venerdì 31 maggio 2019

Troppo senso di responsabilità può far male

Essere iper-responsabili può portare a sviluppare ansia e ossessioni, afferma uno studio

Ci sono persone che hanno un elevato senso di responsabilità. Che si assumono oneri, incarichi, ma anche colpe, in ogni frangente della loro vita. È un tratto della personalità che spesso la psicologia lo ha messo in relazione alla tendenza ad avere ossessioni e compulsioni. Uno studio, condotto dalla Hiroshima University in collaborazione con la University of Central Florida, ha trovato la precisa correlazione tra iper-responsabilità e disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo d’ansia generalizzato. Ovvero, chi è molto duro con sé stesso sviluppa, in molti casi, disturbi legati ad ansia e compulsioni. E viceversa. I risultati della ricerca sono stati pubblicatisull’International Journal of Cognitive Therapy.

Responsabilità, quando è troppa diventa ansia

Naturalmente, alcune abitudini – come controllare se la porta è stata chiusa a chiave – sono comuni a molte persone. Sono l’intensità e la frequenza di certe abitudini a delineare una personalità compulsiva o ansiosa. Quello che hanno cercato di fare gli studiosi coinvolti in questo studio è stato approcciare i due disturbi sopra citati, che spesso di abbreviano nelle sigle DOC e DAG, per trovare un minimo comune denominatore. Ovvero, cosa accomuna le persone che manifestano l’uno o l’altro (o entrambi).

Per farlo è stato preso un campione di studenti universitari americani. I soggetti hanno dovuto rispondere ad alcuni questionari psicologici. Ed è emerso che le persone che più dimostravano tendenza a DOC e DAG erano anche quelle che gli studiosi hanno definito personalità ‘iper-responsabili’. Persone che hanno come forte componente del proprio carattere una tendenza a cercare sempre di prevenire ed evitare possibili danni e/o pericoli. Ad addossarsi sempre la responsabilità di doverlo fare. Inoltre, sono persone che continuano a pensare ai problemi anche al di fuori dei contesti in cui si incontrano. Ad assumersi la colpa dei risultati non ottenuti secondo le migliori aspettative. Insomma, le persone molto dure con loro stesse. Questo tipo di persona, afferma lo studio, è facilmente affetto da DOC o DAG, seppure con diversa intensità.

Dal sito: stile.it 

Ansia da esami: come affrontarla e superarla

Che si tratti di esami universitari, di concorsi o di prove da effettuare per avere un risultato finale, l’ansia che si ha quando ci si sente messi alla prova può essere forte al punto da costituire un vero e proprio problema per chi la vive. Così, se in linea generale, quest’emozione è spesso utile per spingere a dare del proprio meglio, in realtà, il più delle volte, rischia di diventare così acuta da essere quasi invalidante, portando ad attacchi di panico che possono arrivare a compromettere del tutto l’esame o la possibilità di sostenerlo.
Visto che si tratta di un problema che riguarda diverse persone, oggi proveremo a capire da dove nasce e quali sono le strategie più comuni per porvi rimedio.

Per prima cosa è necessario imparare a distinguere la normale ansia da esami da quella che può diventare un problema e questo perché, come già detto, la prima è da considerarsi positiva e valida come un incentivo ad impegnarsi di più e a restare lucidi. Partendo dal presupposto che in molti casi la presenza di un problema è più che evidente, si può iniziare a fare una distinzione prendendo in considerazione i sintomi dell’ansia da esami esagerata.

Paura estrema di non essere abbastanza preparati e di non ricordare più nulla

Terrore di fare scena muta che si presenta anche attraverso incubi ricorrenti

Crisi d’ansia che arrivano improvvise già un mese prima della data dell’esame

Paura al pensiero delle conseguenze date da un esame non superato

Mancanza di sonno e di appetito

Crisi di pianto

Incapacità di rilassarsi

Profondo senso di sfiducia

Paura del futuro, sia riguardo l’esame che non

Sudorazione e tremori al pensiero dell’esame da sostenere

Attacchi di panico

Questi sono alcuni dei sintomi, alcuni dei quali presenti anche quando l’ansia è da considerarsi normali e differenti solo per la forza con la quale si presentano. Spesso chi ne soffre, finisce con il rimandare continuamente l’esame al fine di mettere a tacere l’ansia che la volta dopo si ripresenterà più forte che mai. In alcuni casi, il problema è tale che chi lo vive preferisce ritirarsi dagli studi in modo da non dover più provare questo senso di malessere.
La verità è che gli esami nella vita non finiscono mai e anche ponendo fine agli studi, presto o tardi, ci si dovrà scontrare con altri tipi di prove che scateneranno le stesse dinamiche dalle quali si è già scappati invano.
È quindi indispensabile cercare di risolvere il problema fin dall’inizio, da soli o con l’aiuto di un professionista in grado di comprendere l’origine dell’ansia e le possibili soluzioni.

Come fare, quindi per risolvere l’ansia da esami?
Per iniziare si può cercare di studiare il più possibile, in modo da avere la coscienza a posto.
Si possono seguire corsi di yoga o di meditazione al fine di rilassarsi e si può cercare di scacciare la paura simulando dei test con i colleghi.
Se tutto ciò non basta è bene rivolgersi a qualcuno in modo da comprendere cosa faccia scattare la paura per un pericolo che, di fatto, non sussiste.
Spesso, ad esempio, alla base dell’ansia da esami c’è una scarsa autostima che si basa solo ed esclusivamente sui risultati conseguiti. È ovvio che in questi casi l’esame rappresenta la chiave per stabilire il proprio valore e che fallendolo si andrà incontro a pensieri così negativi da far venire l’ansia in anticipo.
In questi casi la soluzione migliore è quella di parlare con qualcuno che sappia lavorare sull’autostima, separandola definitivamente dai successi ottenuti e legandola alla persona.

Una volta compreso che un esame non superato resta semplicemente questo e che non va ad intaccare in alcun modo la persona, l’ansia inizierà a calmarsi fino a tornare a livelli normali, quelli cioè in grado di dare una spinta in più per arrivare pronti all’esame.
Negli ultimi tempi sono state messe in atto diverse strategie per aiutare chi soffre di questo problema e basterà rivolgersi ad uno psicoterapeuta esperto in materia per scoprire la più adatta al proprio caso, iniziando così un percorso che renderà più consapevoli di se stessi e soprattutto più rilassati.

Dal sito: chedonna.it 

Conosci la depressione sorridente? Dietro il sorriso si nasconde il disagio

Alcune persone sembrano felici sempre, ma dietro il loro sorriso si nasconde una forma di depressione atipica che rivela un mondo interiore ben diverso da quello mostrato

Abbiamo difficoltà a definire e riconoscere le emozioni. Ad affrontarle, a starci dentro. Spesso le banalizziamo oppure le drammatizziamo. Gli stati d'animo “negativi” li vogliamo buttare via, sopprimere, anestetizzare, mascherare come fossero un impiccio inutile perché l'importante è essere felici e sorridenti a tutti i costi. Come se i momenti bui non servissero a niente e la nostra vita profonda potesse essere manipolata. 

Tendiamo a confondere la tristezza con la depressione, condizioni molto diverse. Mentre infatti la tristezza può spronare a ripartire, la depressione è una risposta non adattiva al dolore che travolge emotivamente, rende demotivati e fiacchi. Non tutti la vivono allo stesso modo però. Può presentarsi in modi molto diversi dal modello classico della persona costretta a letto incapace di funzionare. Può avere ad esempio a che fare con la rabbia. A volte è mascherata, si esprime prevalentemente attraverso disturbi fisici. Anche se sembra impossibile, si può addirittura essere depressi e riuscire a sorridere, interagire e lavorare, gestendo tutto sommato apparentemente bene la propria vita. E quando accade questo è ancora più difficile rendersi conto, o far capire agli altri, di aver bisogno di aiuto.
 

