergogna di chiedere aiuto o assistenza, se ne sentite l’esigenza. Se non riuscite a controllare l’ansia, può esservi di aiuto parlare con gli assistenti di bordo, che risponderanno a tutte le vostre domande tranquillizzandovi. Il personale è addestrato a gestire questo tipo di situazioni, ed è in grado di calmarvi e rassicurarvi dandovi tutto il sostegno possibile.

Tenete la mente occupata

Provate a distrarvi, portandovi a bordo qualcosa che vi tenga occupati piacevolmente: un libro o la vostra rivista preferita, un giornale con giochi enigmistici o sudoku, il lettore MP3 o il vostro cellulare per ascoltare musica o guardare video. In questo modo la vostra mente sarà piacevolmente occupata, e vi sarà più facile controllare la vostra ansia.

Ricordatevi inoltre di evitare di bere caffè o alcolici prima di partire, sostituendoli con acqua o freschi succhi di frutta, che aiutano il corpo a non stare in stato di tensione ed eccitazione nervosa.

I rimedi naturali : Tisane, bevande rilassanti

La bevanda rilassante più famosa è la valeriana: provate ad assumerla prima di partire la per aiutarvi a combattere l’ansia. Un altro aiuto naturale viene dai fiori di Bach, rimedio omeopatico da prendere nelle dosi consigliate dal vostro omeopata.

Assumere farmaci

Non è sicuramente il metodo migliore per combattere l’ansia, ma se proprio non potete farne a meno potete ricorrere agli ansiolitici e altri tipi di farmaci, tenendo a mente che in genere provocano uno stato di sonnolenza e talvolta di incoscienza. L’uso dei farmaci deve categoricamente essere prescritto dal vostro medico, ed è necessario assumere le dosi consigliate senza decidere di testa propria.

Terapie comportamentali/corsi

Un aiuto può venire dal seguire una psicoterapia cognitivo/comportamentale presso un medico specialista. Potrete così riconoscere le cause della vostra fobia e quindi riuscire a superarla.

Un’altra possibilità è quella di frequentare un corso per superare la paura di volare. Ce ne sono diversi organizzati da varie aziende, con la collaborazione delle principali compagnie aeree, dove potrete seguire dei seminari o effettuare sedute di incontri individuali o di gruppo, tenuti da psicologi specializzati.

Almeno uno di questi consigli dovrebbe fare al caso vostro, quindi coraggio! Preparate la valigia e godetevi il vostro volo senza pensieri.

di Loredana Caruso

Dal Sito: www.notizie.it

sabato 9 settembre 2017

14 STAR CHE HANNO COMBATTUTO LA DEPRESSIONE


Anche i vip cadono in depressione e diversi di loro non hanno problemi a parlarne...






KRISTEN BELL

«Ho lottato molto contro ansia e depressione» ha confessato Bell in una recente intervista. «Mi sono sentita a disagio pensando che la gente non mi capisse. Questo è parte del motivo per cui cerco di essere gentile e allo stesso tempo frizzante perché mi ferisce molto sapere di non piacere».




CATHERINE ZETA-JONES

Dopo lo stress per il tumore alla gola del marito Michael Douglas, a Catherine Zeta-Jones è stato diagnosticato il disturbo bipolare di tipo II e ha avuto bisogno di cure. «Per via della mia rigida educazione britannica, non mi andava di parlarne: non era qualcosa che avrei gridato ai quattro venti», confessa al Telegraph. «Ma quando tutto è venuto alla luce ho pensato di non essere l'unica persona a soffrirne e ho iniziato a vivere giorno per giorno. Se così facendo sono stata di aiuto a qualcuno, mi ritengo ampiamente soddisfatta».


ASHLEY JUDD

Nel 2006 Judd si è sottoposta a una cura per uscire dalla depressione: «Avevo bisogno di aiuto», dirà più tardi. «Mi sentivo devastata».



CARRIE FISHER

La principessa Leila di Star Wars ha parlato della propria dipendenza dall'alcol e della depressione nella sua autobiografia, testo che poi è diventato un monologo teatrale a Broadway.







KERRY WASHINGTON

In un'intervista del 2009, la star di Scandal, Olivia Pope, ha confessato di aver sofferto di depressione e disturbi alimentari. «La cura mi ha aiutata a capire che per me è un bene parlare dei miei sentimenti, invece di affogarli nel cibo».






GWYNETH PALTROW

Dopo la nascita dei figli, l'attrice premio Oscar ha sofferto di depressione post-partum. «È qualcosa che capita a molte donne e, per me, è stata una magnifica opportunità per scoprire quello che si nasconde sotto la superficie».





EMMA THOMPSON

Emma Thompson è caduta in depressione dopo il fallimento del suo matrimonio con l'attore Kenneth Branagh. «Sapevo di stare male», ha detto in seguito. «Ho avuto bisogno di uno specialista».







HALLE BERRY

Quando nel 1987 il suo matrimonio con David Justice è giunto alla fine, Halle Berry ha confessato di aver vissuto un'intensissima depressione che l'ha spinta a meditare sul suicidio.







SHERYL CROW

La cantante Sheryl Crow ha concepito propositi suicidi intorno ai vent'anni. «Gli antidepressivi aiutano e altrettanto la terapia, ma la depressione è qualcosa di chimico che alcune persone provano. È sempre stata parte della mia vita»: così ha detto Crow al Daily Mail.


KIRSTEN DUNST

«Ho combattuto e ho avuto l'opportunità di prendermi cura di me stessa: sono stata fortunata»: così ha ammesso Kirsten Duns nel 2008 dopo essere stata in rehab.








