giovedì 7 dicembre 2017

L'Albero di Natale come simbolo di crescita personale



E così si avvicina un nuovo Natale, una festa che per ognuno di noi costituisce un momento importante per la sua atmosfera speciale e per gli aspetti affettivi ed emotivi che vi sono associati.
Due sono gli ambiti di vita ai quali questi aspetti si intrecciano, uno è quello sociale e l’altro quello individuale.
Al primo appartiene la “celebrazione” di questa festività, che coinvolge le famiglie nella loro interezza, le cene ed i pranzi, le grandi abbuffate, come anche la celebrazione fra amici (merito anche delle ferie) alle partite a carte o tombola o altri giochi da fare in compagnia. A questo primo ambito appartiene però anche la forte connotazione “commerciale” del Natale, quella fatta di panettoni, settimane bianche, luci splendenti e regali più o meno costosi ed a questo livello si inseriscono anche quelli che sono gli elementi “nevrotici” di questo periodo. In effetti è proprio “dentro” questo aspetto del Natale che troviamo lo “stress da regalo” ma anche la sofferenza psicologica; come sempre i dati confermano che in questo periodo aumentano ansia e depressione e che queste a volte sono legate all’”obbligo” di vivere bene e felicemente queste festività anche se ciò non corrisponde allo stato d’animo; e da qui ecco che si ripropongono conflitti familiari che non possono essere espressi (pena sensi di colpa verso gli altri componenti della famiglia), ecco che ci si sente inferiori perché non si hanno abbastanza soldi per i regali o per i festeggiamenti e così via….
Quello che si può pensare è che queste difficoltà appartengano comunque alla vita quotidiana e non possono essere eliminate come il “buonismo” natalizio vorrebbe; ma allora, visto che le nevrosi “festive” sono a loro modo “naturali” dove risiede l’errore? Perché ci si sta male il doppio?
Forse perché i due ambiti di cui sopra sono troppo divisi fra di loro, perché non bisogna dimenticare che esiste anche l’aspetto “individuale”del Natale, quello che simboleggia la rinascita di una luce dentro di sé (rappresentata in particolare dal Presepe), il motivo del nome stesso di questa festa, “Dies natalis Solis Invictus” ossia il giorno della nascita del sole vittorioso, la rinascita della luce nuova, appunto; e nel nostro caso una luce che appartiene a se stessi soltanto.
Natale quindi non è solo una festa da passare insieme ma anche un momento che rappresenta un cambiamento “dentro” l’individuo stesso e da vivere solo per se stessi.
Per esempio Jung ci dice che l’Albero di Natale è simbolo del “Processo di Individuazione”, un processo di crescita personale che riguarda il proprio sé, e non il clima esterno, le relazioni affettive o le dinamiche sociali.
Riguardo all’Albero di Natale diceva Santa Teresa d’Avila: “…l’albero della vita mi è rifugio, nel pericolo esso mi protegge…l’albero è la scala di Giacobbe in cui gli angeli salgono e scendono, e alla sommità della quale risiede il Signore..” oppure ancora il Beato Filippo Luigi Casati: “…l’albero della nascita divina si eleva verso il centro del cielo e della terra…..fissato dai chiodi invisibili dello spirito per non vacillare nel suo avvicinamento al Divino.”
Quindi l’Albero di Natale è simbolo di un percorso individuale che riguarda essenzialmente se stessi e che non dipende dalle relazioni con gli altri perché basta a se stesso, perché rappresenta una rinascita personale ed indipendente che si eleva sopra la solitudine interiore ed alza lo sguardo a cercare il proprio sole nuovo (oppure la stella cometa).
Ecco cosa dice Jung in proposito in una intervista del ’57:
“…l’albero decorato ed illuminato, si ritrova anche indipendentemente dalla natività di Cristo e anzi in contesti non cristiami. Per esempio nell’alchimia…….il significato dei globi lucenti che appendiamo all’albero di Natale non sono altro che i corpi celesti, il sole, la luna, le stelle; l’albero di Natale è l’albero Cosmico. Ma, come mostra chiaramente il simbolismo alchemico, è anche un simbolo della trasformazione, un simbolo del processo di autorealizzazione. Secondo talune fonti… l’adepto si arrampica sull’albero: un motivo sciamanico antichissimo. Lo sciamano, in stato estatico, sale sull’albero magico per raggiungere il mondo superiore, dove troverà il suo vero essere. Arrampicandosi sull’albero magico, che è al tempo stesso l’albero della conoscenza, egli si impossessa della propria personalità spirituale. Allo sguardo dello psicologo, il simbolismo sciamanico ed alchemico è la rappresentazione in forma proiettiva del processo di individuazione. Come questo poggi su base archetipica è dimostrato dal fatto che i pazienti del tutto privi di nozioni di mitologia e di folklore producono spontaneamente immagini incredibilmente simili al simbolismo dell’albero storicamente attestato.”
E conclude dicendo che “l’albero di Natale è una di quelle antiche usanze che nutrono l’anima, che nutrono l’uomo interiore.”
Quindi è importante capire che il Natale oltre a rappresentare l’amore che circola in funzione della buona relazione con gli altri simbolizza anche il momento della buona relazione con se stessi. Capendo questo si diventa più forti di fronte all’irruzione di ansia e tristezza natalizie che entrano meno in contrasto con le aspettative di gioia che il Natale produce.
In sintesi, si può essere “anche” in compagnia di se stessi senza sentirsi troppo soli ed i problemi di cui si parlava sopra possono essere affrontati con maggiore forza. Allora l’albero diventa la “scala” per raggiungere un nuovo livello di consapevolezza, un nuovo senso che sia innanzitutto un nuovo “senso di sé” e così, con nuove energie, possiamo davvero donare qualcosa agli altri e vivere con loro la gioia del Natale.

Pubblicato da Dott. Fabrizio Mancinelli


Dal Sito: psicodialoghi.blogspot.it

Ansia e depressione, proprio a Natale?



"L’Albero di Natale è una di quelle antiche usanze che nutrono l’anima e che nutrono il mondo interiore" Jung

Simboli, rituali e nevrosi: arriva il Natale.
Inizia la corsa contro il tempo: gli ultimi acquisti, i doni per chi amiamo, la spesa per le festività e, per finire, le recite ed i saggi di fine anno dei nostri bambini.

Il Natale è senza dubbio un amplificatore di emozioni, un detonatore per l'inconscio ed un momento topico di - tanti - bilanci di fine anno, non sempre accompagnati da altrettanti buoni propositi.

La frenesia stordisce, lenisce le più segrete solitudini e compensa le più profonde mancanze.

Il modus operandi per vivere (o sopravvivere) il Natale è solitamente di tue tipi:
chi rimane e chi fugge via.

Chi riunisce la famiglia attorno ad un tavolo o di fronte ad un camino, l'albero di Natale stracolmo di lucine e di addobbi ha ai suoi piedi i doni per i più piccoli, ed anche per i più grandi.

Sorrisi di circostanza, magari dei migliori, stress dell'ultimo momento ed infiniti parenti - spesso mai visti prima - per festeggiare animosamente e rumorosamente una festività che di religioso, di spirituale e di intimo, ha smarrito le tracce.

Chi ancora, per tutta una serie di vicissitudini della vita, non può trascorrerlo con chi ama davvero.

Chi invece parte per terre lontane per non assaporare lo spirito natalizio.

"Nevrosi da felicità obbligata", o obbligatoria, da pranzi protratti e da forzata convivenza.

Per non parlare poi del cellulare o dei social: infiniti messaggi - cari, formali, riciclati o copiati - aforismi scaricati dal web, pre confezionati per tutti e, per finire, frasi lacrimevoli e stucchevoli su amore, gentilezza e benevolenza.

Che grande recita a copione!

I dati confermano che ansia e depressione a Natale aumentano e che, purtroppo, aumentano anche i tentativi di suicidio ed i suicidi.

Chi svolge il nostro lavoro, può confermare che è esattamente così: i nostri telefoni non smettono di squillare e la nostra posta verrà abitata dai più svariati Sos psichici e relazionali.

Sembra infatti che il Natale obblighi alla felicità e che, tutte le coppie che fino a quale momento erano naufragate in acque tempestose, abbiano deciso di risolvere proprio adesso.

Ebbene si, entro la vigilia!

Quando poi, con garbo e gentilezza, procrastiniamo la prima consulenza dopo l'Epifania, come sempre, la coppia si dilegua, e della loro sofferenza non avremo più notizie.

Il benessere di coppia, forse, andrebbe impacchettato e depositato sotto l'albero di Natale di casa, unitamente a doni concreti.

Natale, umore e dinamiche familiari I pranzi di famiglia, talvolta hanno ben poco di "famiglia".I pregressi conflitti vengono nascosti come la polvere sotto il tappeto e, spesso, taciuti proprio per le festività.

Durante la convivenza protratta e forzata delle festività, l'acredine e le incomprensioni negate o tacitate, emergeranno prepotentemente nel lasso di tempo che va dall'antipasto al panettone, dando vita a frequenti scenate, spesso plateali e nevrotiche.

Le coppie separate di cuore, ma non di tetto, vivono con ancora più sofferenza e tormento la loro situazione.

I sensi di colpa aumentano ed inquinano lo spirito natalizio, soprattutto per la consapevolezza di non stare bene come si dovrebbe proprio per Natale, o per il desiderio inconscio - spesso non tanto inconscio - di essere altrove.

Molti si costringono a partecipare ai rituali famigliari, storditi da alcool, cibo e dagli scambi di regali, per far piacere ad anziani e a bambini, interpretando una sorta di copione recitativo con sottofondo di sofferenza e di insofferenza.