Essere depressi e apparire felici

Si usa il termine “smiling depression” in questi casi per indicare l'atteggiamento del “sto bene”, “è tutto a posto”, un sorriso e via mentre dentro ci si sente persi, fragili, tristi, abbandonati, senza speranza. Si tratta di una forma di depressione atipica in termini tecnici che permette di condurre una vita apprentemente normale, di sembrare soddisfatti e sereni davanti agli altri nascondendo un mondo interiore ben diverso da quello mostrato. 
Non si riferisce ai vissuti comuni e naturali di sconforto, tristezza, delusione, dolore che tutti sperimentiamo in alcuni periodi storti o difficili e che non sempre condividiamo con altri, ma ad una condizione permanente di “maschera” che fa sembrare all'esterno tutto fantastico, sotto la quale stanno ansia, bassa autostima, disperazione, paura, rabbia, sconforto, vuoto. Talvolta pensieri suicidi. 

Chi sono i soggetti a rischio

Ne parla la ricercatrice Olivia Remes, dottoranda all'Università di Cambridge (UK) in un articolo pubblicato recentemente sulla rivista on line The Conversation. Tale depressione, spiega la psicologa, può iniziare presto nella vita e durare a lungo. Diversamente da altre nelle quali l'insonnia è un campanello di allarme, in questa forma il bisogno di dormire in genere aumenta e l'angoscia tende a salire soprattutto di sera. Colpisce tra il 15 e il 40 per cento dei soggetti depressi, e risulta più comune nelle persone con determinati tratti come rimuginare eccessivamente sul passato e sugli errori commessi, avere difficoltà a superare situazioni imbarazzanti, essere ipersensibili alle critiche. 
Secondo la ricercatrice si tratta di una depressione subdola e pericolosa in quanto invisibile e quindi difficile da individuare. Espone tra l'altro a un rischio maggiore di suicidio. Proprio perchè queste persone sono in grado di portare avanti attivamente la propria vita, possono riuscire anche ad attuare i loro propositi diversamente dalla forma “classica” nella quale è più difficile trovare le energie necessarie per agire davvero.
 

Come uscirne

Ci sono inoltre altri motivi che rendono questa depressione più pericolosa. Apparire felici agli altri e soffrire profondamente dentro può voler dire non rendersi conto della propria condizione, non volerne prendere coscienza, pensare di non avere un problema visto che si è in grado di affrontare la routine quotidiana. Si può aver paura di essere considerati deboli, incapaci ammettendo la propria difficoltà. Possono affiorare sensi di colpa per il fatto di soffrire pur non vedendone motivi veri. L'idea di aver bisogno di rivolgersi a uno psicologo può sembrare esagerata o far pensare di essere gravemente disturbati. E questo porta a non parlarne con nessuno, a soffocare la sofferenza dietro un'immagine di sé non realistica.

Smettere di razionalizzare i problemi pensando che non siano abbastanza gravi è invece il vero inizio per rompere un ciclo negativo. È questo che porta a capire che è il momento di prendersi cura di Sè, che non sempre ce la possiamo fare da soli, che è necessario chiedere aiuto e abbiamo diritto a trovarlo perchè la depressione è una condizione che stravolge la vita ma dalla quale si può uscire. Meditazione e attività fisica sembrano aiutare ma, come per tutti i casi di depressione seria, è necessario un intervento di tipo psicologico.

Dal sito: d.repubblica.it


sabato 25 maggio 2019

Cosa significa somatizzare?

Cosa significa somatizzare? Si tratta di un fenomeno, in seguito al quale un individuo “traduce” la sua sofferenza psichica attraverso i sintomi fisici. Significa, quindi, trasformare un disagio psicologico in un’alterazione della salute fisica. L’esempio più semplice può essere quello in cui il mal di testa sia l’espressione di uno stato di nervosismo. Generalmente le parti più colpite dal processo di somatizzazione sono quelle costituite dal sistema gastrointestinale. Sintomi caratteristici sono la diarrea, la stipsi o i dolori addominali, in risposta ad un’emozione, di solito negativa.

Cosa vuol dire somatizzare una malattia

Nella nostra esperienza quotidiana si può dire che tutti somatizziamo. Ci sono perfino certe espressioni, che indicano un legame stretto fra mentecorpo. Per esempio ci sentiamo soffocare dalla paura, sentiamo battere forte il cuore per un’emozione intensa, ci ritroviamo a digrignare i denti per la rabbia. In una certa misura somatizzare fa parte dei processi quotidiani. In alcuni casi il tutto può diventare negativo, se si somatizzano troppo a lungo le emozioni e lo stress. Dopo un po’, infatti, il corpo si affatica e si corre il rischio di ammalarsi.

sintomi si possono manifestare come problemi gastrointestinali, disturbi cardiocircolatori o uro-genitali, come emicrania, stanchezzadolori muscolariinsonnia o disturbi del sonno causati da ansia e stressdisturbi alimentari, problemi che interessano la pelle. Soffrendo di questi disturbi, le persone che somatizzano si rivolgono al medico, ma difficilmente quest’ultimo riesce a trovare una causa fisica che sta alla base della malattia.

Si tratta di una condizione di stress che incide sulla salute. Proprio per questo il problema, che può derivare anche da fattori psicologici e relazionali, dovrebbe essere affrontato con l’aiuto di uno specialista psicoterapeuta, ricorrendo proprio ad un’opportuna psicoterapia. Più tempo passa, più le somatizzazioni diventano difficili da trattare e si corre il rischio che il disturbo possa stabilizzarsi.

Il disturbo di somatizzazione

Esiste un vero e proprio disturbo di somatizzazione, che comprende molteplici lamentele fisiche, che vengono evidenziate da un individuo e che si manifestano per diversi anni, portando a delle difficoltà sul piano sociale, lavorativo e relazionale in generale. Il paziente si ritrova in una costante ricerca di una possibile curaper queste manifestazioni sintomatologiche.

Perché si possa parlare di vero e proprio disturbo di somatizzazione, secondo la definizione del DSM IV, i sintomi devono comprendere almeno quattro che riguardano il dolore, due gastrointestinali, uno sessuale e un sintomo pseudoneurologico, come, per esempio, un’alterazione dell’equilibrio. Per tutti questi sintomi fisici non è possibile rintracciare una spiegazione medica, un’origine fisiologica del problema. Tutto è da inquadrare nell’ambito della sfera psichica del paziente.

A volte la somatizzazione è accompagnata da sintomi di ansia e di depressione, sia endogena che reattiva. Per curare il disturbo di somatizzazione serve una psicoterapia cognitivo-comportamentale. In questo modo il soggetto riesce ad adoperare una ristrutturazione dal punto di vista cognitivo e a superare il proprio disagio.

Dal Sito: tantasalute.it 

Disturbo ansioso depressivo misto – La Mente è Meravigliosa

Si accompagnano l’una all’altra, coesistendo come due lati oscuri della stessa moneta: ansia e depressione. Vivere sotto l’influenza totale di queste due condizioni causa un serio degrado della qualità della vita. Si tratta di un fatto ben noto nell’ambito della ricerca sulla salute mentale se consideriamo che circa il 60% delle persone afflitte da depressione soffrono anche di disturbi d’ansia. In questi casi si parla di disturbo ansioso depressivo misto


Non si può definire un problema banale, dal momento che i sintomi clinici associati al disturbo ansioso depressivo misto in molti casi rischiano la cronicizzazione. Vuoi perché non si è cercato un aiuto specializzato o perché non si è ricevuta una diagnosi valida e adeguata, è comune trovare pazienti che arrivano addirittura a elaborare pensieri suicidi.