JANET JACKSON

Nelle sue memorie, Janet Jackson dice apertamente di voler aiutare le giovani che hanno difficoltà ad accettare il proprio corpo e la depressione. «La mia paura e l'incertezza mi hanno portato ad avere un pessimo rapporto con me stessa. I sentimenti negativi conducono alla depressione e questa sfocia in disordini alimentari». Afferma anche che il cibo era la sua via di fuga e il suo unico conforto.


LADY D

La principessa Diana ha sofferto, in silenzio, di bulimia e di depressione post-partum.










BROOKE SHIELDS

Brooke Shields ha voluto essere d'aiuto alle donne che soffrono di depressione post-partum scrivendo le sue memorie in cui racconta il suo viaggio attraverso la malattia.







SALMA HAYEK

È difficile da credere ora, ma c'è stato un momento in cui la pelle di Salma Hayek era in così cattive condizione da impedirle di uscire di casa. «Mi svegliavo il mattino e restavo a letto per prepararmi all'incontro con lo specchio», ha confessato.






di Kaitlin Menza

Dal Sito: www.gioia.it

CON IL CAMBIO DI STAGIONE ARRIVA L’AUTUNNO E CON ESSO LA METEOROPATIA


Fine estate, inizio autunno, cambiamento del clima e per molti, conseguentemente, cambiamento dell’umore. 
In questo caso possiamo parlare di meteoropatia.

Evidenti e fastidiosi sintomi, sia fisici che psichici, caratterizzano questo disturbo: emicranie, malumore, sbalzi di pressione, insonnia, ansia e ipereccitabilità, palpitazioni, dolori alle ossa, mal di stomaco, irritazione alle vie respiratorie, affaticabilità, difficoltà di concentrazione e di memorizzazione, fino ad arrivare a problemi ben più seri come infarto, angina pectoris o ictus.

L’elemento scatenante è costituito da bruschi cambiamenti climatici, variazioni nella pressione atmosferica, improvvisi mutamenti della temperatura o del tasso di umidità. Possono bastare anche un cielo nuvoloso, un temporale improvviso o un vento particolarmente impetuoso.

Possiamo parlare di meteoropatia primaria (derivante dalla sfera psicosomatica), secondaria (se influisce a peggiorare malattie fisiche già esistenti), e di Seasonal affective disorder (Sad), una vera e propria sindrome legata al numero di ore di luce, detta anche “depressione invernale”.

Le categorie che risultano maggiormente sensibili alle mutazioni atmosferiche sono i bambini, gli adolescenti, gli anziani, i soggetti portatori di patologie specifiche e quelli definiti neurolabili. I più a rischio sono coloro che hanno subito traumi a carico dell'apparato muscolo-scheletrico oppure i depressi e gli ansiosi. Particolarmente meteoropatici possono essere inoltre gli alcolisti, i farmaco-dipendenti, le persone sottoposte a stress intenso e forte stanchezza.

Il metereopatico è particolarmente predisposto, per situazioni di intenso stress, ad un cambiamento d'umore e/o di condizioni fisiche a seguito di intense variazioni climatiche. Normalmente i sintomi, quali irritabilità, generico nervosismo, insonnia, vengono accusati già prima che si verifichino mutamenti delle condizioni climatiche; segue poi la fase acuta corrispondente alla variazione del clima ed una rapida attenuazione con scomparsa dei sintomi coincidente con la fine della situazione climatica. Attualmente la meteoropatia è molto diffusa anche a causa di fattori negativi che possono pesare nella vita quotidiana: stress, lutto, divorzio, difficoltà a trovare lavoro o problematiche legate al pensionamento, inquinamento e traffico, competitività a livello professionale.

La meteoropatia è legata al funzionamento dell'ipofisi. Più specificatamente, il lobo anteriore dell'ipofisi, produce gli ACTH, l’ 'Ormone dello Stress', in maggiore quantità la mattina e in minore quantità la sera. In occasione di eventi climatici caratterizzati specialmente da una diminuzione della temperatura esterna, viene aumentata la produzione di ACTH provocando nei meteoropatici irritabilità e nervosismo.

L’ormone dello stress causa l’aumento dell’ansia e diminuisce la produzione di endorfine: veri e propri antidolorifici, che abbassano nell’organismo la soglia del dolore. Diminuendone la loro produzione aumenta così la percentuale del dolore a livello scheletrico, muscolare e tendineo, con conseguenti dolori alle ossa cefalee e nevralgie.

Nella meteoropatia sono coinvolti altri ormoni: viene prodotta maggiormente la melatonina che ha effetti rilassanti ma anche depressivi, che si attiva con il buio e, al contempo, diminuita la produzione di serotonina, ormone fonte di benessere.

Per combattere la meteoropatia è importante imparare a contenere lo stress, può essere utile anche compiere regolari passeggiate all’aria aperta per attivare la produzione di serotonina ed endorfine e, abituare l’organismo, ormai solito a vivere in ambienti climatizzati, alla variazione della temperatura.

La meteoropatia ad oggi, viene curata con terapie tradizionali, con quelle complementari come la medicina termale, la fitoterapia, l’omeopatia e le tecniche di rilassamento.

Per quanto riguarda la psicoterapia, questa potrebbe essere utile ai fini del raggiungimento del benessere psichico, nonché di quello fisico, se psicosomatico.

di Caterina Steri - Psicoterapeuta

3 semplici consigli per trasformare l’ansia in una potente alleata


L’ansia, un po’ come la paura, è solo uno stato d’animo che siamo programmati per provare, reprimerla del tutto può essere dannoso, così come non avere paura di niente può causare situazioni spiacevoli, ecco perché dobbiamo imparare a domarla e usarla a nostro vantaggio, così come l’uomo ha imparato a domare i cani senza averne paura.