Questo particolare - forse ancora suggestivo - periodo dell’anno, ci mette di fronte ad "aspetti irrisolti" delle nostre relazioni familiari che, solitamente, contribuiscono a generare ansia e tensioni.

L'epoca in cui viviamo non tollera inoltre stati d’animo come la malinconia o la tristezza, siamo obbligati ad omologarci alla "felicità collettiva" da calendario dell'avvento.

Dopo i cenoni, arrivano i bilanciLe festività obbligano a rallentare, così solitamente quando ci si ferma - il fine settimana, ad agosto ed a Natale - il nostro mondo interno bussa per essere ascoltato, e con lui, tutto quello che di irrisolto, conflittuale o doloroso ci sia.

Ecco i bilanci da festività.

Bilanci di fine anno, di mezza vita, esistenziali e di coppia, ed unitamente al calendario dell'avvento, si arriva spesso alla notte di San Silvestro, con tanti desideri chiusi in un cassetto, tanti altri disillusi, talvolta tanta amarezza e tanti nuovi propositi per il nuovo anno.

Un augurio di cuore a tutti, per un Natale ricco d'Amore.

Dr.ssa Valeria Randone

Dal Sito: www.medicitalia.it

NATALE DA INCUBO? COME EVITARE ANSIA E STRESS DURANTE LE VACANZE



Il periodo natalizio viene considerato come il più bello dell’anno: le lucine colorate, le piazze addobbate, le case che si trasformano con decorazioni e addobbi. Ci sono i parenti lontani che tornano, i cenoni, i regalini da acquistare. Sommando il tutto, per alcuni il Natale può essere un periodo di forte stress, ecco allora come evitare l’ansia e il cattivo umore.

Avevamo già parlato del vero significato del Natale, ovvero quello di abbandonare il consumismo più sfrenato e dedicarci a ciò che ci sta più a cuore. Questo non vuol dire che non dobbiamo fare i regali, l’albero e tutto il resto, ma che possiamo farlo in maniera più critica e responsabile.

Soprattutto perché le vacanze non devono trasformarsi in un incubo. Iniziamo con il pensare a cosa mettere a dura prova i nostri nervi: innanzitutto la corsa sfrenata ai regali che di solito si conclude il 24 dicembre tra file chilometriche e acquisti inutili. L’indecisione sul cosa comprare causa tensione, così come l’idea di dover trascorrere la vigilia con parenti non troppo simpatici.

Ancora, cene, cenette e cenoni: ma nelle vacanze non bisognava riposarsi? Pulire la casa, sistemare il tavolo, lavare i piatti, insomma il quadro sembra tutt’altro che idilliaco. Ma per fortuna esistono anche dei rimedi per evitare l’accumulo di stress.

Una mano in questo ce la dà Terenzio Traisci, ideatore dell’Ingegneria del Buonumore®, un metodo che ha come obiettivo proprio quello di creare dentro di sé uno stato d’animo in grado di gestire lo stress e le difficoltà.

Ecco qualche pillola per affrontare al meglio questo periodo.

Acquisire consapevolezza

Secondo Traisci bisogna capire da subito quali sono le proprie aspettative e averne consapevolezza.

“Parti da che idea di Natale – preferibilmente concreta e fattibile - vuoi trascorrere, perché quando dai al tuo cervello l’immagine, ricca di suoni e sensazioni che vuoi provare, questa diventa l’indirizzo preciso che metti nel tuo navigatore. Al contrario se l’immagine è uno dei punti precedenti da incubo, il tuo cervello, che è una macchina straordinaria, ti porterà proprio in quella direzione, anche perché è l’unica che gli hai dato”.

Ecco allora le domande da farsi: ‘Come voglio sentirmi in questo Natale?’ ‘Cosa posso fare di semplice per sentirmi così?’ . Importante: “Evita le frasi in negativo, perché il cervello le legge e le segue”.

Prendersi cura di sé

“Fatti un regalo, perché magari fai regali a tutti e ogni anno ti dimentichi della persona più importante, senza la quale non ci sarebbero regali per nessuno. Se prendersi cura degli altri ci rende felici e funziona, perché non dovrebbe funzionare con noi? Inoltre in uno stato d’animo migliore, affronterai anche meglio parenti e famigliari. Per prenderti cura di te, la cosa più semplice ed efficace è fare un po’ di esercizio fisico, proprio perché magari durante l’anno non è stato possibile. Magari abbiamo pagato la palestra, mantenendo un personal trainer a distanza, ma non ha funzionato per sentirci in forma”, scherza lo psicologo.


Chiedersi qual è il significato del Natale

"Programma in anticipo quando prendere i regali evitando di focalizzarti sulla fatica e sull’indecisione, che crea soltanto sensazioni negative e un blocco della creatività. Invece è utile ricordarsi del significato del regalo a quella persona, del significato del Natale per quella persona. Chiediti: fra tutti i significati del Natale, quale mi farebbe sentire meglio?”.

Secondo Traisci possiamo per esempio rispondere a queste domande:
Il fatto di poter fare un regalo utile, di soddisfare un bisogno di una persona cara?
Il fatto di poter trascorrere un po’ di tempo in famiglia, senza affanni?
Il fatto che anche i compiti delle vacanze fatti insieme ai figli, possono essere un’occasione per conoscerli meglio, per passare del tempo di qualità con loro, senza la stanchezza e la scarsa lucidità delle settimane lavorative?
Il fatto di poterti fermare un attimo a fiatare, a sistemare mente, cuore e casa, per ripartire con più pulizia, ordine e serenità?

“La verità è che il Natale è un po’ come la felicità, perché se siamo in buone condizioni fisiche, vi attribuiamo un significato positivo e ci focalizziamo sui lati più vantaggiosi per il nostro umore, allora diventa una bellissima meta a cui aspirare", conclude Traisci.

Buon Natale!

Scritto da Dominella Trunfio

Dal Sito: www.greenme.it

L’ansia da social network?


L’ansia da social network? Si chiama FOMO. E colpisce le persone insoddisfatte e con bassa autostima: ecco perché
Secondo i dati del Digital Global Overwiew, in media controlliamo lo smartphone 85 volte al giorno, anche quando non ci arriva una notifica. Visto mai fosse successo qualcosa nel frattempo. Secondo i ricercatori, le persone con alti livelli di FoMO tendono a controllare il telefono appena svegli, durante i pasti e prima di andare a dormire. Vi suona familiare?

Avete presente quella sottile sensazione di ansia che vi prende quando, controllando Facebook mentre siete al lavoro, vedete solo foto di viaggi, feste, concerti che vi siete persi? L’impressione che tutti si stiano divertendo tranne voi ha un nome:FOMO (o FoMO, a voler essere precisi) acronimo di Fear Of Missing Out. La paura di perdersi qualcosa. Il termine è stato coniato da Patrick McGinnis in un articolo apparso nel 2004 sulla rivista della Harvard Business School ed ha cominciato a circolare quando è stato usato da Caterina Fake, la co-fondatrice di Flickr. Ma la parola è diventata famosa in relazione ai social grazie ad un saggio del 2013, cofirmato da psicologi di varie università, in cui Andrew Przybylski definiva la FoMO come “la costante apprensione che altri stiano facendo esperienze positive dalle quali ci si sente esclusi, caratterizzata dal desiderio di stare continuamente connessi e informati su cosa stanno facendo gli altri”. Insomma, il motore immobile di tutti i social network.

Per come l’ha descritta McGinnis, la FoMO è antica come il mondo: è la sensazione che ovunque tu sia, qualunque cosa tu sia facendo, ci sia sempre qualcosa più divertente o più importante da qualche altra parte. In soldoni, è la consapevolezza che qualsiasi cosa ordini, il piatto del tuo commensale ti sembrerà molto più buono del tuo. Già era stressante immaginarselo, figuriamoci vederlo ogni volta che prendiamo in mano il telefono. Perché, come sottolinea Przybylski nel suo studio, i social network si basano tutti su questo principio: se ti succede qualcosa di bello, dillo a tutti. Il rovescio della medaglia è che online le vite degli altri sembrano perfette: Capodanno sulla neve, Ferragosto in barca, cene a lume di candela. E tu a casa, in ufficio o bloccato nel traffico.

Con tre diversi studi su scala internazionale, Przybylski ha dimostrato che la FoMO colpisce soprattutto persone insoddisfatte e con bassa autostima, che cercano conferme e contatti umani online: i social non sono il problema, ma alimentano il bisogno irrazionale di sbirciare le vite degli altri e confrontarle con la nostra. E cinque minuti dopo, controlliamo di nuovo. Secondo i dati del Digital Global Overwiew, in media controlliamo lo smartphone 85 volte al giorno, anche quando non ci arriva una notifica. Visto mai fosse successo qualcosa nel frattempo. Secondo i ricercatori, le persone con alti livelli di FoMO tendono a controllare il telefono appena svegli, durante i pasti e prima di andare a dormire. Vi suona familiare? È il motivo per cui il sabato mattina, ancora sotto le coperte, controlliamo le storie dei nostri amici su Instagram per vedere dov’erano mentre noi eravamo sul divano in pigiama a guardare la tv. È il motivo per cui andiamo in pausa pranzo con la forchetta in una mano e il cellulare nell’altra: giusto una scrollata alla home di Twitter per vedere cosa c’è in tendenza, di che si parla. Ed è anche il motivo per cui se ci si scarica il cellulare in treno, o se ci troviamo in un posto senza linea, diamo di matto. Chissà che ci stiamo perdendo. Probabilmente l’ennesima foto davanti allo specchio con l’hashtag #staserafacciolabrava: assolutamente nulla.


di Beatrice Manca

Dal Sito: www.ilfattoquotidiano.it

La salute va di corsa



Le tantissime motivazioni per cui fare jogging allunga
la vita, previene numerose malattie, rende più giovane
il cervello, libera dallo stress e fa dormire meglio

Dalla letteratura al cinema, dai videoclip alle grandi canzoni, l’idea della corsa si associa da sempre a quella della libertà, l’immagine più vicina a quella del desiderio icariano di volare. Non è uno, ma sono tantissimi i motivi del parallelismo tra il correre e il sentirsi vivi. La corsa, lo sforzo fisico, la soddisfazione mentale, producono effetti inimmaginabili sul nostro corpo e sul nostro spirito.