Irritabilità, malessere, anedonia,senso di colpa, sentimenti negativi e disperazione… La vita quotidiana di una persona in balia dell’ansia e della depressione assomiglia a una palude di sabbie mobili: si sprofonda un po’ di più ogni giorno, in maniera lenta ma costante, fino ad affogare.

Più in Psicologia

Situazioni del genere sono molto complesse e per questo richiedono la migliore assistenza e i migliori approcci terapeutici, anche perché i casi sono in continuo aumento.

In questa realtà clinica coesistono diversi sintomi e aspetti che un professionista deve essere in grado di riconoscere il prima possibile.

“La felicità più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi sempre dopo una caduta.”

-Confucio-

Depressione e ansia

Il legame tra ansia e depressione è ben noto in ambito psicologico e psichiatrico. Esperti del settore come il Professor David Barlow, direttore del Center for Anxiety and Related Disorders dell’Università di Boston, ci dicono che le due patologie sembrano coinvolgere i medesimi processi cerebrali da un punto di vista neurobiologico.

Studi come quelli condotti alla Emory University di Atlanta, negli Stati Uniti, dimostrano tale affermazione. Sia l’ansia che la depressione hanno origine nel nostro cervello. Più precisamente, nell’amigdala: è qui che risiede il nostro “centro della paura”, e può capitare che questa struttura sia troppo reattiva. Ciò porta, ad esempio, a recepire qualsiasi evento o stimolo in maniera sproporzionata, accompagnandolo a emozioni negative molto intense.

Con la depressione la realtà ci appare come congelata, e ci sentiamo in un costante stato di impotenza che ci fa perdere la speranza. Tuttavia, questa paura eccessiva causa a sua volta un turbinio incessante di pensieri e di preoccupazioni per il domani, che portano con sé ulteriore ansia, angoscia e disperazione.

D’altra parte, secondo molti esperti, la causa alla base della particolare sensibilità di alcuni individui alla sofferenza, che porta a sviluppare questa condizione, sarebbe un fattore predisponente genetico. Ciò andrebbe a sommarsi al contesto che ci circonda e alla mancanza di strumenti quando si affrontano circostanze diverse.

Quali sono i sintomi del disturbo ansioso depressivo misto?

La prima domanda che può venire in mente è: se soffro di ansia e depressione, ho un disturbo psicologico? Bene, prima di rispondere, bisogna precisare che tutti siamo in qualche modo suscettibili alla comparsa di tali stati d’animo in determinati momenti.

Il problema è quando questi diventano persistenti e compaiono insieme. Le manifestazioni cliniche devono coesistere in maniera permanente (più di un mese) e nella stessa misura. È necessario inoltre che siano accompagnate da ulteriori sintomi come:

  • Problemi di concentrazione e di memoria.
  • Preoccupazione costante.
  • Pensieri fatalisti, pessimismo e disperazione.
  • Alterazioni del sonno.
  • Anedonia (mancanza di motivazione, vitalità, energia, ecc.).
  • Irritabilità e costante malumore.
  • Senso di inutilità, di colpa, bassa autostima e simili.
  • Costante stato di allerta accompagnato dalla sensazione che qualcosa di brutto sta per accadere.
  • Disturbi gastrointestinali.

D’altra parte, gli indicatori più eclatanti di questa condizione sono senz’altro alcuni stili di vita estremiche accomunano molti pazienti, come mancanza di igiene, ritiro sociale, incapacità di andare al lavoro e altro ancora.

I dati epidemiologici ci dicono che solo nel 50% dei casi viene diagnosticato nell’ambito delle cure primarie. A volte, infatti, i pazienti non si sottopongono regolarmente a controlli oppure non sono seguiti da professionisti specializzati.

Come si tratta il disturbo ansioso depressivo misto?

L’approccio terapeutico dipende da molte variabili, ma se c’è un fattore determinante, questa è la realtà personale di ciascun paziente. Ci sono individui, ad esempio, che presentano una sintomatologia lieve e possono dunque beneficiare al massimo da una terapia di tipo psicologico. Nei casi più gravi, però, l’approccio psicologico sarà coadiuvato da un intervento farmacologico.

È in ogni caso conveniente per i pazienti godere di un approccio multidisciplinare che includa, per esempio, anche forme di assistenza sociale e di psicoeducazione. La persona con disturbo ansioso depressivo misto ha bisogno del maggior sostegno possibile. Di seguito troviamo le strategie terapeutiche più comuni:

  • Terapia cognitivo-comportamentale, orientata alla ristrutturazione cognitiva, per ridurre l’ipervigilanza, la paura e l’ansia.
  • Tecniche di rilassamento.
  • Trattamento farmacologico (antidepressivi e ansiolitici).
  • Psicoeducazione: ai pazienti viene spiegata la loro situazioneinformandoli su cosa sono la depressione e l’ansia e quali strategie applicare per curarle e prevenirle.

Infine, vale la pena di soffermarsi su un aspetto in particolare: ormai tutti sappiamo che molte persone soffrono di ansia e depressione. Tuttavia, quando la loro intensità è tale da portare alla comparsa del disturbo ansioso depressivo misto, la situazione si complica ulteriormente e il problema, purtroppo, non sempre viene identificato in maniera adeguata.

È dunque buona norma rivolgersi sempre a un professionista specializzato per ottenere le migliori risposte, attenzioni e indicazioni.

Dal Sito: lamenteemeravigliosa.it

mercoledì 22 maggio 2019

Invalidità per attacchi di panico

Chi soffre di attacchi di panico può ottenere il riconoscimento della riduzione della capacità lavorativa, la legge 104 e può assentarsi per malattia?

Paura improvvisa che arriva senza un reale motivo, cuore che inizia a battere all’impazzata, difficoltà respiratorie, intorpidimento delle mani e dei piedi, nausea, capogiri, tremori, svenimenti…Sono solo alcuni dei sintomi più comuni degli attacchi di panico.

Ma che cos’è l’attacco di panico, una malattia? L’attacco di panico è un breve episodio di ansia intollerabile, che dura al massimo 20 minuti: si tratta dunque di un disturbo d’ansia. Questo disturbo è molto diffuso: si stima che colpisca, almeno una volta nella vita, circa una persona su 3.

Nello specifico, quando gli attacchi di panico sono ricorrenti (si manifestano a cadenza regolare per almeno un mese), si parla di “disturbo di panico”: nel disturbo di panico, gli attacchi sono frequenti ed influenzano l’intera esistenza della persona, dalle relazioni sociali alla carriera.

Si può allora ottenere l’invalidità per attacchi di panico? Le linee guida dell’Inps sugli accertamenti degli stati invalidanti citano innanzitutto gli attacchi di panico tra i sintomi moderati, nella scala per la valutazione globale del funzionamento psicologico, sociale e lavorativo, e tra le basi di valutazione dei disturbi d’ansia. Inoltre, ad alcune tipologie di disturbi di panico sono associate delle percentuali d’invalidità.

Chi soffre di disturbi di panico, poi, se questi sono causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa, può chiedere il riconoscimento dell’handicap, quindi dei benefici della legge 104.

Infine, se i disturbi di panico determinano una temporanea incapacità lavorativa, è possibile assentarsi per malattia, ed è anche possibile, per analisi e cure, chiedere dei permessi specifici.

Ma procediamo per ordine

Indice

1 Invalidità per attacchi di panico

2 Legge 104 per attacchi di panico

3 Domanda d’invalidità e Legge 104 per disturbi di panico

4 Posso assentarmi per malattia se ho attacchi di panico?

5 Posso assentarmi se il disturbo di panico richiede cure ricorrenti?

6 Posso assentarmi per le analisi sugli attacchi di panico?

Invalidità per attacchi di panico

Per quanto riguarda il riconoscimento dell’invalidità a causa degli attacchi di panico, cioè della riduzione della capacità lavorativa, questo è possibile se la patologia si presenta in forma cronica o grave, tale dunque da determinare una riduzione della capacità lavorativa.