Anche se ci conviviamo da sempre, abbiamo ancora tantissima paura dell’ansia.
L’ansia ti blocca, l’ansia ti fa commettere errori, l’ansia ti fa male al fisico. In giro possiamo trovare decine di siti, corsi e consigli su come eliminare l’ansia e lo stress, su come scacciarla via come quel tuo collega rompiscatole che ti viene a disturbare proprio quando vuoi lavorare sodo o quel compagno di classe che butta addosso la sua paura per un esame.

Ma come già detto non dobbiamo reprimerla, sarebbe una soluzione temporanea, dobbiamo trasformarla in efficienza. Una punta d’ansia è ciò che ci permetterà di rileggere quel progetto ancora una volta e trovare gli errori che ci erano sfuggiti la prima volta, sarà lo stimolo a curare con passione quel progetto che all’inizio sembra non decollare, ma che siamo ansiosi di portare al successo, sarà quel momento di trance al termine del quale abbiamo incredibilmente finito tutta quella montagna di lavoro che credevamo insormontabile.

L’ansia è anche un’ottima bussola per capire se stiamo andando nella direzione giusta. Qualunque storia, racconto, videogioco o film ha un modo molto chiaro per farci capire se il protagonista sta andando nella direzione giusta: le difficoltà aumentano. Ecco perché quando aumenta l’ansia, aumentano le paure di sbagliare dobbiamo stare attenti a non farci bloccare da essere, ma essere felici della loro esistenza: vuol dire che stiamo andando verso ciò che vogliamo fare veramente e che l’impegno che ci metteremo sarà totale e sincero, perché se non ce ne fregasse niente non vivremo sulla nostra pelle l’ansia di sbagliare.

Riuscire a rendere l’ansia un nostro alleato non è facile, ma solo perché siamo abituati a vederla come qualcosa di esclusivamente negativo, creato dalla natura per farci inciampare sul più bello. Domarla è un lavoro in più fasi: prima dobbiamo riconoscerla, poi dobbiamo utilizzarla per renderci ancora più efficienti, più affamati, più ossessionati dal far andare le cose bene.

Chi affronta prove molto pericolose, come un pilota di Formula Uno, non è che ha meno paura degli altri, ha solo imparato a domare i propri sentimenti per spingersi fino al limite senza superarlo.

Accettatela

Negare qualcosa è il modo miglior per farla crescere finché non ci sarà più spazio per altro nella vostra mente. Essere ansiosi non fa di voi persone sbagliate solo… diversamente efficienti! Accettate il fatto che vivete difficilmente le situazioni di stresse, solo così potrete lavorarci.

Capitela

Perché vi viene l’ansia? Non vi piace parlare in pubblico? Avete paura che se non fate ogni giorno qualcosa di significativo il mondo si dimenticherà di voi? Avete paura del giudizio altrui? Non vi sentite abbastanza competenti? Cercate di capire le cause della vostra ansia, così da poterla sfruttare.

Incanalatela

Avete capito che vi viene l’ansia perché parlare in pubblico vi impaurisce? Ottimo, allora esercitatevi di continuo e trasformate l’ansia in un stimolo per sconfiggerla. Avete ansia di entrare in un settore difficile? Allora calmatevi e ricordatevi che l’ansia di fallire vi farà lavorare il doppio e meglio degli altri. Personificate questo sentimento, parlatele, sfogatevi con lei, non datele potere se non quello di farvi impegnare ancora di più, e non usatela come un paravento dietro il quale nascondere i vostri fallimenti.
Fatela lavorare per voi e diventerete ottimi amici!

Dal Sito: www.centodieci.it

Primo giorno di scuola, ecco come aiutare i vostri bambini a combattere l’ansia



Tra pochi giorni si tornerà a scuola. Per alcuni bambini sarà un momento divertente, per altri, invece, questo giorno rappresenta un motivo di forte ansia

Tra pochi giorni si tornerà a scuola. Per alcuni bambini sarà un momento divertente dove poter rivedere i propri compagni e poter raccontare le proprie avventure estive. Per altri, invece, questo giorno rappresenta un motivo di forte ansia. Perché?

La fobia scolare è un disturbo che colpisce tra l’1 e il 5% dei ragazzi in età scolare, interessando soprattutto i maschi (80%), e consiste nello sviluppo di uno stato d’ansia e paura nell’andare a scuola. Tale da compromettere frequenza e risultato nella carriera scolastica del bambino.

La fobia scolare non deve essere confusa con l’assenza ingiustificata. In quest’ultimo caso, infatti, non è presente la paura o l’ansia. Spesso questo disturbo viene associato alla mancanza di interesse per la propria formazione scolastica e a comportamenti antisociali.

Onde evitare che questo disturbo si trasformi in un problema più grande, è importante intervenire in da subito. Sicuramente, a tale scopo, il primo passo è rivolgersi a professionisti. La consulenza di uno psicologo non solo permetterà di stabile se il disturbo di cui soffre il bambino è effettivamente fobia della scuola, ma anche di approfondire le cause .

In questo tipo di interventi, l’obiettivo degli psicologi è di favorire il reinserimento scolastico del bambino, convincendolo non solo della necessità di doverlo fare ma anche del fatto che ha tutte le possibilità per poter raggiungere il suo obiettivo.

I sintomi della fobia scolare

I sintomi del rifiuto generalmente scolare si presentano di solito in modo graduale e possono iniziare ad apparire dopo una vacanza, malattia e più in generale a seguito di un periodo che abbia tenuto il bambino lontano dalla scuola. Ma come riconoscer il rifiuto scolare?