Innanzitutto, correre fa bene alla forma fisica: aiuta a tenere sotto controllo il proprio peso corporeo, dà resistenza e brucia calorie tenendo in equilibrio il metabolismo. Questa è forse la più conclamata tra le motivazioni che ci spingono a un’attività fisica costante. Scopriamo insieme quali sono le altre, forse più importanti, caratteristiche benefiche del running.

A livello chimico una sana corsetta aumenta la produzione di serotonina, il cosiddetto “ormone del buonumore” e provoca un notevole rilascio di endorfine. Addirittura si parla di “Runner’s High”, ossia lo sballo del corridore, perché correre per lunghe distanze causa un rilascio di endorfine così alto da indurre il corpo a una sensazione di euforia paragonabile a un’alterazione psichica da stupefacenti. Un antidepressivo del tutto naturale, che aumenta il rilassamento personale e migliora il sonno notturno. Inoltre è stato dimostrato come 20 minuti giornalieri di corsa combattano disturbi da ansia e panico, regolando il battito cardiaco (uno dei problemi di chi soffre di ansia) e contribuendo a mantenere il necessario equilibrio biologico.

A livello medico i vantaggi del fare jogging sono strabilianti. Numerosi studi hanno certificato come la corsa aiuti a prevenire alcuni tipi di tumore, altre patologie come il diabete, e riduca i livelli di colesterolo e di osteoporosi. Addirittura tra le sue proprietà c’è quella di riparare danni cerebrali e proteggere l’apparato visivo da malattie.

Uno degli studi più curiosi riguardanti i benefici della corsa è quello secondo cui l’attività ringiovanisca il cervello. Tra i 50 ai 69 anni correre almeno tre volte a settimana incentiva lo stesso cervello a produrre nuove cellule cerebrali. Alzi la mano chi non ha mai conosciuto corridori di una certa età che non fossero giovanili ed energici. Ecco, sembra una buona dimostrazione.

Una serie di argomentazioni scientifiche danno sostegno alla corsa come strumento di misura con se stessi, come prevenzione e come stimolo mentale. In realtà basterebbe molto meno per convincerci del suo valore: guardare l’espressione di infinita gioia stampata sul viso dei bambini quando, incapaci di mantenersi sul lento passo di una camminata, scoprono che correre è la cosa più vicina alla libertà.

lunedì 20 novembre 2017

Perché abbiamo bisogno di piangere?


Lungi dall'essere sinonimo di debolezza, il pianto ci aiuta a canalizzare e a liberare le tensioni e ha sul nostro organismo un effetto simile a quello degli analgesici.

Veniamo al mondo piangendo. Piangiamo tanto, a volte per tristezza, altre di felicità. Troppo spesso abbiamo bisogno di piangere, ma ci tratteniamo dal farlo perché pensiamo che in questo modo saremo più coraggiosi o perché, comunque, non viene ben visto lasciarsi andare in questo modo.

Tuttavia, questo modo di “scaricarsi” è essenziale per esprimerci, per andare avanti o per dimostrare come ci sentiamo. In questo articolo vi raccontiamo perché abbiamo bisogno di piangere di tanto in tanto.

Il bisogno di piangere profondamente per liberarci

Le lacrime sono uno strumento usato per vari fini: per scaricare la tensione o per attirare l’attenzione, per dare sfogo alla nostra tristezza o alla delusione, per ricordarci di qualcosa che è successo in passato, ecc. Può anche essere una reazione fisica istintiva, come quando starnutiamo, soffriamo di allergie o ridiamo a crepapelle.

Piangere ci fa sentire meglio, più tranquilli e può aiutarci ad essere coscienti di cose che non vedevamo o che non volevamo vedere.

Certamente ricorderete una di quelle volte in cui avete pianto “con tutte le vostre forze” e dopo vi siete addormentati di sasso oppure siete usciti dall’angolo in cui vi eravate rifugiati per svolgere qualche attività. Perché? Perché il pianto serve per togliersi un gran peso dalle spalle.

Esistono persone in grado di piangere, ma ce ne sono altre che non riescono a farlo così facilmente. Quando siamo piccoli, veniamo spesso rimproverati quando piangiamo, perché ci viene detto che è una cosa da deboli, da capricciosi o da viziati.

Si tratta di una cosa che rimane incisa nella nostra mente e per questo, a volte, non ci consentiamo di piangere quando ne abbiamo bisogno.Controllare troppo le emozioni (negandole o camuffandole con sorrisi falsi) è dannoso per la salute.

Se il corpo accumula troppe sensazioni negative, non solo si generano depressione, tensione e stress, ma è anche probabile che ciò influisca sul carattere o la personalità. Maggiore irritabilità, cattivo umore e nervosismo sono alcuni segnali.

Non dimenticate che da qualche parte l’organismo deve pur espellere tutto ciò che fa male e provoca sofferenza. Un giorno non riusciremo più a trattenere queste lacrime e la tristezza sfocerà in un pianto senza precedenti o in un attacco d’ira.

Per quanto riguarda le sofferenze di natura fisica causate dall’assenza di pianto, citiamo il mal di testa o di collo, il mal di stomaco e la nausea. Le difese diminuiscono e saremo più propensi a soffrire di malattie di qualsiasi tipo.

Le emozioni contenute, inoltre, bloccano il flusso di energia e anche questo influisce sulla salute.

Il pianto profondo è un eccellente metodo naturale per sfogare le nostre pene e per capire di più sulle cause del nostro dolore e della nostra tristezza. Ciò non significa che dobbiamo sperare di accumulare tutti questi sentimenti negativi, ma solo che dobbiamo conoscere il modo di lasciare andare tutto ciò che ci danneggia.

Oggi siamo tutti troppo occupati per comprendere a fondo cosa ci succede. Non ci prendiamo il tempo di analizzare le emozioni quotidiane e prendere decisioni profonde ci risulta particolarmente difficile.

Se siamo impegnati tutto il giorno, non riusciremo mai a piangere e a buttare fuori tutta la negatività.

Forse potreste approfittarne mentre fate la doccia o quando andate a dormire. Questo non vi trasformerebbe in autentici depressi cronici, ma in persone che sanno canalizzare i loro dolori in modo positivo. Dopo, vi sentirete certamente bene, leggeri e dotati di molta energia per andare avanti.

Se per voi piangere è molto difficile, non preoccupatevi. Succede a molti. Avrete bisogno di sensibilizzarvi un po’ e prendervi il vostro tempo. Potete mettere un po’ di musica, leggere qualcosa o vedere uno di quei film che richiedono una buona scorta di fazzolettini.

Non starete piangendo per il protagonista o per la storia in sé, si tratta solo di un meccanismo interessante che ci permette di sprigionare ciò che abbiamo accumulato dentro di noi nel tempo.

Sapevate che esiste un punto all’altezza della gola che, se premuto, attiva il pianto? Potete anche provare respirando profondamente. Per molti questa tecnica aiuta.
Il pianto è un calmante naturale

Abbiamo già parlato dell’area “spirituale” dell’atto di piangere, ma abbiamo detto poco sulle sue conseguenze. Sono stati condotti diversi studi per analizzare il perché dopo aver pianto molto ci si sente più tranquilli.

Se il pianto deriva dal dispiacere, il liquido salato (ovvero le lacrime), invece, hanno la capacità di pulire il dotto lacrimale degli occhi e di idratare i globi oculari in modo naturale. A cosa serve ciò? Né più né meno che a sprigionare gli ormoni del benessere.

Quando siamo stressati, ci sono più possibilità di finire per piangere. Questo si deve a una ragione scientifica più che convincente: espellendo le lacrime, eliminiamo ossitocina, noradrenalina e adrenalina. Questi elementi hanno sul corpo gli stessi effetti di un analgesico.

Gli ormoni fissano la loro attenzione su ciò che proviamo, per questo motivo, dopo un gran pianto, ci sentiamo meglio. Come se non bastasse, gli esperti sostengono che piangere faccia diminuire l’angoscia e che favorisca il rilassamento.
Piangere e ridere danno gli stessi benefici?

Ridere e piangere sono due esperienze particolarmente presenti nella nostra vita. Se le analizziamo a livello fisico, si tratta di fenomeni abbastanza simili. Perché? Perché modificano la respirazione e la pressione sanguigna.

Se ridiamo un’ora al giorno, perdiamo ben 14 grammi di grasso. Forse potrà sembrarvi poco, ma se li sommate in un anno avrete perso ben 5 chili. E questo non è l’unico beneficio, infatti ridere fa aumentare l’autostima, ritarda l’invecchiamento ed elimina lo stress e le tensioni.

Il pianto riesce esattamente in quest’ultima cosa. La medicina ippocratica lo considerava un “purgante per gli umori”. Nell’arco della storia, è stato poi mal interpretato come segno di debolezza e poca integrità.