Nelle tabelle Inps indicative delle percentuali d’invalidità, il disturbo di panico dà diritto a un riconoscimento d’invalidità del 15%, del 35% se associato all’agorafobia.

L’ agorafobia consiste nella paura degli spazi aperti e affollati, o nella paura di trovarsi in pubblico, ed è frequentemente accompagnata da attacchi di panico.

Gli attacchi di panico possono comunque essere sintomatici di altri disturbi d’ansia, ai quali a loro volta possono essere associate delle percentuali d’invalidità:

sindrome depressiva endoreattiva lieve: 10% d’invalidità;

sindrome depressiva endoreattiva media: 25% d’invalidità;

sindrome depressiva endoreattiva grave: dal 31% al 40% d’invalidità;

sindrome depressiva endogena lieve: 30% d’invalidità;

sindrome depressiva endogena media: dal 41% al 50% d’invalidità;

sindrome depressiva endogena grave: dal 71% all’80% d’invalidità;

nevrosi fobico ossessiva e/o ipocondriaca di media entità: dal 21% al 30% d’invalidità;

nevrosi fobico ossessiva lieve: 15% d’invalidità;

nevrosi fobico ossessiva grave: dal 41% al 50% d’invalidità;

nevrosi ansiosa: 15% d’invalidità;

psicosi ossessiva: dal 71% all’80%. d’invalidità.

Legge 104 per attacchi di panico

Mentre l’invalidità è intesa come la riduzione della capacità lavorativa, il riconoscimento dell’handicap, che dà diritto ai benefici della Legge 104, spetta a chi ha una minorazione fisica, psichica o sensoriale tale da impedire o limitare notevolmente l’integrazionesociale, lavorativa, personale e familiare; in parole semplici, l’handicap esprime la condizione di svantaggio della persona.

Per valutare lo stato di handicap, si deve tener conto della difficoltà d’inserimento sociale dell’interessato, in base alla patologia o menomazione riscontrata. Nel caso in cui gli attacchi di panico risultino avere delle conseguenze talmente gravi da impedire una normale vita sociale, familiare e lavorativa, questi possono determinare il sorgere di un handicap.

Chi soffre di disturbi di panico può dunque ottenere il riconoscimento della Legge 104.

Domanda d’invalidità e Legge 104 per disturbi di panico

Per chiedere il riconoscimento dell’invalidità e dell’handicap per disturbi di bisogna innanzitutto richiedere al proprio medico curante, ), o ad un medico convenzionato col servizio sanitario nazionale, il certificato medico introduttivo (certificato SS3).

Bisogna poi inviare all’Inps la domanda d’invalidità: la procedura è unica, e vale anche per il riconoscimento dell’handicap. Per approfondire:  Guida alla domanda d’invalidità, Legge 104 e accompagno.

Posso assentarmi per malattia se ho attacchi di panico?

L’attacco di panico è un episodio, per quanto con gravi sintomi, che si esaurisce in breve tempo, nell’arco di 20 minuti.

Se ti viene un attacco di panico mentre sei al lavoro e ti lascia spossato, puoi comunque, avvertendo l’azienda del malore, assentarti per sottoporti a un controllo medico: sarà poi il medico curante a decidere se hai bisogno di giornate di riposo, e ad assegnarti quindi giornate di malattia, oppure se puoi tornare subito al lavoro.

Se soffri di disturbi frequenti di panico e attraversi una fase acuta, magari accompagnata da altri disturbi d’ansia, il medico può ugualmente assegnarti delle giornate di malattia.

Posso assentarmi se il disturbo di panico richiede cure ricorrenti?

Se il trattamento del disturbo di panico richiede cicli di cura ricorrenti, cioè terapie ambulatoriali alle quali devi sottoporti periodicamente, hai la possibilità di richiedere, anche in questo caso, assenze per malattia.

Il medico può certificare separatamente ogni ciclo di cura, oppure rilasciare un unico certificato, che attesti la necessità di terapie ricorrenti e le date in cui avverranno le prestazioni: in quest’ipotesi, il trattamento successivo è equiparato alla ricaduta della malattia. Terminate le cure, la struttura sanitaria deve rilasciare una dichiarazione che attesti l’esecuzione delle terapie, diversamente l’assenza non può essere indennizzata. Come la malattia.

I giorni che intercorrono tra una cura e la successiva non sono indennizzabili, se non risultano debitamente certificati come malattia.

Posso assentarmi per le analisi sugli attacchi di panico?

Se devi fare delle analisi per capire la natura e la causa degli attacchi di panico (accertamenti diagnostici), e questi sono breve durata, solitamente non sono indennizzabili come le assenze per malattia, a meno che non si tratti di controlli:

urgenti ed impossibili da effettuare al di fuori dell’orario di lavoro;

talmente invasivi da richiedere un periodo di convalescenza.

Se, per gli attacchi di panico, hai necessità di visite, cure o trattamenti, e la tua situazione non rientra nelle ipotesi indennizzabili per malattia, devi comunque sapere che hai la possibilità, a seconda del contratto collettivo applicato, di richiedere:

specifici permessi retribuiti, se previsti dal contratto collettivo applicato, nazionale, territoriale o aziendale, o se sussistono specifici accordi individuali col datore di lavoro;

permessi retribuiti scomputati dai permessi ed i riposi retribuiti spettanti da contratto (rol, banca ore, etc.);

permessi non retribuiti.

Dal sito: laleggepertutti.it

SHAWN MENDES HA SPIEGATO COME CONDIVIDERE IL SUO PROBLEMA CON L’ANSIA SIA STATA: “LA COSA PIÙ IMPORTANTE CHE HO FATTO”

Sempre più star e sempre più persone in generale stanno alzando il volume sulla salute mentale: un tema di cui è fondamentale parlare per far sì che ci si possa dare una mano a vicenda e che non ci si senta più soli, una volta ascoltate le esperienze degli altri.

Tra questi c'è anche Shawn Mendes che, lo scorso aprile, si era messo a nudo davanti al pubblico della SSE Hydro Arena di Glasgow, in Scozia. Il cantante aveva fatto un discorso che aveva toccato i fan, confessando che lo show era il primo, a distanza di un anno, che affrontava senza prendere i farmaciche lo aiutano a combattere l'ansia.

Adesso il 20enne ha spiegato come quelle parole siano state un punto di svolta per lui: "Parlare del problema, metterlo là fuori, è stata una delle cose più spaventose ma più importanti che abbia mai fatto" ha detto a People.

Shawn Mendes ha raccontato che "In My Blood" è stata ispirata proprio dal sentimento di ansia che a volte prova e di cosa faccia per superarlo: "Buttarmi, semplicemente fare, mi aiuta molto. Ancora ho difficoltà, ma cerco di ricordare ogni giorno che chiunque ha a che fare con un certo livello di ansia o di pressioni, siamo tutti sulla stessa barca".

Uno stress che arriva dal fatto di essere una celebrità mondiale, ma allo stesso tempo il canadese resta con i piedi per terra: "Torno ancora a Toronto ed esco con gli amici con cui sono cresciuto. E la mia famiglia è sempre stata molto supportiva".

Forza Shawn!