• manifestazione di un ampia serie di sintomi somatici (vertigini, mal di testa, mal di stomaco, tremori, palpitazioni, diarrea, stanchezza dolori alle spalle, dolori agli arti etc.);

• elevata reazione di ansia nel momento in cui esce da casa o giunge davanti alla scuola, al punto da presentare sintomi da panico;
• preoccupazioni per la perdita di persone care o per la possibile separazione da esse a causa di eventi imprevisti;
• difficoltà ad andare a dormire o paura di avere incubi.

Cause

La scuola può introdurre diversi elementi stressanti nella vita di un bambino. Problemi come il bullismo, l’assenteismo, le violenze, la rigida suddivisione degli studenti in base alle caratteristiche e alle capacità, le relazioni alunni-insegnanti impersonali o addirittura ostili; il mancato monitoraggio da parte del personale scolastico delle zone pubbliche, sono tutti fattori che possono contribuire al rifiuto della scuola.

Secondo il tradizionale e più comune approccio diagnostico il persistente rifiuto di andare a scuola rappresenta semplicemente un sintomo che può evidenziare, insieme ad altri, la presenza di un Disturbo da Ansia di Separazione. Tuttavia è importante specificare che la fobia della scuola si può ricondurre a questo disturbo solamente quando si manifesta prima dei diciotto anni e per una durata di almeno quattro settimane.

Più in generale si può affermare che tra i fattori che possono portare alla fobia scolastica ci sono:

• un legame problematico con uno dei genitori
• difficoltà con il gruppo dei coetanei o con un insegnante
• relazioni conflittuali nella famiglia;
• eventi di vita stressanti (come la malattia propria o di un familiare, la separazione tra i genitori o dai genitori)

In alcune ricerche, inoltre, è stato dimostrato che i figli di genitori che hanno manifestato questo disturbo da piccoli hanno riscontrato lo stesso disturbo.

dal Sito: www.varesenews.it

sabato 2 settembre 2017

Extrasistole e cuore: sintomi, cause, rimedi


Introduzione

L’extrasistole è un disturbo in cui il cuore si contrae in modo anomalo, prima del previsto, alterando così la normale successione del battito cardiaco. Si tratta della forma più semplice, e in genere innocua, di aritmia, termine che si usa per indicare qualsiasi alterazione del ritmo cardiaco.


Sono talvolta avvertiti dal paziente a livello toracico, che può descriverli come “sensazione di aver perso un battito” o come forte colpo nel petto. Le extrasistoli possono essere isolate, cioè comparire occasionalmente e apparentemente senza ragione, o manifestare una qualche cadenza regolare, possono essere singole o presentarsi in successione.

L’extrasistole è un fenomeno molto frequente e quasi tutti, prima o poi, ne soffriamo.

Se di tanto in tanto avvertite un’extrasistole, ma nel complesso siete sani, probabilmente non c’è motivo di preoccuparsi e non è necessaria alcuna terapia.

Se invece gli episodi di extrasistole sono frequenti, o se soffrite di una patologia cardiaca a monte, probabilmente dovrete ricorrere a una terapia che vi aiuterà a sentirvi meglio e a curare i problemi cardiaci presenti.

Cause

Il cuore è costituito da quattro cavità:

due superiori (gli atri),

due inferiori (i ventricoli).

In condizioni normali il battito cardiaco è regolato dal nodo senoatriale, una zona di cellule specializzate che si trovano nell’atrio destro. Questo pacemaker naturale produce gli impulsi elettrici che innescano il battito cardiaco. Dal nodo senoatriale gli impulsi elettrici attraversano gli atri e arrivano ai ventricoli, facendoli contrarre e facendo loro pompare il sangue nei polmoni e nel resto dell’organismo.

L’extrasistole è un insieme di contrazioni premature che iniziano in una zona diversa del cuore. Da un punto di vista medico se il battito imprevisto origina nelle camere superiori del cuore (atri) si parla di extrasistole atriale, mentre se nasce dalle camere inferiori (ventricoli) si parla di extrasistole ventricolare. Si noti che i battiti cardiaci non sincronizzati e anomali di solito sono meno efficaci nella loro azione di pompaggio del sangue nell’organismo.

Le contrazioni anomale in genere anticipano il battito normale e spesso interrompono l’ordine normale degli eventi, perché normalmente gli atri dovrebbero prima dei ventricoli.

I motivi per cui si verifica l’extrasistole non sono sempre chiari, anche perchè molto frequentemente compaiono in soggetti sani e in buona salute; in questi casi possono essere dovute per esempio a:
  • stress (fisico e/o psicologico),
  • ansia,
  • stanchezza,
  • febbre o malessere in genere
e di norma non sono motivo di preoccupazione.

Diverso è invece il caso di un’origine da disturbi cardiaci (come una miocardite) o di diversa localizazione, che possono essere per esempio:
  • disturbi dello stomaco come l’ernia iatale od il reflusso gastroesofageo,
  • disturbi della tiroide (per esempio tiroidite),
  • infezioni,
  • alterazioni o squilibri chimici dell’organismo (per esempio carenza di potassio),
  • anemia.
In questi casi è necessario affrontare il problema che ne è alla base, che può rappresentare un rischio di salute più o meno importante, e in questo modo spariranno anche i sintomi cardiaci.

Anche le patologie cardiache o le lesioni possono alterare il percorso degli impulsi elettrici.

