venerdì 30 giugno 2017

Cosa fare quando tutto va male


Ci sono giorni in cui sembra che ci siamo alzati dal letto con il piede sbagliato. Abbiamo un appuntamento, ma tutto si complica; vogliamo vedere qualcuno, ma la cosa è impossibile o semplicemente siamo troppo giù di morale.

In questi momenti, tutto risulta troppo complicato e sembra che nulla possa andare bene. Non solo: ci guardiamo intorno e sembra che tutti si siano messi d’accordo per peggiorare ancora la nostra giornata.

Cosa fare quando tutto va male? Continuate a leggere e lo scoprirete.

“Possiamo sempre scegliere di vedere le cose in modo distinto. Possiamo concentrarci su tutte le cose brutte della nostra vita oppure su tutte quelle belle”.
(Marianne Williamson)


Quando vivete una giornata di questo tipo, considerate le seguenti indicazioni:

La vita non è semplice

Scordatevi che la vostra vita sia perfetta. Non lo sarà mai e questo è bene, perché così avete la possibilità di progredire.

Quando tutto va male, è perché vi state concentrando solo sui vostri fallimenti. Forse è ora di valutare le aspettative che avete.

Se lo ritenete necessario, fate qualche piccolo cambiamento nella vostra vita. Le persone che vivono aspettandosi solo cose positive trovano molte disillusioni lungo il loro cammino.

“Se cercate la perfezione, non sarete mai felici”.
(Lev Tolstoj)

Il successo non arriva dall’oggi al domani

Tutti vogliamo avere successo ed essere apprezzati nelle attività che amiamo, ma non sempre siamo disposti a lavorarci abbastanza.

In questo momento, sentite che tutto vi sta andando male perché non avete il successo che desiderate in un determinato ambito?

Forse è il caso di analizzare le cose che già avete e di apprezzarle. Dopodiché, potete creare un progetto per arrivare dove volete.

Per raggiungere qualsiasi obiettivo, c’è bisogno di pazienza e di sforzo, pertanto non permettete alla frustrazione di avere la meglio su di voi. Fissatevi mete modeste e conquistatele poco a poco.

“Gli alberi crescono lentamente per dare i frutti migliori”.
(Molière)

Imparate la lezione

Perché sentite che tutto va male? Cos’è che provoca in voi questo sentimento? Cosa potete imparare da questa situazione?

Non lamentatevi di tutte le cose negative che vi succedono. Si tratta della vostra prima reazione, la quale, però, non è affatto utile: così, non farete altro che peggiorare il vostro umore ogni volta che ci pensate su.

È meglio affrontare ciò che avete davanti come se fosse una sfida; imparate a vedere la parte divertente di queste circostanze e a oltrepassate i vostri limiti.

Apprezzate il lato buono delle cose

Non lasciatevi abbattere dalla tristezza e dallo sconforto. Di certo è difficile sorridere quando tutto va male, ma in che altro modo potreste mai migliorare la vostra visione delle cose?

Imparate a vedere gli errori e i fallimenti come tappe della vita e del processo evolutivo e apprezzate tutte le cose belle che avete.

“La forza non arriva dalle vittorie. La lotta e le sfide sviluppano le tue forze. Quando affronti le difficoltà e decidi di non arrenderti, quella è forza.”
(Arnold Schwarzenegger)

Non preoccupatevi più

Non preoccupatevi per tutto ciò che accade attorno a voi. Se oggi tutto va male, concentratevi sulle cose che possono migliorare. Tutto il resto lasciatelo scorrere; anche se non ci credete, poco a poco le cose si collocheranno nel giusto posto della vostra vita.

Invece di passare le notti preoccupati per quello che dovete fare, usate il vostro tempo per realizzare un piano che vi permetta di risolvere ciò che potete risolvere.

Piangete se ne avete bisogno

È impossibile non aver voglia di piangere quando tutto va male. Fatelo! Non abbiate paura di piangere, non è un segno di debolezza. È necessario lasciare che i sentimenti fuoriescano e fluiscano affinché altri, più positivi, occupino il loro posto.

Quel che non dovete fare è focalizzarvi continuamente sulle cose negative e non avanzare. Adesso piangete e poi continuerete il cammino.

“Non scusatevi per aver pianto. Senza le emozioni non saremmo altro che robot”.
(Elizabeth Gilbert)

Ricordatevi che nessuna vita è perfetta

Quanto tempo passate a confrontare la vostra vita con quella degli altri? A un primo sguardo, può sembrarvi di avere una vita complicata, piena di problemi e per nulla perfetta. Ebbene, sappiate che non siete gli unici.

Smettete di fare paragoni con gli altri e di credere che a loro le cose vadano meglio. Forse quell’amica che sembra avere sempre fortuna con i ragazzi non riesce a trovarne uno che la renda davvero felice o forse quel cugino che cambia macchina ogni anno ha così tanti debiti che non riesce mai ad andare a dormire tranquillo.

Quando tutto va male, pensate a dove vi trovate e a dove volete arrivare. Ciò che fanno gli altri non dev'essere al centro dei vostri pensieri.

Dal Sito: lamenteemeravigliosa.it

Ti auguro



Ti auguro la gioia di avere sempre qualcuno
con cui dividere ogni cosa...

Ti auguro di avere dei bei ricordi
cui ritornare col pensiero nei brutti momenti...

Ti auguro una tra le migliori piccole gioie quotidiane:
aprire un libro che ricordi bene,
lasciarne le pagine,
leggere le prime parole famigliari...

Ti auguro la primavera e la meraviglia di constatare che è sempre migliore di quanto avevi osato sperare...

Ti auguro la felicità di un regalo da un bambino:
- un mazzo di denti di leone appassiti,
- una caramella succhiata a metà
- una rana
- un bacio...

Ti auguro che tu possa, anche se solo una volta nella vita,
vedere qualcosa di infinitamente raro, strano e bello...

Ti auguro la malinconia di un giardino in inverno e, dopo mesi d'attesa, i piccoli, verdi vegetali della primavera...

Ti auguro di rimanere affascinata dall'infinita varietà della vita animale...

Ti auguro la fiducia di una creatura selvatica, conquistata con pazienza e amore...

Ti auguro che tu possa non dover comprare l'amore al prezzo dell'umiliazione...

Ti auguro che tu possa sempre trovare le parole giuste per mantenere al loro posto gli spacconi e avere abbastanza forza nelle ginocchia per camminare con dignità...

Ti auguro che tu possa avere un cuore pieno d'amore e giudizi accorti...

Ti auguro la gioia di essere desiderata, e di trovare il regalo perfetto, sentire il profumo della terra, dal prato aperto...

Ti auguro lettere:
con una calligrafia che riconosci immediatamente, con una calligrafia che non vedevi da anni...

Ti auguro lettere piene di elogi, piene di incoraggiamenti:
lettere di gratitudine e di amore.
Ti auguro lettere sciupate, macchiate di inchiostro, scritte tutte storte
coperte di baci

Ti auguro la felicità di dimenticare il passato
e di trovare nuovi inizi.

Ti auguro la felicità delle idee,
l'eccitamento della ragione,
il trionfo della conoscenza,
lo schiarirsi della vista,
l'acuirsi dell'udito,
il protendersi verso nuove scoperte,
il trarre piacere dal passato così come dal presente.
Ti auguro la gioia della creatività.

Ti auguro felicità...
ma non la felicità che si ottiene chiudendo fuori il mondo.
Nemmeno quella di rinnegare il tuo sogno per amor di agiatezza.
Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi.
Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di
dare, di correre il rischio d'amare.

Tratta la felicità con gentilezza:
è un prestito.

Un atteggiamento positivo… vale più di tutto il resto



Era sempre di buon umore ed aveva sempre qualcosa di positivo da dire.
Quando qualcuno gli domandava come stava, rispondeva: “Se stessi meglio, scoppierei!“.
Era un manager unico, con un gruppo di camerieri che lo seguivano ogni volta che prendeva la gestione di un nuovo ristorante.
Il motivo per cui i camerieri lo seguivano era che Jerry aveva un grande atteggiamento positivo. Era un motivatore naturale, se un dipendente aveva la luna storta, Jerry era lì a spiegargli come guardare al lato positivo della situazione. Trovavo il suo stile molto strano e quindi un giorno gli dissi “Adesso basta! Spiegami come fai ad essere sempre così positivo, qualunque cosa succeda?“.
Lui mi rispose “Vedi, io sono così, quando mi sveglio la mattina mi dico oggi hai una scelta da fare: puoi decidere di essere di buon umore o di cattivo umore, e scelgo di essere di buon umore. Tutti i giorni mi capita qualcosa di spiacevole, posso fare la vittima oppure imparare qualcosa dai problemi, io scelgo di imparare.