Dal sito: mtv.it

Paura di essere se stessi: come affrontarla e superarla

Una delle paure più frequenti, anche se non sempre riconosciuta, è quella di essere se stessi.
Si tratta di una sorta di circolo vizioso per il quale l’individuo si spacca in due, dividendosi tra ciò che è e ciò che decide di essere. Un conflitto costante che porta a reprimere e a nascondere la vera natura in nome di qualcosa che si pensa possa essere accettata con più facilità dal mondo esterno.
Di questi tempi sono sempre di più le persone che fingono di essere ciò che non sono e che seppur frustrate cercano di seppellire la propria identità, nascondendola persino a se stessi. Ciò spinge verso uno stato di confusione unico che può portare a non sapere più cosa si desidera. Un processo che coinvolge le emozioni umane, generando frustrazioni, ansie, depressioni e persino delle fobie.
Perché quando si nasconde qualcosa di se, la si nasconde nel profondo ma non la si fa mai sparire davvero. E dal profondo, quella parte cercherà sempre di uscire, urlando a gran voce e mostrandosi attraverso ansie, attacchi di panico, costante nervosismo e persino apatia.
Ne consegue, quindi, che l’unico modo per essere felici è quello di accettare l’idea di essere se stessi, far pace con le caratteristiche di se che non si amano e con il fatto che si potrà non piacere a tutti e andare incontro ad una sensazione di libertà che se all’inizio potrà persino spaventare, una volta sperimentata sarà così piacevole da non voler più tornare indietro.

La paura di essere se stessi nasce piuttosto presto e molte volte dipende dalle persone che ci circondano. Quando si nasce si è liberi, desiderosi di esprimere le proprie emozioni e incapaci di prevedere le reazioni che gli altri avranno per ogni azione. Questo modo di essere spinge a volte a sbagliare, altre a sentirsi felici e molte altre a subire i rimproveri di genitori, insegnanti o altre figure di rilievo. Con il tempo si apprende quindi che ad ogni azione corrisponde una reazione e che per la società ce ne sono alcune che vanno bene ed altre che invece possono non essere piacevoli.
E se questa consapevolezza può spingere alcuni ad agire in modo “costruito” quando sono in determinati contesti, in altre persone magari più sensibili o con un vissuto fatto di rimproveri, può creare una sorta di limite nel quale cercheranno di diventare ciò che gli altri si aspettano da loro e tutto con la conseguenza di perdere di vista la propria identità o di smettere di accettarla pur avendola sotto gli occhi.
La verità è che se non si fa male a nessuno, essere se stessi è una forma di libertà che dovrebbe essere vissuta come un diritto e un dovere verso se stessi.
Certo, se si ama girare nudi non lo si potrà fare in giro ma questo non vuol dire che a casa si debba necessariamente evitare solo perché socialmente non è una scelta condivisibile.
Lo stesso vale per le ideologie, per le scelte musicali e per il modo di sentire e vivere le emozioni.
Chi ha paura di essere se stesso, infatti, il più delle volte finisce con l’isolarsi, privarsi di tanti piaceri e finire con il chiudersi in un guscio che può portare ad apatia e depressione o, al contrario, a frustrazione perenne e rabbia verso gli altri.

Come fare, quindi, ad uscire da questa prigionia? La soluzione è semplice e risiede nell’accettare se stessi. Per farlo, però, occorrono alcuni step indispensabili:

Riscoprire se stessi. Spesso il vero problema nell’essere se stessi è che a forza di fingere si arriva a non sapere più ciò che si è o si desidera. Certo, lo si sa in modo generale ma se ci si trova a poterlo mettere in mostra, il rischio è quello di un blocco o di un attacco di panico. Per prima cosa è quindi importante imparare nuovamente a conoscersi, iniziando dalle domande più stupide che possono andare dal colore preferito al cibo che piace di più. Molti scopriranno di avere confusione anche in merito e sarà solo iniziando ad accettare risposte che non si pensavano possibili o che, più semplicemente, non piacciono, che le cose potranno iniziare davvero a cambiare.

Iniziare ad agire. Per quanto difficile, essere se stessi significa agire in modo diverso da come si è fatto prima. Questo vuol dire notare sorpresa negli altri e ricevere addirittura domande riguardo a come ci si sta comportando. La verità è che non ci si dovrebbe preoccupare troppo di cosa pensano gli altri e che l’unico modo per essere se stessi è iniziare a farlo senza troppi ma o se. Per farlo si può partire da piccoli passi come scegliere il cibo che piace di più anche se tutti gli altri mostrano una preferenza diversa. Dire ciò che si pensa. Ascoltare anche in pubblico la musica che si ama, etc…

Ricordare che non si avrà mai il 100% dei consensi. Spesso a far paura è il pensiero di non essere amati se ci si mostra diversi. La verità è a prescindere da cosa si sceglie di mostrare, il mondo è troppo grande per far si che una scelta sia approvata da tutti. Che sia positiva o negativa avrà all’incirca il 50% dei consensi. Quindi, perché non avere quelli verso ciò che si è piuttosto quelli verso ciò che si vorrebbe essere o che si finge di essere?
Ok, forse inizialmente alcune persone finiranno con l’allontanarsi ma per quante andranno via tante altre ne arriveranno e saranno quelle con cui si riuscirà ad essere davvero in sintonia.

Allenarsi. All’inizio essere se stessi può risultare difficile. È bene quindi provare ad allenarsi. Se si va in terapia per questo motivo (scelta che può avere ben più di un beneficio) si potrà eseguire qualche esercizio consigliato dal terapeuta, altrimenti l’unica alternativa è mettersi in gioco, provando inizialmente con persone che non si conoscono bene e che quindi non possono restare sorprese, e proseguire mostrando ogni volta una parte più grande di se.

Trovare un equilibrio. Uno degli aspetti più difficili per chi decide di tornare ad essere se stesso è quello dell’equilibrio. Si passa dal piegarsi ai desideri degli altri al voler far sapere a tutti cosa si pensa ed il senso di libertà è tale da non aver più voglia di smettere. Questo, però, non deve portare all’isolamento perché vivendo in una società fatta di individui è giusto che anche gli altri possano esprimersi e se ci si trova in gruppo, la scelta giusta è quella di piegarsi una volta per uno. Ciò che va acquisito è che accontentare qualcuno non vuol dire privarsi della propria libertà. Se si esce in gruppo e tutti hanno voglia di pizza mentre si ha voglia di sushi, può essere carino accontentare la maggioranza. Ciò che va evitato è dire di amare la pizza se si aveva voglia di altro. Esprimersi con un sorriso, darà modo di essere se stessi, apprezzare comunque la pizza ed avere la gratitudine di chi sa della rinuncia che si è fatta. Gratitudine che la prossima volta potrà trasformarsi in un favore analogo.

In questo modo, superare la paura sarà indubbiamente più semplice e porterà a sentirsi sempre più vivi e artefici della propria vita. Ansie e fobie passeranno e lasceranno il posto ad un senso di pace e di libertà altrimenti difficile da sperimentare.
Inutile dire che se i passi sopra descritti risultano difficili da compiere, il consiglio è quello di rivolgersi ad un terapeuta in grado di dare le giuste dritte per scoprire se stessi ed imparare ad esprimere le proprie emozioni senza paura.

Dal sito: chedonna.it 

venerdì 17 maggio 2019

Paura di uscire di casa: come affrontarla e superarla

Scopri come riconoscere, affrontare e superare la paura di uscire di casa da sola.

Tra le tante paure che si possono avere in merito a ciò che per la maggior parte delle persone può apparire normale c’è quella di uscire di casa. Un problema che coinvolge più persone di quante non si pensi e che avviene con gradi e modalità differenti che variano da persona a persona e in base alle situazioni personali di ognuno. In ogni caso, si tratta di un problema che è sempre il caso di affrontare in quanto limitante per la qualità della vita e per la socializzazione di chi ne soffre.

Oggi, quindi, proveremo a capire come riconoscere questa fobia e quali sono gli strumenti utili per affrontarla e sconfiggerla, riappropriandosi così della propria, preziosissima, vita.