Fattori di rischio

Il rischio di extrasistole può aumentare a causa di determinati fattori scatenanti, patologie e sostanze stimolanti:
  • caffeina,
  • alcol,
  • sostanze d’abuso (droghe),
  • consumo eccessivo di bevande gassate,
  • alcuni farmaci (digossina, aminofillina, … ma anche i vecchi antidepressivi triciclici),
  • tabacco,
  • esercizio fisico,
  • ipertensione (pressione alta),
  • ansia,
  • patologie cardiache congenite e non, coronaropatie, infarto, miocardite e cardiomiopatia.
La probabilità di comparsa aumenta con l’età.

Sintomi

Molto spesso il paziente non si accorge di nulla e l’aritmia viene registrata in modo inatteso da un elettrocardiogramma richiesto per altri motivi.

I sintomi delle extrasistole, quando percepiti, possono essere così descritti dai pazienti:

battito che esita,

palpitazioni,
cuore che batte forte o che “salta in gola”,
cuore che salta un battito o più battiti.

Più in generale il soggetto acquisice maggior consapevolezza del proprio battito cardiaco (in termini di forza, frequenza o ritmo), ma questa percezione può essere sgradevole e/o violenta. In caso di pazienti ansiosi non è raro sentir ipotizzare una sensazione di arresto cardiaco con pericolo di morte.

I sintomi tendenzialmente peggiorano a riposo e possono scomparire con l’esercizio fisico; nel caso in cui invece aumentino con l’attività è opportuna una rivalutazione medica perchè spesso indicativi di patologia più importante.

Solo nei casi di extrasistoli più gravi ed associate a tachicardia (aumento della frequenza cardiaca) possono comparire

mancanza di respiro,

vertigini,
affaticamento.

Molto raramente si arriva allo svenimento.

Quando chiamare il medico

Se vi sembra che il cuore perda un battito, faccia fatica a battere oppure avvertite una sensazione strana al torace, andate dal medico per capire qual è la causa dei sintomi.

Nella maggior parte dei casi delle occasionali extrasistoli non sono un problema, ma è indispensabile verificarne la natura benigna con il medico per escludere patologie cardiache o di altra origine.

Pericoli

I pazienti con frequenti episodi di extrasistole benigne potrebbero essere maggiormente soggetti a sviluppare aritmie, ma molto dipende dalla causa.

Negli altri casi gli eventuali rischi sono quelli connessi alla patologie scatenante, se presente.

Diagnosi

Se il medico sospetta che soffriate di extrasistole, probabilmente vi prescriverà un elettrocardiogramma (ECG). Quest’esame è in grado di scoprire se ci sono dei battiti anomali, di identificare la loro ricorrenza e la loro origine e di diagnosticare eventuali patologie cardiache a monte.

Elettrocardiogramma


Essendo per natura un fenomeno che talvolta è occasionale o poco più, il sintomo potrebbe non verificarsi durante i pochi minuti necessari al completamente dell’elettrocardiogramma standard, in questi casi il medico può optare per l’utilizzo di un dispositivo Holter in grado di registrare continuamente (per 1-2 giorni) il battito cardiaco del paziente, attraverso specifici elettrodi adesivi collegati per un’estremità all’organismo del paziente e all’altra a un dispositivo portatile di registrazione.

Questo approccio garantisce al medico la possibilità di verificare l’andamento del battito durante tutte le situazioni del quotidiano (riposo, pasti, lavoro, relax, …), permettendo una valutazione più approfondita e ampia rispetto all’elettrocardiogramma standard.

In caso di ulteriori e/o persistenti dubbi sulla natura delle extrasistole (o di altri disturbi rilevati con gli esami precedenti o emersi durante la visita) è possibile ricorrere al cosiddetto elettrocardiogramma sotto sforzo, che permette di registrare l’attività elettrica del cuore mentre il paziente cammina sul tapis roulant o fa la cyclette. Può essere utile per capire la gravità delle contrazioni ventricolari premature. Se l’extrasistole scompare o diminuisce durante l’esercizio fisico, di solito non è considerata grave. Viceversa, se l’esercizio fisico provoca l’extrasistole, ci può essere una probabilità maggiore di problemi di aritmia seri.

Esistono poi ulteriori esami più invasivi, che tuttavia nella maggior parte dei casi non sono necessari.

Cura e terapia

La maggior parte dei pazienti affetti da extrasistole, ma altrimenti sani, non avrà bisogno di alcuna terapia, perchè si tratta di fenomeni benigni e legati a condizioni non patologiche (ansia, difficoltà digestive, stress, …). In alcuni soggetti ansiosi, o quando i sintomi siano particolarmente fastidiosi, è possibile ricorrere a farmaci in grado di rallentare il battito cardiaco riducendo gli episodi (in genere si ricorre a farmaci detti beta-bloccanti, a basse dosi) o anche ansiolitici, che si sono dimostrati molto efficaci nella riduzione dei sintomi causati da stress e paure.

Quando secondarie a patologie non cardiache, per esempio in caso di ipertiroidismo o pressione alta, la terapia è ovviamente volta alla malattia di fondo.

Quando presente un disturbo cardiaco in grado di causare aritmie più gravi potrà invece essere necessario ricorrere a farmaci antiaritmici
i già citati betabloccanti,
alternative come l’amiodarone,

o interventi più invasivi (ablazione, pacemaker, …), necessità rara nei soggetti giovani.

Prevenzione

Eliminare i fattori scatenanti frequenti dell’extrasistole, come un eccessivo consumo di caffeina o il fumo, può essere utile e talvolta indispensabile per diminuire la frequenza e la gravità dei sintomi.