Ogni giorno qualcuno viene da me a lamentarsi, io posso scegliere di subire passivamente le sue lamentele o di trovare il lato positivo della cosa, beh, io scelgo sempre il lato positivo della vita“.
“Si, va beh“, dissi io, “ma non è sempre cosi facile!“.
“Si invece“, disse Jerry, “la vita è tutta fatta di scelte. A parte le necessità più o meno fisiologiche in ogni situazione c’è una scelta da fare.
Sei tu a scegliere come reagire in tutte le situazioni, a decidere come la gente può influire sul tuo umore.
Sei tu che scegli se essere di buon umore o di cattivo umore, e quindi in definitiva come vivere la tua vita“.
Per molto tempo dopo quell'incontro, ripensai a quello che Jerry aveva detto, poi un giorno lasciai il business della ristorazione e mi dedicai ad un altra attività in proprio; mi persi di vista con Jerry ma spesso ripensai a lui quando mi trovavo nella situazione di scegliere nella vita invece che subirla.
Diversi anni dopo, venni a sapere che Jerry aveva commesso un errore imperdonabile per un gestore di ristorante: aveva lasciato la porta posteriore del ristorante aperta una mattina, ed era stato attaccato da tre rapinatori armati; mentre cercava di aprire la cassaforte, le sue mani sudate e tremanti dalla paura non riuscivano a trovare la combinazione ed i rapinatori, presi dal panico, gli avevano sparato ferendolo gravemente.
Fortunatamente Jerry era stato soccorso rapidamente e portato immediatamente al pronto soccorso.
Dopo 18 ore di intervento chirurgico ed alcune settimane di osservazione, Jerry era stato dimesso dall'ospedale con frammenti di pallottole ancora nel suo corpo.
Incontrai Jerry circa sei mesi dopo l’incidente, quando gli chiesi come andava mi disse “Se stessi meglio, scoppierei. Vuoi dare un occhiata alle cicatrici?“.
Declinai l’invito, ma gli chiesi che cosa gli era passato per la testa durante la terribile esperienza.
“La prima cosa che pensai fu che avrei dovuto chiudere la porta posteriore del ristorante” mi disse Jerry, “poi, quando ero già stato colpito e mi trovavo per terra, mi ricordai che avevo due scelte: potevo scegliere di vivere o di morire“.
“Ma non avevi paura? Non sei svenuto?“.
Jerry continuò: “Gli infermieri furono bravissimi. Continuavano a dirmi che andava tutto bene. Ma fu quando mi portarono sulla barella in sala operatoria e vidi le espressioni sulle facce dei dottori e degli assistenti, che mi spaventai veramente, potevo leggere nei loro occhi ‘questo uomo e’ già morto!’“.
C’era questa infermiera veramente grassa che continuava a farmi domande, e mi chiese se ero allergico a qualche cosa.
“Si!“, io risposi, a quel punto tutti dottori e le assistenti si fermarono ad aspettare che finissi la mia risposta…
Io presi un respiro profondo e con tutte le mie forze gli gridai “Sono allergico alle pallottole!“.

Mentre ancora ridevano aggiunsi “Sto scegliendo di vivere. Operatemi come se fossi un vivo, non come fossi già morto“.

Jerry è sopravvissuto grazie alle capacità dei chirurghi, ma anche grazie al suo atteggiamento positivo.

Ho imparato da lui che tutti i giorni abbiamo la scelta di vivere pienamente.

Un atteggiamento positivo, alla fine, vale più di tutto il resto.

(dal sito: www.lamentemente.com)

giovedì 29 giugno 2017

ANSIA E ATTACCHI DI PANICO: COME FUNZIONANO E PERCHÉ LI PROVIAMO


L'ansia, sembra quasi scontato dirlo, è un'emozione, come la rabbia, la gioia, la tristezza, la paura, ecc. Come tutte le emozioni non possiamo eliminarla, anche se spesso è spiacevole, dobbiamo imparare ad accettarla, conviverci e cercare di tenerla sotto controllo quando possibile.

L'ansia spesso spaventa perché si manifesta con sintomi fisici anche intensi (tachicardia, senso di soffocamento, nausea, vomito, diarrea, tremori, vertigini, testa vuota, capogiri, sensazione di assenza, ecc). Se ci riflettiamo un attimo, tutte le emozioni, anche la gioia o la rabbia, si esprimono sul piano fisico, solo che di queste non ce ne preoccupiamo.

Ecco che quindi, nel mantenimento dell'ansia gioca un ruolo fondamentale il nostro pensiero, le nostre interpretazioni catastrofiche di questi sintomi (sto impazzendo, è un infarto, sto svenendo, farò una figuraccia, mi sta venendo un ictus, ecc) spesso spaventosi, e i comportamenti che mettiamo in atto per proteggerci o rassicurarci (assumere farmaci, non andare più in certi posti, non uscire da soli, non prendere il bus, ecc).

Spesso poi ci mettiamo in ascolto del nostro corpo, controlliamo se è tutto a posto, se il cuore batte bene, se la testa gira, se abbiamo la nausea, ecc. Purtroppo, quanto più ci concentriamo sui sintomi o sui segnali del nostro corpo, tanto più essi si amplificano. Alla lunga, tutto questo rafforza la paura e l'ansia si cronicizza, crediamo di proteggere noi stessi ma in realtà rafforziamo l'ansia. Così facendo poi togliamo fiducia a noi stessi e alle nostre capacità autonome di reagire.

L'ansia è un'emozione che anticamente serviva ai nostri antenati preistorici a proteggerli dai pericoli, a stare attenti ogni volta che uscivano dalla grotta ed eventualmente prepararsi a combattere o a scappare se attaccati da nemici o predatori. E' regolata da una zona del cervello molto antica, il sistema limbico (l'amigdala in particolare ne è la principale responsabile), mentre invece, solo successivamente si è evoluta la corteccia cerebrale, è questa che oggi ci dice che il pericolo in realtà non è così temibile come lo era per i nostri antenati.

Insomma, è come se oggi avessimo un sistema di allarme dentro di noi sempre attivo che scatta spesso ma senza un motivo preciso, non abbiamo più predatori, non abbiamo più tribù rivali, ma questo, il nostro cervello più antico non lo sa. Alcune persone, in seguito a periodi di forte stress, per temperamento, per altri motivi legati ad esperienze di vita o di apprendimento, hanno un allarme molto sensibile, che scatta facilmente anche senza un motivo apparente (in realtà c'è sempre un motivo che scatena una crisi d'ansia o un attacco di panico anche se la persona non se ne rende conto).

Queste reazioni molto intense coinvolgono il corpo perché il messaggio che arriva dal cervello più antico è quello di SCAPPARE o COMBATTERE, il cervello ci dice di proteggerci. Quindi, ecco arrivare i sintomi fisici: i muscoli si tendono, il cuore pompa più forte per fare arrivare più ossigeno ai muscoli degli arti, anche il respiro si velocizza per questo, vampate di calore sono causate dall'attivazione di tutto il corpo per utilizzare tutte le energie disponibili per scappare o combattere, il formicolio è causato dal fatto che in quelle zone c'è meno afflusso di sangue il quale è convogliato negli arti necessari all'azione, il senso di stordimento è causato da una parte di noi che vorrebbe scappare in conflitto con l'altra che invece dice che non c'è un pericolo reale, inoltre spesso senza accorgersene si inizia a respirare in modo irregolare, questo crea un lieve calo del flusso di ossigeno verso il cervello e uno squilibrio tra ossigeno e anidride carbonica che può portare a sensazioni di stordimento, testa vuota, vertigini, vista confusa o giramenti di testa, tutto ovviamente dura pochi istanti ma noi in quel momento crediamo che stiamo impazzendo o svenendo.

Ancora, la nausea è causata dal fatto che la digestione si blocca perché l'organismo ha bisogno di utilizzare le energie per scappare o combattere, i muscoli si sono tesi improvvisamente e possono essere indolenziti e far male, la gola secca è causata dal fatto che senza accorgersene, si respira molto intensamente a bocca aperta e non usando i filtri nasali. Il cervello invia messaggi anche all'apparato digerente, per scappare o combattere la digestione si deve fermare, quindi possono comparire anche fenomeni come diarrea o vomito, era più facile per l'uomo primitivo scappare con una zavorra in meno. Se ci fate caso, spesso si vede anche nei documentari, quando la gazzella è inseguita dal leone per velocizzare la fuga "si libera", capita lo stesso anche a noi.

Quindi, in effetti accade quanto segue: ci troviamo in una situazione o pensiamo qualcosa che ci appare come minaccioso, proviamo ansia, arrivano i sintomi fisici, li interpretiamo come qualcosa di preoccupante (invece sono perfettamente normali), li vediamo come un problema di salute serio, questo ci provoca ansia maggiore che ovviamente fa accrescere i sintomi fisici e così via.

Il circolo vizioso si alimenta e spesso sfocia in un vero e proprio attacco di panico. L'amigdala ci dice che quella situazione iniziale era pericolosa (ad esempio un cane) poi, qualche millisecondo dopo, la corteccia ci dice che non vi è nulla da temere (ci dice che il cane scodinzola e affettuoso) ma tuttavia i sintomi non se ne vanno subito, perché l'allarme è già suonato, la risposta SCAPPA o COMBATTI è innescata e quindi il corpo è tutto attivato con i sintomi che ho descritto sopra. E infatti, dopo, noi ci preoccupiamo dei sintomi, ci chiediamo: cosa sta succedendo? Perché non se ne vanno? Non è che sto impazzendo? Ecc.

Purtroppo una volta che il corpo si è attivato necessita di qualche minuto per acquietarsi, quei minuti però possono diventare ore se continuiamo ad agitarci e a preoccuparci. Spesso si corre al Pronto Soccorso, e solo quando il medico ci rassicura e ci dice che non è un infarto si ritrova la calma. Tutto questo per degli errori automatici di valutazione.

A questo proposito è utile sapere quanto segue:

L'ANSIA NON PROVOCA L'INFARTO (a meno che non si abbiano dei seri problemi cardiaci).

L'ansia provoca un intenso rilascio di adrenalina, durante l'infarto invece l'adrenalina viene meno, e infatti in ospedale una delle prime cose che fanno è proprio somministrare adrenalina agli infartuati. Il dolore che si può avvertire al torace è causato dalla tensione muscolare.

DI ANSIA NON SI PUO' SOFFOCARE, la respirazione è un processo automatico, si respira anche sott'acqua, annegando purtroppo.

DI ANSIA NON SI PUO' SVENIRE perché la pressione si innalza, lo svenimento è causato invece da un abbassamento di pressione, si può svenire solo alla vista del sangue, questo per altri motivi che magari spiegherò in un'altra sede.

DI ANSIA NON SI PUO' IMPAZZIRE, chi impazzisce non se ne accorge, chi si dice "sto impazzendo", anche se in preda al terrore, comunque sta ragionando, è consapevole di cosa sta accadendo, il "pazzo" no.

L'ANSIA NON PROVOCA L'ICTUS, l'ictus è causato da un embolo non dall'ansia, inoltre ha sintomi diversi anche se spesso simili.

DI ANSIA NON SI MUORE, non è mai successo, mai!!! Molte persone purtroppo hanno così paura di morire da non riuscire a vivere.