Per prima cosa può essere utile analizzare i sintomi più comuni di chi presenta questo particolare problema e che sono:

Ansia crescente

Affanno

Tachicardia

Sudorazione

Tremori

Vista annebbiata

Attacchi di panico

Quanto ai motivi, questi sono legati il più delle volte ad un problema di depressione, ansia e attacchi di panico che con il tempo, se non superati, spingono ad evitare tutte le situazioni che possono scatenarli. Tra queste c’è spesso anche l’uscire di casa. Dopotutto al di là della porte c’è un mondo intero di situazioni come la scuola, il lavoro o la possibilità di incontrare altre persone. Tutte situazioni che chi vive con crisi d’ansia frequenti percepisce come “pericolose”.
Ovviamente, fuori c’è anche la vita e tutto un’insieme di possibilità da cogliere che non andrebbero sprecate, ed è proprio per questo motivo che la paura di uscire di casa andrebbe affrontata il prima possibile, in modo da trovare una soluzione al problema e riappropriarsi di tutto ciò che si è stati costretti a mettere da parte.

C’è da dire che questa paura, può avere anche modalità diverse. Ci sono ad esempio persone che sentono l’ansia al pensiero di uscire ma che una volta fuori riescono a destreggiarsi, salvo il tornare a provare ansia quando sanno di dover mettere nuovamente il naso fuori di casa.
Altri riescono a tollerare l’uscita se fatta in compagnia mentre cercano di evitare in tutti i modi di uscire da soli. Altri ancora temono un particolare momento del giorno come la mattina o la sera.
Sono tutte sfumature di uno stesso problema che possono però dare delle indicazioni su altre possibili origini come un trauma del passato che si collega al mondo esterno o una serie di paure che si pensa di poter esorcizzare semplicemente stando a casa.
Un pensiero errato perché il problema di queste paure è che non hanno mai una fine ma si amplificano giorno dopo giorno, in modo così lieve che a volte è difficile rendersene conto fin quando non ci si trova faccia a faccia con il problema.
Ovviamente come per ogni problema di questo tipo, anche la paura di uscire di casa può essere affrontata e superata e le modalità per farlo dipendono dall’entità del problema e dalla personalità delle persone coinvolte.
Se la paura è iniziale e non ancora invalidante, si possono mettere in atto alcune strategie:

Uscire in compagnia. Sapere di dover incontrare un’amica o farsi venire a prendere da qualcuno può essere un primo passo per uscire da casa senza problemi. Il punto è farlo abbastanza volte da creare dei bei ricordi legati al momento in modo che il pensiero di uscire si faccia sempre meno minaccioso e diventi pian piano qualcosa a cui pensare con un sorriso.

Uscire per cose piacevoli. Per lo stesso motivo, almeno le prime volte, sarebbe meglio uscire per un appuntamento, per mangiare qualcosa di buono o, più in generale, per qualcosa di piacevole. Ciò allevierà l’ansia pre uscita e porterà ad accumulare altri bei ricordi da legare al momento.

Tenere un diario. Prendere appunti nei quali si racconta di come è stato piacevole uscire e di cosa si è provato può essere utile per mantenere fermo il ricordo nella mente. In questo modo quando ci si troverà nella stessa situazione si avrà un punto di riferimento in più rispetto alla volta precedente e la prova che nonostante l’ansia, uscire di casa è fattibile.

Inutile dire che queste soluzioni vanno bene per una lieve ansia o una paura allo stadio iniziale. Se ci si trova ad aver già perso dei giorni di lavoro o ci si sente così male da non avere la forza neppure di chiamare un’amica per farsi aiutare, l’unica cosa giusta da fare è sentire uno psicologo che possa dare una mano a risolvere questo problema. Gli approcci usati a tal proposito sono diversi e cambiano da operatore ad operatore, anche in base alla psicologia della persona.

E se la paura è davvero tanta da non poter andare dallo psicologo? In questi casi, alcuni per i primi incontri possono far visita a domicilio o iniziare con una conversazione telefonica o via Skype. Per fortuna gli strumenti non mancano e l’unica cosa che serve davvero è la voglia di riprendere in mano la propria vita e di lottare affinché le paure non la dominino. Perché non c’è nulla di più prezioso del poter vivere senza paure, concedendosi quelle libertà che spesso sono sottovalutate ma che quando vengono a mancare mostrano una realtà decisamente diversa e dalla quale è meglio uscire al più presto.

Dal sito: chedonna.it 

L’80% dei ragazzi soffre di ansia o di rabbia

Sono scoraggianti i dati di un'indagine voluta da Telefono Azzurro. Solo il 7% dei ragazzi con problemi psicologici è pronto a parlarne con un esperto. Gli psicologici puntano a usare i social e le chat per aiutarli

Otto ragazzi su dieci vivono una forma di disagio psicologico. Il dato è emerso durante il convegno 

Sfide e prospettive in psichiatria infantile e dell’adolescente”, voluto dall’Istituto Superiore di Sanità. Lo studio è stato condotto quest’anno da Doxa Kids e Telefono Azzurro. Oltre 600 i ragazzi, tutti tra i 12 e i 18 anni, messi sotto osservazione.

Meno del 10% è disponibile a rivolgersi a un esperto 

In genere i giovani soffrono di ansia e rabbia, ma sperimentano anche la paura di deludere gli altri e la difficoltà a concentrarsi. Quello che mette il carico da novanta a una situazione già preoccupante è lo sconsolante numero di teenager che si dichiara pronto ad affrontare i suoi problemi psicologici con un esperto: meno del 10 per cento. Solo il 7% dei giovani intervistati si è dichiarato disponibile a incontrare un professionista per parlare del proprio malessere.

Del resto questo malessere è sempre più diffuso. L’83% dei giovanissimi selezionati afferma di avere un problema di carattere psicologico, che nella maggior parte dei casi ha ripercussioni sulla loro salute in generale.

Quali sono i disagi più diffusi?

I problemi a livello psicologico più diffusi sono:

  • difficoltà a concentrarsi, che colpisce un giovane su tre,
  • insonnia, uno su quattro,
  • paura di deludere le aspettative degli altri, uno su quattro,
  • attacchi di rabbia, uno su cinque,
  • poi fobie, tendenza al suicidio, depressione e l’autolesionismo.

Gli esperti spingono per coinvolgere i giovani con i social media, le app e le chat

Se i giovani non vanno dagli psicologi, sono gli psicologi a voler andare dai giovani. Così si sta riflettendo sulla possibilità di utilizzare gli strumenti più usati dai ragazzi per cercare di prevenire, individuare e curare il disagio giovanile.

Il parere dell’esperto

«ll digitale permette ai ragazzi di parlare più liberamente di se stessi» spiega Ernesto Caffo, storico presidente di Telefono Azzurro e professore ordinario di Neuropsichiatria Infantile presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. «Sui social media – aggiunge – scrivono narrazioni della sofferenza e del disagio,senza doversi interfacciare con qualcuno. E possono anche rileggere i propri pensieri, commentarli, condividerli. Il tema è come raccogliere queste richieste di aiuto e trasformarle in una risposta».

«Per affrontare disturbi di ansia, tendenze al suicidio o abusi, stiamo utilizzando con successo le chat, perché in questo modo i ragazzi ci parlano in modo molto diretto. Uno degli obiettivi del convegno “Sfide e prospettive in psichiatria infantile e dell’adolescente” è individuare un team di esperti internazionali che lavorerà sull’utilizzo del digitale per la cura del disagio mentale nei bambini e negli adolescenti».

Dal Sito: ok-salute.it

Paura di sbagliare: come riconoscerla e superarla

La paura di sbagliare, se eccessiva, può arrivare a limitare la vita. Scopri come riconoscerla e liberartene.


Quante volte ti è capitato di piantare i freni davanti ad un’ipotetica azione e tutto per paura delle conseguenze? Niente paura, sei in buona compagnia e ciò avviene perché la paura di sbagliare è insita in ognuno di noi e tutto al fine di spingerci a ponderare le cose prima di trovarci a commettere degli errori. Il problema, quindi, non sta tanto nella paura quanto nelle modalità con cui si presenta e nel modo in cui noi le diamo bado, scegliendo o meno di agire. Avere paura è infatti un buon modo per soffermarsi a valutare ogni possibilità, affinare le proprie strategie e poi prendere il via verso ciò che si era già programmato di fare. Se, al contrario, la paura diventa un pretesto per cambiare programmi, tirarsi indietro e scegliere di non agire, allora è probabile che alla base ci sia un problema che crescendo potrebbe arrivare a limitare di molto la qualità della vita.