Altrettanto importante può risultare il controllo e la gestione dell’ansia, per esempio attraverso tecniche di rilassamento nei casi più leggeri (yoga, pilates, training autogeno, …), oppure con farmaci e/o psicoterapia quando il disturbo risulti più profondo.

Molto utile agire sullo stile di vita:
una dieta sana e leggera,
un regolare esercizio fisico,
il recupero e il mantenimento del peso forma

sono fattori spesso sottovalutati, ma decisivi nella riduzione del numero di episodi.

Può essere infine utile tenere traccia dei fattori scatenanti, in modo da riuscire a individuare e correggere cause modificabili, come ad esempio:
sostanze (alimenti, bevande, farmaci, …),
azioni (eccesso di esercizio fisico, …)

in grado di favorire la comparsa di extrasistoli.

Dal Sito: www.farmacoecura.it


Il coraggio di cambiare


Una tempesta terribile. Il vento soffia sull’oceano e scuote le onde facendole diventare creste minacciose di spuma di mare. Tuttavia, dobbiamo essere forti, alzare le vele e afferrare con forza il timone della nostra piccola imbarcazione per adattarci a quei movimenti. Se ci facciamo prendere dal panico, sicuramente affonderemo…

Lo sappiamo bene, i cambiamenti non solo facili. I cambiamenti fanno male, ma sono necessari per evolvere come persone e trovare non solo la felicità, ma anche la calma e l’integrità. È curioso, ad esempio, che nella cultura orientale la parola “cambiamento” sia rappresentata da due ideogrammi che a loro volta illustrano due termini: “pericolo” e “opportunità”. Davvero significativo.

La necessità di una strategia di coping

Perché i cambiamenti scatenano paura o incertezza? Facciamo un esempio. Dovete cambiare la vostra residenza per trovare lavoro oppure uno migliore. La paura di non sapere se sarà qualcosa di certo o se il prezzo emotivo e personale sarà alto è di sicuro quello che più vi blocca, che vi impedisce di fare il passo determinante per cambiare la vostra vita.

Un altro esempio: avete da diversi anni una relazione con una persona e sentite di non essere felici. Vi sembra di non trovarvi nel posto giusto ed ogni giorno che passa vi sentite sempre più oppressi. Tuttavia, avete paura di lasciare quella persona perché al tempo stesso non sapete come affrontare la nuova vita in solitudine e non sapete nemmeno come la possa prendere. Qualsiasi cambiamento genera incertezza e timore, abbiamo la sensazione che per un momento potremmo “perdere il controllo della nostra vita”, e poche cose sono difficili da sopportare come questa…

Senza sapere in che modo, molti si ritrovano a vivere in una realtà in cui “ciò che conoscono li tranquillizza perché sanno come devono comportarsi ed agire”. Vale a dire, si trovano in una sorta di “zona sicura” e anche se non sono completamente felici in questa bolla, quello che c’è fuori sembra ancora più minaccioso.

Ogni cambiamento implica una grande dose di coraggio personale. Ci obbliga ad adattarci a nuove condizioni, per questo dobbiamo investire il nostro sforzo emotivo e fisico, oltre a rischiare il nostro benessere e la nostra sicurezza.

Il coraggio personale

Per essere capaci di iniziare un cambiamento che tanto desideriamo, ma che non osiamo intraprendere, bisogna innanzitutto essere realisti e consapevoli della nostra situazione. Come vi sentite in quei momenti? Vi sentite realizzati dal punto di vista personale? Vi trovate a vivere una realtà che davvero desiderate, con le persone che desiderate? Quando vi guardate allo specchio, potete dire a voi stessi che siete felici? È vero che possono essere questioni scomode e determinanti, ma è proprio questo il senso e la necessità del cambiamento per quanto riguarda certi aspetti della vita, grandi o piccoli che siano.

Il cambiamento fa parte della vita e non è un ostacolo insormontabile che qualcuno mette di proposito nel nostro cammino. Bisogna prima di tutto lasciare da parte i pensieri negativi e possibili anticipazioni perché, di sicuro, non faranno altro che aggiungere spine nel nostro sentiero verso il cambiamento. Perché la paura è come un paio di forbici sul punto di tagliare le nostri ali. E tutti abbiamo il diritto di volare…

La cosa più importante è esporsi gradualmente a determinate situazioni, così da poter sviluppare strategie di coping ed andare avanti, imparando allo stesso tempo qualcosa di nuovo. Perché se non corriamo il rischio, non raggiungeremo mai la attitudini necessarie per essere coraggiosi, per metterci in gioco e avere il controllo della nostra vita.

Scacciare la paura significa scommettere sulla felicità. E di sicuro anche voi volete raggiungerla!

Dal Sito: lamenteemeravigliosa.it

Umorismo e psicoterapia: la funzione e i benefici dell’umorismo


L' umorismo in psicoterapia può essere utile per facilitare l'alleanza terapeutica e aiutare il paziente a cogliere il lato positivo nelle cose negative.
L’ umorismo in psicoterapia è un fenomeno complesso in quanto coinvolge diversi aspetti: una risposta cognitiva, data dalla comprensione e dall’apprezzamento dell’intento umoristico, una reazione psicologica (la risata) e una risposta emotiva data dal vissuto di divertimento e allegria (Sultanoff, 2003). Affinchè l’utilizzo dello humour abbia esiti positivi, i terapeuti dovrebbero essere consapevoli delle diverse funzioni che svolge e individuare il momento più opportuno per ricorrervi.

Cos’è l’ umorismo e qual è la sua funzione?