Un trattamento per l'ansia e gli attacchi di panico, secondo l'approccio Cognitivo Comportamentale dura più o meno 6 mesi, a meno che non ci siano tratti di personalità disfunzionali sottostanti che possono contribuire ad allungare i tempi.

Si lavora su cinque aspetti (almeno questo è il mo iter):

1) Le emozioni, imparando a viversele anche se spiacevoli. "Guarda in faccia la paura e questa cesserà di turbarti" (Sri Yukteswar).

2) I pensieri e le interpretazioni catastrofiche, riconoscerle e modificarle, allenandosi a fare questo.

3) Il riconoscimento e la familiarizzazione con i sintomi fisiologici.

4) La modifica di comportamenti evitanti e protettivi non utili, sostituendoli con comportamenti funzionali e rafforzativi.

5) L'apprendimento di tecniche di respirazione e di rilassamento che contribuisco a ridurre l'attivazione eccessiva dell'organismo.

Prima di tutto questo è necessaria però un'attentissima valutazione, che inquadri le caratteristiche del problema ma che tenga conto della specificità della singola persona. Ogni soggetto ha una sua struttura di personalità unica, le proprie esperienze e i propri vissuti, è indispensabile tenere conto di questo per poter agire in modo proficuo. Sono necessarie inoltre tanta pazienza, motivazione e fiducia, sia nel clinico ma soprattutto in se stessi.

Dal Sito: www.psicologionline.net

La semplicità trasforma le persone comuni in esseri eccezionali


Abbiamo grandi sogni e progetti ambiziosi, ma ciò non significa che non possiamo abbracciare la semplicità. Ma in un mondo in cui il valore delle persone sembra dipendere da quello che hanno, piuttosto che da ciò che sono, dove spesso ci si preoccupa di più delle apparenze che dell'essenza, è facile cadere nella trappola dell’orgoglio, della vanità e della presunzione.

Tuttavia, non esiste migliore adorno per la nostra anima che l’umiltà. Infatti, la semplicità è il linguaggio del cuore, sono una forma di espressione diretta che non ha bisogno di artifici e permette di connetterci agli altri dalla nostra essenza, rendendoci autentici al 100%.

I rischi che nascondono l’orgoglio e l'arroganza

Una volta una rana si chiese come avrebbe potuto allontanarsi dal freddo inverno. Alcune oche gli suggerirono di emigrare con loro, ma il problema era che la rana non sapeva volare.

- Lasciatemi fare a me - disse la rana-. Ho un cervello straordinario.

In seguito chiese a due oche di aiutarla a raccogliere una canna, ciascuno avrebbe afferrato una estremità. La rana pensò di afferrare la canna con la sua bocca.

Quando l'inverno stava per arrivare, le oche e la rana iniziarono il loro viaggio. Ma non avevano ancora volato a lungo quando si trovarono a sorvolare una piccola città dove gli abitanti uscirono a vedere l’insolito spettacolo.

Qualcuno chiese: “Chi è che ha avuto un’idea così brillante?”

La rana si sentì così orgogliosa che esclamò:

- A me!

Nel momento preciso in cui aprì la bocca si staccò dalla canna e cadde nel vuoto.

Come per la rana della storia, l'orgoglio ci può portare a prendere decisioni sbagliate, senza pensare alle conseguenze. Infatti, l’orgoglio ci convince di avere ragione mentre gli altri hanno sempre torto. Ci porta a credere che solo le nostre idee siano logiche e razionali, in modo tale che non accettiamo nuovi modi di vedere le cose e terminiamo ingessati.

Orgoglio e arroganza fanno si che ci rinchiudiamo in ciò che abbiamo imparato trasformanodoci nei nostri carcerieri. Questo è confermato da uno studio condotto presso la Cornell University. Questi psicologi presentarono a 100 volontari un elenco di termini tecnici scoprendo che coloro che si credevano esperti del settore, non solo non erano in grado di riconoscere i termini fittizi che i ricercatori avevano inventato per depistarli, ma affermavano addirittura di sapere tutto al riguardo. Al contrario, le persone che adottarono un atteggiamento più umile e non pretesero di essere esperti del settore mostrarono scetticismo in merito a questi termini e riconoscevano di non conoscerli.

Questo studio dimostra che a volte il nostro ego ci acceca e ci impedisce di cogliere le opportunità di crescita e di imparare qualcosa di nuovo. Dimostra che se non alziamo gli occhi continueremo a credere di aver raggiunto il livello più alto.

7 vantaggi dell’umiltà e della semplicità che ci trasformeranno in persone migliori

1. Ci permettono di avere una maggiore flessibilità mentale. Se adottiamo un atteggiamento umile ci trasformeremo in eterni apprendisti. Questo significa che saremo sempre disposti ad ascoltare nuove idee e cambiare le nostre. In questo modo riusciremo a crescere, perché non resteremo legati alle nostre idee o modi di fare le cose, ma saremo aperti al cambiamento. Infatti, nella misura in cui coltiviamo la modestia, ci risulterà anche più facile imparare dagli errori e capire che questi sono necessari per crescere ed evolverci.

2. Ci liberano emotivamente. Fingere di sapere tutto può arrivare ad essere logorante. Così abbracciare l'umiltà e la semplicità è spesso liberatorio. Quando riconosciamo i nostri errori e limitazioni non stiamo mostrando debolezza ma piuttosto il contrario, dimostriamo sicurezza in noi stessi, che ci conosciamo bene e non abbiamo paura di riconoscere quando abbiamo fallito o che abbiamo bisogno d’aiuto. L’umiltà innalza, la superbia riduce.

3. Ci aiutano ad apprezzare i piccoli dettagli. L’orgoglio vuole sempre di più, non è mai soddisfatto. Al contrario, l'umiltà si accontenta e trova la felicità in quello che ha. La semplicità permette di concentrarci nei piccoli dettagli e scoprirne la bellezza, permette di sentirsi grati per quelle cose che adornano la nostra vita e che prima non valutavamo correttamente perchè le consideravamo scontate. Così abbracciare l'umiltà ci permette di essere felici qui e ora, ci aiuta a sentirci grati e soddisfatti di ciò che siamo e abbiamo realizzato.

4. Ci permettono di connetterci dalla nostra essenza. Semplicità significa anche liberarsi delle maschere sociali che usiamo normalmente nelle relazioni interpersonali. La magia consiste nel fatto che quando ci liberiamo della necessità di impressionare gli altri, ci mostriamo per quello che siamo, e questo ci permette di stabilire un legame emotivo più profondo con le persone intorno a noi. In questo modo, siamo in grado di sviluppare relazioni più autentiche, forti e durature.

5. Ci permettono di trovare serenità. È curioso ma, nella misura in cui diventiamo umili, ci abbandona il bisogno di discutere, imporre le nostre opinioni o avere ragione. Quando non abbiamo bisogno che il nostro ego prevalga, ci apriamo ad altri punti di vista e troviamo la serenità anche quando le credenze e le opinioni degli altri sono opposte alle nostre. Questo nuovo approccio nelle relazioni interpersonali ci farà ritrovare una grande serenità.

6. Ci aiutano ad essere più empatici. Solo quando lasciamo andare orgoglio e arroganza, quando smettiamo di alimentare il nostro ego, siamo in grado di abbandonare il nostro punto di vista e metterci nei panni degli altri. Pertanto, il percorso verso la semplicità ci aiuta anche ad essere più comprensivi ed empatici. Questo significa che possiamo capire una persona, condividere le sue preoccupazioni e sentimenti, anche se non siamo d'accordo con il suo modo di pensare.

7. Ci rendono la vita più facile. Quando finalmente ci rendiamo conto che “avere meno significa essere più ricchi” il nostro mondo diventa improvvisamente molto più semplice. Ci rendiamo conto che molte delle cose di cui credevamo avere bisogno, in realtà non sono necessarie per essere felici. Allora possiamo concentrarci su ciò che conta davvero, reindirizzare i nostri sforzi verso quelle cose che ci rendono felici e ci riempiono, quelle cose che danno veramente senso alla nostra vita, piuttosto che toglierlo.

Ricordate sempre le parole dello scrittore argentino Ernesto Sábato: “Per essere umili si necessita grandezza”.

Fonte:
Atir, S. et. Al. (2015) When Knowledge Knows No Bounds Self-Perceived Expertise Predicts Claims of Impossible Knowledge. Psychological Science; 26(8): 1295-1303.

Dal Sito: www.angolopsicologia.com

Pessimismo e ottimismo




Negli ultimi anni probabilmente tutti ci siamo sentiti dire che si deve “pensare positivo”. Un esercito di esperti lo raccomandano. E, chiaro, penserete che così tanti specialisti e persone di ogni genere non possono sbagliarsi tutti insieme. Infatti, i medici e gli psicologi hanno realizzato diversi studi che dimostrano che l’ottimismo migliora la nostra salute, ci fa vivere più a lungo e migliora la nostra qualità di vita. Per questa ragione siamo giunti al punto che tutti ci sentiamo pressati a pensare e parlare in maniera positiva. E tutto ciò sta bene!

Il problema risiede nel fatto che la grande maggioranza delle persone riferisce di voler essere ancora più ottimista. Insomma, non sarebbero tanto felici come desiderano. L’ottimismo si è trasformato nella meta agognata ma non ci rendiamo conto di quando l’abbiamo raggiunta e ne vogliamo sempre di più.

Sempre più spesso i ricercatori considerano ottimismo e pessimismo come due occhiali diversi che possiamo metterci e toglierci a piacere per affrontare una situazione, invece di comprenderli come diversi stili e attitudini per affrontare la vita. Infatti, vi sono già diversi psicologi che stanno sfidando l’egemonia dell’ottimismo a tutti i costi come stato d’animo ideale. Insomma, bisognerebbe fare un uso selettivo dell’ottimismo invece di indossarlo come un vestito da portarsi per tutta la vita.