La paura di sbagliare, detta anche atychiphobia, è un’arma a doppio taglio. Se da un lato ci consente di essere più lungimiranti rispetto una determinata azione, dall’altro può ostacolarci del tutto, diventando un pretesto per scegliere di non agire. Una situazione che se capita spesso può arrivare a limitare la libertà d’azione, portando in casi estremi a non fare più nulla e tutto per una paura crescente di sbagliare.
Se sei consapevole che la tua paura è solo un’occasione in più per migliorarti, quindi, nessun problema. Se al contrario hai già archiviato possibilità per le quali ti sei pentita, evitando di fare cose chiaramente non rischiose e tutto per l’ansia che le accompagnava, allora forse il problema sta proprio nella paura di sbagliare che ha preso il sopravvento e che va quindi ridimensionata.

Per poterlo fare, però, è necessario capire prima di tutto il perché si presenta in questa forma.
Ciò avviene molto spesso per colpa di una scarsa autostima o per la consapevolezza di poter essere giudicati dagli altri in modo negativo.
La presenza incombente del giudizio altrui è qualcosa che spesso ci si porta dietro dall’infanzia e che arriva da genitori o educatori sempre pronti a giudicare ogni azione, cosa che può aver instillato una forma di controllo preventivo che con il tempo si è poi trasformato in una forma di paura davanti ad un possibile errore. Altre volte può dipendere dall’ambiente in cui si vive o lavora e dalla presenza di persone che, effettivamente, sembrano sempre pronte a giudicare ogni nostra azione.
Qualunque sia il motivo scatenante, la buona notizia è esistono delle strategie da mettere in campo per cercare di combattere questa paura, rimpicciolendo sempre più la vocina interiore che ci spinge a fermarci davanti ad ogni nuova impresa. Vediamo insieme le più importanti.

Vedere l’errore come un’occasione di crescita.Per prima cosa va cambiato punto di vista. Nessuno potrà mai dirci che non sbaglieremo perché errare è una cosa inevitabile e fa parte del percorso di crescita che porta a migliorarsi e a diventare bravi (se non i migliori) in qualcosa. Ricorda sempre che sei tu a decidere la reazione ad un errore. Puoi sentirti umiliata e sopraffatta o fare come molti grandi personaggi e accogliere l’errore come una lezione per andare avanti con sempre più sicurezza.

Rendersi conto che sbagliare non definisce la persona. Tornando all’infanzia. Chi prova sentimenti di paura davanti ad una decisione lo fa perché spaventato all’idea di sbagliare. Considerato che, come già detto, errare è umano e spesso indispensabile per apprendere, resta la paura atavica di non essere accettati. Forse da piccoli i rimproveri sono stati tanti e spesso si è collegato un errore al proprio valore. La verità, però, è che un errore non ha mai definito nessuno. Tu sei e sarai la persona che sei sia commettendo errori che stando immobile. L’unica differenza sta in tutto ciò che ti perdi finché la darai vinta alla paura.

Mettersi in gioco. Una volta apprese queste nozioni di base è importante metterle in pratica e per farlo l’unica cosa giusta da fare è appunto decidere. A questo punto è quindi necessario mettersi alla prova con alcuni esercizi la cui entità dipende dal grado di paura che si sta vivendo. Se la paura non è ancora limitante si può scegliere una qualsiasi delle occasioni che ci si trova davanti e scegliere come agire. Se invece si è già ad una sorta di punto di non ritorno, tanto che anche scegliere cosa indossare rappresenta un problema, l’unica cosa da fare è armarsi di pazienza ed partire da zero. Al mattino non decidi mai che brioche mangiare? Inizia e ripetiti che se sbagli rimedierai domani. Da lì passa a dare una risposta decisa alle domande che ti vengono poste e aumenta ogni volta il grado di pericolo delle tue decisioni.

Imparare ad accettare gli errori. A volte ti capiterà di sbagliare davvero perché, come già detto, errare è umano e spesso utile per migliorarsi. Quando accade, quindi, sorridi a te stessa, prendi nota di dove hai sbagliato e di come puoi migliorare e procedi per la tua strada. Ricorda che volersi bene è il primo dovere di ognuno di noi e nel farlo c’è anche la capacità di perdonarsi errori e gaffe, sorridendo e dandosi una pacca sulla spalla virtuale. Abituarsi agli errori è un buon modo per sentirsi ogni volta più leggeri e per acquisire sempre più audacia nei confronti di decisioni importanti che pian piano si trasformeranno da paurose ad eccitanti.

Non aver paura di chiedere aiuto. In alcuni casi la paura di sbagliare può essere davvero tanta e generare crisi d’ansia o attacchi di panico. Se temi di non farcela da sola o, più semplicemente, senti di aver bisogno di qualche strumento in più per agevolare il tuo percorso, non esitare a chiedere aiuto ad un professionista. In questo modo capirai l’esatta origine del tuo problema, farai pace con te stessa e ti scoprirai sempre più forte e determinata. Perché scegliere di prendere in mano le redini della propria vita è un atto di coraggio che può solo rendere felici e fieri di se.

Dal sito: chedonna.it 

mercoledì 15 maggio 2019

Abbiamo bisogno di meno Whatsapp e più abbracci!

Questo è molto positivo perché possiamo rimanere vicini alle persone che amiamo, anche se siamo dall’altra parte del mondo. Tuttavia, d’altra parte, vediamo sempre più persone intrappolate nel mondo virtuale e isolate da coloro che sono dalla loro parte.

Questo è allarmante e ci mostra che è necessario discutere l’influenza della tecnologia sulle relazioni interpersonali fisiche nel “mondo reale”.

È bello incontrare persone di diverse nazionalità e culture ed è bello restare in contatto con i nostri amici e parenti che vivono lontano su Internet, ma sostituire o trascurare la presenza fisica, abbracci, conversazioni sincere, i tempi di divertimento non sono salutari per noi. Siamo esseri sociali che prosperano in relazione l’uno con l’altro, e così i messaggi di testo e le emoji non saranno mai il nostro vero modo di mostrarci al mondo.

I social network, anche se ci avvicinano a coloro che sono lontani, ci allontanano anche da chi è vicino, questo è un fatto che viene percepito anche nella più rapida analisi della società. Le persone parlano sempre meno, non si guardano più negli occhi e non sanno più come creare relazioni dal vivo perché sono troppo occupate a guardare gli schermi dei loro telefoni cellulari.


Dobbiamo semplificare di nuovo le nostre vite, stabilendo un equilibrio tra vita reale e vita online .

Abbiamo bisogno di più abbracci e meno Whatsapp, più momenti e meno messaggi, più intensità, momenti di vita con le nostre anime, una connessione più profonda con noi stessi e le persone che ci circondano. Dobbiamo imparare ad accettarci di più per come siamo e a dipendere meno da quelli “finti” per riconoscere la nostra vera bellezza e doni.

I vantaggi della tecnologia sono innegabili e la loro influenza nel nostro mondo ha il lato positivo, ma abbiamo bisogno di imparare come usarlo per sfruttare e non limitare in modo che sia un positivo complemento alle nostre vite, ma in modo che non diventi la nostra vita.

L’era digitale ci apre un nuovo mondo, ma non dovrebbe sostituire quello che già abbiamo, le relazioni, le conversazioni, le preoccupazioni, l’amore.

Un dispositivo elettronico non sarà mai migliore di una vera compagnia, non dovremmo abituarci a vivere dietro uno schermo, non quando abbiamo un grande e meraviglioso mondo in cui vivere. Molte cose, solo la vita reale ce le può offrire.