Questo però non è vero. Riempite la vostra vita di risate, ma anche di pianti!

Dal Sito: viverepiusani.it

Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/tag/depressione/

6 cose da fare subito quando hai un attacco di panico



Il cuore sembra impazzito e l'aria all'improvviso comincia a mancare: c'è un modo per stare meglio?

Gli attacchi di panico sanno davvero metterti al tappeto. Stai benissimo e, tutto d'un tratto, ti senti sopraffatta dalla paura. Ognuna reagisce a modo proprio, c'è chi ha bisogno d'aria, chi del contatto fisico e chi ha bisogno di ricordarsi di fare respiri profondi. Per quanto fastidiosi siano, gli attacchi di panico non sono assolutamente da condannare e sottovalutare. Tu vai bene così come sei, devi però impegnarti per sconfiggerli.

Essere te stessa è un importante passo avanti e il percorso da fare è lungo e necessario: ecco delle cose che puoi fare immediatamente, così da essere più tranquilla.


1. Inspira dal naso ed espira dalla bocca

Immagina che l'aria che immetti dentro sia bianca, pura, buona, e quella che butti fuori nera, cattiva, da scacciare. Quest'ultima è esattamente la paura che esce da te. In effetti, gli attacchi di panico sono la manifestazione di qualche spettro che, volente o nolente, ci portiamo dentro. Il nostro corpo ci fa capire che qualcosa non funziona e, per farlo, rende il nostro cuore un velocista, ci appanna la vista, ci fa fluttuare in un universo distante dal nostro.
Può darsi che tu riesca a controllarli però, se dovessero persistere, non prenderli sotto gamba: rivolgiti ad uno specialista.

2. Parla

Con chi ti sta accanto in quel momento, con un passante, con un negoziante. Parlare ti farà prendere contatto con la situazione che realmente ti circonda. Questo perché spesso succedono cose che non ti piacciono, tieni tutto dentro e rimane lì intrappolato. Avere questo atteggiamento, purtroppo, non è un gran punto di partenza, soprattutto se sei una persona naturalmente ansiosa.
Se il tuo ragazzo si presenta con 40 minuti di ritardo e non ha nemmeno l'accortezza di avvisare, non sei tu che sei paranoica, è lui che potrebbe applicarsi di più. In generale, dì ad alta voce quello che non ti piace. Magari non stravolgerà le cose ma, di certo, ti sentirai meglio.

3. Scrivi, canta e disegna

Vedere fuori di te quello che ti sta tormentando può essere davvero d'aiuto. Scrivi come ti senti, dipingi sogni e paura, canta per scaricare la tensione. Sembrerà una follia, soprattutto se pensi a quei momenti durissimi, ma è un modo efficace per portare la mente altrove.

4. Conosci te stessa e immagina quel che accadrà dopo

Questo è il motto scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi e non esiste al mondo niente di più vero. Il trucco sta nel conoscere quello che sta per succedere perché, come noto, troviamo conforto nelle cose che sono per noi familiari. Sai cosa accadrà e sai che per qualche minuto sembrerà la fine del mondo ma sai anche che, effettivamente, non sarà così. Prenditi il tuo tempo e immagina. Ti mancherà il fiato, forse ti girerà la testa ma, in men che non si dica, tornerai ad essere te stessa. Forse una versione un po' traballante, ma starai bene e sarai tu.

5. "Resta con te"

Ci sono persone che si affidano ad un mantra da ripetere nei momenti di bisogno, frasi semplici su cui concentrarsi e da ripetere (quasi) all'infinito, finché tu e la situazione non sembrate calmarvi. Altre invece si sentono meglio recitando una vecchia poesia imparata da bambine. Trova delle parole a cui vale la pena aggrapparsi e cerca di essere la tua àncora di salvataggio. Parlarne con qualcuno fa bene però purtroppo, durante un attacco di panico, non sempre abbiamo la fortuna di non essere sole.

6. Gioca a "se fosse..."

Ormai l'hai capito, durante un attacco di panico è importante tenere la mente occupata.
"Se fosse" è un gioco semplicissimo che spesso i genitori fanno in macchina con i bambini e che, al trentaduesimo "quanto manca" devono necessariamente inventarsi qualcosa. Pensa a qualcuno, a te, ad un'amica, a tua madre, e immaginala in vesti diverse. Chi sarebbe se fosse una cantante, quale sarebbe se fosse un colore, che gusto avrebbe se fosse un dolce... ti aiuterà a superare il peggio!

Gli attacchi di panico sono fastidiosi e difficili da spiegare ma non lasciare che loro ti definiscano: sei circondata da persone pronte ad aiutarti, devi solo chiedere.
Prova a rilassarti e... cerca di essere felice. Te lo meriti!




Dal Sito: www.alfemminile.com

Ansia e panico: come curarli


Maggiormente diffusi tra le donne, possono manifestarsi in qualunque istante della vita modificandone la qualità

Ansia e panico sono solo alcune delle parole abusate al giorno d’oggi nel linguaggio comune, ma solo chi ne soffre ne conosce davvero il significato. L’ansia o il panico sono tirati in ballo per descrivere situazioni difficili o persone particolarmente apprensive, ma nella realtà identificano sintomatologie ben precise e riconoscibili. Le più diffuse sono:

- Indolenzimenti e contratture muscolari

- Tachicardia e palpitazioni

- Sensazione di soffocamento

- Mal di testa

- Sudorazione eccessiva

- Tremore muscolare

- Disturbi gastrointestinali

- Irritabilità

- Parestesie locali

Si tratta di manifestazioni che inizialmente vengono recepite, da chi le prova, come esclusivamente fisiche. Insorgono in maniera così apparentemente improvvisa e “fisica” che, almeno inizialmente, si cerca di individuare una causa patologica che spieghi tali disturbi. In genere, dopo le prime visite e analisi (risonanze, esami neurologici, ecc…) si scopre di non avere alcun tipo di patologia scatenante.

E così, comincia la fase più difficile: il doversi confrontare più o meno frequentemente con le sensazioni spiacevoli tipiche delle crisi di ansia generalizzata o di crisi di panico senza che vi sia una causa patologica individuabile e, dunque, curabile velocemente, rende il soggetto coinvolto estremamente vulnerabile e fragile, oltre a fargli provare uno stato profondo di smarrimento e, spesso, di depressione. L’ansia comincia a creare un circolo vizioso di fobie e “paura della paura”, ovvero il timore di riprovare le stesse sensazioni spiacevoli che, inevitabilmente, innescano un avvitamento della persona fino, nei casi peggiori, a provocare un cambiamento nettamente peggiorativo dello stile di vita.

In aggiunta, occorre sottolineare come, in genere, il soggetto che soffre di disturbi di ansa non si sente pienamente compreso da chi gli sta intorno, poiché è difficile, per chi non lo prova o non lo ha provato, comprendere fino in fondo l’entità del disagio.

Dunque, spesso è difficile ottenere il giusto sostegno o aiuto da parte di chi vive accanto. Inoltre, i disturbi di ansia o di panico “celano”, nella maggior parte delle volte, dei conflitti interiori che vengono esternalizzati e camuffati sotto forma di disturbi di ansia o panico. E quindi, è difficile risalire alle cause dei propri disagi psicologici. La vita frenetica, gli stress lavorativi e familiari, la carriera, la corsa nell’affrontare gli impegni, la complessità delle relazioni personali…sono tutti fattori scatenanti. Le persone soggette ai disturbi di ansia sono sempre più in aumento tanto che il disturdo d’ansia generalizzata potrebbe essere definito come la malattia del secolo.

Per tutti questi motivi, nel caso di disturbi di ansia generalizzata o di crisi di panico, è consigliabile affidarsi il prima possibile a uno psicologo esperto in grado di fornire, non solo gli strumenti per affrontare nel breve le eventuali crisi che dovessero insorgere, ma soprattutto per risolvere il problema nel lungo periodo. Solo con una terapia cognitiva-comportamentale è possibile scavare a fondo nel proprio essere e far riemergere le reali cause e conflitti interiori che sono alla base dei disturbi di ansia e panico al fine di una loro risoluzione.




Dal Sito: www.prontoprofessionista.it

martedì 7 novembre 2017

Ansia e paura


Utilizziamo continuamente le parole ansia e paura con una certa leggerezza. Spesso per parlare di una stessa situazione o esperienza, ma conosciamo realmente la differenza tra questi due termini?

Paura

La paura è una delle emozioni basiche per eccellenza, necessarie molto spesso in diverse occasioni. Tutti in diversi momenti della vita abbiamo provato questa emozione con maggiore o minore intensità. Tuttavia, quando la sperimentiamo?

La paura si attiva di fronte alla presenza di una minaccia, che può essere una percezione o un’interpretazione di pericolo per il nostro benessere fisico o psicologico. Solitamente si presenta di fronte ad un pericolo reale, presente ed imminente, anche se gli studiosi sostengono che si prova paura anche verso i pericoli immaginari.

In qualsiasi caso, il denominatore comune di tutto questo è dato dalla capacità di mettere in funzione il comportamento d’emergenza dell’individuo che lo sperimenta, in modo da far scattare l’attivazione necessaria per evitare o fuggire dalle situazioni che la generano. La maggior parte delle volt,e le nostre paure sono passeggere, perché non suppongono un problema importante per la nostra vita, però le forme di risposta emotiva alla paura possono alterare in forma significativa le nostre abitudini di vita.