Il problema si è creato perché per decenni si è esortato le persone ad essere ottimiste. Sei ottimista? Bene! Sei pessimista? Nooo! Per milioni di persone la dottrina dell’ottimismo ha ottenuto di creare un nemico: il pessimismo, un idea che si identifica con il fallimento, la depressione e la perdita di obiettivi nella vita. Ma non dovrebbe essere così, dato che tanto l’ottimismo come il pessimismo possiedono i loro valori intrinsechi.

Per esempio, tanto l’ottimismo come il pessimismo possono motivare energicamente il nostro comportamento. Se consideriamo da un punto di vista realistico, il livello di rischio che affrontiamo ogni volta che decidiamo di realizzare un nuovo progetto o ci rendiamo conto della quantità di lavoro che richiede, forse non saremmo mai pronti a lanciarci nell’avventura. Allora serve un poco di ottimismo. Tuttavia, non vi è nulla di tanto efficace come un fallimento per spronarci a reagire, cambiare di prospettiva e riprendere il cammino per un diverso sentiero. Questo è il pessimismo.

Infatti, molti specialisti considerano il pessimismo è come un meccanismo di protezione dell’ego che, ovviamente, non desidera fallire. In questo caso ci riferiamo al pessimismo difensivo, che ci delinea con colori grigi tutte le cose negative che potrebbero accaderci. In questi casi il pessimismo ci può aiutare a cercare percorsi alternativi, ad essere più attenti e ad aguzzare il nostro ingegno alla ricerca di nuove soluzioni per evitare i problemi.

Non dobbiamo neppure dimenticare che il boom dell’ottimismo giunse alla fine degli anni 90 del secolo scorso, quando lo psicologo Martin Seligman scelse come tema della sua conferenza da presidente dell’Associazione Americana di Psicologia proprio il tema della “Psicologia Positiva”. In quel momento di forte espansione economica e prosperità, la cultura occidentale era particolarmente ricettiva a questi messaggi, ma oggi, con l’attuale crisi economica che non sembra più terminare ed i problemi reali che decine di milioni di persone devono affrontare ogni giorno, è meglio affrontare ogni situazione con l’atteggiamento adeguato.

Una volta di più, è importante imparare ad affrontare gli opposti con un’attitudine flessibile. L’ottimismo non è una meta, non dobbiamo passare tutta la giornata con un sorriso stampato sul volto. L’importante è saper applicare i consigli della Psicologia Positiva nel luogo e nel momento giusti.

Dal Sito: www.angolopsicologia.com

LA PAURA



Che cos'è la paura?
Con questo termine si identificano stati di diversa intensità emotiva che vanno da una polarità fisiologica come il timore, l'apprensione, la preoccupazione, l'inquietudine o l'esitazione sino ad una polarità patologica come l'ansia, il terrore, la fobia o il panico.


Il termine paura viene quindi utilizzato per esprimere sia una emozione attuale che una emozione prevista nel futuro, oppure una condizione pervasiva ed imprevista, o un semplice stato di preoccupazione e di incertezza.
L'esperienza soggettiva, il vissuto fenomenico della paura è rappresentata da un senso di forte spiacevolezza e da un intenso desiderio di evitamento nei confronti di un oggetto o situazione giudicata pericolosa. Altre costanti dell'esperienza della paura sono la tensione che può arrivare sino alla immobilità (l'essere paralizzati dalla paura) e la selettività dell'attenzione ad una ristretta porzione dell'esperienza. Questa focalizzazione della coscienza non riguarda solo il campo percettivo esterno ma anche quello interiore dei pensieri che risultano statici, quasi perseveranti. La tonalità affettiva predominante nell'insieme risulta essere negativa, pervasa dall'insicurezza e dal desiderio di fuga.
Da dove nasce la paura? Dai risultati di molte ricerche empiriche si giunge alla conclusione che potenzialmente qualsiasi oggetto, persona o evento può essere vissuto come pericoloso e quindi indurre una emozione di paura. La variabilità è assoluta, addirittura la minaccia può generarsi dall'assenza di un evento atteso e può variare da momento a momento anche per lo stesso individuo. Essenzialmente la paura può essere di natura innata oppure appresa. I fattori fondamentali risultano comunque essere la percezione e la valutazione dello stimolo come pericoloso o meno.

Paure innateOriginano da
  • stimoli fisici molto intensi come il dolore oppure il rumore;
  • oggetti, eventi o persone sconosciuti dai quali l'individuo non sa cosa aspettarsi e neppure come eventualmente affrontare;
  • situazioni di pericolo per la sopravvivenza dell'individuo o per l'intera specie: l'altezza, il buio, il freddo, l'abbandono da parte della figura di attaccamento;
  • circostanze in cui è richiesta l'interazione con individui o animali aggressivi.
Esempi di paure tipicamente innate sono: la paura degli estranei, del buio, la paura per certi animali (ragni e serpenti), il terrore alla vista di parti anatomiche umane amputate.
Paure appreseRiguardano una infinita varietà di stimoli che derivano da esperienze dirette e che si sono dimostrate penose e pericolose. Il meccanismo universale responsabile dell'acquisizione di paure apprese viene definito condizionamento, che può trasformare un qualunque stimolo neutro in stimolo fobico, mediante la pura associazione per vicinanza spaziale e temporale ad uno stimolo originariamente fonte di paura.


Come il corpo manifesta la paura?
La faccia delle paura si manifesta in un modo molto caratteristico: occhi sbarrati, bocca semi aperta, sopracciglia avvicinate, fronte aggrottata. Questo stato di tensione dei muscoli del viso rappresenta l'espressione della paura che è ben riconoscibile anche in età precoce e nelle diverse culture.
Le alterazioni psicofisiologiche sembrano differenziarsi fra quelle che si associano a stati di paura intensi, come il panico e la fobia, e quelle invece concomitanti alla preoccupazione e all'ansia. Precisamente, uno stato di paura acuta ed improvvisa caratteristica del panico e della fobia, si accompagna ad una attivazione del sistema nervoso autonomo parasimpatico, si ha quindi un abbassamento della pressione del sangue e della temperatura corporea, diminuzione del battito cardiaco e della tensione muscolare, abbondante sudorazione e dilatazione della pupilla. Il risultato di tale attivazione è una sorta di paralisi, ossia l'incapacità di reagire in modo attivo con la fuga o l'attacco. La funzione di questa staticità indotta dallo stimolo fobico sembra quella di difendere l'individuo dai comportamenti aggressivi d'attacco scatenati dalla fuga e dal movimento. Paradossalmente, in casi estremi, tale reazione parasimpatica può condurre alla morte per collasso cardiocircolatorio. Stati di paura meno intensi invece attivano il sistema nervoso simpatico, per cui i peli si rizzano, ai muscoli affluisce maggior sangue e la tensione muscolare ed il battito cardiaco aumentano; il corpo è così pronto all'azione finalizzata all'attacco oppure alla fuga.
Quali sono le funzioni della paura? Sicuramente, la paura ha una funzione positiva, così come il dolore fisico, disegnalare uno stato di emergenza ed allarme , preparando la mente il corpo alla reazione che si manifesta come comportamento di attacco o di fuga. Inoltre, in tutte le specie studiate l'espressione della paura svolge la funzione di avvertire gli altri membri del gruppo circa la presenza di un pericolo e quindi di richiedere un aiuto e soccorso. Dal punto di vista biologico - evoluzionista sia il vissuto soggettivo, attraverso i processi di memoria e di apprendimento, sia le manifestazioni comportamentali, indifferentemente fuga, paralisi o attacco, che le modificazioni psicofisiologiche (attivazione parasimpatica o attivazione simpatica) tendono verso la conservazione e la sopravvivenza dell'individuo e della specie. Ovviamente, se la paura viene estremizzata e resa eccessivamente intensa, diventando quindi ansia, fobia o panico, perde la funzione fondamentale e si converte in sintomo psicopatologico.
Come guarire dalla paura? La paura, come abbiamo detto, ha un alto valore funzionale, finalizzato alla sopravvivenza. Per esempio, ricordarsi che quel tipo di animale rappresenta un pericolo perché aggressivo e feroce oppure velenoso, costituisce un innegabile vantaggio. Oppure, preparare il proprio corpo ad un furioso attacco o ad una repentina fuga può in certi casi garantire la sopravvivenza. Infine, anche uno stato di paralisi da paura può salvarci dall'attacco di un feroce aggressore che non attende altro che una nostra minima reazione. Quindi le cure contro la paura si rivolgono solo a quei casi in cui essa rappresenta uno stato patologico, come ad esempio attacchi di panico o di ansia di fronte ad uno stimolo assolutamente non pericoloso.
Due sono fondamentalmente i tipi di cura contro la paura patologica.
  • L'approccio comportamentista mira alla eliminazione del sintomo della manifestazione della paura, attraverso tecniche di familiarizzazione e assuefazione allo stimolo fobico, basate su meccanismi di condizionamento.
  • L'approccio cognitivista, è finalizzato invece alla eliminazione della causa della paura, si rivolge quindi alla percezione e alla valutazione degli stimoli o eventi etichettati come pericolosi.

giovedì 22 giugno 2017

Il disturbo da attacchi di panico: strategie per guarire


La Terapia Cognitivo Comportamentale è l’intervento che ha fornito la maggiore dimostrazione di efficacia nel trattamento dei disturbi d’ansia e, in particolar modo, del disturbo da attacchi di panico.
L’efficacia clinica della Terapia Cognitivo Comportamentale è confermata dalle alte percentuali di risoluzione (superiori anche alla farmacoterapia) e rappresenta un fattore protettivo per le ricadute a lungo termine.