Quindi aggiungi più realtà alla tua vita!

Esci dal tuo telefono cellulare e festeggia con le persone che sono con te. Abbraccia, cerca di parlare, viaggia, vedi il più possibile con le persone della tua vita. Nulla può sostituire la vera felicità offerta dai bei tempi condivisi con un’altra persona.

Questo è uno dei beni più preziosi della vita!

Dal Sito: aprilamente.info 

Disturbi d'ansia: i sintomi per riconoscerli e le cure per superarli

I disturbi d’ansia sono tra i disturbi mentali i più frequenti, colpiscono infatti circa 2,5 milioni di italiani. Attualmente l’ansia ed i disturbi ad essa collegati non sono più un tabù e chi ne soffre ha maggiori possibilità di affrontarli e soprattutto di risolverli. Dai disturbi d’ansia si può infatti guarire con la giusta terapia. Come sostiene lo psicologo Alessandro Lobello la cosa più importante da fare è rivolgersi ad uno specialista con il quale intraprendere un percorso psicoterapeutico che abbia un duplice obiettivo: comprendere le cause che provocano i disturbi d’ansia e trasferire un metodo per gestirli e/o eliminarli del tutto.

Disturbi d’ansia: cosa sono e quali sono i sintomi?

Bisogna fare una precisazione: tutti proviamo l’ansia, ma non tutti soffriamo di disturbi ad essa collegati. Vi sono infatti due tipologie di ansia: fisiologica e patologica. La prima prepara il soggetto ad affrontare una minaccia o un pericolo imminente. In questi casi l’ansia è utile perché mette in allerta e permette di reagire tempestivamente oltre a produrre un aumento dello stato di vigilanza che migliora le performance in situazioni impegnative, come un colloquio di lavoro o un esame da sostenere. Si tratta di un’ansia che possiamo definire positiva, che “tiene sulle spine” e spinge l’individuo a sfruttare tutte le sue potenzialità per superare una prova. La seconda invece si manifesta in modo persistente ed intenso, anche in situazioni in cui non vi sono reali pericoli. L’ansia è dunque disfunzionale, invalidante e compromette seriamente la normale funzionalità del soggetto che ne soffre. La difficoltà nel gestire i ripetuti attacchi di ansia, genera inoltre un forte senso di frustrazione che riduce la stima in se stessi e che spesso conduce a diverse forme di depressione.

sintomi dei disturbi d’ansia sono suddivisi in 3 categorie:

●      cognitivi: vuoto mentale, percezione crescente di allarme/pericolo, sentirsi fortemente osservati

●      comportamentali: paura di restare o uscire da soli, necessità di assumere ansiolitici, evitamento di tutte le possibili situazioni che possono provocare paura, timore, preoccupazione

●      fisici: palpitazione, tachicardia, tremori, contratture muscolari, ipersudorazione, vertigini, nausea, senso di soffocamento e respiro corto

Secondo il DMS-5 (Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali) il soggetto è affetto da disturbi d’ansia quando quest’ultima è eccessiva e persistente, si manifesta in situazioni neutre, nelle quali minacce e pericoli sono del tutto improbabili, e persiste almeno da 6 mesi. I sintomi non devono essere attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza (droga, alcol) o di un farmaco, ad una condizione medica o essere meglio riconducibili ad altri disturbi mentali.

Tra i disturbi d’ansia più frequenti vi sono:

●      disturbo da panico (attacchi di panico) con/senza agorafobia

●      disturbo d’ansia generalizzato

●      fobia sociale

●      fobie specifiche

Come curare i disturbi d’ansia? 

Curare i disturbi d’ansia vuol dire riappropriarsi della propria vita. A tal proposito è interessante quanto afferma l’OMS (organizzazione mondiale della sanità) in merito all’importanza della salute mentale, inteso come “stato di benessere che permette ad ogni individuo di realizzare il suo potenziale, affrontare il normale stress della vita, lavorare in maniera produttiva e apportare un contributo alla propria comunità”. In queste poche righe è racchiusa la motivazione per affrontare i disturbi d’ansia. La terapia che ha riscontrato maggiori percentuali di successo è quella cognitiva-comportamentale. Quest’ultima fornisce una serie di tecniche e di strumenti grazie ai quali il terapeuta riesce ad identificaresconfiggere le cause che scatenano il disturbo, a ridurre il livello d’ansia e a migliorare la capacità dei pazienti di affrontare e accettare la normale incertezza che caratterizza la vita. Si impara a conoscere l’ansia, a riconoscere quella patologica ed i suoi sintomi e soprattutto ad interrompere il circolo vizioso di tensione scatenato dai pensieri ansiosi. Per far ciò si ricorre all’analisi dei pensieri disfunzionali, ai cosiddetti training di consapevolezza degli stati ansiosi, all’esposizione in vivo o immaginate, ad esercizi di problem-solving. Durante il percorso terapeutico si impara anche a controllare e a ridurre i sintomi fisici dell’ansia mediante tecniche di rilassamento ed esercizi di respirazione. Nei casi più gravi potrebbe essere necessaria una terapia farmacologica a base di ansiolitici e/o antidepressivi. Quest’ultimi devono essere prescritti soltanto da psichiatri ed è importante che siano associati ad un percorso di psicoterapia. Da soli infatti non sono capaci di curare i disturbi d’ansia. Hanno efficacia nel breve periodo, non appena viene sospesa l’assunzione, il disturbo si ripresenta. La psicoterapia al contrario, nella maggior parte dei casi, è la soluzione definitiva ai disturbi d’ansia.

Dal Sito: newsbiella.it 

venerdì 10 maggio 2019

I cambiamenti climatici generano ansia, stress e depressione


Si chiama solastalgia e indica l’ansia e lo stress generati dai cambiamenti climatici

 I cambiamenti climatici generano ansia, stress e depressione. Una tesi sempre più supportata e oggi rivendicata anche dalla CNN che collega questa relazione tra clima e disagi psicologici anche all’elezione del presidente americano Donald Trump.

Letteralmente si tradurrebbe ansia climatica, dall’inglese climate anxiety: uno status che può nuocere alla salute mentale sfociando in depressioni da curare farmacologicamente. I cambiamenti climatici hanno assunto una rilevanza tale nella vita delle persone da non poter essere più trascurati: «Nel 2007 la questione assomigliava ad un topo all’interno di una stanza; poi si è tramutato in elefante e infine dal 2016 la problematica ha assunto carattere davvero imponente cominciando ad inondarci», ha spiegato alla Cnn Wendy Petersen Boring, docente presso la Willamette University (Oregon) ed esperta di storia del cambiamento climatico.

Una studentessa che frequentava la classe della Boring ha ammesso di essersi svegliatain piena notte piangendo per due ore a causa del riscaldamento degli oceani«Una laureata in scienze informatiche», ha tenuto a precisare la professoressa. “Con l’elezione di Trump, il cambiamento nei miei studenti, il senso di dolore, paura e paralisi è diventato palpabile”, ha aggiunto Boring.

Negli Stati Uniti esiste anche un termine specifico per indicare questo tipo di disturbo: solastalgia. Si tratta di un neologismo coniato da Glenn Albrecht nel 2003 e che nel 2015 la rivista medica ‘The Lancet’ lo ha inserito come «concetto che contribuisce all’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute e sul benessere dell’uomo» .

Stando a quanto afferma l’Associazione degli psicologi americani, che ha redatto una guida di 70 pagine sul tema, i professori e i professionisti della salute mentale devono «iniziare discussioni sui cambiamenti climatici e le conseguenze che essi hanno sull’uomo» al fine di «portare a conoscenza dei più la correlazione tra essi e disagio psichico/salute mentale»

Dal Sito: rinnovabili.it