Etimologicamente, la parola “umorismo” deriva dal latino ‘humorert-em’ o ‘umorert-rem’ (umidità, liquido), che si avvicina anche al greco ‘yg-ròs’ (bagnato, umido). L’origine del termine sembrerebbe dunque rimandare alla medicina ippocratica che riteneva la personalità e la salute legata ai fluidi corporei, detti “umori”. L’umorismo, peculiarità dell’essere umano, rappresenta la capacità intelligente e sottile di individuare e ritrarre gli aspetti comici della realtà.

L’aspetto della condivisione è fondamentale quando si parla di comicità, infatti si tende a ridere perlopiù insieme agli altri – amici, parenti, familiari, o colleghi che siano – di eventi e situazioni che spesso non hanno una connotazione umoristica in sé, ma la assumono per le circostanze stesse di condivisione in cui si verificano. Dunque tali eventi e situazioni diventano divertenti per i membri del gruppo in questione, diminuendo le distanze.

Ma cosa è considerato divertente e qual è la funzione dell’umorismo? A partire dall’inizio del scorso secolo, questi interrogativi hanno iniziato a suscitare interesse all’interno della comunità scientifica. Le teorie esplicative al riguardo sono state numerose. Tra le principali è possibile citare la teoria del Sollievo, che attribuisce all’umorismo una funzione liberatoria. Questa teoria, descritta per la prima volta da Freud, afferma che l’umorismo funziona quando uno scherzo o un’osservazione spiritosa serve ad allentare le nostre tensioni sessuali e aggressive represse. L’umorismo fornisce uno sbocco socialmente accettabile per quelle fondamentali pulsioni biologiche che sono presenti in tutti noi.

Un’altra teoria degna di nota è quella della Superiorità, essa sostiene che le situazioni e le osservazioni diventano umoristiche per noi perché finiamo col sentirci migliori quando qualche umiliazione o sfortuna capita ad altri. Questo è il motivo per cui ci sembra divertente vedere una persona che si da arie, scivolare e cadere. Noi non siamo coinvolti in modo negativo perché siamo in una posizione di superiorità. Naturalmente non sarebbe divertente se a cadere fosse un fragile signore anziano.

La teoria dell’Assurdo afferma invece che l’umorismo si verifica quando ci sono conseguenze impreviste in circostanze che sono familiari. Una persona può all’improvviso apparire o comportarsi in un modo inaspettato o diverso dalla norma. Per esempio, se un’automobile va in pezzi all’improvviso la cosa risulta buffa ai bimbi piccoli perché in contrasto con le loro aspettative (Franzini, 2011)

Altri modelli teorici hanno identificato l’umorismo come una strategia di coping o un meccanismo di difesa, intesi come la propensione a mantenere una prospettiva umoristica in circostanze avverse (Lefcourt e Martin, 1986); un’abilità cognitiva, volta a generare, comprendere, riprodurre e ricordare una situazione umoristica (Feingold e Mazzella, 1993); un pattern comportamentale abituale, quale tendenza a ridere frequentemente, a raccontare barzellette, a divertire gli altri e a ridere per gli scherzi altrui (Martin e Lefcourt, 1984); un atteggiamento positivo o divertito nei riguardi dell’umorismo o del mondo (Svebak, 1996); una risposta estetica, quale apprezzamento dell’umorismo e di particolari tipi di materiale umoristico (Ruch e Hehl, 1998); un tratto temperamentale connesso alle emozioni di cui l’allegria abituale costituisce una dimostrazione (Ruch e Kohler, 1998).

Spesso identificato come un costrutto benevolo legato a emozioni e vissuti piacevoli, nell’umorismo è in realtà possibile riscontrare anche una nota di sarcasmo e di ridicolo che attribuiscono a esso un’accezione negativa.
Gli stili umoristici e lo strumento di valutazione dell’umorismo

A tal proposito Martin et al. (2003) distinguono quattro stili umoristici: affiliativo, autorinforzativo, autodenigratorio e aggressivo.
Lo stile affiliativo viene utilizzato per migliorare e facilitare le relazioni con gli altri attraverso l’utilizzo di commenti divertenti, battute spiritose, barzellette e scherzi. Questa dimensione si identifica nel ridere con e non nel ridere di qualcuno.
L’umorismo autorinforzativo è legato alla tendenza ad avere un atteggiamento benevolo verso la vita, mettendo il soggetto nella condizione di riuscire a ridere di se stesso e delle circostanze, cogliendo gli aspetti divertenti della realtà e mantenendo una prospettiva umoristica di fronte a eventi avversi.
Lo stile umoristico autodenigratorio si riferisce all’utilizzo di un umorismopotenzialmente dannoso verso se stessi al fine di ottenere l’approvazione altrui attraverso commenti volti a mettersi in ridicolo per compiacere l’altro.
L’umorismo aggressivo può risultare particolarmente dannoso per le relazioni interpersonali, in quanto legato alla derisione e alla manipolazione dell’altro. L’intento di fondo è quello di danneggiare e sminuire l’altro.

Questi quattro stili umoristici possono essere facilmente valutati mediante lo HumorStyles Questionnaire (HSQ) messo a punto da Martin e colleghi (2003), realizzato sulla base di studi teorici e clinici volti ad indagare la relazione tra l’ umorismo e il benessere. Lo HSQ è stato tradotto e validato in contesti socio-culturali diversi, confermando complessivamente le buone qualità psicometriche e i fattori originari (Chen e Martin, 2007).
L’ umorismo in psicoterapia

I benefici dell’ umorismo sulla salute fisica e mentale sono stati ampiamente confermati, tuttavia vi è una carenza di interesse per lo studio dell’ umorismo in psicoterapia il cui utilizzo è, a tutt’oggi, un argomento controverso. Si ipotizza che lo studio in tale ambito sia rimasto inesplorato perchè i terapeuti sono poco inclini a inserire volontariamente lo humour durante i loro colloqui presupponendo che la psicoterapia sia “questione seria” e non possa includere contenuti frivoli, almeno in modo volontario.