Il modello cognitivo afferma che non è la situazione in sé a spaventare le persone, ma il modo in cui queste interpretano quella determinata situazione.
Non sono, quindi, gli eventi a provocare quello che sentiamo, ma il modo in cui li vediamo e li gestiamo, attraverso i nostri pensieri (Beck, 2013).
Il pensiero influenza continuamente le nostre reazioni corporee, quindi, il pensiero, ad esempio, di poter avere un attacco di panico induce uno stato di ansia che, a sua volta, porterà alla comparsa di ulteriori sintomi fisici e i pensieri negativi innescheranno il circolo vizioso, andando a determinare gli effetti sul nostro corpo.
Per la Terapia Cognitivo Comportamentale il tuo coinvolgimento è attivo e determinante nella nascita e nella persistenza dell’attacco, che è frutto di un processo continuamente rinforzato da molti aspetti, su cui hai più controllo di quanto tu non creda. Dal momento che la tendenza a usare le proprie emozioni come fonte di informazione e valutazione costituisce un meccanismo fondamentale nei disturbi d’ansia, il vero problema è il modo in cui interpreti la tua stessa ansia, cosa ripeti a te stesso quando sei in ansia.
Durante il percorso di psicoterapia capirai che l’ansia aumenta quando ti concentri sulle sensazioni del corpo e sui pensieri catastrofizzanti e il tuo terapeuta ti equipaggerà di strumenti adattati per te per affrontare e gestire la tua ansia.

Ristrutturazione cognitiva degli esiti temuti delle sensazioni fisiche
I pensieri catastrofizzanti fanno sì che le persone con attacchi di panico interpretino erroneamente i sintomi dell’ansia e li vedano come dei reali pericoli.
Presta attenzione a cosa pensi nel momento in cui diventi ansioso e alle sensazioni fisiche che provi, perchè potrebbero essere dovute ad altri fattori (stanchezza, troppa caffeina, stress, aver mangiato troppo, aver dormito poco, ecc.).
Prova a chiederti: "Prima di focalizzare l’attenzione su quella parte del corpo, ero consapevole delle sensazioni fisiche?” "Quando ho focalizzato l’attenzione sulle sensazioni, cosa è accaduto?” "Ho notato sensazioni di cui non ero mai stato consapevole, concentrando l’attenzione su alcune parti del corpo? Ciò potrebbe aver contribuito all’attivazione e al mantenimento del circolo vizioso?”Se in una situazione ansiogena avverti dei sintomi fisici molto forti e pensi "Sto diventando pazzo”, sostituisci questo pensiero con "Sto solo sperimentando sintomi fisici forti, non ho alcuna ragione di ritenere che sto impazzendo”. Oppure, se pensi "Sto per avere un infarto”, sostituiscilo con "È solo il battito del mio cuore, già altre volte è stato accelerato”.
Quando provi delle sensazioni fisiche che interpreti come pericolose devi iniziare a pensare che possono dipendere da:
  • una risposta fisiologica, non pericolosa, all’aumento dell’ansia
  • una reazione normale allo stress
  • la conseguenza di un esercizio fisico
  • la fatica
  • gli effetti collaterali della nicotina, del caffè, dell’alcool o dei farmaci
  • un’accresciuta vigilanza alle sensazioni corporee
  • forti emozioni quali rabbia, sorpresa o eccitazione
  • il verificarsi casuale di processi biologici interni benevoli (ad es. prossimità del ciclo mestruale, mal di pancia, ecc.).
L’esposizione enterocettiva
Durante il percorso di Terapia Cognitivo Comportamentale per il trattamento del disturbo da attacchi di panico, una fase importante è quella che prevede l’esecuzione degli esperimenti comportamentali per l’induzione dei sintomi in seduta.
Questi esperimenti forniscono la prova che le sensazioni fisiche di per sé non conducono automaticamente al panico. ("...anche quando sono ansioso, aumentare il mio battito cardiaco correndo per le scale non aumenta il mio livello d’ansia”..) e permettono di scoprire che il modo in cui vengono interpretati i sintomi determina se l’ansia esita in panico oppure no ( "Quando so che il mio cuore batte forte a causa dell’esercizio fisico, non mi sento ansioso”). Sperimentare che non si producono le conseguenze temute (pazzia, collasso, morte, ecc.) fa diminuire la forza dei pensieri catastrofici.

Oltre agli esperimenti effettuati durante le sedute, una componente importante del trattamento è l’esecuzione degli esercizi a casa, anche nei giorni in cui la persona può sentirsi particolarmente ansiosa o propensa al panico.

L’esposizione graduata in vivo per gli evitamenti agorafobici
L’esposizione graduata in vivo per gli evitamenti agorafobici è una fase fondamentale della Terapia Cognitivo Comportamentale per il disturbo di panico. Anche in questo caso il tuo psicoterapeuta saprà prepararti e guidarti in questa fase del trattamento che, solitamente, determina un’intensa paura, anche prima che l’esposizione stessa abbia inizio, per l’aspettativa di star male, per la "paura della paura”.
Durante l’esposizione graduata in vivo lo psicoterapeuta aumenta progressivamente il livello di ansia a cui la persona si esporrà, in modo che possa realizzare di essere in grado di gestire situazioni ansiogene a lungo evitate.
Affrontare la situazione temuta senza fuggire, infatti, fa aumentare la paura che però una volta raggiunto il suo picco massimo, si stabilizzerà per poi ridimensionarsi e sarà di nuovo possibile fronteggiare le situazioni temute senza provare più paura o panico.

Dal Sito: www.istitutobeck.com

Paura degli psicofarmaci? Un tema controverso


La parola psicofarmaci genera di solito diffidenza e timore. In molti quando la si pronuncia storcono il naso e si spaventano rifiutando con forza.

L’immaginario che ruota attorno al mondo degli psicofarmaci è spesso costellato da false credenze, ma certamente anche verità indiscutibili. È necessario fare chiarezza tra queste verità e menzogne per non perdere di vista l’obiettivo finale, che in questo caso è e riguarda sempre ed esclusivamente il benessere della persona e il miglioramento della qualità della vita.

Nell’ambito della cura della mente ci sono diverse aree che solitamente entrano in gioco a seconda della gravità della situazione, della diagnosi, della storia della persona e della sua resilienza (capacità individuale della mente di reagire a situazioni complesse e critiche). Ci sono progetti di intervento che possono essere gestiti e risolti con un percorso di psicoterapia o una consulenza psicologica; altri quadri patologici invece non possono non includere cure psichiatriche ad hoc per tempi anche molto lunghi.

Nei casi più complessi (ma anche in situazioni meno gravi che si prestano), il più delle volte si ritiene necessario combinare cure psichiatriche, che sono farmacologiche, al sostegno psicoterapeutico. Non è inusuale quindi che psichiatra e psicoterapeuta collaborino assieme per consentire alla persona di giovare di un progetto completo che possa risolvere al meglio la sua situazione.

Gli psicofarmaci sono spesso accostati all’idea di pazzia e in genere per questo si rifiuta la loro assunzione. Si temono inoltre gli effetti collaterali (soprattutto la dipendenza da essi) che però il più delle volte sono amplificati da giudizi frettolosi, questioni politiche e culture avverse.

Come in tutte le cose, è necessario prima contestualizzare il problema.

A cosa serve lo psicofarmaco?

Lo psicofarmaco è uno strumento a disposizione del medico e del terapeuta che agisce per tamponare o arginare dei sintomi. Questo significa che agisce su quegli aspetti della malattia mentale o del semplice disagio mentale che sono manifesti e spesso invalidanti per la vita della persona.

Andiamo da situazioni gravi che rendono impossibile la non assunzione del farmaco: stati depressivi invalidanti per i quali prima è necessario correggere gli effetti originati dalla condizione depressiva e poi sarà possibile agire su un intervento dialogico, che rafforzerà le strutture interiori per uscire dal problema.

Così come situazioni assolutamente lievi: ad esempio dei semplici stati di ansia che impediscono il sonno, dove si può prevedere un aiuto che ristabilisca il risposo, fondamentale per il corretto funzionamento della mente.

Quando si supera il limite della sua utilità?

Un farmaco non è una panacea dei mali, tanto meno di quelli che affliggono la mente.

Se allo psicofarmaco viene data una centralità e importanza nell’intervento maggiore delle sue reali funzioni, il rischio che subentrino dei problemi nell’uso e quindi nell’abuso, diventa molto alto.

Tralasciando i casi di malattia mentale grave, quale la schizofrenia o la depressione bipolare per i quali vi è un discorso a parte, se al farmaco viene data la responsabilità della risoluzione del disagio che sta alle origini del malfunzionamento mentale, o problematica anche lieve che sia, allora si rischia non solo di non risolvere il problema, ma di sostituirne spesso uno con un altro.

Dunque alla base dell’uso improprio dello psicofarmaco di solito c’è un suo porlo come unica cura o perno centrale del problema presentato.

In questi casi (ad esempio dei quadri di ansia o depressione lieve) la prescrizione dovrebbe essere fatta per dare sollievo dai sintomi presentati, ma da sola non può certamente essere utile a risolvere il problema, che solitamente sta a monte e su cui è necessario lavorare.

Quando il farmaco diventa il solo mezzo utilizzato per tenersi in equilibrio, come si diceva, spesso si sostituisce un problema con un altro. Si allevia il sintomo, non si risolve il disagio sottostante e spesso si crea una dipendenza, poiché eliminando la “stampella” fornita dal farmaco, non si è più in grado di camminare.

Ad aggravare la situazione vi è poi la facilità con la quale spesso si prescrivono questi farmaci in alcuni contesti e l’autoprescrizione, ovvero la somministrazione auto indotta da parte della persona, senza il necessario controllo del medico psichiatra.

Gli psicofarmaci sono certamente dei farmaci complessi, dagli effetti collaterali spesso fastidiosi, ma tali effetti aumentano proprio quando vi è un atteggiamento di superficialità nella loro assunzione, quale appunto una somministrazione fai da te o un uso prolungato senza che di fatto si agisca realmente sulla fonte del disagio, ma solo sulla sua superficie.

Quindi come sempre, se si usa responsabilmente il farmaco, si somministra con un progetto che è volto a dare sostegno a breve durata e non a tempo indeterminato – con un progetto specifico e, nei casi che maggiormente si prestano, coadiuvato da un percorso psicoterapeutico parallelo utile a risolvere la fonte del problema – questo potrà rivelarsi un alleato valido in molte situazioni di disagio e non una indelebile etichetta di follia sull’individuo che ne fa uso.