Grazie all’intervento della corteccia prefrontale, prendiamo coscienza della sensazione di paura, e possiamo interpretare la situazione in maniera corretta, sovrainterpretarla o malinterpretarla, a seconda di come valutiamo la situazione nella quale ci troviamo. Quando proviamo paura, quindi, si attivano due considerazioni importanti: la perdita e l’immediatezza, che determinano il nostro comportamento.

Le risposte e le strategie che adottiamo dipendono dalle nostre convinzioni e aspettative di come affrontare la paura e possono essere attive (affrontare) o passive (evitare o fuggire). Quanto più saremo convinti, tanto più saranno efficaci le nostre abilità e i nostri mezzi per regolare questa emozione. Se la paura non viene controllata in modo adeguato, infatti, ci creerà sfiducia, preoccupazione e malessere.

Ansia

L’ansia è relazionata agi avvenimenti che dovranno succedere, ovvero quando stiamo aspettando che qualcosa succeda e prevediamo gli effetti negativi che questo qualcosa produrrà. Ci fa oscillare, come la paura, tra l’accettazione e l’incapacità.

La funzione dell’ansia, quindi, sarà di attivarci davanti all’aspettativa di un possibile pericolo, facendoci capire in modo selettivo o amplificando le informazioni che sono considerate minacciose, e non dando peso al resto delle condizioni stimolanti che consideriamo neutre.

Possiamo quindi fare una chiara distinzione tra paura e ansia, e si tratta della certezza della presenza dello stimolo, essendo chiara nel caso della paura e confusa e imprecisa nel caso dell’ansia. Quando proviamo ansia, sperimentiamo una grande preoccupazione prodotta dall’anticipazione degli effetti negativi di una situazione futura e questo può determinare in molti casi la salute mentale di un individuo.

Come tenerle sotto controllo

Come abbiamo già detto, la paura è relazionata alla valutazione di un pericolo imminente, mentre l’ansia con l’aspettativa di qualcosa che succederà nel futuro.

Entrambe le risposte smettono di essere normali quando superano i nostri limiti di tolleranza, quando perdiamo il controllo e quando si produce continuamente un rifiuto agli stimoli che interferisce con il funzionamento dell’individuo stesso.

In questo tipo di situazioni una delle raccomandazioni è quella di intraprendere un processo di disattivazione, poiché il nostro cervello tende a ripetere le risposte emotive positive o negative di fronte alle situazioni che consideriamo particolarmente importanti.

Per questo, dobbiamo imparare a disconnettere, ad eliminare il collegamento esistente tra l’ansia o la paura e le situazioni per ottenere risposte che ci permettono di adattarci meglio. Possiamo utilizzare tecniche di rilassamento e respirazione per esempio, oltre ad informarci sul funzionamento del nostro cervello e ad arrivare a capirlo. In questi casi è di grande aiuto l’intervento di un professionista. Questi ci aiuterà a capire le associazioni che facciamo delle valutazioni negative sotto forma di preoccupazioni, e anche la differenza tra preoccuparci di qualcosa o occuparsi solo di quel qualcosa e di come le valutazioni che realizziamo siano associate alla paura, a sua volta associata all’aspettativa dell’arrivo di un pericolo imminente.

Ogni caso è differente, per cui un esperto utilizzerà metodi e tecniche differenti a seconda dell’individuo che si troverà davanti.

Dal Sito: lamenteemeravigliosa.it

Psicoterapia: 5 luoghi comuni da sfatare



Andare in psicoterapia è ancora oggi una scelta circondata da tanti luoghi comuni che possono purtroppo allontanare da un percorso di questo tipo e lasciare una persona in balia della sua sofferenza psichica.

1. In psicoterapia ci vanno i pazzi.

Bisognerebbe innanzitutto capire cosa si intenda per pazzia ma questo comporterebbe una riflessione un po’ troppo ampia. Più modestamente, può essere utile ricordare che uno studio di qualche anno fa, il progetto europeo ESEMeD, ha stimato che almeno un italiano su cinque soffre, nel corso della sua vita, di un qualche disturbo mentale. Più di otto milioni e mezzo di persone. Sono pazze?

Forse è più conveniente pensare che, nella vita, può capitare a tutti di stare male, di soffrire di depressione o ansia o, mettendo da parte etichette diagnostiche, di essere litigiosi col partner o coi figli a un punto tale che la vita diviene impossibile.

Probabilmente sarebbe invece più utile chiedere aiuto e decidere di affrontare un cambiamento. Fare una psicoterapia significa voler stare meglio. È una scelta di salute che permette di conoscersi meglio, mettere a fuoco le proprie risorse, affrontare in modo più adeguato le proprie tensioni, l’infelicità, l’insicurezza. Ed è un percorso che le ricerche hanno dimostrato essere efficace.

2. Parlare con un amico è la stessa cosa che parlare con uno psicoterapeuta.

La differenza c’è e gli amici non possono essere considerati come sostituti di un terapeuta, sebbene il loro sostegno sia di fondamentale importanza nella vita di ciascuno di noi. Uno psicoterapeuta mette al servizio del paziente le sue competenze per aiutarlo a considerare i suoi pensieri e le sue emozioni da altri punti di vista e a costruire nuovi modi di gestire situazioni problematiche e dolorose.

Uno psicoterapeuta non è semplicemente un professionista che ascolta in modo empatico. È anche un professionista che ha alle spalle anni di formazione e che impiega metodi e tecniche che poggiano su basi scientifiche.

3. Lo psicoterapeuta ti dice cosa fare.

Uno psicoterapeuta non dà consigli né fornisce soluzioni. È una guida che facilita l’esplorazione di se stessi e la scoperta e l’utilizzo delle proprie risorse. Ogni psicoterapeuta fa questo seguendo un suo metodo; ogni persona seguendo i propri tempi e i propri talenti. Come nel proverbio cinese Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.

4. Se uno prende i farmaci, è inutile che faccia una psicoterapia.

I farmaci intervengono esclusivamente sui sintomi e non risolvono il problema di fondo. I farmaci di per sé non costruiscono nuovi modi di essere. Possono però essere un importante supporto parallelo a una psicoterapia: ad esempio, possono placare un’ansia troppo forte mentre contemporaneamente, nelle sedute di psicoterapia, si cerca di capirne il senso e di individuare strategie per gestirla meglio.

5. È meglio uno psicoterapeuta uomo o uno psicoterapeuta donna?

È uguale. La ricerca scientifica non ha indicato alcun legame tra efficacia di una psicoterapia e sesso dello psicoterapeuta. Ciò non toglie che vi possano essere delle preferenze personali e che, ad esempio, una donna abusata dal padre si senta più a suo agio nel parlare con uno psicoterapeuta donna.


Dal Sito: www.quipsicologia.it

Ipocondria (disturbo d’ansia per la salute)


Che cos'è l'ipocondria

L'ipocondria o disturbo d’ansia per la salute è una condizione di disagio caratterizzata da una preoccupazione eccessiva e infondata riguardo la propria salute, tanto che qualsiasi sintomo fisico, anche lieve, viene interpretato come segno di patologia. Chi presenta questo disturbo viene solitamente considerato “malato immaginario” o ipocondriaco, a causa delle sue convinzioni infondate di essere malato.
La prevalenza dell'ipocondria comprende tra l’1,3 % ed il 10% della popolazione, mentre considerando le persone ricoverate in ambulatori medici le percentuali vanno dal 3 all’8 % (Fonte: DSM – 4, 2000). Non si riscontrano differenze tra maschi e femmine nella presenza del disturbo.


Sintomi dell'ipocondria

Per una corretta diagnosi del disturbo d’ansia per la salute è necessario riscontrare la presenza di alcuni tratti specifici:
Preoccupazione di avere o contrarre una grave malattia.
I sintomi somatici non sono presenti o, se presenti, sono di lieve intensità. Se è presente un’altra condizione medica o vi è un rischio elevato di svilupparla, la preoccupazione risulta eccessiva o sproporzionata.
È presente un elevato livello di ansia riguardante la salute e un alto livello di allarme su questi temi.
L’individuo attua eccessivi comportamenti correlati alla salute (come controllare di continuo il proprio corpo alla ricerca di segni di malattia) o presenta un evitamento che potrebbe danneggiare la sua vita quotidiana (evita visite mediche e ospedali).
La preoccupazione per la malattia è presente da almeno 6 mesi, anche se la specifica patologia temuta può cambiare nel corso di questo lasso di tempo.

I comportamenti correlati all'ipocondria

Si evidenziano due tipi di comportamenti tipici, opposti tra loro, che si presentano qualora si soffra di ipocondria:
Eccessiva richiesta di assistenza medica.
Evitamento dell’assistenza medica.

Il disturbo ipocondriaco infatti può portare una persona ad allarmarsi al punto da voler controllare ogni minimo sintomo fisiologico, con la speranza di prevenire le malattie. Viceversa tale preoccupazione può venire volontariamente evitata, per timore di scoprire una grave patologia.
È tipico delle persone che sperimentano il disturbo rivolgersi sempre a centri per la salute fisica, risultando sani a tutti i controlli. Alcuni medici possono reagire negativamente, a causa dell’insistenza nelle richieste dei pazienti, creando incomprensioni. Viceversa i pazienti possono aumentare il loro livello di ansia se i medici sono interessati al loro caso e vogliono approfondire le visite.


Ipocondria e altri disturbi

Per diagnosticare correttamente l'ipocondria è necessario differenziarla da altri disturbi affini. In molte condizioni mediche, per esempio, quando una persona è affetta da una malattia, è normale manifestare uno stato d’ansia. Tuttavia se quest’ansia è sproporzionata rispetto alla gravità della malattia e non si limita nel tempo (ma supera i 6 mesi), può essere diagnosticato il disturbo d’ansia per la salute.