Di contro, recenti ricerche hanno dimostrato l’efficacia dell’ umorismo in psicoterapia e la sua utilità quale elemento facilitatore nella costruzione dell’alleanza terapeutica e in alcune aree specifiche come la valutazione di personalità. Inoltre, diversi studi hanno rilevato come l’ umorismo possa essere inserito nel trattamento di un ampio numero di disturbi, quali, ad esempio, l’ansia, le fobie specifiche, il disturbo ossessivo-compulsivo e la depressione.

L’ umorismo in psicoterapia è un fenomeno complesso in quanto coinvolge diversi aspetti: una risposta cognitiva, data dalla comprensione e dall’apprezzamento dell’intento umoristico, una reazione psicologica (la risata) e una risposta emotiva data dal vissuto di divertimento e allegria (Sultanoff, 2003).
Affinchè l’utilizzo dello humour abbia esiti positivi, i terapeuti dovrebbero essere consapevoli delle diverse funzioni che svolge e individuare il momento più opportuno per ricorrervi.

Louis Franzini (2001) ha individuato diverse funzioni che può assolvere l’ umorismo in psicoterapia, suggerendo inoltre di inserire lo humour fra le componenti informali del curriculum di ogni psicologo e psicoterapeuta.

In fase di assessment è opportuno che i terapeuti prestino attenzione a ciò che le persone trovano divertente: riuscendo a cogliere quale tipo di umorismo il paziente apprezza sarà possibile farsi un’idea della persona che si ha davanti ed evitare di incorrere in battute infelici. Inoltre, richiamare l’attenzione sull’atteggiamento umoristico (ad esempio, chiedendo perchè ride quando si parla di certi argomenti) rappresenta un metodo per aiutare il paziente ad aumentare la consapevolezza di sè .

L’ umorismo in psicoterapia può essere uno strumento di grande aiuto anche nella costruzione dell’alleanza terapeutica, esso ha un compito importante nella costituzione di una buona empatia, vista la sua funzione di facilitatore sociale che porta ad una maggiore soddisfazione del rapporto, a una maggiore vicinanza e a una risoluzione efficace dei conflitti (Cann et al., 2008). Va sottolineato che la direzione della relazione fra umorismoe alleanza terapeutica è bidirezionale: una maggiore empatia porta ad una maggiore alleanza terapeutica ed un’accresciuta alleanza terapeutica favorisce l’utilizzo dell’umorismo. Inoltre, l’umorismo può essere una strategia utile per favorire una comprensione empatica da parte del terapeuta nei riguardi del paziente (Meyer, 2007).

In fase di intervento l’ umorismo in psicoterapia può facilitare l’apprendimento di prospettive alternative e la riduzione dello stress. L’ umorismo è infatti un’efficace strategia di coping che aiuta a diminuire l’impatto emotivo causato dall’aver vissuto eventi stressanti. Il terapeuta può incoraggiare il paziente a modificare il proprio punto di vista portandolo a “vedere il lato divertente” delle cose, in modo da aiutarlo a regolare le emozioni negative trasformandole in positive.

Va ricordato che l’ umorismo di per sè non è terapeutico: è necessario che venga usato in modo terapeutico. I risultati migliori si ottengono quando i clinici trasmettono empatia e quando gli interventi umoristici vengono impiegati in maniera genuina, comunicando attenzione e sincerità per le preoccupazioni del paziente. D’ altra parte, l’umorismo può non sortire effetti terapeutici, ma arrivare a essere addirittura pericoloso, se non impiegato con criterio.

Uno dei rischi più frequenti nell’utilizzo dell’ umorismo in psicoterapia è che i pazienti non si sentano presi sul serio. Un altro rischio si verifica quando il terapeuta tocca temi importanti in modo divertente, conducendo il paziente all’errata interpretazione che certi argomenti non debbano essere discussi seriamente. Inoltre, secondo Robert Pierce (1994), il terapeuta può mettere in atto tre tipi di umorismo negativo, il cui utilizzo andrebbe, ovviamente, evitato.
1. Commenti umoristici non pertinenti per lo scopo terapeutico. In questo caso il terapeuta cambia totalmente argomento e ne introduce uno non attinente.
2. Uso dell’umorismo in modo difensivo. Viene utilizzato per spostare l’attenzione da temi particolarmente toccanti o personali, sia per se stesso che per il paziente, che il terapeuta non è in grado di affrontare, su altri che ritiene più sicuri.
3. Umorismo utilizzato dal terapeuta per attaccare il paziente. Rientrano in questa categoria i commenti usati per sminuire, prendersi gioco e ridere del paziente. Questo tipo di umorismo può essere vincolato da sentimenti di frustrazione e rabbia, sia consapevole sia inconsapevole.

In conclusione è possibile affermare che l’ umorismo rappresenta un valido aiuto per il terapeuta, uno strumento che, se usato con consapevolezza, consente al clinico di intensificare gli effetti positivi della terapia. Potrebbe essere utile a tal proposito, stimolare nei terapeuti un’attenta riflessione sul tema e esortarli a impiegare l’umorismo all’interno della relazione terapeutica.


Dal Sito: www.stateofmind.it


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2017/09/umorismo-in-psicoterapia/


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2017/09/umorismo-in-psicoterapia/

Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2017/09/umorismo-in-psicoterapia/