Dott.ssa Sara Bakacs

Dal Sito: psicologo-romaeur.it

Estate, aumentano attacchi di panico e depressione ma l’ironia ci salverà


La chiamano la bella stagione ma non è vero per tutti: chi soffre di disturbi psichici d’estate rischia di stare peggio. È dimostrato che le fasi maniacali nella sindrome bipolare possono aumentare, con rischi di insonnia, uso massiccio di alcool e tutto ciò che ne consegue. Peggiorano anche la depressione e per gli ansiosi aumentano gli attacchi di panico.
Ma il sole non dovrebbe farci stare meglio?
Certo, ma riflettiamo: durante l’inverno siamo occupati con il lavoro, si esce meno la sera e si può dire che la routine e il nido casalingo ci proteggono. Durante l’estate le difese e le nostre strutture si allentano, la gente esce di casa, ci sbatte in faccia la sua felicità e si gode le vacanze, siamo via dal lavoro e “costretti” a stare bene. È evidente che questi fattori possano influire negativamente su chi di colpo si trova a quattr’occhi con la sua sofferenza. Quando si vuol misurare la prosperità psichica di un bambino una delle prime cose da osservare è la sua capacità di giocare; questo vale anche per un adulto. Se sei capace di giocare, di godere del tempo libero, di stare da solo e vedere come un privilegio il tempo dedicato a te stesso, vuol dire che non devi fuggire da nulla, puoi concederti la presenza della tua persona e goderne.
Molte persone nascondono dietro un’iperattività la loro angoscia, e allora tutto è vissuto con ansia, con un’irrequietezza maniacale, una fretta che deve compensare il terrore di fermarsi e trovarsi faccia faccia con quello che non va. Alcuni credono che bastino poche ore a settimana da un terapeuta per scontare questo incontro con se stessi, non rendendosi conto che il vero lavoro analitico e di conoscenza di se stessi lo si fa stando da soli, elaborando, pensandosi.
L’estate diventa così un momento in cui investire la propria angoscia nella fretta: organizzare la vacanza come fosse un lavoro, decidere dove andare, cosa vedere, come fosse una tabella di marcia!
Uscire dal guscio fa paura, e come un bimbo che viene preso dal panico per l’allontanamento della mamma, così l’attacco di panico coglie chi si vede costretto alla libertà dal lavoro. L’estate ti denuda, ti scopre; e se si è pieni di coltri, si soffre.
Un depresso sa di non riuscire a divertirsi e questa consapevolezza aumenta nel vedere il divertimento altrui. I Disturbi d'Ansia possono peggiorare d'estate, probabilmente anche per via delle condizioni climatiche estreme che tendono a provocare sintomi simili all’ansia, e avviare un circolo vizioso a causa della suggestione.

Cosa fare? la risposta è in tre parole: umiltà, coraggio e autoironia. Umiltà nel chiedere aiuto: la nostra psiche è come un muscolo: non curarsi per anni, nascondere i disagi per vergogna o per superbia (“ce la faccio da solo”), porta il nostro muscolo psichico a invecchiare prima e i disagi a cronicizzarsi. Chiedere aiuto è un atto profondo di affetto verso noi stessi. Il nostro ideale dell’Io ci vuole perfetti e autonomi, ma togliamocelo dalla testa: siamo interdipendenti, legati agli altri e saremo autonomi solo nella nostra capacità di aiutare e chiedere aiuto. Questo è un primo passo ed è sano.

Coraggio: una psicoterapia o un farmaco non stravolgono la vita, non deleghiamo a questi rimedi la nostra serenità. Coraggio è uscire di casa anche se l’ansia ci occlude la mente: portiamo con noi una bottiglietta d’acqua, facciamo i primi passi. Arriva l’ansia dopo 10 passi? Beviamo un po’ d’acqua, accettiamo l’ansia e torniamo indietro: abbiamo fatto 10 passi. Il giorno dopo, come fossimo in palestra, prefiggiamoci di farne 20, poi di prendere un succo al bar e via via così. Ci vuol coraggio. Ma non ne moriremo.
Non apprezzo uno psicologo che dice: il tuo nemico è solo interno. Non è vero. Il mondo è pericoloso, pieno di gente volgare e anche un po’ stronza, diciamocelo. Questo non implica che dobbiamo spezzarci le gambe da soli. Ci sarà di certo chi lo vorrà fare al posto nostro e per evitarlo non basta non uscire per non incontrarla.
La vita è bella? Il film di Benigni lo è, la vita è una gran meretrice e distribuisce a tutti la sua dose di bellezza e di disgrazia, non siamo speciali, nessuno lo è in questo.
Umiltà: il nevrotico non sa che come lui ci sono mille persone bloccate, con assurdi rituali e ridicole ma terribili paranoie. Il nevrotico pecca di presunzione; con umiltà, si renda conto che mentre lui conta i passi prima di riscappare in casa, nel tram che gli passa accanto c’è di certo chi si laverà venti volte la mano sinistra e venti volte la destra, convinto di aver toccato chissà quali pericolosissimi germi.
E se hai un limite anche quello va accettato: se hai paura dell’altezza non sei costretto da nessuna prova con te stesso o con gli altri a fare Bungee Jumping; se temi di stare sotto terra puoi non prendere la metro con buona pace di chi ti dice che ti devi vergognare e superare i tuoi limiti a tutti i costi. Certi limiti sono come certi punti di forza, ti caratterizzano, e a meno che non inficino perniciosamente la tua vita quotidiana non c’è da vergognarsi né da diventare super uomini o super donne.
Coraggio: attacchi di panico, depressioni reattive, stagionali e ossessioni fanno parte della vita, non della vita di tutti certo, ma se Jung diceva “ Datemi un uomo normale ed io lo guarirò”, ci sarà un motivo, nevvero?

P.S Lavarsi le mani prima di portarle alla bocca dopo essere stati su un mezzo pubblico è una sana abitudine, se dovete farlo venti volte per mano usate un buon detergente che non secchi la pelle e che l’autoironia sia con noi, sempre.


di Barbara Collevecchio

Dal Sito: www.unonove.org

Sorridere induce il rilascio di ormoni del buon umore e promuove le relazioni sociali


Un nuovo studio ha rivelato come il rilascio di endorfine provocato dalla risata sociale giochi un ruolo importante nel promuovere relazioni interpersonali   Irene Camilla Sicari

Anche nei momenti più difficili, la risata ha il potere di tenere vicine le persone. Un nuovo studio ha rivelato l’influenza che il sorriso ha sul cervello, aiutando a spiegare come anche una risata banale giochi un ruolo così importante nelle relazioni sociali.

Un gruppo di ricercatori dalla Finlandia e dal Regno Unito hanno scoperto che la risata sociale è un trigger per il rilascio di endorfine– spesso chiamate “ormoni del buon umore” – nelle regioni cerebrali responsabili di arousal e delle emozioni. Le endorfine sono peptidi che interagiscono con i recettori oppioidi nel cervello per aiutare ad alleviare il dolore e generare sensazioni di piacere.

Inoltre, lo studio ha rivelato che la maggior parte dei recettori oppioidi presenti nelle regioni cerebrali associati alle emozioni, sono quelli maggiormente coinvolti nella risata sociale.

I nostri risultati evidenziano che il rilascio di endorfina indotto da risate sociali potrebbe avere un ruolo importante nella formazione, nel rafforzamento e nel mantenimento dei legami sociali tra gli esseri umani – afferma il co-autore dello studio, Prof. Lauri Nummenmaa, del Centro PET di Turku dell’Università di Turku in Finlandia.

I ricercatori hanno recentemente riportato i loro risultati nel The Journal of Neuroscience.
La risata sociale ha incrementato il rilascio di endorfine

l Prof. Nummenmaa e colleghi hanno selezionato 12 uomini sani per il loro studio. Ai partecipanti è stato iniettato un composto radioattivo che aderiva ai recettori oppioidi nel cervello. Utilizzando la tomografia ad emissione di positroni (PET), i ricercatori sono stati quindi in grado di monitorare il rilascio di endorfine e di altri peptidi che si legano ai recettori degli oppioidi.

I partecipanti sono stati sottoposti a scansioni PET due volte. La prima scansione è stata condotta dopo che ciascun partecipante aveva trascorso 30 minuti da solo in una stanza; la seconda scansione dopo aver trascorso 30 minuti a guardare videoclip dei loro amici intimi.

I ricercatori hanno scoperto che la condizione di risata sociale ha portato ad un significativo aumento del rilascio di endorfina nel talamo, nel nucleo caudato e nelle regioni dell’insula anteriore, regioni cerebrali che svolgono un ruolo importante nell’arousal e nella sensibilizzazione emotiva.

Inoltre, il gruppo di ricercatori ha scoperto che i partecipanti con un maggior numero di recettori oppioidi nella corteccia del cingolo e in quella orbitofrontale del cervello, mostrano una più alta probabilità di ridere in risposta ai video clip degli amici.

La corteccia cingolare è coinvolta nella trasformazione e formazione di emozioni, mentre la corteccia orbitofrontale è coinvolta in un certo numero di processi legati all’emozione.
Le endorfine potrebbero promuovere sentimenti gruppali

I ricercatori affermano che i loro risultati indicano che il rilascio di endorfine scatenato dalla risata potrebbe svolgere un ruolo nel legame sociale.

Gli effetti piacevoli e calmanti del rilascio endorfinico potrebbero offrire senso di sicurezza e promuovere sentimenti gruppali – afferma il prof. Nummenmaa – Il rapporto tra la densità dei recettori oppioidi e il tasso di risate suggerisce anche che il sistema oppioidale possa essere alla base delle differenze individuali nella socialità.

Il co-autore dello studio Prof. Robin Dunbar, dell’Università di Oxford del Regno Unito, aggiunge che i risultati evidenziano l’importanza della comunicazione diretta a voce nel legame sociale.

Altri primati mantengono i contatti sociali attraverso la cura reciproca, che induce anche liberazione di endorfina, ma questo richiede tempi prolungati. Poiché la risata sociale porta a una risposta chimica simile nel cervello, ciò consente una significativa espansione delle reti sociali umane: la risata è altamente contagiosa e la risposta dell’endorfina può quindi facilmente diffondersi attraverso grandi gruppi che si trovano a ridere insieme.