Nel Disturbo da sintomi somatici sussiste una sintomatologia fisica concreta e ben individuabile nel paziente, mentre nel Disturbo d’ansia da malattia i sintomi sono minimi ed è la preoccupazione del paziente ad essere rilevante.

In altri disturbi d’ansia, quali Ansia Generalizzata e Attacchi di Panico, le preoccupazioni sono generali o legate strettamente a ciò che scatena l’attacco, mentre nel Disturbo d’Ansia da malattia il contenuto della preoccupazione riguarda esclusivamente la salute.

Nel Disturbo ossessivo-compulsivo i pensieri possono riguardare la salute, ma risultano intrusivi e riguardano il timore di contrarre una malattia futura, mentre l’ansia da malattia riguarda la situazione presente. Inoltre nell’ipocondria non si riscontrano ossessioni e compulsioni.
Anche nel Disturbo depressivo maggiore possono essere presenti preoccupazioni circa il proprio stato di salute o l’insorgenza di malattie, tuttavia tali pensieri sono legati agli episodi depressivi e mancano della continuità tipica del disturbo ipocondriaco. È possibile diagnosticare entrambi i disturbi nel caso tale continuità sia invece presente.

Infine a differenza dei Disturbi psicotici, nel Disturbo d’ansia per la salute non sono presenti idee deliranti: la persona è consapevole che la malattia che teme non è presente, ma ne avverte comunque i sintomi, mentre lo psicotico è fermamente convinto della presenza della sua malattia immaginaria. Inoltre nei disturbi di tipo psicotico le idee sono esagerate e bizzarre, mentre nell'ipocondria non si sviluppano credenze estremamente distorte.

Esordio e decorso dell'ipocondria

L’esordio e il decorso del Disturbo d’ansia da malattia sono poco definiti. In generale si presenta la prima volta nei giovani adulti e permane fino alla mezza età; sembra essere una condizione pervasiva se non avviene un intervento di cura. Vi è un aumento dell’ansia collegato all’avanzare dell’età, mentre nell’infanzia il disturbo è molto raro.

Cause dell'ipocondria

La causa del disturbo può essere identificata su più fronti, molti dei quali sono tuttora indagati. Tuttavia un singolo evento traumatico (come una malattia che mette a repentaglio la vita dell’individuo) può scatenare la comparsa del disturbo. Anche un’infanzia difficile o traumatica può predisporre una persona a sviluppare tale disturbo. Circa un terzo delle persone affette da ansia da malattia possono manifestare una forma più lieve di ipocondria, ma comunque da analizzare e tenere sotto controllo.

Costrutti psicopatologici caratteristici dell'ipocondria

Il Disturbo d’ansia da malattia può costringere la persona che ne è affetta a continue visite mediche, anche molto approfondite, per verificare la fondatezza dei sintomi che percepisce. Un riscontro negativo da parte del medico non arresta il comportamento del paziente, che continua a chiedere attenzione sulle sue presunte malattie. Tali convinzioni possono far sì che la persona si limiti nella vita di tutti i giorni: chi crede di essere malato si comporta ben diversamente da chi si considera sano. Possono risultare compromesse le relazioni interpersonali, il lavoro e i rapporti familiari.

Il trattamento dell'ipocondria

La terapia per il Disturbo d’ansia da malattia è di tipo farmacologico, psicoterapeutico o un’integrazione dei due. L’approccio farmacologico è utile per alleviare i sintomi o per meglio controllarne alcune fasi più acute, o come supporto alla psicoterapia. È da considerare che, per la natura del disturbo, una persona potrebbe rifiutarsi di assumere i farmaci per paura di ammalarsi o di avere danni alla salute, dato che il contesto medico può allarmare chi soffre del disturbo.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è ritenuta a oggi la forma di intervento più efficace per affrontare con successo il Disturbo d’ansia da malattia. (Fonte: National Institute for Health and Clinical Excelence, NICE, 2011).
Chi soffre di ipocondria interpreta erroneamente le sue sensazioni corporee e ve ne attribuisce una pericolosità esagerata rispetto alla realtà. L’intervento di psicoterapia cognitivo-comportamentale è volto a sostituire l’idea che i sintomi sperimentati siano generati da una grave malattia, costruendo un’ipotesi alternativa, più adeguata e vicina alla realtà. Se i pazienti sono riluttanti ad affidarsi a un percorso di psicoterapia è utile agire con un intervento psicoeducativo (un passaggio intermedio) che meglio delinei sia la situazione della persona che si rivolge al terapeuta, sia gli obiettivi della terapia stessa. Evidenze da studi scientifici (Fonte: Lukens & McFarlane, 2004) confermano l’efficacia dell’intervento psicoeducativo, in particolare se eseguito in gruppo. Il paziente, intrapresa la psicoterapia, viene guidato attraverso un percorso atto a renderlo maggiormente consapevole dei suoi processi mentali, dei meccanismi che governano il suo comportamento. Con l’aiuto del terapeuta vengono individuati i circoli di mantenimento del disturbo e le sue ripercussioni su aspetti comportamentali, con un graduale miglioramento della qualità della vita, fino a quel momento compromessa dal timore di avere una grave malattia.

Dal Sito: studicognitivi.it

Bolo Isterico (nodo alla gola)


Generalità

Il bolo isterico - anche definito "nodo alla gola" - è una condizione clinica nella quale il paziente percepisce una sensazione di corpo estraneo a livello della gola. Tale sensazione può inficiare notevolmente sulla qualità della vita dell'individuo, poiché può rendere difficoltosa la deglutizione.




Se la manifestazione del bolo isterico si presenta come singolo episodio, può essere sufficiente tenere sotto controllo il sintomo senza preoccuparsi eccessivamente. Nel momento in cui questo disturbo si presenta in maniera costante, è invece bene rivolgersi al proprio medico ed, eventualmente, effettuare una visita medica specialistica dall'otorinolaringoiatra.

Cause

Generalmente, il bolo isterico viene percepito dal paziente come la sensazione di avere un nodo alla gola, anche se non vi sono vere e proprie condizioni patologiche a provocarlo.
Molto spesso, l'origine del bolo isterico risiede in una causa di tipo psicologico e rappresenta il sintomo di disturbi ansiosi e depressivi, dato che nulla sta realmente ostruendo la gola.
In alcuni casi, invece, la sensazione di corpo estraneo nella gola può essere provocata da secchezza delle fauci e da frequenti deglutizioni derivanti da stati di stress emotivo, come può accadere in caso di angoscia.
Le cause esatte dell'insorgenza del bolo isterico, pertanto, sono ancora sconosciute, ma alcuni autori affermano che la comparsa di questo disturbo posa correlarsi a un'anomala motilità esofagea, o a un'elevata pressione a livello dello sfintere esofageo superiore.
In altri casi, invece, il bolo isterico non costituisce una sensazione di natura puramente psicologica, bensì il sintomo o la manifestazione clinica di altre malattie. Fra queste patologie, ricordiamo: il reflusso gastroesofageo, gli spasmi esofagei, l'acalasia esofagea, le discinesie idiopatiche, i disturbi neuromuscolari (come, ad esempio, la miastenia gravis) e le neoplasie benigne o maligne della faringe e dell'esofago. Tuttavia, in questi casi, più che di bolo isterico, si preferisce parlare di bolo ipofaringeo.

Diagnosi

La diagnosi del bolo isterico è uno strumento fondamentale per escludere l'eventuale presenza di altre patologie anche molto gravi, quali, ad esempio, i tumori dell'esofago e della faringe.
Dopo un'attenta valutazione dei sintomi effettuata tramite il colloquio con il paziente, il medico può eseguire la palpazione del collo e della gola per verificare la presenza o meno di rigonfiamenti e/o noduli. Inoltre, solitamente, l'otorinolaringoiatra analizza il tratto orofaringeo attraverso l'utilizzo di appositi endoscopi, in modo tale da individuare la presenza di eventuali patologie.

Sintomi

Il bolo isterico consiste nella percezione di un senso di ostruzione alla gola, che sembra essere provocato dalla presenza di un corpo estraneo. Spesso e volentieri, questa sensazione è accompagnata da un'intensa preoccupazione da parte del paziente, che teme che il disturbo possa essere scatenato da gravi patologie. In realtà, nella maggior parte dei casi il problema è di tipo psicologico e l'intensità del fenomeno tende ad aumentare con l'aumentare della preoccupazione dello stesso paziente. Naturalmente, ciò non toglie che l'origine del disturbo debba sempre essere indagata in maniera adeguata con il supporto medico.
Il principale sintomo correlato al bolo isterico consiste nella difficoltà di deglutizione che, talvolta, potrebbe risultare anche dolorosa.

Quando preoccuparsi?

Come accennato, il bolo isterico è un disturbo che nella maggior parte dei casi si rivela correlato a stati ansiosi o a stress emotivi del paziente. Ciò nonostante, non dev'essere trattato con superficialità, soprattutto quando si manifesta in maniera costante nel tempo.
Si consiglia di consultare immediatamente un medico quando si manifestano sintomi, quali:
Presenza di una massa palpabile e/o visibile a livello della gola;
Difficoltà di deglutizione accompagnata da dolore e sensazione di soffocamento;
Mal di gola e/o dolore al collo;
Anoressia;
Perdita di peso corporeo;
Peggioramento graduale dei sintomi.