Sicuramente ulteriori ricerche sugli effetti della risata sociale saranno necessarie per confermare questi risultati, ma lo studio suggerisce un buon consiglio: trascorrete un week-end di risate con gli amici!

Dal Sito: www.stateofmind.it


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2017/06/risata-sociale/

Maturità in vista, 11 consigli per affrontare l'ansia


La maturità è più di un semplice esame ed è normale essere in ansia, ma se impari a gestirla potrà diventare un'alleata preziosa

Non importa quanti esami si facciano nella vita, nessuno è paragonabile alla maturità, forse nemmeno la laurea. Il periodo che precede la maturità, poi, per alcuni è un periodo quasi magico, per altri è un incubo, ma praticamente per tutti è fonte di ansia. Ansia del che-cosa-mi-aspetta, ansia del che-materie-usciranno-alla-terza-prova, ansia del e-se-mi-bocciano?, ansia delle domande dell'orale e ansia del tema. Insomma... un sacco di tensione tutta insieme!

Eh sì, perché la maturità è «Qualcosa di più di un semplice esame», spiega Michele Cucchi, psichiatra e direttore sanitario del Centro Medico Santagostino. «È come se su quel giorno si caricasse la posta in palio di un'intera esistenza. La maturità è un evento, non è solo un esame. Segna un passaggio psicologico in cui i ragazzi sono chiamati a sentirsi pronti per un grande salto. Chiunque davanti agli esami, alle verifiche, alla maturità, vive l'emozione e l'ansia».

Ok, tutto normale quindi. Un po' d'ansia ci sta pure e, forse, non è nemmeno qualcosa di negativo. «Sfatiamo un falso mito: l'ansia non è solo un problema, davanti ad un esame è utile, ci aiuta a prepararci. C'è chi la prova perché ha studiato tanto e ci tiene a fare una bella figura, chi la prova perché è insicuro e ha sempre paura di non aver fatto abbastanza, chi la prova perché si è divertito un sacco ma non ha studiato nulla e non sa nulla. Tutti provano ansia, magari anche allo stesso modo a livello fisico, con il classico "nodo allo stomaco" e la sudorazione fredda alle mani, ma non tutti sanno che possono farla diventare una risorsa, imparando a gestirla», prosegue il dottor Cucchi.

Ma quali sono i trucchi per gestirla? Ecco 11 consigli per affrontare al meglio l'ansia da maturità, trasformandola in una risorsa.

1. Gestisci l'attesa. «Anche la maturità è una questione di punti di vista: se la guardiamo come la finale del mondiale è difficile stare calmi! L'esame è tutto sommato l'ultima tappa di un lungo percorso di valutazione, verrà premiata maggiormente la modalità con cui ti porrai all'interrogazione e alle prove, l'esito è influenzato anche da aspetti esterni, come l'andamento generale alle prove e la modalità valutativa della commissione. L'ansia in questo senso è una risorsa: ti prepara bene e ti mette nella prospettiva giusta, insomma: non dobbiamo temerla, anzi ci aiuta. Ci fa stare seduti dritti, ci fa reagire con prontezza agli stimoli, rende lucido il nostro sguardo. Essere in ansia non ci deve far vacillare, non ci deve far fare la riflessione "che quindi andrà male". Perché dovrebbe andare male?».

2. Riempi la testa. «Avere troppo spazio mentale per riflettere sulla maturità non va bene. Riempi i giorni e le ore prima dell'esame di cose da fare, non rimanere in attesa con le mani in mano. Vivere ogni istante intensamente ci distrae dall'ansia. Se la testa è vuota si riempirà di pensieri, anzi delle catastrofi più improbabili, ma che ad un certo punto sembrano certezze».

3. Dimentica il ripassone finale (anche se sembra impossibile). «Non cercare di ripassare tutto nelle ultime ore per verificare se "questo lo so, posso stare tranquillo", è uno scherzo che ci fa la nostra mente che viaggia nei punti più disparati e nascosti della nostra conoscenza per chiedere rassicurazioni che più che utili check sulla preparazione sono toccasana emotivi: sono però dei boomerang che ci tornano addosso, agitandoci e distraendoci. Può essere di particolare aiuto, per esempio, fare attività fisica».

4. Impara a relativizzare. «Pensare che sia fondamentale come andrà e catastrofizzare le possibili conseguenze, la figuraccia, il voto basso, la bocciatura: tutto questo ci mette emotivamente con le spalle al muro: ci fa sentire come se avessimo tutto da perdere. Sentiti libero anche di sbagliare, ti stai mettendo in gioco ed è normale non essere perfetto. Questo è un atteggiamento da maturando, questo è l'esame che veramente bisogna cercare di superare con noi stessi. Non dobbiamo pensare che chi ci valuterà abbia l'aspettativa di trovare una persona perfettamente adeguata; emozionarci è anche un segno di attenzione e rispetto per la situazione, non di debolezza. Non saremo perfetti, ma nel complesso abbiamo competenze, pregi e specifici punti di forza, perché dovrebbe andare male?».

5. Scegli l'outfit giusto. «Pensa che affronterai un contesto che richiede di mostrare professionalità, serietà, affidabilità. Cerca di studiare un outfit che ti aiuti in tal senso, ma che soprattutto ti metta a tuo agio. Non è la prima comunione ma non è nemmeno una delle tante interrogazioni con i Prof.! Non per questo devi snaturare il tuo modo di essere: il tuo carattere deve comunque emergere e, in parte il successo sarà anche legato alla capacità di saperti valorizzare in un luogo che ha regole ben precise».

6. Prova a darti un voto il giorno prima. «Davanti ad un'esperienza come la maturità sarebbe bello poter essere sicuro di quello che hai fatto e, il giorno prima, riuscire a darti un voto sulla base della tua soddisfazione in ciò che hai fatto per arrivare pronto: tanti sacrifici, tante emozioni, cinque e più anni a lottare con te stesso per crescere…».

7. Preparati anche a tavola. «Abituarsi ad una colazione adeguata, ci servirà per le lunghe ore di prova. per facilitare concentrazione, resistenza alla fatica e attenzione prepariamo una una colazione emotivamente intelligente: succo di mela, avocado, arance, yogurt, pane integrale dolce. Alla sera prima mangiare leggero, dormiremo bene e faremo il pieno di energia per la mente: trancio di tonno crudo all'aceto balsamico con semi di girasole, pane integrale».

8. Non pretendere di dormire bene. «Non pretendere di dormire tropo bene, le sere prima di una grande sfida, quando attendiamo qualcosa a cui teniamo tanto, il nostro sistema simpatico tende a non andare in stand by e il tono rimane elevato. È sano, non è un problema».

9. Impara a capire se rendi di più la sera o la mattina. «Non conformarti necessariamente con i tuoi compagni di classe che magari studiano alla sera: se sei un crono-tipo mattutino devi svegliarti prima per studiare e rilassarti dopo cena. Viceversa chi è serotino deve fare cene leggere a spuntino e sfruttare le ore per tarde per lo studio».

10. Studia "sconnessa". «Sconnetti gli smartphone quando studi, per facilitare l'attenzione sostenuta, altrimenti farai fatica nel processo di memorizzazione. Piuttosto, prenditi pause frequenti (ogni 45 min) per rispondere a sms e chiamare amici: ti rilasserai mantenendo sempre alta la qualità dello studio».

11. Usa come ansiolitico il ripasso collettivo. «Quello in cui ti confronti con gli altri ripetendo ad alta voce, ti aiuterà a raccogliere informazioni utili e nuove e a renderti conto di ciò che è veramente utile focalizzare e sapere».


di Michela Fiorentino Capoferri


Dal Sito: www.cosmopolitan.it

sabato 17 giugno 2017

Paolo Ruffini: «La mia eterna lotta contro l’ansia»


«Anni fa lo stress mi aveva provocato attacchi di panico. Ora faccio i conti con una tendenza all’ipocondria. Mi rivolgo agli psicologi e sto meglio»

A volte stress e ansia possono giocare brutti scherzi, mettendo in allarme più del dovuto. L’ho sperimentato sulla mia pelle qualche anno fa. E ho capito che mente e corpo sono strettamente collegati.

Il carico di responsabilità mi ha mandato in tilt

In quel periodo, infatti, mi si sovrapponevano molti impegni di lavoro. Anche se ne ero felice, giorno dopo giorno quel carico di responsabilità cominciava a procurarmi uno stato ansioso sempre maggiore. Quando al mattino appena sveglio accendevo il cellulare e trovavo già un’infinità di chiamate e di messaggi, mi assaliva l’ansia di dover rispondere a tutti il prima possibile, di mostrarmi sempre cortese e professionale, e soprattutto di arrivare a fine giornata mantenendo tutti gli impegni.

Le prime tensioni mi hanno provocato mal di testa forti

A poco a poco il mio corpo ha iniziato a reagire procurandomi tensioni a livello cervicale con mal di testa acuti e fitte che partivano dall’orecchio per scendere fino alle spalle.

Non ho collegato subito i miei malesseri allo stress

Al contrario, mi sono spaventato per quei dolori mai avuti prima e che ora stavano diventando piuttosto frequenti. Forse ho reagito con una preoccupazione eccessiva. Un giorno, terrorizzato da una forte emicrania, ho addirittura prenotato una , che poi non ha evidenziato niente di grave. Insomma, stavo diventando quasi ipocondriaco!

La creatività mi aiuta

Solo dopo un po’ di tempo ho cominciato a capire. Ho fatto tesoro del confronto con il mio psicologo, lo stesso al quale mi ero rivolto tempo prima per un problema di attacchi di panico. Sono guarito anche grazie alla creatività. Ho prodotto un documentario intitolato Peter Panico, e ho fatto diverse campagne di sensibilizzazione. Ma, soprattutto, ho capito che quando sei sempre teso nell’intento di comportarti bene con il resto del mondo, finisci per non farlo più con te stesso. E cadi inevitabilmente vittima dello stress.