Trattamento

Purtroppo, al momento non esiste alcun farmaco in grado di contrastare il bolo isterico. Il compito del medico, pertanto, è quello di individuare qual è il fattore scatenante il disturbo e indirizzare il paziente verso il trattamento e il controllo dei sintomi.
Alla luce di quanto appena detto, se ad esempio il bolo isterico è dovuto a condizioni depressive, ansiose o di stress emotivo, la strategia terapeutica dovrà basarsi sulla cura di questi disturbi.
Nel caso in cui il bolo isterico sia provocato da gravi stati di ansia e depressione - oltre a una terapia farmacologica mirata con farmaci antidepressivi e ansiolitici - il medico, se lo ritiene necessario, può consigliare al paziente di ricorrere anche alla psicoterapia.

Dal Sito: www.my-personaltrainer.it

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/benessere/bolo-isterico.html

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/benessere/bolo-isterico.html

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/benessere/bolo-isterico.html

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/benessere/bolo-isterico.html


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2017/09/manipolazione-psicologica/


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2016/03/depressione-sintomatologia-prevalenza-cause/

Uso di cannabis e insorgenza di disturbi psichiatrici: quale relazione?


Psicosi da cannabis, depressione e attacchi di panico: questi sono, secondo ricerche condotte su adolescenti, i disturbi dovuti all'ultilizzo di cannabis.

Alcuni studi che hanno esaminato gli effetti del consumo di cannabis negli adolescenti hanno rilevato una forte correlazione tra uso di cannabis e l‘insorgenza di molti disturbi psichiatrici, come la psicosi da cannabis, la depressione e gli attacchi di panico.

Questi disturbi possono insorgere a causa di uno specifico effetto farmacologico della cannabis, o come risultato delle esperienze stressanti vissute durante l’intossicazione da cannabis. Si è rilevato, inoltre, che tra i consumatori di cannabis vi è un alto rischio di insorgenza di ideazione suicidaria e di tentativi di suicido.

Secondo dati provenienti da indagini condotte sulla popolazione, in media il 31,6% dei giovani adulti europei (15-34 anni) ha utilizzato la cannabis almeno una volta nella vita, mentre il 12,6% ne ha fatto uso nell’ultimo anno e il 6,9% nell’ultimo mese. Una percentuale ancora più alta di europei appartenenti alla fascia dei 15–24 anni ha utilizzato la cannabis nell’ultimo anno (15,9%) o nell’ultimo mese (8,4%) (Osservatorio Europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, 2010).

Il consumo di cannabis è stato associato ad un aumento del rischio di insorgenza di disturbi psichiatrici. In uno studio longitudinale condotto in Svezia su 50.465 maschi svedesi, ad un follow up condotto dopo 15 anni, si è rilevato che coloro che avevano cominciato a consumare cannabis
a 18 anni avevano una probabilità due volte e mezzo maggiore, rispetto ai non consumatori, di essere diagnosticati schizofrenici (Andreasson et al., 1987).

Secondo i risultati di uno studio condotto in Bosnia-Erzegovina (Licanin et al., 2002) l’ abuso di sostanze è risultato molto più alto tra gli adolescenti delle aree urbane (con tassi del 62,4% per l’abuso di alcool e del 70,0% per abuso di cannabis) rispetto a quelli che vivono nelle aree rurali (dove si registra un tasso del 37,6% per abuso di alcool e del 30% per abuso di cannabis). Per quanto riguarda l’età, l’abuso di cannabis è risultato più frequente tra gli adolescenti di età compresa tra i 15 ed i 17 anni. Gli adolescenti consumatori di cannabis sono a rischio sia di
abbandono che di ridotto rendimento scolastico.

L’ uso occasionale o continuativo di cannabis può indurre molti disturbi psichiatrici come psicosi da cannabis, attacchi di panico, depressione che può sfociare in tentativi di suicido. Wayne Hall e Louisa Dagenhardt (2009) hanno individuato degli effetti collaterali legati all’assunzione sia occasionale che continuativa di cannabis.

Per gli autori, gli effetti collaterali legati all’uso occasionale di cannabis possono essere di tre tipi:
attacchi di ansia e di panico, in particolare nei nuovi consumatori;
sintomi psicotici (nel caso di consumo di dosi elevate di cannabis);
incidenti stradali legati alla guida in stato di intossicazione da cannabis.

Gli effetti avversi legati all’uso continuativo di cannabis sono invece:
sindrome di dipendenza da cannabis (osservata in circa il 10% dei consumatori);
bronchite cronica e funzione respiratoria compromessa nei fumatori abituali di cannabis;
sintomi psicotici e disturbi psichiatrici nei consumatori che fanno uso massiccio di cannabis, in particolare nei soggetti con una storia pregressa di sintomi psicotici o con una storia familiare di questi disturbi;
ridotto livello di istruzione negli adolescenti che sono consumatori regolari;
deterioramento cognitivo per i consumatori abitudinari giornalieri da più di 10 anni.

Altri possibili effetti collaterali, individuati dagli autori, legati al regolare consumo di cannabis con relazione causale sconosciuta sono:
tumori delle vie respiratorie;
disturbi comportamentali in bambini le cui madri hanno fatto uso di cannabis durante la
gravidanza;
disturbi depressivi, mania, e suicidio;
uso di altre droghe illecite da parte degli adolescenti.
Cannabis nel DSM IV-TR

Secondo il DSM IV-TR le problematiche derivanti dall’uso di Cannabis sono dipendenza da cannabis e abuso di cannabis.

I disturbi psichici indotti dal abuso di cannabis sono:
Intossicazione da cannabis;
Delirium da Intossicazione;
Disturbo Psicotico Indotto da Cannabis (con manie o con allucinazioni);
Disturbo d’Ansia indotto da Cannabis
Disturbo cannabis-correlati non altrimenti specificati: come il Disturbo Delirante indotto da cannabis che è una sindrome (di solito con deliri di persecuzione) che si sviluppa subito dopo l’uso di cannabis. Essa può essere associata a marcata ansia, depersonalizzazione,
e labilità emotiva e può essere erroneamente diagnosticata come schizofrenia. Successivamente all’episodio può subentrare amnesia. 

L’uso occasionale di cannabis può generare sintomatologie che potrebbero essere diagnosticate erroneamente come crisi di panico, disturbo depressivo maggiore, disturbo delirante, disturbo bipolare, o schizofrenia paranoide.
Ipotesi sul rapporto tra uso di cannabis e psicosi

Ci sono due ipotesi che possono spiegare l’insorgenza di psicosi legato al consumo di cannabis. Lo stato psicotico può verificarsi sia come risultato di uno specifico effetto farmacologico della cannabis, che come il risultato di esperienze stressanti vissute durante l’intossicazione di
cannabis. L’effetto psicotico sembrerebbe derivare dall’azione del delta-9-tetraidrocannabinolo (delta-9-THC), uno dei maggiori e più noti principi della cannabis. La seconda ipotesi è che l’uso di cannabis possa generare schizofrenia, o aggravarne i sintomi, in un
individuo vulnerabile o predisposto. In particolare l’uso regolare e continuativo di cannabis sembrerebbe quadruplicare il rischio di sviluppare un disturbo schizofrenico (Hautecouverture et al., 2006).
Cannabis e ideazione suicidaria

Licanin et al. (2003) hanno osservato una maggior prevalenza di ideazione suicidaria nei consumatori che abusano di cannabis (50,0%) e di alcol (36,6%) rispetto ai non-consumatori, indipendentemente dal sesso del consumatore e/o da cause ambientali. L’aumento dell’ideazione
suicidaria, non è stato osservato nei fumatori di tabacco. In uno di studio condotto in Bosnia-Erzegovina relativo al rapporto tra pensieri suicidari e l’abuso di droghe psicoattive, si è constatato che il 28,7% degli adolescenti che abusavano di droghe psicoattive e il 20,2% che, in particolare, abusava di cannabis, in seguito aveva sviluppato pensieri suicidari (Spremo & Loga, 2005).

Per molto tempo la cannabis è stata la droga illecita più usata dai giovani, soprattutto gli adolescenti. Il consumo di cannabis si è dimostrato essere associato ad un aumentato rischio di disturbi mentali. Gli effetti collaterali del consumo di cannabis dipendono dalla modalità di
somministrazione, dalla dose ricevuta, dal tempo di utilizzo, dalle aspettative del consumatore e dalla sua personalità. Il rischio di insorgenza di disturbi psichiatrici è molto alta nei soggetti vulnerabili, comprese le persone che hanno usato cannabis durante adolescenza, quelli che in
precedenza avevano sperimentato sintomi psicotici, e quelli ad alto rischio genetico di disturbi psichiatrici.

Dal Sito: www.stateofmind.it

Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2014/09/cannabis-disturbi-psichiatrici/

Claustrofobia: quando manca il respiro

Claustrofobia : quando manca il respiro


Sudorazione, affanno, battito cardiaco accelerato, offuscamento della vista, capogiri, sensazione di cadere o essere in trappola, nausea, vomito, tremore, vertigine, formicolio. Questi alcuni sintomi degli attacchi di panico di cui nucleo centrale è la sensazione di pericolo (sovrastima del pericolo) e il proprio sé come estremamente vulnerabile (sottostima della capacità individuali di fronteggiamento)

In particolare la claustrofobia si presenta nel momento in cui ci troviamo in uno spazio chiuso o affollato, ed è associata all’evitamento di oggetti o situazioni che creano senso di oppressione e sensazione di mancanza di libertà di movimento. La paura di soffocare, la sensazione di sentirsi in trappola ed in pericolo, l’impossibilità di muoversi possono invalidare il quotidiano, come i tunnel, i treni, la metropolitana, gli ascensori, le stanze piccole, i negozi, le maschere. Eviteremo di frequentare questi ambienti, ma di fatto aumenteremo la paura dello stesso stimolo, poiché se nell’immediato possiamo sentirci sollevati, alla prossima occasione l’ansia salirà maggiormente. Oltre l’evitamento, la claustrofobia coinvolge il controllo costante ad esempio all’interno di un veicolo, preferiremmo sederci accanto a una porta e viaggiare solo quando c’è poco traffico; nei luoghi pubblici staremo vicino alla porta evitando i bagni affollati. In generale, la claustrofobia è associata ad altre fobie situazionali come il buio, l’altezza, volare in aereo, in cui la percezione di pericolo e del sé indifeso restano alte.

Probabilmente la figura di attaccamento ansiogena, controllante e invadente ci ha scoraggiati verso un comportamento esplorativo dandoci un immagine del mondo pericoloso e ingannevole, e del nostro sé negativa, poco pronta all’adattamento, e al superamento di un ostacolo. Il dilemma che si crea nell’età adulta è rinunciare alla sicurezza della compagnia in modo da essere liberi (e da soli di fronte ai pericoli) o rinunciare alla libertà di esplorazione in cambio di una protezione che rassicura (ma che può anche soffocare). Potremo aderire a un’immagine di sè apparentemente sicura e autonoma (non mi fido del mondo e degli altri - claustrofobia) o imbarcarci in rapporti affettivi stretti dai quali dipendere (agorafobia – paura spazi aperti). Nel primo caso sentiamo pericolose le situazioni che interpretiamo come perdita di libertà, soffocamento e i legami affettivi sono a basso coinvolgimento.

Con questi ingredienti potremo sentirci poco sereni nella routine o con gli amici, dovendo rinunciare a molte cose, o incontrare difficoltà relazionale, specie nella vita di coppia o con un figlio. Un intervento cognitivo comportamentale può essere la via per ritornare a respirare serenamente e non sentirsi in uno stato di perenne sofferenza emotiva e limitazioni quotidiane.

di Rita Verardi- psicologa e psicoterapeuta

venerdì 27 ottobre 2017

Paura di perdere il controllo: ansia, attacchi di panico, fobie.


Una buona fetta della popolazione soffre di disagi legati all’ ansia. Diversi possono essere i disturbi classificati dal famoso manuale diagnostico DSM, e spesso risultano pervasivi e compromettono funzioni e comportamenti quotidiani come andare al lavoro, guidare, uscire dalla propria abitazione, stare in mezzo alla folla, ecc.

Tra i più diffusi ci sono gli attacchi di panico, ma anche ansia generalizzata, fobie specifiche, agorafobia.

L’ ansia pervade la vita di queste persone rendendola insostenibile, inoltre le persone che gli stanno accanto sono molto preoccupate per loro. Solitamente si cerca una soluzione subito efficace come l’ ausilio di alcuni farmaci che calmano la persona, ma ben presto si scopre che si è tamponato su un sintomo che costituiva solo la punta dell'iceberg. Spesso, infatti i disturbi d’ ansia vengono sottovalutati, ma nella pratica clinica è possibile, invece, associarli a delle gravi situazioni di compromissione del benessere della persona; per noi clinici sono il segnale principale che qualcosa non va, e che chi ne soffre debba fermarsi a riflettere, prendere fiato dagli affanni quotidiani.

Le persone che soffrono d’ ansia riferiscono l’ incapacità di riuscire a capire da soli a cosa sia dovuta; non trovano connessioni logiche e soddisfacenti, sono spaventati da questa terribile sensazione che incombe improvvisamente su di loro e che non riescono a dominare.

In alcuni momenti l’ ansia può diventare intensa da sfociare in paura; tanto che il soggetto che ne soffre inizia ad evitare le situazioni che ritiene rischiose per la propria vita.

L’ ansia, cosi come gli attacchi di panico, sono sintomi che possiamo far diventare nostri amici, campanelli d'allarme che segnalano che qualcosa in noi non va. Spesso si trascorre la nostra vita sorvolando su quanto di spiacevole subiamo, dedicandoci sempre agli altri e poco a noi stessi, controllando le nostre reazioni per salvaguardare il benessere altrui; non cercando una reale soddisfazione amorosa, finanziaria, lavorativa, bensì accontentandoci sempre.

Generalmente nella persona che soffre di disturbi legati all’ ansia: è la mente e la razionalità a dominare sul cuore e sulla pancia; ma quando quest’ ultimi, si uniscono e ribellano alla normale logica, allora la persona diventa incapace di controllo, e tutto quello che manteneva (spesso inconsapevolmente) nascosto sotto l’ armatura affiora con tutta la sua forza.

Un percorso di consulenza psicologica o terapeutico, da scegliere a seconda degli obiettivi concordati tra paziente e professionista, aiuta a ritrovare il proprio benessere e talora a scoprire per la prima volta un nuovo modo di esserci nel mondo e sentirsi vivi.

Dott.ssa Silvia Rotondi

Dal Sito: www.psicologi-italia.it

Intelligenza emotiva e l’importanza delle emozioni


Vi siete mai chiesti cosa sia l’intelligenza emotiva e come influisce sulla vostra vita di ogni giorno? Forse diamo troppa importanza al nostro intelletto e all’uso della logica, e non abbastanza alle emozioni.

Senza dubbio, le emozioni sono vitali per il nostro sviluppo. Oltre a creare un’intera struttura di pensiero, l’intelligenza emotiva può formare veri e propri modelli di comportamento in grado di definire il modo di agire di una persona.

Che cos’è l’intelligenza emotiva?

Se ci riferiamo in senso stretto alla definizione di intelligenza emotiva, bisogna citare Mayer, che fu il primo a condurre degli studi a riguardo.

Mayer definisce l’intelligenza emotiva come l’abilità umana di percepire, comprendere e regolare le emozioni proprie e di chi ci circonda. Questo provoca un accrescimento intellettuale ed emotivo utile per trasformare il nostro comportamento ed i nostri pensieri.

“La più grande scoperta della mia generazione è che gli esseri umani possono cambiare le loro vite cambiando le abitudini mentali”
-William James-

L’importanza delle emozioni

Se si pensa al potere delle emozioni in quanto generatrici di cambiamento, dato che incidono direttamente sul comportamento e sul pensiero, è ovvio che giochino un ruolo fondamentale nella formazione della personalità.

Giunti a questo punto, è interessante osservare certi fattori importanti che indicano la necessità di poter contare su un’intelligenza emotiva sana, sincera e ben sviluppata.

Non bisogna dimenticare che reprimere le emozioni è un segno molto negativo per la nostra salute mentale. In questo caso, trasformeremo il nostro intelletto in modo artificiale, basandoci su imposizioni e non su necessità naturali.

Osservare

Le persone che osservano e restano affascinate da ciò che succede al prossimo, specialmente alle persone care o vicine, mostrano un’intelligenza emotiva sana.

Se siete degli osservatori, scoprirete che ogni giorno potreste migliorare o motivare un cambiamento positivo nel mondo altrui. In questo modo, potrete anche trovare motivazioni per voi stessi. Il linguaggio del corpo, i tic o il comportamento umano stesso, per voi possono essere fonte di ricchezza.

“La vera compassione non è solo sentire il dolore di un’altra persona, ma anche essere motivati ad eliminarlo.”
-Daniel Goleman-

Essere d’esempio

Se date consigli agli altri perché non li seguite anche voi? Una parte molto importante dell’intelligenza emotiva sta nel saper dare l’esempio.

In questo caso, non solo dovrete trovare soluzioni che aiutino gli altri, ma anche saperle applicare a voi stessi. Se credete che qualcosa possa essere un bene per gli altri, probabilmente lo sarà anche per voi.

Avere coscienza di sé

Un aspetto importante dell’intelligenza emotiva è che vi permettere di avere consapevolezza di voi stessi. Nessuno è perfetto, abbiamo debolezze e punti forti con i quali convivere. Senza dubbio, non c’è motivo per cui non si possa lottare giorno dopo giorno contro le nostre debolezze e rafforzare le attitudini su cui ci sentiamo più forti.

Lasciare il passato alle spalle e vivere nel presente

Una persona che ha sviluppato un intelligenza emotiva sana ed efficiente sa che il passato resta indietro. Non bisogna vivere in esso, perché non tornerà. Dobbiamo imparare da quanto successo, applicarlo al presente per migliorare come persone, e guardare al futuro senza paura e con speranza.

Essere un buon ascoltatore

Un altro pregio delle persone con una grande intelligenza emotiva è che sanno ascoltare. Sono ascoltatori attivi, che imparano dagli altri quello che gli sembra utile e vantaggioso. Utilizzeranno queste conoscenze su sé stessi per essere più ricchi e completi.

Essere a proprio agio con gli altri

Un aspetto molto positivo e importante degli esseri umani con una buona intelligenza emotiva è che si sentono a loro agio con gli altri. Sia con estranei sia con amici, sono sicuri di sé e delle loro emozioni; per questo motivo, non hanno alcun problema ad affrontare l’incontro con persone di altre razze, culture o orientamento sessuale.

L’uso dell’etica

Le persone con una buona intelligenza emotiva sono consapevoli dell’importanza che gioca l’etica in tutte le loro azioni. Che si tratti di lavoro o di relazioni familiari, seguono degli standard di comportamento che permettono loro di scindere il bene dal male.

È evidente che l’intelligenza emotiva, vista l’importanza che riveste nelle emozioni umane, è un’abilità che ci permette di conoscerci meglio e di essere più ricchi e completi in tutti gli aspetti della nostra vita.

Dal Sito: lamenteemeravigliosa.it