Il segreto è amarsi di più

Insomma, visto che la maggior parte dei miei disturbi fisici aveva un’origine prettamente emotiva, per superarli dovevo semplicemente amarmi di più. Così ho cominciato a concedermi piccole e salutari coccole quotidiane. Dormire almeno sette ore per notte, bere ogni mattina un bicchiere di acqua tiepida con limone e zenzero, non tenermi dentro rabbia o preoccupazioni, adottare una sana alimentazione con la libertà, quando ne avevo voglia, di trasgredire, magari con qualche bicchiere di vino in più che mi piace tanto.

Piccoli cambiamenti anche nello stile di vita

Ho anche sostituito le bibite energizzanti che bevevo prima di affrontare uno spettacolo con il più sano ginseng, che mi ha dato modo di scoprire altri prodotti naturali come la papaya, il guaranà e la spirulina. E, naturalmente, considerato anche il lavoro che faccio, non ho mai smesso di dare valore a una bella risata. Insomma, ho imparato ad ascoltare le mie esigenze. Ho capito finalmente che stare in allerta è funzionale e costruttivo, mentre convivere con la paura di qualunque cosa non può che fare male.

Trasformo la fragilità in una risorsa

Beninteso, la mia ansia non è scomparsa del tutto e forse non accadrà mai. Sto sicuramente imparando a gestirla. Il segreto è pensare prima di tutto al mio bene e, in senso più stretto, al mio benessere. Soprattutto, ho deciso di prendermi il tempo utile alla serenità. Ad esempio, guidare in autostrada mi innervosisce. Non sopporto vedere le auto sfrecciare a tutta velocità sulla corsia di sorpasso quasi sempre senza motivo. E allora ho preso l’abitudine di tenermi sempre tranquillamente sulla corsia di destra. Arriverò anche a destinazione mezz’ora più tardi, ma almeno viaggio tranquillo e rilassato.

Faccio il check up ogni sei mesi

Adesso mi sottopongo un paio di volte all’anno a check up medici, mi avvalgo del supporto dello psicologo con la stessa frequenza con cui consulterei un altro specialista, come un dentista o un otorino. Il terapista non è sempre lo stesso. La mia interiorità è in continua evoluzione, e trovo che raccontarmi da capo ogni volta mi sia di grande aiuto a guardarmi dentro. Insomma, quando non si sta bene, quando si vive un malessere, non serve fare finta di niente, non ci si deve vergognare: è fondamentale chiedere l’aiuto degli esperti, che siano del corpo o dell’anima. Perché solo così si potrà trasformare la propria fragilità in una risorsa preziosa.

Paolo Ruffini (Testimonianza raccolta da Grazia Garlando per OK Salute e Benessere)

Dal Sito: www.ok-salute.it

giovedì 15 giugno 2017

Riconoscere le emozioni: il primo passo per regolarle.



Un aiuto per comprendere quali emozioni si stanno provando in un dato momento arriva dal correlato fisiologico che ciascuna emozione porta con sé.

Si può dire che le persone danno un significato al mondo basandosi sul proprio mondo interno, ma in che modo? In questo ci vengono in aiuto le emozioni.
Valentina Di Dodo – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena

Il mondo interno è formato da quello che più caratterizza la persona e ne fanno parte: il carattere e le strutture di personalità, le credenze e il sistema di valori propri di ciascuno. Il mondo interno è quella cosa per cui a fine giornata una persona può dire “oggi è stata una bella giornata” o il contrario. Per ogni persona una giornata può essere bella o brutta semplicemente per il significato che essa stessa dà a quella giornata: una giornata molto faticosa può essere ritenuta molto soddisfacente da alcuni e terribile da altri.
Dare significato al mondo: il ruolo delle emozioni

Si può dire quindi che le persone danno un significato al mondo basandosi sul proprio mondo interno. Ma in che modo diamo un significato? In questo ci vengono in aiuto le emozioni. Seconda alcune teorie, infatti, le emozioni sono degli stati mentali in grado di direzionare una persona nel proprio mondo, per fare questo le emozioni aiutano gli esseri umani cosa si frappone tre sé e il proprio scopo: se lo scopo è avere una giornata rilassante, avere un lavoro molto faticoso non ci permette di raggiungere lo scopo, per questo possiamo sentire o un fallimento oppure un’ingiustizia. Se lo scopo è quello di ottenere una promozione lavorativa, ma non siamo certi di riuscire a consegnare tutto il nostro lavoro a fine giornata, lo scopo non è ancora fallito, ma è minacciato.

Ma cosa succede esattamente quando definiamo una giornata “brutta”? Cos’è che ci fa dare questa definizione di una giornata? Come abbiamo appena visto i nostri pensieri, basati sul sistema di valori centrali, ci danno un’indicazione di come stanno andando le cose per noi, ma sono le emozioni che ci danno un indice percepibile di come abbiamo vissuto la nostra giornata, o di come la stiamo vivendo. Quando alla sera parlando con un amico sosteniamo di aver avuto una brutta giornata, l’indicazione di quanto è stata brutta difficilmente ci viene data in modo del tutto razionale. Spesso è quello che sentiamo a darci delle indicazioni più chiare: se sentiamo di stare un po’ male, probabilmente la giornata è stata un po’ brutta, se sentiamo di essere sconvolti dalle nostre emozioni negative probabilmente la giornata si è allontanata moltissimo dai nostri scopi, facendola diventare una giornata pessima.

Riconoscere le emozioni e i pensieri che le generano

A molti verrebbe da chiedersi il motivo per cui la giornata è andata così male: se è facilmente individuabile il motivo, è altrettanto semplice trovare una soluzione o una modalità alternativa a quella già provata. Il problema sorge quando ci si sente giù di morale, o in generale male senza avere un’idea precisa del perché. È proprio in queste situazioni che riconoscere le emozioni che stiamo provando e riconoscere i nostri pensieri diventa molto importante. Se è vero infatti che è possibile riconoscere le emozioni provate partendo dall’informazione che arriva dai pensieri, che tuttavia talvolta sono veloci e confusi nella testa delle persone, è altrettanto possibile arrivare a dare un significato al malessere che pervade la persona anche prendendo come informazione iniziale l’emozione che si sta provando. Le emozioni sono sicuramente più immediate rispetto al contenuto cognitivo, che in situazioni particolarmente attivanti e stressanti, tende a fluire velocemente saltando da un contenuto all’altro senza seguire un vero e proprio processo logico.

Ma cosa succede quando ci si dice che si sta semplicemente male? In questo caso a volte diventa molto difficile ricondurre il malessere soggettivo, il nostro mondo interno, con gli eventi che succedono nel mondo. Capire cosa si sta provando in una determinata situazione è molto importante per comprendere a che punto siamo rispetto ai nostri scopi: sono minacciati? Siamo in una situazione di ingiustizia? O piuttosto ci troviamo di fronte ad una perdita o ad un fallimento? Capire se si è in ansia, arrabbiati oppure tristi ci aiuta a capire cosa possiamo fare per regolare lo stato mentale spiacevole che stiamo provando.

Emozioni e correlati fisiologici

Un valido aiuto per comprendere quale emozione si sta provando in un dato momento arriva dal correlato fisiologico che ciascuna emozione porta con sé. Quando ci attiviamo in seguito ad una emozione sentiamo, di solito, qualcosa nel corpo.

Alcuni ricercatori finlandesi ci vengono in aiuto per riconosce quale emozione si sta provando, partendo dal tipo di attivazione corporea percepita. È stata infatti tracciata una mappa corporea di alcune emozioni.

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Proceedings of The National Academy of Sciences nel 2013 da un team di ricercatori dell’università di Aalto.

Alla ricerca hanno partecipato 700 persone provenienti da Svezia, Finlandia e Taiwan; in questo modo è possibile dimostrare che il codice delle sensazioni corporee legate alle emozioni è universale e non legato a fattori culturali. I ricercatori hanno indotto diversi stati emotivi attraverso la visione di film o la lettura di storie, successivamente hanno fornito ai partecipanti alcune foto del corpo umano ed è stato loro chiesto di colorare, con colori diversi colori, le parti del corpo che sentivano attivarsi o disattivarsi in risposta all’emozione suscitata.

È emerso ad esempio che quando le persone provavano l’emozione rabbia le parti del corpo ad attivarsi maggiormente sono i pugni e la parte alta del tronco insieme alla testa; in caso di paura si percepisce maggiormente una sensazione fisica attivante in mezzo al petto, mentre nel caso in cui si provi ansia oltre all’attivazione nel petto i partecipanti percepivano anche una sensazione di torpore negli arti; in caso di tristezza o depressione il torpore sembra essere percepito in modo molto maggiore rispetto a quando sono provate altri tipi di emozioni; la vergogna sembra attivare il corpo principalmente all’altezza delle guance; mentre l’emozione che sembra attivare il nostro corpo in modo più omogeneo è la felicità, che insieme allo stato d’animo definito dai ricercatori come amore produce un’attivazione intensa ed omogenea.


I ricercatori hanno spiegato che nel condurre lo studio non hanno fatto riferimento a nessuna sensazione specifica, come potrebbero essere per esempio la sudorazione o la sensazione di calore, ma anzi hanno incoraggiato i soggetti a riportare sensazioni nette, come ad esempio la percezione di un’aumentata attivazione o disattivazione di differenti sistemi fisiologici.

Questo studio può essere di grande aiuto nella clinica, soprattutto a tutti quei pazienti che trovano difficoltà nel riconosce quale emozione sentono. La possibilità di avere strumenti come una mappa corporea delle emozioni potrebbe riuscire a facilitare queste persone, partendo dal proprio corpo, partendo da cosa sentono e dove. Avere dei risultati generalizzabili potrebbe essere utile per capire quindi cosa significa per ciascuno “ho avuto una pessima giornata”, semplicemente focalizzandoci su quale parte del corpo sento attivata, o in quale parte sento torpore.

Dal Sito: www.stateofmind.it